1. Nel 1976, Berlinguer sull'Unità, rilascia un'intervista il cui passaggio fondamentale è la notoria locuzione che l'inflazione colpisce sempre e per primi i ceti più poveri:
2. Berlinguer era in effetti un po' troppo pessimista; come abbiamo più volte visto (qui, p.1), all'inizio degli anni '80, Giavazzi e Spaventa, nell'analizzare l'uscita italiana dalla crisi di c.d. stagflazione, alla fine degli anni '70, parlavano di una ripresa molto più brillante che negli altri paesi:
"Senza misure supply-side, comunque, l'inflazione sarebbe stata, al meglio, neutrale: grazie (però) a un sistema fiscale non indicizzato (ndr; in Italia: cioè grazie al fiscal drag che appesantiva de facto la tassazione sulle persone fisiche, su redditi aumentati in termini solo nominali, in presenza di inflazione), l'inflazione fornì le entrate per finanziare i sussidi alle imprese che permisero allo stesso tempo un recupero dei profitti e lo stimolo alla domanda proveniente da un deprezzamento reale. Il costo della conseguente disinflazione furono bassi precisamente perché l'inflazione e la svalutazione della moneta avevano spinto i livelli di profitto dell'industria. Questo paper sviluppa una comparazione specifica con l'esperienza del Regno Unito (cioè col sistema di tagli dell'intervento pubblico e di liberalizzazioni e privatizzazioni della Thatcher) che prese le mosse da condizioni molto simili a quelle italiane.
Argomentiamo che il successo della stabilizzazione italiana, e il suo evidente risultato superiore paragonato a quello britannico, sia dipeso in modo cruciale dal tempismo e dalla sequenza delle politiche poste in essere: facendo innalzare i margini di profitto e forzando l'aggiustamento solo successivamente a ciò, l'Italia non dovette subir l'ondata di chiusura di impianti osservata in UK.
Tanto che ammettevano "nonostante l'indicizzazione salariale, l'inflazione costituì un efficace strumento di politica economica e la disinflazione risultò relativamente indolore".
3. Indolore, rispetto ai livelli di disoccupazione e al livello della spesa pubblica e del debito rispetto al PIL (sempre qui, pp.1-3). Ciò che invece, Berlinguer mirava a limitare sollevando, poco dopo, la questione morale - contro ogni clientelismo e in favore de "l'economia aperta", suscitando la ormai celebre reazione di Federico Caffè che, nel "Processo a Berlinguer" (1982), stigmatizzò il "frequente
indulgere al ricatto allarmistico dell’inflazione, con apparente
sottovalutazione delle frustrazioni e delle tragedie ben più gravi della
disoccupazione, costituiscono orientamenti che, seguiti da una forza
progressista come quella del Partito comunista, anche se in modo occasionale e
non univoco, possono contribuire ad allontanare, anziché facilitare, le
incisive modifiche di fondo che sono indispensabili al nostro paese".
"La riscoperta del mercato, che non è
fenomeno esclusivamente italiano anche se nel nostro paese ha trovato
conturbanti consensi perfino nelle forze politicamente progressiste, lascia
sconcertati, in quanto appare immune da ogni ripensamento critico che sia
frutto della imponente documentazione teorica ed empirica disponibile sui
fallimenti del mercato: dalla sua incapacità di tutelare efficacemente il consumatore
che dovrebbe esserne il sovrano, al suo assoggettamento alle forze che
dovrebbero dipendere dalle sue indicazioni, al riconoscimento delle carenze che
esso manifesta nella segnalazione di esigenze vitali, ma non paganti, della collettività.
I propositi di programmazione, d’altro
canto, non si discostano ancora oggi dall’antica riserva mentale, di stampo
einaudiano, che esorcizzava, a suo tempo, lo stesso termine di piano, sfumandolo in quello più blando
di schema, o svuotandolo di una
connotazione specifica, in quanto “tutti fanno piani”.
Questo arretramento culturale si
traduce, fatalmente, in una deformazione nell’attribuzione delle responsabilità
di una situazione che si conviene definire meramente di emergenza.
Che di arretramento culturale si
tratti non dipende meramente dal ritorno all’antico: il ricupero di idee del
passato che siano state a torto trascurate o che non siano state adeguatamente
comprese a tempo debito, risulta generalmente valido.
Ma allorché Hayek ha, del tutto
recentemente, scritto che “la causa della disoccupazione risiede in una
deviazione dai prezzi e dai salari di equilibrio che si stabilirebbero
automaticamente, in presenza di un mercato libero e di una moneta stabile”, si
è di fronte non a una fruttuosa rielaborazione di idee che abbiano radici
lontane, ma all’ennesima attestazione dell’atteggiamento del ritorno retrivo di
chi non ha saputo niente apprendere e niente dimenticare.
L’informazione maggiormente in grado
di influenzare l’opinione pubblica, i messaggi delle persone in posizione di
potere e di responsabilità non differiscono da questa, in fondo patetica,
incapacità di studiosi indubbiamente eminenti, come Hayek, di riconsiderare in
modo nuovo antichi convincimenti".
4. E quanto "antico" è questo convincimento che l'inflazione sia la più iniqua delle imposte a carico dei (soli) poveri?
Ne troviamo traccia (traiamo dallo studio di Clara Mattei) già nella Conferenza di Genova del 1922, - promossa dalla FED con i banchieri centrali (e non), chiamati a indicare le soluzioni alla crisi di stabilità monetaria e finanziaria (inevitabilmente) susseguente alla prima guerra mondiale, che metteva in pericolo la restituzione soddisfacente delle linee di credito concesse ai paesi indebitatisi con la guerra (tra cui l'Italia) e poi costretti, dalla svalutazione, ad accrescere il debito estero conseguente alle indispensabili importazioni. Specie importazioni alimentari per i paesi agricoli, e non ancora industrializzati, che avevano dovuto mobilitare i contadini come soldati, e non riorganizzarono tempestivamente una produzione agricola auto-sufficiente, e né disponevano di una produzione di beni industriali idonea a sostenere senza danni finanziari e monetari, gli scambi con l'estero.
4.1. Lo vediamo, in particolare, nella Resolution III (qui p.7), che indica il legame genetico tra gold standard e banche centrali indipendenti:
“L'inflazione è una "modalità di tassazione non-scientifica e dissennata" (v. qui, pensiero ripreso da Einaudi, in "addendum") che produce costi della vita più elevati e consequente "malessere del lavoro".
“In secondo luogo le banche, in particolare le banche di emissione, devono essere indipendenti dalla pressione politica al fine di agire esclusivamente “entro le linee di una finanza prudente"(Resolution III, 28).
Più specificamente, i tassi di interesse devono salire al fine di restringere il volume del credito disponibile. Invero, "se il saggio controllo del credito porta al denaro "caro", questo risultato aiuterà di per sè a promuovere l'economia"
(Resolution VII, 29). La commissione è consapevole che queste misure
accrescono il costo della restituzione del debito flottante.
Tuttavia
afferma:
“non vediamo ragioni del perché la comunità nella sua
capacità collettiva (cioè i Governi) dovrebbero essere soggetti a
qualcosa di meno della normale misura di restrizione del credito che
riguarda i membri individuali della comunità" (Resolution IV, 28).”
Cioè lo Stato deve mettersi in
mano ai mercati finanziari: lo sappiamo benissimo che il senso
dell’indipendenza delle banche centrali è questo, ma le conferme fan
sempre piacere.
Ovviamente “a Brussels si è già concordi sul fatto che “E' altamente desiderabile che i paesi che hanno deviato da un effettivo gold standard debbano ritornare ad esso,” [Resolution VIII, 19].”
5. L'originaria formulazione parla semplicemente di "malessere del lavoro" non di "iniquità verso l'orfano e la vedova": la formula è elittica, perché in realtà allude alle rivendicazioni salariali dei lavoratori che si manifestavano in quel dopoguerra, una volta ottenuto il traumatico (per ESSI) diritto di sciopero (o, almeno, la cessazione della sua illiceità penale e repressione militar-poliziesca), .
Oltretutto, quei lavoratori - inclusi i poliziotti e i militari che, secondo il "vecchio" schema ante-guerra, avrebbero dovuto essere utilizzati nella repressione degli scioperi (dettaglio storico-sociologico da non trascurare)-, erano in gran parte reduci dal massacro della grande guerra e, a fronte di un drastico "taglio" della forza lavoro (sterminata a milioni da gas e mitragliatrici), avevano imparato ad organizzarsi in sindacati che erano sempre più forti, con un'autoorganizzazione che si rifletteva anche nella rappresentanza politica consentita dal suffragio universale (al tempo, ai suoi "esordi").
Ebbene, il contrasto a queste rivendicazioni fu teorizzato in nome del gold standard e delle banche centrali indipendenti e proprio l'accanimento in questo pensiero unico legittimò, appunto, l'avvento in Italia del fascismo e ogni altra deriva autoritaria nel resto d'Europa.
Con buona pace della ricostruzione di Berlinguer che "salta" qualche fondamentale passaggio nell'attribuire all'inflazione la generazione "autonoma" del fascismo, ignorando il decisivo "intervento di (ben precise) forze sociali" indicato da Basso.
Questa presa di posizione di Einaudi è perfettamente allineata con le conclusioni delle Conferenze degli anni '20, che include nelle sue premesse ideologico-economiche "naturali" e che, comunque, inserisce anche in questo famoso passo; ma che vengono abilmente paludate di quella veste morale "preoccupata" dei più deboli, che, evidentemente, dovette poi suggestionare Berlinguer. Da notare che, in una non casuale anticipazione, la versione einaudiana era inserita in uno scritto sui "problemi economici della federazione europea" (!):
“Il vantaggio del
sistema [di una moneta unica europea] non sarebbe solo di conteggio e di
comodità nei pagamenti e nelle transazioni interstatali. Per quanto
altissimo, il vantaggio sarebbe piccolo in confronto di un altro, di
pregio di gran lunga superiore, che è l’abolizione della sovranità dei
singoli stati in materia monetaria.
Chi ricorda il malo uso che molti
stati avevano fatto e fanno del diritto di battere moneta non può avere
dubbio rispetto alla urgenza di togliere ad essi cosiffatto diritto.
Esso si è ridotto in sostanza al diritto di falsificare la moneta (Dante
li avrebbe messi tutti nel suo inferno codesti moderni reggitori di
stati e di banche, insieme con maestro Adamo) e cioè al diritto di
imporre ai popoli la peggiore delle imposte, peggiore perché
inavvertita, gravante assai più sui poveri che sui ricchi, cagione di
arricchimento per i pochi e di impoverimento per i più, lievito di
malcontento per ogni classe contro ogni altra classe sociale e di
disordine sociale.
La svalutazione della lira italiana e del marco
tedesco, che rovinò le classi medie e rese malcontente le classi operaie
fu una delle cause da cui nacquero le bande di disoccupati
intellettuali e di facinorosi che diedero il potere ai dittatori.
Se la
federazione europea toglierà ai singoli stati federati la possibilità di
far fronte alle opere pubbliche col gemere il torchio dei biglietti, e
li costringerà a provvedere unicamente colle imposte e con i prestiti
volontari, avrà, per ciò solo, compiuto opera grande.
Opera di
democrazia sana ed efficace, perché i governanti degli stati federati
non potranno più ingannare i popoli, col miraggio di opere compiute
senza costo, grazie al miracolismo dei biglietti, ma dovranno, per
ottenere consenso a nuove imposte o credito per nuovi prestiti,
dimostrare di rendere servigi effettivi ai cittadini.” (L. Einaudi, I
problemi economici della federazione europea, saggio scritto per il
Movimento federalista europeo e pubblicato nelle Nuove edizioni di
Capolago, Lugano, 1944 ora in La guerra e l’unità europea, Milano,
Edizioni di Comunità, 1950, pagg. 81-82)."
7. Con il che il cerchio si chiude, sicché una corretta memoria storica dovrebbe consentire, alla maggior parte degli italiani, di capire perché ci troviamo oggi in questa situazione.
Gli stessi concetti esposti da Einaudi nel ’14. Impressionante questa imperterrita continuità. Ha ragione Berta a dire che per questa gente la storia dell’ultimo secolo è come se non fosse esistita.