1. Voci dalla Germania ha (meritoriamente) pubblicato la traduzione di un articolo di Die Welt che ha suscitato un certo scalpore: il suo titolo allude a un "piano di emergenza per l'uscita dall'euro", ma più precisamente si tratta dell'enumerazione delle perplessità e angosce tedesche sulla sostenibilità futura dell'eurozona, raccolte ed elaborate "da alcuni economisti molto noti" (tra cui l'immancabile Sinn, immancabilmente arrabbiato per via dei saldi attivi tedeschi Target-2), convenuti a Berlino su invito "arrivato dal'università privata ESMT e dal Max-Planck-Institut per il diritto fiscale e la scienza delle finanze".
La declinazione dei problemi posti in salsa tedesco-nord-europea (altrettanto immancabilmente si menziona la virtuosa cointeressata Olanda), viene poi ripresa da un'intervista di Federico Fubini sul Corsera al presidente dell'IFO, (noto istituto di ricerca vicino al governo tedesco), che, avendo partecipato alla discussione in quella sede, ripercuote i temi principali elaborati nella conferenza di Berlino.
2. Questa intervista ha dato luogo a uno scambio su twitter con l'amico Stefano Fassina:
Poiché l'intervista in questione ripecuote piuttosto fedelmente l'approccio seguito dal convegno in questione, sia pure con una serie di specifiche applicazioni a (o meglio "avvertimenti per") l'attuale situazione politica italiana, ci pare più esaustivo, e utile alla comprensione, estrarre le più importanti ed essenziali soluzioni suggerite e riportate nell'articolo, con un commento esplicativo (in termini di attuale e riformando contenuto dei trattati).
"E' possibile
che la situazione nell'unione monetaria si sia stabilizzata grazie alla
ripresa economica congiunta, ma i saldi Target in continua crescita
evidenziano le fratture economiche all'interno della zona euro. E le elezioni italiane hanno mostrato che il pericolo di una dissoluzione dell'euro è tutt'altro che scomparso.
In Italia il capo della Lega Italiana, il partito populista di destra -
uno dei vincitori delle elezioni - ha dichiarato che solo la morte è
irreversibile, una moneta certamente non lo è".
La più importante conclusione che si trae da questa premessa è:
"La probabilità
che l'euro finisca non è pari a zero. Come economisti dobbiamo
prenderla in considerazione", ha detto Kai Konrad, esperto di finanza
presso il Planck-Institut. Ad assecondarlo c'era il presidente del
Consiglio dei Saggi Economici (Sachverständigenrat), Christoph Schmidt:
"bisogna essere preparati anche ad eventi alquanto improbabili". E' necessario discutere una clausola di uscita".
3. Il proposito non è affatto innocente o, addirittura, ragionevole e cooperativo come si può credere a prima vista leggendo questo schema degli esiti considerati:
"Secondo gli economisti presenti ci sarebbero tre scenari di uscita ipotizzabili:
l'uscita di un paese senza il consenso degli altri, l'uscita con il
consenso degli altri, oppure l'esclusione di un paese contro la volontà
del paese uscente. Per tutti questi scenari non esiste un quadro
giuridico chiaro, afferma Clemens Fuest, presidente dell'Ifo".
Ed infatti, nessuna di queste tre opzioni tiene conto della realtà attuale della disciplina ricavabile univocamente dai trattati (fermo restando che un'uscita concordata è certamente auspicabile, purché rispettosa della libertà negoziale degli Stati interessati): il consenso "degli altri" all'entrata nell'eurozona, nelle attuali previsioni del TFUE, è in realtà preventivamente prestato in forma di "concessione" di uno status da parte di tutti i precedenti appartenenti ma, al tempo stesso, - essendo tale concessione configurata come accoglimento della "istanza" avanzata dal paese di volta in volta interessato-, presuppone, in tutte le previsioni oggettivamente ritrovabili nei trattati, una costante (e rinnovata) volontà adesiva di tale paese, a cui si accompagna il rigoroso "vaglio" preventivo, e successivo (e in tale fase secondo le regole del fiscal compact, che però paiono finora applicarsi, dati fiscali comparati dei vari paesi aderenti alla mano, solo all'Italia) da parte degli altri Stati attraverso la vigilanza della Commissione.
4. In termini giuridico-operativi, trattandosi di un atto ampliativo, cioè di un "beneficio" che gli Stati-membri accordano al richiedente, l'ammissione all'eurozona è già oggi regolata dal costante mantenimento, "costitutivo", della volontà dello Stato richiedente, il cui venir meno, in qualsiasi momento, ha l'effetto naturale (secondo i principi elementari del diritto comune alle nazioni civili, automaticamente valevole nel superiore diritto internazionale consuetudinario ad integrazione di qualsiasi previsione pattizia) di valere come rinuncia all'atto ampliativo (sarebbe contrario allo ius cogens, e quindi fonte di una pattuizione nulla per violazione di norme imperative di diritto internazionale, la previsione di un vincolo perenne e della irrinunciabilità di un "beneficio").
Per l'approfondimento normativo di tali aspetti si veda quanto esposto in questo post (ripreso ed ampliato ne "La Costituzione nella palude", dove si evidenzia come l'interpretazione suggerita sia condivisa con l'autorevole e parallela analisi dei trattati attuali svolta dal prof.Guarino).
5. Ed infatti, gli "economisti" convenuti a Berlino, - mostrando una certa astuzia negoziale che rinvia alla consapevolezza degli aspetti ora considerati-, con insinuante tendenza al "fatto compiuto", implicano un'interpretazione opposta dei trattati e che porta a riaffermare una inscindibilità attuale dell'uscita dall'euro dall'uscita dall'unione.
E ciò in base ad una forzata lettura "estensiva" dell'art.50, che riafferma necessariamente l'attuale irrealizzabilità dell'€xit: dovendosi seguire la relativa procedura, l'art.50 paralizza, per ovvie considerazioni legate al ruolo e alle posizioni strutturali della BCE, qualsiasi possibilità di uscita dall'euro. E il "caso Grecia" (e prima ancora di Cipro), stanno lì a dimostrarlo senza che occorrano particolari dimostrazioni.
Non è perciò innocente e tantomeno cooperativo, tutt'altro, che a Berlino si sostenga che:
"Sebbene
l'eurozona con l'articolo 50 del trattato UE abbia previsto una clausola
di uscita, l'abbandono della moneta unica nei trattati resta legato
indissolubilmente anche all'uscita dall'UE. Non è desiderabile, dice
Fuest: "al momento l'uscita di un paese non è all'ordine del giorno,
proprio per questa ragione sarebbe il momento buono per discutere una
clausola di uscita dall'euro".
6. Altrettanto falsamente innocente, ma in realtà pesantemente implicativa, è l'affermazione per cui:
"L'adesione
all'euro è accompagnata dal fatto che il paese deve accettare le regole
della zona euro", dice Fuest, riferendosi soprattutto all'Italia. Li' il capo della Lega Salvini ha chiesto che l'Italia ignori gli accordi di politica fiscale che l'Italia stessa ha sottoscritto. "Questo è incompatibile con l'appartenenza all'area dell'euro", dice Fuest."
Basti rammentare con riguardo alla mancata osservanza delle regole della zona euro, - prima con la famosa svalutazione interna "Hartz", accompagnata da ulteriori misure non cooperative "equivalenti" a un'indebita restrizione delle importazioni (e relativa forzatura reiterata del limite del 3% al deficit), e poi con il surplus record "insanzionabile" (qui, p.5)-, la Germania non è certo "ligia" e rispettosa delle regole più importanti che dovrebbero garantire (molto in teoria, ormai) la sostenibilità dell'eurozona (si veda, qui, p.3).
7. Ma anche superando il considerevole aspetto della violazione prolungata e ostentata di tali regole da parte della Germania, rimane il fatto che queste stesse regole, almeno per quanto riguarda il fiscal compact e le sue specificazioni applicative, sono altamente opinabili nella loro attendibilità scientifico-economica, e concretamente oggetto di fondate obiezioni che rendono tutt'altro che ragionevole il richiamo tedesco alla loro osservanza, nella parte che fa...comodo a loro (e vedremo come ciò non venga neppure nascosto): ci riferiamo in particolare all'essenziale questione dei criteri di calcolo dell'output-gap che, come d'altra parte l'intero fiscal compact, non trova una diretta e legittima giustificazione normativa persino nelle già "mercantiliste" previsioni dei trattati (qui, pp.15-18).
Ora, l'affermazione degli "esperti" di Berlino si risolve oggettivamente in una negatoria preventiva di qualsiasi concessione su questi aspetti cruciali e in una riaffermazione della totale preclusione tedesca a ridiscutere i termini applicativi del fiscal compact, affibbiando l'anatema unilaterale di inadempiente proprio all'Italia (che alle regole fiscali inadempie meno di tutti, peraltro); e proprio in quanto, potenzialmente, prima o poi, faccia valere le sue ragionevoli prerogative, di fronte a un quadro pattizio che si presenta altamente asimmetrico e distorsivo, in proprio danno, e comunque fallimentare per la crescita, l'occupazione e gli investimenti in tutta l'eurozona!
8. La "coscienza sporca" dei tedeschi (e alleati vari), si dimostra proprio nelle seguenti affermazioni giustificative date alla necessità di una clausola espressa di recesso dall'euro:
"Le clausole di uscita potrebbero servire come protezione contro la redistribuzione delle risorse a spese dei singoli stati.
Paesi piu' ricchi come la Germania o l'Olanda, grazie ad una clausola
di uscita, potrebbero difendersi dalla trasformazione dell'eurozona in
una unione di trasferimento. Una clausola di uscita potrebbe aiutare
anche i paesi piu' deboli, come l'Italia, che con una loro moneta
nazionale, potrebbero tornare nuovamente competitivi."
Questa "vera" giustificazione della esigenza della clausola €xit, è una sostanziale ammissione di inadempienza allo "spirito fondamentale" dei trattati: se non altro perché che l'area valutaria europea dovesse completarsi, inevitabilmente, in una "unione di trasferimenti" era previsto esplicitamente, come obbligo di buona fede degli Stati partecipanti, fin dal rapporto Werner (secondo una linea normativa che non dovrebbe mai aver cessato di essere, implicitamente ma necessariamente, vincolante per gli Stati-membri...).
9. La sostanziale confessione della propria volontà, non cooperativa, di inadempiere ai presupposti giuridico-casuali (cioè negozialmente enunciati nei trattati: cooperazione e crescita comuni) di implicita, ma necessaria, evoluzione normativa dell'eurozona, è confermata da questo ulteriore ragionamento degli "economisti" di Berlino:
"Quanto siano
grandi le differenze lo ha illustrato chiaramente Sinn. Affinché i paesi
piu' deboli possano raggiungere la Germania in termini di prezzi, la
Germania dovrebbe avere un'inflazione del 4.5% piu' alta rispetto a
quella degli altri paesi della zona euro per i prossimi 10 anni.
Ed infatti, dopo essere partiti dalla colpevolizzazione preventiva di eventuali pretese italiane che potessero mettere in discussione il rispetto sostanziale dei trattati da parte dei tedeschi, consci di una posizione razionalmente e giuridicamente difficile da difendere, i tedeschi applicano alla clausola di €xit una (non singolare) eterogenesi dei fini, oltreche pervenire all'enunciazione del vero obiettivo che si prefiggono:
"I vantaggi
derivanti dall'avere regole di uscita chiare consisterebbero nel ridurre
i costi macroeconomici legati all'uscita, compresa l'incertezza,
rendendo i conflitti fra gli stati meno probabili", afferma Fuest.
Potrebbe esserci maggiore incertezza sul futuro dell'eurozona. "Tutto
questo spinge verso la creazione di ostacoli procedurali elevati che
rendano difficile l'uscita, ma non per un'assenza di una procedura di
uscita", dice Fuest.
Le clausole di uscita potrebbero servire come protezione contro la redistribuzione delle risorse a spese dei singoli stati.
Paesi piu' ricchi come la Germania o l'Olanda, grazie ad una clausola
di uscita, potrebbero difendersi dalla trasformazione dell'eurozona in
una unione di trasferimento. Una clausola di uscita potrebbe aiutare
anche i paesi piu' deboli, come l'Italia, che con una loro moneta
nazionale, potrebbero tornare nuovamente competitivi".
11. In sostanza: se le cose arrivassero (in ipotesi: il pallino dovrebbe essere in mano a un governo italiano che agisca finalmente nell'interesse nazionale) a un punto in cui le violazioni tedesche (il gigantesco surplus non è facile da nascondere con giri di parole) fossero "eccepite" per evidenziare la loro vantaggiosa unilateralità di "fruizione" della moneta unica (come preannuncia anche l'atteggiamento che potrebbero a breve assumere gli USA), i tedeschi, o gli olandesi, si vogliono premunire con un c.d. commodus discessus e...salutare tutti.
11.1. A tal fine, - ed è questo l'altro "astuto" accorgimento che vorrebbero predisporre- la clausola di €xit secondo il rito tedesco, non solo dovrebbe immettere adeguati "ostacoli procedurali", in modo da imporre tempi che lascerebbero gli Stati "uscenti" in balia dei poteri della BCE e dell'allarme sfrenato dei "mercati", ma sancirebbe il rinvio "ricattatorio" della stessa introduzione di tale clausola di "appesantimento" dell'€xit, fino alla più ampia riforma dei trattati; cioè contestualmente alla sua introduzione si imporrebbero regimi di condizionalità ulteriormente intrusiva sulla già residuale sovranità fiscale degli Stati dell'eurozona, tale da portarli ad un sostanziale collasso economico-industriale e, prima ancora, bancario (qui, p.5).
Questo punto, cioè concessione di una clausola di €xit giugulatoria, e peraltro semmai favorevole solo ai paesi "creditori" Target-2, solo a condizione che si collochi nella riforma dei trattati che inasprisce il regime di contribuzione fiscale e di condizionalità a carico degli Stati "debitori", è esplicitamente enunciato dai "convegnisti di Berlino:
"...dice Fuest: "al
momento l'uscita di un paese non è all'ordine del giorno, proprio per
questa ragione sarebbe il momento buono per discutere una clausola di
uscita dall'euro". Potrebbe essere incluso nei trattati nell'ambito dell'attuale processo di riforma..."
Più chiaro di così...o forse no.