sabato 31 marzo 2018

LA TORTA PASQUALINA 2018 E LA LOTTA PER L'INDIPENDENZA DI UNA NAZIONE. LIBERA E DEMOCRATICA


torta pasqualina 6
http://www.misya.info/ricetta/torta-pasqualina.htm
1. Questa è una Pasqua particolare. Forse, tra qualche anno (a posteriori) non risulterà aver costituito un passaggio storico unico ed irripetibile, quanto piuttosto gli albori di una fase di rinnovamento.
Anzitutto, l'immobilismo (al tempo) scientemente perseguito nel costruire finte volontà di risovere i problemi del nostro Paese; problemi che avevano un solo nome, l'euro, e che il pretendere di risolvere era una cosmesi in realtà indirizzata a renderli strutturali, ma talmente strutturali da non potersi più tornare indietro.

2. Rammentiamo gli ingredienti di quella torta pasqualina: riassorbire e normalizzare le anomalie del voto protestatario, rimettere in sella a tempo indefinito i partiti che appoggiarono il governo Monti, fingere di voler risolvere il problema dei crediti delle imprese verso il settore pubblico e quello degli esodati, ma in realtà affermare un maquillage rafforzativo dell'austerità decrescista infelice, affermando che ogni soluzione al riguardo potesse conseguire solo a pesanti sacrifici per tutte la fasce sociali più deboli, in virtù della inderogabile copertura in pareggio di bilancio, negando al contempo ogni realistica considerazione del moltiplicatore della spesa pubblica, e, soprattutto, colpevolizzare tutti gli italiani sull'abbattimento del debito pubblico, in modo da far interiorizzare come principio assoluto l'obbligo supercostituzionale di rispettare il fiscal compact. 
E dunque, in definitiva, imprimere su questa nuova "tavola delle l€ggi" la deroga e la destrutturazione dell'impianto fondamentale della Costituzione, rendendo irrilevante la violazione del filtro degli artt. 11 e 139 Cost.
Molti di questi obiettivi sono stati direttamente bocciati, e altri ridefiniti in nuove cosmesi per perpetuarne il perseguimento ad ogni costo; ma, come vedremo, istituzioni pubbliche e private, privatissime (esterne), dotate di forze materiali sterminate (p. 2.2.), continuano imperterrite  la loro azione, al di sopra ed al di fuori delle istituzioni democratiche costituzionali.

3. Nonostante ciò, possiamo registrare un'evoluzione positiva (ma appunto, non ancora consolidata): quello che nel 2013 pareva come un piano che procedeva a gonfie vele, oggi risulta, in buona parte, non solo l'elenco dei punti di un gigantesco fallimento, ma anche la ragione stessa che ha sospinto una vasta reazione popolare; una reazione tradottasi, almeno sui temi più concreti di quell'agenda distruttiva (pensate a crediti delle imprese, esodati, ossessione delle coperture in pareggio di bilancio e riduzione del rapporto debito/Pil), in una vasta espressione di rigetto popolare per quell'assetto di euro-potere, per quei protagonisti e per le loro pretese di legittimazione ultrattiva, e di prorogatio ad infinitum, sbeffeggiando ogni possibile esito della volontà del corpo elettorale.

4. La questione, tuttavia, non può dirsi risolta in senso positivo per l'interesse esclusivo della Nazione italiana e nè si può affermare, allo stato, che sia emersa, con oggettiva chiarezza, una nuova agenda maggioritaria (e più rispettosa della legittima sovranità costituzionale) entro le forze ora presenti in parlamento.
La nuova torta pasqualina deve essere ancora impastata e infornata. E non si può, realisticamente, dire che sapore avrà.
Ma una cosa risulta chiaramente emergere, dall'insieme degli elementi più rilevanti che stanno accumulandosi sia a livello di politica interna che di contesto internazionale: abbiamo, come non mai dai tempi del Risorgimento, il bisogno di ritrovare le ragioni e la passione civile e democratica che possa, anzi, debba, condurci ad un nuova lotta per l'indipendenza nazionale.
Nessun rigurgito nazionalista con annessa fandonia "qualificatrice" di "guerrafondaio": ma sempre avendo la coscienza che il nazionalismo indipendentista, cioè sovrano e democratico culminante nella nostra Costituzione, significa sottrarre un popolo intero al giogo degli interessi oligarchico-finanziari dello straniero.

5. La lotta per riconquistare una coscienza nazionale è il viatico per la riappropriazione della coscienza degli interessi unitari e maggioritari del popolo italiano; interessi solidali, fraterni e patriottici. Senza mai più farsi dettare l'agenda e persino il linguaggio (qui, p.1) utilizzabile da queste forme orwelliane di controllo da parte di un conglomerato ristretto di gestori mediatici e politici del "vincolo esterno".

5.1. Una rapida rassegna di questo contesto, ancora e sempre più incombente su di noi, ci fa comprendere a fondo quanto questa rivendicazione dell'indipendenza democratica della Nazione sia urgente e prioritaria:


E si potrebbe continuare a lungo...
5.2. Ma mi pare che sia sufficiente per capire che, con PAZIENZA, ma incrollabile amore per la libertà e il benessere di un popolo, con senso della realtà, ma senza mai venir meno alla chiarezza sugli obiettivi di rispristino della democrazia, oggi, la nostra "torta pasqualina" ce la dobbiamo cucinare da noi. O almeno, nell'immediato, impedire che risulti in ulteriori dosi dello stesso veleno.
Lottando, con la forza di un popolo unito (almeno nella sua parte cosciente della sovranità democratica) per l'indipendenza nazionale. E per il benessere, la dignità, e il futuro nostro e dei nostri figli.

giovedì 29 marzo 2018

LA GOVERNABILITA' E LA DISTRUZIONE PARALEGALITARIA DELLA SOVRANITA' COSTITUZIONALE (RESA TOTALE?)


http://www.lastampa.it/2018/03/27/esteri/moscovici-non-ci-intrometteremo-ma-litalia-deve-rispettare-le-regole-e-abbassare-il-debito-Rp6U69DvoJWRvpiieCoNPO/pagina.html

1. Quando parlammo più di recente della "ipotesi Calamandrei" - cioè che quando si disapplicano, per via di trattato internazionale non filtrato dall'art.11 Cost., i principi e i diritti fondamentali della Costituzione, quest'ultima "non è semplicemente modificata ma distrutta" onde "si ritornerebbe allo stato di fatto, allo stato meramente politico in cui le forze politiche sarebbero di nuovo in libertà senza avere più nessuna costrizione di carattere legalitario"-, finimmo per parlare, inevitabilmente, dell'incombente soluzione Citigroup
Vale a dire, del prevalere del mito, extratestuale rispetto ai principi fondamentali della Costituzione del 1948, della c.d. "governabilità", assunta a principio-guida a prescindere da qualsiasi limite legale-sostanziale posto dalla Costituzione all'azione di un (salvifico?) governo. 
Una formula, questa della governabilità (qui, in "Appendice di Teoria dello Stato"), che accanto ad altre (in specie il debito pubblico...come in una famiglia, qui e qui), in modo apparentemente ragionevole e persino para-legalitario (v. sotto p.5.1.), assume la prevalenza conclamata dell'ordine internazionale dei mercati sulla sovranità democratica costituzionale e pone le condizioni concrete per il definitivo superamento di ogni labile facciata della asserita continuità dello Stato di diritto costituzionale ante e post irruzione del "vincolo esterno".

2. Ma che forma assumerebbe, nella situazione di non equilibrio politico-parlamentare attuale, quale scaturito dalle ultime elezioni, questo definitivo superamento, nemmeno più formalmene dissimulato, della legalità costituzionale sostanziale? 
Si badi bene: non stiamo, (non necessariamente...per il momento), parlando della legalità costituzionale formale-istituzionale, che, come abbiamo visto (p.8), è cosa diversa, data la compatibilità di tale elemento formale-organizzativo dello Stato, con il passaggio da una democrazia sociale ad una "liberale", governata (con mano di ferro) da un'oligarchia mandataria dei mercati. E quest'ultima, all'interno di un trattato internazionale liberoscambista che si autoafferma come supremo paradigma politico-legalitario, consistente in un numero ristretto di soggetti, anche istituzionali ma prevalentemente privati, rappresentativi di interessi del capitalismo finanziario estero

3. Si tratta dunque non solo del come, in questo passaggio storico, l'Italia debba rassegnarsi alla distruzione irreversibile dell'assetto sociale della sovranità popolare pluriclasse e solidale del '48 (qui, pp. 11-14), peraltro senza particolari reazioni e resistenze popolari, ma anche del come si passi, altrettanto definitivamente, ad archiviare lo "Stato democratico sovrano [cioè] quello le cui determinazioni dipendono soltanto dalla volontà collettiva del suo popolo, espressa in modo democratico, e non dalla volontà o da forze esterne, che stiano al di sopra del popolo e al di fuori dello Stato" (come paventava sempre Calamandrei, p.2).

4. Ma, richiamati questi principi, cerchiamo la risposta alla domanda su quale forma inevitabilmente assumerebbe, a seguito dell'esito sulla composizione parlamentare delle ultime elezioni, questa distruzione della sostanza della Costituzione (ribadiamo: come vedremo tra un po', paralegalitaria....).
Si tratta di un pericolo incombente, di potenziale saldarsi di una serie di elementi già ambiguamente compresenti nel sistema e che potrebbero alla fine combinarsi. Almeno, scaturendone una paralisi conclamata negli accordi tra le principali forze parlamentari, verso la soluzione Citigroup...che farebbe rientrare in gioco prepotentemente le forze de-sovranizzatrici filo€uriste, diffuse in tutto l'arco partitico.
In prima approssimazione, ce li riassume (bastano i titoli per un lettore che abbia seguito il discorso finora svolto, meglio se andando ai rinvii dei links) l'Huffington Post (molto attento, non a caso, a questo tipo di combinazioni politiche):

Pressare la Lega guardando al Pd (e a Delrio...). M5S convoca pre-consultazioni, ma i dem si tirano fuori

5. A chi non avesse colto con immediatezza la deriva potenziale derivante da questi frangenti, può risultare chiarificatore  l'ennesimo richiamo "ad orologeria" di Moscovici (che no, non si intromette...):
Un monito che immediatamente avrebbe prodotto i suoi effetti sull'esercizio della sovranità delle istituzioni italiane, almeno a livello mediatico.

5.1. Ed infatti, la maggior nitidezza della congiuntura politica istituzionale legata alla incerta prospettiva politica attuale, ce la fornisce questo scritto che è talmente esplicito da non richiedere particolari commenti giuridico-costituzionali. Li lascio ai più preparati dei lettori - che sapranno benissimo capire perchè si tratta di soluzione para-legalitaria- e mi limito a usare l'evidenziatore: 
Il Sole 24 Ore, 28 marzo 2018
I poteri di «veto» del Quirinale con l’art. 81 sul pareggio di bilancio
Non è con sorpresa che Sergio Mattarella ha letto le dichiarazioni del commissario Ue agli Affari economici in cui ricordava all’Italia l’alto livello del debito e quindi la raccomandazione a «politiche di bilancio responsabili». 
Forse chiamarlo “avvertimento” è sbagliato, può darsi che sia un gradino sotto, ma quello che è certo è che i destinatari di Pierre Moscovici erano la Lega e i 5 Stelle, cioè coloro che a oggi si candidano a governare il Paese con un programma che trascura – anche volutamente – l’aspetto del deficit. 
Lasciando da parte come la giornata di ieri abbia sempre più mostrato le difficoltà di un patto Di Maio-Salvini, è evidente che gli allarmi dell’Europa non sono un fulmine a ciel sereno per il capo dello Stato. 
Si può immaginare che ci siano stati contatti con i massimi livelli dell’Unione già subito dopo il voto, è probabile che ci sia già stato uno scambio di opinioni, forse anche di preoccupazioni
Non c’è una versione ufficiale del Colle e soprattutto non ci sono commenti visto che la situazione interna è ancora molto nebulosa, sta di fatto che la nostra Costituzione consente pure il silenzio.
Nel senso che i meccanismi di auto-tutela del sistema finanziario italiano, anche senza gli allarmi esteri, sono pienamente operativi ed efficaci. 
Si parla dell’articolo 81, quello che nel 2012 fu oggetto di riforma per inserire nella Carta il pareggio di bilancio. Per intenderci quella revisione che fu fatta in pochi mesi, approvata da una larga maggioranza qualificata durante il Governo Monti proprio per tranquillizzare i mercati che avevano acceso la spia rossa della speculazione sul nostro Paese. 
Bene, il primo strumento nelle mani del capo dello Stato a tutela dei conti italiani è proprio l’articolo 81 che gli consente di dare lo “stop” se si fanno provvedimenti in aperta contraddizione con il dettato della norma. Si configurerebbero proprio come violazioni della Costituzione e con questa motivazione Sergio Mattarella negherebbe la firma delle leggi e le rinvierebbe alle Camere.
Va anche chiarito che fin qui non si è mai attivato questo meccanismo perché lo stesso articolo prevede delle deroghe che fino ad ora il Governo ha sempre trattato con Bruxelles. Si tratta di quelle clausole concordate con l’Europa che hanno fatto “incassare” all’Italia una flessibilità di circa 30 miliardi in tutto il periodo del Governo Renzi. 
Ma è lo stesso articolo 81 che prevede sia possibile il ricorso all’indebitamento ma «solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico» e «al verificarsi di eventi eccezionali», che possono consistere in gravi recessioni economiche, crisi finanziarie e gravi calamità naturali. 
Tutte circostanze in cui si è aperto un tavolo con i commissari europei, talvolta più complesso, ma che ha mantenuto l’Italia dentro i binari europei. Proprio i “patti” con l’Unione hanno consentito di restare nell’alveo della Costituzione e nello scudo dell’Ue mentre ipotizzare una legge di bilancio che rompa il muro del 3%, metterebbe automaticamente il Governo fuori dalla Costituzione e dalle regole europee
Prima di tirare in ballo i mercati, un tale Esecutivo verrebbe messo in mora dal capo dello Stato.

5.2. L'autrice dell'articolo dovrebbe però rammentare che se, successivamente al rinvio presidenziale, il governo ottenesse dal parlamento una nuova approvazione della legge "censurata" dal PdR, a quest'ultimo rimarrebbe un'unica scelta tra due soluzioni: 
a) promulgare la legge rinviata ma riapprovata (art.74 Cost.); ovvero
b) con un'iniziativa che non s'è mai prima verificata (neppure di fronte alle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati o di recepimento di altre fonti €uropee, che pure risultavano manifestamente sospette di violare i diritti fondamentali della Costituzione "lavorista") sollevare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato davanti alla Corte costituzionale (art.134 Cost.).

In questo caso la stessa Corte si troverebbe, a sua volta, di fronte ad un'alternativa - riguardo ad un redde rationem sulla comprensione dei trattati - che, in precedenti analisi economico-istituzionali, abbiamo posto in questi termini ineluttabili: RESA TOTALE...O LA FINZIONE NON PUO' PIU' CONTINUARE?

martedì 27 marzo 2018

DENAZIONALIZZAZIONE COSMOPOLITA E DERIVE GUERRAFONDAIE...PRIVATIZZATE




Muovendo da un passaggio tratto dal penultimo post, Francesco Maimone ci offre un collage di interventi di Lelio Basso che, proprio nella situazione istituzionale odierna - mondializzata e de-sovranizzata, e quindi "nuova" ma piuttosto vecchia-, risultano persino più attuali e precisi di quanto non lo fossero negli anni in cui furono formulati, dimostrando una nitida capacità anticipatrice: 
In ogni caso, coloro che hanno inteso svolgere, a livello politico e all’interno delle varie nazioni coinvolte, il ruolo privilegiato di controllori e guardiani del sistema mondialista, dovranno cedere il campo a una nuova generazione di mandatari della timocrazia globalista dei mercati”.
Credo innanzi tutto che la Sassen abbia letto Basso:
gli Stati Uniti tend[ono] ad evitare le spese e i rischi del dominio politico diretto e della conseguente occupazione militare, cioè il dominio coloniale classico, che considerano una forma antiquata. Essi preferiscono sempre servirsi, nei paesi su cui estendono il loro dominio politico-economico, DI UN POTERE LOCALE, cui concedono il loro appoggio e CHE FANNO PARTECIPARE IN PIÙ O MENO PICCOLA PARTE AI PROFITTI DEL LORO SFRUTTAMENTO, e a cui affidano il compito di governare i singoli paesi nell’interesse del capitale americano.
QUESTO POTERE LOCALE può essere rappresentato da gruppi o ceti diversi, a seconda dei paesi, ceti capitalistici…; ma gli Stati Uniti preferiscono in generale aiutare la formazione di UNA BORGHESIA CAPITALISTICA DI TIPO COSMOPOLITA, più legata cioè agli interessi della finanza internazionale che allo sviluppo economico e politico del proprio paese.
È un’opera di DENAZIONALIZZAZIONE che l’imperialismo tende a compiere per questa via, che si accompagna ad un’azione mirante a distruggere le tradizioni locali e a sostituirle con il gusto standardizzato americano (Reader’s Digest, Hollywood, gomma, Coca Cola, ecc.). 
Questo metodo di governo indiretto offre numerosi vantaggi: non solo, come si è detto, implica minori spese e minori rischi, non solo non richiede una vasta burocrazia specializzata, come una burocrazia coloniale inglese che fa difetto agli Stati Uniti, non solo non urta contro le tradizioni del popolo americano, ma offre la possibilità anche agli ideologi dei paesi dominati, che giudicano sulla base delle idee che essi si fanno della realtà superficiale, anziché sulla base della realtà profonda, di considerare salvaguardati gli “immortali principi”, e di credere al trionfo della democrazia e della libertà.
Nei paesi ove il capitalismo ha dietro di sé una lunga storia, dove ha raggiunto un alto grado di sviluppo compiendo intiera la propria rivoluzione in modo da distruggere i residui precapitalistici … QUESTA CLASSE DIRIGENTE DI PLUTOCRAZIA COSMOPOLITA è già formata e dirige già il proprio paese, avendo al proprio servizio, come fattore di coesione e di stabilità dell’ordine sociale, un ceto medio completamente maturo per questa sua funzione.
Quale complemento necessario di questa opera di snazionalizzazione e di assoggettamento, si svolge…quella della spersonalizzazione… cioè la sostituzione di un unico gusto e di un unico contenuto standardizzato di produzione americana ai contenuti tradizionali e alle infinite varietà personali.
Soccorre in questa direzione il processo che si può chiamare di “massificazione” , per cui gli uomini vengono aggregandosi in grandi masse e dalla loro partecipazione alla vita di massa viene progressivamente schiacciata ogni tendenza all’autonomia personale e sviluppate invece le tendenze gregarie.
Io ho cercato di dimostrare altrove come nella società socialista il problema dei rapporti fra il singolo e la collettività sia risolto nel senso di favorire lo sviluppo della personalità di ciascuno e di dare a ciascuno il suo posto di responsabilità nell’armonia di una vita collettiva che si sviluppa dalla volontà e dallo sforzo solidali di tutti, laddove nelle società capitalistiche l’ingigantirsi della potenza dei monopoli, di una potenza cioè che discende dall’alto, dà allo sviluppo del processo produttivo il carattere di un progressivo annullamento di ogni valore personale: l’uomo crede di conservare anche nella vita di massa (agglomerati urbani, grandi imprese economiche…divertimenti standardizzati, colonie infantili, cinematografi, radio, grande stampa, ecc.)… una sua sfera di autonomia individuale, ma in realtà il contenuto di questa sfera è imposto dall’esterno e ridotto a un valore insignificante.
Un abile sfruttamento che di questa tendenza è fatto dai regimi totalitari, una violentazione psicologica delle masse sapientemente diretta dall’alto, tende a diminuire sempre più la capacità critica dell’uomo, la sua facoltà di resistenza alla propaganda, la sua attitudine alla elaborazione e formulazione di idee: si inculca all’uomo la paura di ogni opinione personale, il timore della responsabilità, la tendenza a ricevere passivamente le idee espresse da una forza organizzata, cioè idee della propaganda ufficiale…
...un compito principalissimo in questo campo, di natura preventiva, è affidato alle istituzioni che hanno per scopo anche non dichiarato o che comunque contribuiscono alla formazione delle coscienze: la scuola, la stampa, il cinematografo e, più importante fra tutte, la Chiesa cattolica, la quale...risponde allo scopo di violare l’intimità delle coscienze, di distruggervi in radice ogni conato di autonomia di pensiero, di instillarvi il principio della rassegnazione e dell’ubbidienza, e ha inoltre… l’inestimabile vantaggio di un’organizzazione mondiale accentrata e disciplinata ad un unico supremo potere, e quindi meglio rispondente alle esigenze mondiali dell’imperialismo.  
Si tratta cioè di utilizzare tutti i mezzi che servono non solo ad ostacolare ogni sforzo che salga dal basso, ogni sforzo cioè di autoemancipazione delle masse, ma addirittura che mirano a distruggere lo spirito critico dell’uomo, rendendolo così facile preda della propaganda ed incapace di ogni reale autonomia: METODO DI ASSERVIMENTO PREVENTIVO, assai meno costoso e di maggior rendimento che non i metodi repressivi della violenza poliziesca [L. BASSO, La lotta di classe oggi nel mondo VII, Conclusioni, Quarto Stato, maggio 1950, n. 5, 8-26].

Quindi… Elemento caratteristico della presente situazione mi sembra essere il passaggio dai capitalismi nazionali all’internazionalizzazione del capitale: ovunque le grandi società multinazionali tengono il campo, ognuna di esse più potente e più ricca della maggior parte degli Stati indipendenti, ognuna decisa a ricorrere a qualunque mezzo pur di conquistare o di mantenere sul mercato mondiale il dominio di determinati settori, i rifornimenti di materie prime, gli sbocchi ai propri prodotti, la penetrazione della propria rete di interessi….ciò comporta che I CENTRI DI DECISIONE DA CUI DIPENDE LA NOSTRA VITA QUOTIDIANA SI SPOSTANO SEMPRE PIÙ LONTANO, fuori addirittura dai confini del Paese in cui viviamo, senza alcuna possibilità di interferire in queste decisioni che ci riguardano da vicino…
A questo potere oscuro, lontano, misterioso, kafkiano nel senso più pieno della parola, l’uomo contemporaneo reagisce o con la contestazione dell’autorità fino alla rabbiosa rivolta, o con la fuga e il rifiuto di questa società, o infine con l’accettazione conformistica della legge, con la rinuncia a ogni responsabilità, con il rifugio nell’egoismo più piatto, nel consumismo e nella ricerca a qualunque costo del successo e del BENESSERE INDIVIDUALE. Ma ognuna di queste reazioni distrugge non solo il tessuto connettivo della società, il senso dei valori comunitari e della partecipazione cosciente e responsabile alla vita sociale, ma distrugge anche le ragioni più profonde della vita di ognuno, le radici stesse della personalità…

IL FASCISMO È LA MINACCIA MORTALE PER OGNI POPOLO CHE NON ABBIA IL SENSO DELLA RESPONSABILITÀ STORICA che gli incombe, perché è la forma più semplice di riduzione in schiavitù che la nuova società comporta.
Naturalmente non si tratterà più del fascismo nelle vecchie forme, ma di forme autoritarie più consone al mondo di oggi; che POSSONO ESSERE DITTATURE MILITARI (come nell’America latina e in molti altri Paesi del mondo, anche nel nostro bacino mediterraneo), oppure possono nascondersi dietro UN REGIME FORMALMENTE PARLAMENTARE in cui tuttavia l’uomo di oggi non può più trovare adeguata soddisfazione alle proprie esigenze di partecipazione…” [L. BASSO, Le radici del malessere, Il Giorno, 13 giugno 1974].

In questo svuotamento totale di ogni contenuto socialista e di ogni valore autonomo, risiede appunto quel che noi denunciamo come il CARATTERE SUBALTERNO DELLA SOCIALDEMOCRAZIA verso il capitalismo moderno, carattere subalterno che fa si che il movimento operaio occidentale non rappresenti più un’alternativa alla vecchia società, MA AL CONTRARIO UN TENTATIVO DI PERPETUARLA CORREGGENDOLA NEL PARTICOLARI. È così che a poco a poco in questo dopoguerra si è venuta vanificando la prospettiva di una sinistra che oggi si può dire praticamente scomparsa ma alla cui rinascita noi crediamo e vogliamo tenacemente lavorare.  
Perché certo non si può parlare di “sinistra” a proposito di quelle prospettive mezzo neoliberali e mezzo socialdemocratiche di cui si parla di quando in quando e a cui può anche arridere qualche successo ma solo come appendice di un rafforzato dominio del grande capitale sull’Europa occidentale…” [L. BASSO, Meta del socialismo è solo il benessere? Problemi del socialismo, giugno 1960, n. 6, 548-552].

domenica 25 marzo 2018

LA TELA DEL RAGNO


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Brevemente.
La situazione è quella di un ragno che ha teso la sua tela...e aspetta.
Questa tela è stata intessuta, amplificata e perfezionata.
Quindi, mentre le forze politiche, nella composizione emersa dalle elezioni, sono impegnate a trattare fra di loro nella ricerca di un difficile accordo di governo, il ragno attende che qualcuno si avventuri nella direzione sbagliata. 
Proprio là dove è stata preventivamente posta la sua tela. Il ragno poi colpirà pazientemente col suo veleno...
Non è detto che debba andare così: ma occorre essere previdenti e vigili (non è che ci voglia molta immaginazione, ma quando la strada è stretta, finire nella tela è più probabile di quanto non appaia...)

venerdì 23 marzo 2018

L'AFFARE FACEBOOK-CAMBRIDGE ANALYTICA: IL FALLIMENTO (TEMPORANEO) DEL SONDAGGISMO "A LA LE BON"

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(Aveva intuito anche questo...anche se non poteva sospettare dove nel futuro si sarebbero svolte miliardi di conversazioni)


1. La storia di Facebook, Cambridge Analytica, dati sensibili, e voto manipolato si può riassumere così:
a) si decide di fare la "rivoluzione liberale" e, quindi, di usare le "forze materiali sterminate" a disposizione dell'oligarchia capitalistica, a base anglosassone, per rendere la comunicazione pubblicitaria ed il suo linguaggio pop - che aveva evoluto il sistema di mercato verso il consumismo di massa-, un metodo permanente di condizionamento cultural-accademico-mediatico
Tale metodo era stato ritenuto il più congeniale al fine di rendere accettabile la restaurazione dell'assetto economico-sociale, e quindi istituzionale, del capitalismo anteriore alla crisi del '29
Si trattava in sostanza di una grandiosa operazione di riconversione cosmetica della psicologia di massa, mirata a rendere accettabile l'impoverimento e la perdita di rilevanza nei processi politico-istituzionali, che sarebbe stata altrimenti percepita come perdita della democrazia (pluriclasse);

b) il successo di questa operazione aveva instaurato una proiezione identificativa di massa degli oppressi (classi economicamente subordinate) negli interessi degli oppressori ("i mercati", ovvero una timocrazia sempre più ristretta che guida "meritocraticamente" l'intero processo in senso autoconservativo delle proprie rendite), estendendo la capacità persuasiva degli slogan tecnocratici-pop a una riconversione in senso individualista "metodologico" di ogni propensione cognitiva e volitiva degli "individui" (cittadini-elettori); cioè creando una pervasiva "ideologia" unica (nel senso di totalitaria) antisolidale, narcisistica e competitiva assurta a filosofia esistenziale diffusa della masse "riconvertite";
c)  la "rivoluzione digitale" e il sistema della rete Internet hanno creato, poi, - su un terreno già reso fertile dal medium televisivo e dal suo codice pop già evolutosi in senso esasperato-, un'accelerazione del condizionamento culturale e mediatico che ha fatto però emergere due criticità, cioè dei costi imprevisti (ma in larga parte previbili) di una strategia politica altrimenti di straordinario successo:
- c1: la creazione di un disagio sociale ed economico altrettanto di massa, non chiaramente attribuibile da parte degli individui de-solidarizzati, perché ormai cognitivamente incapaci di correggere l'inversione dei rapporti causa-effetto (insita negli slogan tecno-pop di cui erano stati nutriti). 
A fronte della crescente distruzione di benessere, e di speranze nel futuro, che il sistema restaurato doveva inevitabilmente, cioè programmaticamente, produrre esisteva un "livello di intolleranza", un punto di "crisi di rigetto", stimati erroneamente: questo disagio era stato messo in conto, ma ci si prefiggeva di neutralizzarne le conseguenze politiche, e l'autoritarismo (tecno-pop) che avrebbe progressivamente instaurato, attraverso la mera intensificazione del sistema di condizionamento;
- c2: un sottoprodotto psicologico-culturale anch'esso di massa e altrettanto inatteso a mal calcolato: la sindrome Dunning-Kruger, cioè la convinzione degli individui cognitivamente condizionati in modo così profondo e prolungato, di essere abilitati ad avere "competenze", convinzioni e rivendicazioni razionalmente corrette e, addirittura, "scientificamente" fondate, precludendosi ogni ascolto e ogni dialettica con qualunque nozione, strumento cognitivo, approfondimento critico, che non fosse pre-compreso nel quadro narcisistico-individualista che creava l'illusione di ciascuno di essere "speciale", senza più avvertire il conformismo seriale di questo atteggiamento totalitario indotto.

d) La conseguenza di questi due elementi "imprevisti" è stata la perdita di consenso all'interno di un sistema intrinsecamente contraddittorio che affermava spudoratamente la "doppia verità" di perseguire la "libertà" per tutti, restringendola progressivamente e molto concretamente, almeno nella sfera delle comunità sociali, in modo drastico. Vale a dire, fino a giungere al punto di prospettare un classismo neo-medievale da riesplicitare al momento opportuno. 

e) Tale perdita di consenso è divenuta un problema sempre più incontrollabile, all'interno di una "rivoluzione liberale" che, nella sua versione tecno-pop cosmetica, rifugge dal rischio insito nel c.d. "effetto pretoriani"; cioè nel doversi rivolgere a livello globale, e quindi istituzionalizzato in via generale, all'interno della predicata globalizzazione (free-trade), all'autoritarismo poliziesco, per via della minaccia instrinseca nella creazione di un apparato di repressione violenta che tende ad autolegittimarsi ad una crescente spartizione di potere con i timocrati.

f) Nel tentativo di correggere questo crescente problema, i "controllori" hanno deciso di tentare di perfezionare il controllo mediatico-culturale, estendendolo al di là dei suoi tradizionali strumenti, - il sondaggio permanente a temi pre-costituiti e a soluzioni preventivamente indirizzate -, inseguendo le opinioni e le tendenze proliferate da questa massa individualista, ma affetta serialmente dalla sindrome Dunning-Kruger. 
Da qui, l'esigenza crescente di classificare, creare profili, rendere prevedibile, la direzione del neo-pensiero di massa, in modo da poter fornire preventivamente i nuovi slogan che potessero opportunamente stabilizzare, pur a fronte del superamento del "livello di intolleranza", il consenso.

g) Questa e null'altro, l'evoluzione che ha portato alla "crisi Facebook" e alla scontata utilizzazione delle propensioni dei consumatori di "politica-tecno-pop" nello stesso modo in cui vengono sì utilizzate le informazioni disponibili per il mercato dei beni di consumo di massa, ma essendo costretti ad adattarlo alla enorme accelerazione che il medium Internet ha dato allo scontento, all'insoddisfazione verso il vecchio sistema mediatico. Tutto questo prendendo atto (ma, come vedremo, in modo arrogante e sottostimato) del fatto che, il disagio oggettivo creato dall'impoverimento programmato dalla restaurazione, si doveva innestare su individui che avevano modo di esprimersi direttamente "al pubblico" e di esercitare, indidualisticamente e narcisisticamente, la propria comunicazione in modalità Dunning-Kruger; e quindi, in qualche modo, assurta a veicolo di (illusoria) neo-rilevanza politica
Una forma di mercato che ricalca, nel campo del messaggio politico, quello della distribuzione on-line, che manda progressivamente in crisi i sistemi non telematici e territoriali di distribuzione e vendita in precedenza utilizzati.

2. Quindi, la reazione attuale alle presunte distorsioni del voto (come se questo non fosse già quella gramsciana "numerazione", preorientata in forma strettamente idraulica che è la caratteristica essenziale nelle pseudo-democrazie "liberali") è solo il violento contrattacco di coloro che avevano predisposto e guidato il sistema e che pensavano di aver acquisito il privilegio strutturale ad essere titolari dei centri istituzionali di potere che ne garantivano la prosecuzione e la crescente istituzionalizzazione.
Insomma, si tenta una manovra di "diversione", del tutto contraddittoria, perché imperniata sulla pretestuosa violazione di una privacy che risulta tranquillamente violata in altre circostanze - come tutti ben sanno quando ricevono diluvi di mail-spam e le pubblicità personalizzate mentre navigano-, nonché sulla irrealistica denuncia di una presunta distorsione del consenso elettorale in base a messaggi manipolatori; i quali, però, non possono che essere stati, inevitabilmente, nei loro contenuti, una diretta conseguenza della manipolazione pluridecennale già in atto, così come attuata dalla pianificazione dei "centri di irradiazione" della "rivoluzione liberale".

3. In sostanza, denunciando come illegittima manipolazione l'estensione di una metodologia generale, - il sondaggismo permanente di derivazione pubblicitaria-, utilizzata (mutatis mutandis) in tutti i media tradizionali,  si evidenzia solo la propria incapacità di altrettanta efficacia nell'utilizzare il nuovo medium. Cioè si accusa il colpo e si confessa il proprio fallimento; senza però mostrare di averne compreso le cause.
Ed infatti, il problema non risiede nelle caratteristiche del medium - il web, i social -, ma negli effetti andati fuori controllo del processo totalitario tecno-pop: la strumentale diffusione di massa della sindrome Dunning-Kruger, - risultata finora molto utile, quando filtrata dai format televisivi-, e, comunque, il superamento del "limite di tolleranza" in termini di distruzione del benessere e delle aspettative della middle class. 
Certo, la orizzontalità comunicativa dei social, il loro costituire anche uno "sfogatoio" di decompressione psicologica collettiva, ha impedito il prevalere (dato incautamente come scontato) della profusione verticale della espertologia orwelliana, propria dei media più tradizionale e "passivi". 
Ma, ed è qui una delle più evidenti contraddizioni, sul piano dell'accelerazione del condizionamento commerciale l'orizzontalità, la falsa autonomia di giudizio, era finora risultata più che bene accetta. 

4. Probabilmente, si pensava che l'espertologia ufficiale, e l'autonarrazione eroica delle ONG, avrebbero governato senza scossoni il conformismo tecno-pop delle masse e perpetuato la proiezione identificativa.
Ma hanno sottovalutato, e continuano a sottovalutare, il fatto che slogan come casta-cricca-corruzione, l'uso distraente esasperato dei fatti di cronaca nera, il livore anti-Stato-spesa-pubblica-debito-pubblico-brutto, e le relative "classifiche" colpevolizzatrici, non erano antropologicamente idonei a pervadere le masse di un'incondizionata accettazione, politically correct, della globalizzazione.
Il fatto è che questi slogan, - che utilizzano un linguaggio violento e autoritario, sempre più istituzionalizzato, ed un tono moralistico severamente punitivo e colpevolizzatore-, si sono aggiunti al disprezzo ostentato per i "perdenti" della stessa globalizzazione unito alla "materialità" del superamento del limite di tolleranza nella decrescita infelice: questa insistenza maniacale e prolungata nel propinare "ulteriori dosi dello stesso veleno" (v p.1.7. sub d) - escogitazione di Le Bon, ben prima di Goebbels-, nel contesto creato con arrogante sicumera, non è stata esattamente una strategia lungimirante.
5. Dunque, qualunque sia la reazione che verrà adottata, possiamo già constatare (vedendo l'atteggiamento arroccato di talk-show e giornaloni) che questa non terrà conto degli errori di calcolo, intrinseci nel sistema restaurato: gli errori semplicemente non possono essere ammessi
Questi errori, infatti, sono strutturalmente ripetitivi di quanto già evidenziato dalla Storia del capitalismo "liberale", e quindi, una reazione conservativa, cioè fondata sugli stessi presupposti dell'azione svolta e sull'idea della loro irrinunciabilità e incontestabilità, non risolverà nulla.
O provocherà nuove forme di scontento, traslato in altre modalità di espressione (altrettanto impreviste...ma prevedibili) o condurrà i controllori a correre il rischio dell'effetto pretoriani

6. In ogni caso, coloro che hanno inteso svolgere, a livello politico e all'interno delle varie nazioni coinvolte, il ruolo privilegiato di controllori e guardiani del sistema mondialista, dovranno cedere il campo a una nuova generazione di mandatari della timocrazia globalista dei mercati: oppure, direttamente ai pretoriani...
O, infine, (forse, più verosimilmente) ai creatori di una nuova cosmesi, ricalibrata su un nuovo cumulo di slogan tecno-pop; che assecondino opportunamente la sindrome Dunning-Kruger di massa, divenuta il segno di una ribellione inconcludente - se non autolesionistica -, ma ormai divenuta incontrollabile attaverso la reiterazione ossessiva dei vecchi slogan.

Intanto, chiunque sia il mandatario di turno, ESSI, hanno già la soluzione (mondialista) di riserva...

martedì 20 marzo 2018

LA DOPPIA TRAPPOLA DELLA CLAUSOLA €XIT SECONDO IL "RITO TEDESCO".


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1. Voci dalla Germania ha (meritoriamente) pubblicato la traduzione di un articolo di Die Welt che ha suscitato un certo scalpore: il suo titolo allude a un "piano di emergenza per l'uscita dall'euro", ma più precisamente si tratta dell'enumerazione delle perplessità e angosce tedesche sulla sostenibilità futura dell'eurozona, raccolte ed elaborate "da alcuni economisti molto noti" (tra cui l'immancabile Sinn, immancabilmente arrabbiato per via dei saldi attivi tedeschi Target-2), convenuti a Berlino su invito "arrivato dal'università privata ESMT e dal Max-Planck-Institut per il diritto fiscale e la scienza delle finanze".
La declinazione dei problemi posti in salsa tedesco-nord-europea (altrettanto immancabilmente si menziona la virtuosa cointeressata Olanda),  viene poi ripresa da un'intervista di Federico Fubini sul Corsera al presidente dell'IFO, (noto istituto di ricerca vicino al governo tedesco), che, avendo partecipato alla discussione in quella sede, ripercuote i temi principali elaborati nella conferenza di Berlino.

2. Questa intervista ha dato luogo a uno scambio su twitter con l'amico Stefano Fassina:




Poiché l'intervista in questione ripecuote piuttosto fedelmente l'approccio seguito dal convegno in questione, sia pure con una serie di specifiche applicazioni a (o meglio "avvertimenti per") l'attuale situazione politica italiana, ci pare più esaustivo, e utile alla comprensione, estrarre le più importanti ed essenziali soluzioni suggerite e riportate nell'articolo, con un commento esplicativo (in termini di attuale e riformando contenuto dei trattati).

2. Parrebbe, - ma vedremo come si tratti di una motivazione pretestuosa o, almeno, iperbolizzata con un arbitrio che tende alla consueta esclusiva tutela dei propri interessi nazionali -, che l'agitazione tedesca sia motivata dal risultato delle elezioni italiane:
"E' possibile che la  situazione nell'unione monetaria si sia stabilizzata grazie alla ripresa economica congiunta, ma i saldi Target in continua crescita evidenziano le fratture economiche all'interno della zona euro. E le elezioni italiane hanno mostrato che il pericolo di una dissoluzione dell'euro è tutt'altro che scomparso. In Italia il capo della Lega Italiana, il partito populista di destra - uno dei vincitori delle elezioni - ha  dichiarato che solo la morte è irreversibile, una moneta certamente non lo è".

La più importante conclusione che si trae da questa premessa è:
"La probabilità che l'euro finisca non è pari a zero. Come economisti dobbiamo prenderla in considerazione", ha detto Kai Konrad, esperto di finanza presso il Planck-Institut. Ad assecondarlo c'era il presidente del Consiglio dei Saggi Economici (Sachverständigenrat), Christoph Schmidt: "bisogna essere preparati anche ad eventi alquanto improbabili". E' necessario discutere una clausola di uscita".

3. Il proposito non è affatto innocente o, addirittura, ragionevole e cooperativo come si può credere a prima vista leggendo questo schema degli esiti considerati: 
"Secondo gli economisti presenti ci sarebbero tre scenari di uscita ipotizzabili: l'uscita di un paese senza il consenso degli altri, l'uscita con il consenso degli altri, oppure l'esclusione di un paese contro la volontà del paese uscente. Per tutti questi scenari non esiste un quadro giuridico chiaro, afferma Clemens Fuest, presidente dell'Ifo".
Ed infatti, nessuna di queste tre opzioni tiene conto della realtà attuale della disciplina ricavabile univocamente dai trattati (fermo restando che un'uscita concordata è certamente auspicabile, purché rispettosa della libertà negoziale degli Stati interessati): il consenso "degli altri" all'entrata nell'eurozona, nelle attuali previsioni del TFUE, è in realtà preventivamente prestato in forma di "concessione" di uno status da parte di tutti i precedenti appartenenti ma, al tempo stesso, - essendo tale concessione configurata come accoglimento della "istanza" avanzata dal paese di volta in volta interessato-, presuppone, in tutte le previsioni oggettivamente ritrovabili nei trattati, una costante (e rinnovata) volontà adesiva di tale paese, a cui si accompagna il rigoroso "vaglio" preventivo, e successivo (e in tale fase secondo le regole del fiscal compact, che però paiono finora applicarsi, dati fiscali comparati dei vari paesi aderenti alla mano, solo all'Italia) da parte degli altri Stati attraverso la vigilanza della Commissione.

4. In termini giuridico-operativi, trattandosi di un atto ampliativo, cioè di un "beneficio" che gli Stati-membri accordano al richiedente, l'ammissione all'eurozona è già oggi regolata dal costante mantenimento, "costitutivo", della volontà dello Stato richiedente, il cui venir meno, in qualsiasi momento, ha l'effetto naturale (secondo i principi elementari del diritto comune alle nazioni civili, automaticamente valevole nel superiore diritto internazionale consuetudinario ad integrazione di qualsiasi previsione pattizia)  di valere come rinuncia all'atto ampliativo (sarebbe contrario allo ius cogens, e quindi fonte di una pattuizione nulla per violazione di norme imperative di diritto internazionale, la previsione di un vincolo perenne e della irrinunciabilità di un "beneficio").
Per l'approfondimento normativo di tali aspetti si veda quanto esposto in questo post (ripreso ed ampliato ne "La Costituzione nella palude", dove si evidenzia come l'interpretazione suggerita sia condivisa con l'autorevole e parallela analisi dei trattati attuali svolta dal prof.Guarino).

5. Ed infatti, gli "economisti" convenuti a Berlino, - mostrando una certa astuzia negoziale che rinvia alla consapevolezza degli aspetti ora considerati-, con insinuante tendenza al "fatto compiuto", implicano un'interpretazione opposta dei trattati e che porta a riaffermare una inscindibilità attuale dell'uscita dall'euro dall'uscita dall'unione.
E ciò in base ad una forzata lettura "estensiva" dell'art.50, che riafferma necessariamente l'attuale irrealizzabilità dell'€xit: dovendosi seguire la relativa procedura, l'art.50 paralizza, per ovvie considerazioni legate al ruolo e alle posizioni strutturali della BCE, qualsiasi possibilità di uscita dall'euro. E il "caso Grecia" (e prima ancora di Cipro), stanno lì a dimostrarlo senza che occorrano particolari dimostrazioni. 
Non è perciò innocente e tantomeno cooperativo, tutt'altro, che a Berlino si sostenga che:
"Sebbene l'eurozona con l'articolo 50 del trattato UE abbia previsto una clausola di uscita, l'abbandono della moneta unica nei trattati resta legato indissolubilmente anche all'uscita dall'UE. Non è desiderabile, dice Fuest: "al momento l'uscita di un paese non è all'ordine del giorno, proprio per questa ragione sarebbe il momento buono per discutere una clausola di uscita dall'euro". 

6. Altrettanto falsamente innocente, ma in realtà pesantemente implicativa, è l'affermazione per cui:
"L'adesione all'euro è accompagnata dal fatto che il paese deve accettare le regole della zona euro", dice Fuest, riferendosi soprattutto all'Italia. Li' il capo della Lega Salvini ha chiesto che l'Italia ignori gli accordi di politica fiscale che l'Italia stessa ha sottoscritto. "Questo è incompatibile con l'appartenenza all'area dell'euro", dice Fuest."
Basti rammentare con riguardo alla mancata osservanza delle regole della zona euro, - prima con la famosa svalutazione interna "Hartz", accompagnata da ulteriori misure non cooperative "equivalenti" a un'indebita restrizione delle importazioni (e relativa forzatura reiterata del limite del 3% al deficit), e poi con il surplus record "insanzionabile" (qui, p.5)-,  la Germania non è certo "ligia" e rispettosa delle regole più importanti che dovrebbero garantire (molto in teoria, ormai) la sostenibilità dell'eurozona (si veda, qui, p.3).

7. Ma anche superando il considerevole aspetto della violazione prolungata e ostentata di tali regole da parte della Germania, rimane il fatto che queste stesse regole, almeno per quanto riguarda il fiscal compact e le sue specificazioni applicative, sono altamente opinabili nella loro attendibilità scientifico-economica, e concretamente oggetto di fondate obiezioni che rendono tutt'altro che ragionevole il richiamo tedesco alla loro osservanza, nella parte che fa...comodo a loro (e vedremo come ciò non venga neppure nascosto): ci riferiamo in particolare all'essenziale questione dei criteri di calcolo dell'output-gap che, come d'altra parte l'intero fiscal compact, non trova una diretta e legittima giustificazione normativa persino nelle già "mercantiliste" previsioni dei trattati (qui, pp.15-18).

Ora, l'affermazione degli "esperti" di Berlino si risolve oggettivamente in una negatoria preventiva di qualsiasi concessione su questi aspetti cruciali e in una riaffermazione della totale preclusione tedesca a ridiscutere i termini applicativi del fiscal compact, affibbiando l'anatema unilaterale di inadempiente proprio all'Italia (che alle regole fiscali inadempie meno di tutti, peraltro); e proprio in quanto, potenzialmente, prima o poi, faccia valere le sue ragionevoli prerogative, di fronte a un quadro pattizio che si presenta altamente asimmetrico e distorsivo, in proprio danno, e comunque fallimentare per la crescita, l'occupazione e gli investimenti in tutta l'eurozona!

8. La "coscienza sporca" dei tedeschi (e alleati vari), si dimostra proprio nelle seguenti affermazioni giustificative date alla necessità di una clausola espressa di recesso dall'euro:
"Le clausole di uscita potrebbero servire come protezione contro la redistribuzione delle risorse a spese dei singoli stati. Paesi piu' ricchi come la Germania o l'Olanda, grazie ad una clausola di uscita, potrebbero difendersi dalla trasformazione dell'eurozona in una unione di trasferimento. Una clausola di uscita potrebbe aiutare anche i paesi piu' deboli, come l'Italia, che con una loro moneta nazionale, potrebbero tornare nuovamente competitivi."
Questa "vera" giustificazione della esigenza della clausola €xit, è una sostanziale ammissione di inadempienza allo "spirito fondamentale" dei trattati: se non altro perché che l'area valutaria europea dovesse completarsi, inevitabilmente, in una "unione di trasferimenti" era previsto esplicitamente, come obbligo di buona fede degli Stati partecipanti, fin dal rapporto Werner (secondo una linea normativa che non dovrebbe mai aver cessato di essere, implicitamente ma necessariamente, vincolante per gli Stati-membri...).

9. La sostanziale confessione della propria volontà, non cooperativa, di inadempiere ai presupposti giuridico-casuali (cioè negozialmente enunciati nei trattati: cooperazione e crescita comuni) di implicita, ma necessaria, evoluzione normativa dell'eurozona, è confermata da questo ulteriore ragionamento degli "economisti" di Berlino:  
"Quanto siano grandi le differenze lo ha illustrato chiaramente Sinn. Affinché i paesi piu' deboli possano raggiungere la Germania in termini di prezzi, la Germania dovrebbe avere un'inflazione del 4.5% piu' alta rispetto a quella degli altri paesi della zona euro per i prossimi 10 anni.
 
 
10. Il problema lo avevamo (più di recente) affrontato nel post appunto intitolato "Germania anno zero: zero reflazione e zero revisione dei trattati. Open your eyes!

Ed infatti, dopo essere partiti dalla colpevolizzazione preventiva di eventuali pretese italiane che potessero mettere in discussione il rispetto sostanziale dei trattati da parte dei tedeschi, consci di una posizione razionalmente e giuridicamente difficile da difendere, i tedeschi applicano alla clausola di €xit una (non singolare) eterogenesi dei fini, oltreche pervenire all'enunciazione del vero obiettivo che si prefiggono:
"I vantaggi derivanti dall'avere regole di uscita chiare consisterebbero nel ridurre i costi macroeconomici legati all'uscita, compresa l'incertezza, rendendo i conflitti fra gli stati meno probabili", afferma Fuest. 
Potrebbe esserci maggiore incertezza sul futuro dell'eurozona. "Tutto questo spinge verso la creazione di ostacoli procedurali elevati che rendano difficile l'uscita, ma non per un'assenza di una procedura di uscita", dice Fuest.


Le clausole di uscita potrebbero servire come protezione contro la redistribuzione delle risorse a spese dei singoli stati. Paesi piu' ricchi come la Germania o l'Olanda, grazie ad una clausola di uscita, potrebbero difendersi dalla trasformazione dell'eurozona in una unione di trasferimento. Una clausola di uscita potrebbe aiutare anche i paesi piu' deboli, come l'Italia, che con una loro moneta nazionale, potrebbero tornare nuovamente competitivi".

11. In sostanza: se le cose arrivassero (in ipotesi: il pallino dovrebbe essere in mano a un governo italiano che agisca finalmente nell'interesse nazionale) a un punto in cui le violazioni tedesche (il gigantesco surplus non è facile da nascondere con giri di parole) fossero "eccepite" per evidenziare la loro vantaggiosa unilateralità di "fruizione" della moneta unica (come preannuncia anche l'atteggiamento che potrebbero a breve assumere gli USA), i tedeschi, o gli olandesi, si vogliono premunire con un c.d. commodus discessus e...salutare tutti. 
Non prima, però, di aver regolato il saldo Target-2 come se fosse un credito effettivo (e duplicativo) verso gli Stati in passivo dell'eurozona (cosa, come abbiamo visto, giuridicamente forzata).

11.1. A tal fine, - ed è questo l'altro "astuto" accorgimento che vorrebbero predisporre- la clausola di €xit secondo il rito tedesco, non solo dovrebbe immettere adeguati "ostacoli procedurali", in modo da imporre tempi che lascerebbero gli Stati "uscenti" in balia dei poteri della BCE e dell'allarme sfrenato dei "mercati", ma sancirebbe il rinvio "ricattatorio" della stessa introduzione di tale clausola di "appesantimento" dell'€xit, fino alla più ampia riforma dei trattati; cioè contestualmente alla sua introduzione si imporrebbero regimi di condizionalità ulteriormente intrusiva sulla già residuale sovranità fiscale degli Stati dell'eurozona, tale da portarli ad un sostanziale collasso economico-industriale e, prima ancora, bancario (qui, p.5).
Questo punto, cioè concessione di una clausola di €xit giugulatoria, e peraltro semmai favorevole solo ai paesi "creditori" Target-2, solo a condizione che si collochi nella riforma dei trattati che inasprisce il regime di contribuzione fiscale e di condizionalità a carico degli Stati "debitori", è esplicitamente enunciato dai "convegnisti di Berlino:
"...dice Fuest: "al momento l'uscita di un paese non è all'ordine del giorno, proprio per questa ragione sarebbe il momento buono per discutere una clausola di uscita dall'euro". Potrebbe essere incluso nei trattati nell'ambito dell'attuale processo di riforma..."
Più chiaro di così...o forse no.