Sapete quanto sia prezioso Dagospia nel fare il punto della situazione. Dal sito traggo questa notizia-indiscrezione sulla possibile composizione di un governo da parte dell'incaricato Bersani:
"Intanto il leader si prepara al meglio per arrivare giovedì da Napolitano con in tasca anche una squadra di governo snello, ma con nomi originali, pochi politici e molte donne. Ricorrono in queste ore sempre i nomi di Padoan, Barca, Zagrebelsky, Onida, De Rita, di Maria Chiara Carrozza e Michela Marzano, con qualche new entry, come l'ex Confindustria Giampaolo Galli. E ieri Bersani nel suo giro di confronto con le personalità della società civile, ha incontrato Roberto Saviano, garantendogli che se farà il governo «si faranno subito misure per la legalità»."
Ora tra tutti questi nomi, supponendo che corrispondano a una vox populi ac "giornalorum" che riflette il sentiment corrente, mi vorrei soffermare su alcuni.
Partiamo da Pier Carlo Padoan: al riguardo non c'è molto da aggiungere perchè al suo pensiero economico, quale espresso in dirette e plurime prese di posizione, abbiamo dedicato una serie di post esplicativi: si tratta di una posizione di neo-macroeconomia classica, orientata a un "doloroso deleveraging" tutto a carico del bilancio pubblico, visto che il problema è, per tale autore, sempre e comunque l'eccesso di Stato e di spesa pubblica. In particolare Osservatorio PUD€-1 e, poi culminando in Osservatorio PUD€-5, Osservatorio PUD€-2. Da quest'ultimo riportiamo il commento finale (che potrà tornarci utile nell'esame della posizione dei nominativi ulteriori):
"...si continua a ignorare che l'ammontare del debito pubblico (e quindi, a monte, dell'indebitamento annuale), non ha alcuna evidente e comprovata influenza negativa sulla crescita, come hanno dimostrato Panizza e Presbitero in uno studio recepito dallo stresso FMI.
Riassuntivamente: "gli studi empirici che "dimostrano" che debitopubblicobrutto è il principale se non unico responsabile dei nostri mali, di solito non tengono conto di un dato elementare: purtroppo non è solo la crescita a dipendere dal debito, ma anche, spesso e volentieri, il debito a dipendere dalla crescita. Ad esempio, se l'economia va in recessione il gettito fiscale cala e il debito quindi cresce più in fretta: la relazione negativa osservata (più debito=meno crescita) in questo caso dipenderebbe non dal fatto che il (troppo) debito danneggia la crescita, ma dal fatto che la (poca) crescita peggiora il debito".
Insomma, in situazione recessiva (sempre più) diffusa, e determinata da squilibri commerciali indotti dal cambio fisso non compensato da trasferimenti "centralizzati" UEM, non c'è modo di sostenere realisticamente che la soluzione risieda in "sound fiscal policies" orientate alla "fiscal consolidation", in particolare al taglio della spesa pubblica (oltre che a maggior pressione fiscale).
Ignorare Keynes può essere giustificato da un'intera vita di studi dediti alla sua demolizione (sulla base di riscontri empirici mai condotti fino in fondo e anzi smentiti dalla realtà): ignorare De Grauwe, Stiglitz, Panizza, e se vogliamo, persino Blanchard, porterà a ulteriore recessione e, nella migliore delle ipotesi, alla "strutturazione" della debole crescita all'interno di un'unione monetaria semplicemente insostenibile."
A questo punto affrontiamo, invece i nomi di Gustavo Zagrelbesky e Valerio Onida.
Si tratta probabilmente dei due più autorevoli, e certamente mediaticamente più noti, costituzionalisti italiani.
Il secondo ha anche un suo blog "Valerio Onida- Passione civile" da cui riportiamo, per estratto dei passaggi salienti, un post sulla crisi economica, tratto da un articolo anche pubblicato sul Sole24ore:
"...Da “cittadino incompetente”, vorrei provare a mettere in riga alcune semplici e magari semplicistiche riflessioni capaci di orientare il giudizio che, alla fine, anche gli elettori, non solo i “mercati”, dovranno dare sulle scelte compiute o non compiute.
Una cosa l’abbiamo capita bene: il debito pubblico che ristagna intorno al 120% del PIL è una palla al piede che il paese non può ulteriormente permettersi. Il problema è come ridurne l’entità. Ci dicono che la via maestra sarebbe l’aumento del PIL (la famosa “crescita”) con ritmi che, nel volgere degli anni, ridurrebbero l’incidenza relativa del debito, pur costante in termini assoluti, se si riesce nel frattempo ad evitare nuovo disavanzo annuale. Ma poi ci spiegano che molte delle misure che riducono la spesa pubblica o che aumentano il prelievo fiscale sono destinate ad avere effetti contrari alla crescita del PIL. Sembra un circolo vizioso.
Il coro invoca la riduzione dei “costi della politica”: e va bene, era ora. Non ha senso che i parlamentari paghino i pasti al prezzo di una mensa operaia (a spese delle Camere). Ma tutti sappiamo che se anche smettessimo da un giorno all’altro di pagare compensi a tutti i titolari di cariche elettive, o abolissimo queste ultime, avremmo ridotto di poco il problema finanziario (e, forse, avremmo ridotto anche il tasso di democrazia del paese: attenzione, prima di entusiasmarsi per i dimezzamenti delle “poltrone”, senza domandarsi quali dovrebbero essere i rapporti numerici congrui fra rappresentanti e rappresentati!).
Eliminare gli sprechi? E’ sacrosanto (in genere, però, sono visti come “sprechi” solo i soldi spesi per altri, non quelli spesi per interventi che finanziano le nostre imprese o le nostre famiglie). Ma poi, combattuti gli sprechi, siamo sicuri di volere (e che sia accettabile) uno Stato che riduca ancora la spesa per l’istruzione, per la salute, per l’assistenza sociale a chi ne ha bisogno, per la cultura?
L’incompetente allora si domanda: c’è un’altra strada per abbattere il debito pubblico o il suo onere eccessivo? Lo Stato potrebbe vendere beni (o assets, come oggi si dice), salvo poi trovarsi impoverito di strumenti e risorse per perseguire i suoi scopi (che non sono solo quello di mantenere l’ordine pubblico). In ogni caso non sembra una strada semplice né rapida (intanto, però, si cedono gratuitamente alle imprese televisive frequenze dell’etere, che sono un bene pubblico limitato). Oppure si potrebbe chiedere ai cittadini di contribuire una tantum ad abbattere il debito, secondo la logica per la quale “lo Stato siamo noi”, e quindi, se lo Stato ha un fabbisogno straordinario, noi dobbiamo concorrere a colmarlo.
Ci hanno spiegato a lungo che la forza dell’Italia, nella claudicante economia dei paesi sviluppati, era che noi abbiamo sì un grande debito pubblico, ma relativamente poco debito privato, e cioè i cittadini hanno un patrimonio netto (beni meno debiti) più cospicuo che altrove. Bene, allora perché non si chiede ai cittadini titolari di questo patrimonio di sacrificarne una piccola parte ciascuno, in progressiva proporzione all’entità del possesso individuale, per consentire allo Stato di ridurre significativamente il suo debito, vuoi attraverso un prelievo straordinario, vuoi attraverso un prestito, spontaneo o “forzoso”, da restituire a lungo termine e ad interesse inferiore a quello che i “mercati” pretenderebbero? O immediatamente, o in prospettiva, per effetto della riduzione degli interessi, l’onere del debito pubblico diminuirebbe.
Subito si leva il coro: altre tasse, per di più sul patrimonio? Vade retro! Lo Stato ha fatto il debito, lo Stato lo ripaghi. Com’è noto, quando una persona si indebita troppo rispetto alle sue possibilità economiche, o fallisce subito o finisce nelle mani degli strozzini, che gli prestano sì nuovo denaro, ma ad interessi sempre più alti (e alla fine fallisce lo stesso perché non è più in grado di rimborsare i debiti contratti). Nel nostro caso gli “strozzini” sono i “mercati”, che di fronte alle difficoltà dello Stato alzano la misura degli interessi richiesti per continuare a finanziarne il debito (il famoso spread). E dunque?
Non vorremmo che finisse come altre volte nella storia: il debito pubblico evapora come neve al sole perché, o con l’inflazione (se non dovessimo più avere la protezione dell’euro) o con la “ristrutturazione”, i titoli di Stato diventano carta straccia. Ci perderebbero gli “strozzini”, e poco male, visto che molti sono professionisti del rischio finanziario, ma ci perderebbero anche i cittadini normali che hanno investito tutti o parte dei loro modesti risparmi (pensando che lo Stato non è la Cirio né la Parmalat) in titoli di Stato: in quel debito pubblico che, come diceva lo Statuto albertino (la Costituzione repubblicana non lo ripete, ma in qualche modo lo presuppone) è - deve essere - “guarentito” (perchè “ogni impegno dello Stato verso i suoi creditori è inviolabile”).
L’unica cosa che dovremmo esigere è che alle “dolorose” operazioni necessarie presieda un Governo (sorretto da una maggioranza parlamentare più ampia possibile) degno di questo nome, cioè credibile."
Per voi attenti lettori questa serie di indicazioni non potrebbe che essere preoccupante.
Riassumendo: il debito pubblico è il problema economico italiano, siamo finiti nella mani degli strozzini-mercati a causa del fatto che ci saremmo troppo indebitati (vivendo "al di sopra delle nostre possibilità"...), l'unica soluzione è che un governo credibile introduca una forte una tantum patrimoniale (anche perchè uscire dall'euro condurrebbe a un'inflazione distruttiva...del debito pubblico...in mano alle famiglie!!!).
Fortunatamente (in senso eufemistico), premette di essere un "cittadino incompetente".
In effetti non pare conoscere le "verità nascoste" e parte da premesse del tutto smentite dai dati economici: il debito pubblico italiano non è la palla al piede; il debito pubblico italiano non è stato creato da eccessi di spesa, bensì da eccessi di interessi passivi a favore di grossi soggetti finanziari; tentare di correggere l'ammontare del debito mediante una forte incisione patrimoniale sui privati non solo piomberebbe il paese in una recessione autenticamente distruttiva (ancora di più), ma non risolverebbe le cause della crisi, che sono da individuare nell'euro, cioè in una moneta che diminuisce la competitività dei nostri beni sui mercati esteri e ci porta in situazione di indebitamento privato via CAB strutturale e crescente; questo indebitamento privato, da squilibrio commerciale a base monetaria, sarebbe riproducibile e persino aggravato anche in caso di abbattimento del debito (deleveraging, appunto, su cui vale il passaggio di Osservatorio PUD€-2 sopra riportato).
Insomma quello che è preoccupante è uno dei più grandi costituzionalisti italiani appaia completamente all'oscuro delle ragioni della crisi: tanto per dire, il debito pubblico è in mano non certo alle famiglie, ma per circa il 90% a istituzioni finanziarie, che sarebbero esse stesse ad essere garantite dal prelievo patrimoniale sulle famiglie. Insomma, al governo potrebbe andare una personalità che potrebbe non avere difficoltà a concordare con Schauble e in generale con le più "oscure" pulsioni germaniche.
Veniamo a Zagrelbesky. Con lui, in linea teorica, ci accomuna il voler riproporre il pensiero giuridico di Costantino Mortati e Piero Calamandrei. Ma, mancando del tutto, nell'analisi di Zagrelbesky, punti di riferimento riferiti alla reale causa europea della crisi economica e costituzionale italiana gli sviluppi tratti da questi grandi antecedenti di pensiero sono obiettivamente dissimili.
Questa coincidenza di premesse e divergenza di conclusioni si vede bene in questo passaggio riassuntivo di sue recenti prese di posizione politico-istituzionale:
"Nella Costituzione troviamo la politica, il bene pubblico che più, oggi, scarseggia". Di una "stagione costituzionale", e non di una "stagione costituente", quindi, il Paese ha bisogno, spiega Zagrebelsky. Di "atti di contrizione e segni di discontinuità" con quanto ci ha preceduto. E, in questa parola d'ordine, ossia nel dettato costituzionale, si troverebbe soluzione ai problemi del Paese che vengono elencati nel manifesto. Al primo posto anche qui il lavoro, quindi i diritti civili, l'uguaglianza, l'equità sociale e fiscale, i servizi sociali, la salute, la cultura e i beni culturali, la natura, intesa come patrimonio a disposizione di tutti; l'informazione, come diritto dei cittadini a essere informati e dei giornalisti di informare; la politica come autonomo discorso sui fini e la partecipazione all'Europa."
D'accordo che il bisogno sia quello di una "stagione costituzionale", ma il tutto diventa irrimediabilmente generico e privo di valore pratico se non si indica come, alla luce della cause effettive della attuale crisi, si possa "porre al primo posto" il lavoro, i diritti civili, e tutto quanto elencato, quando non si prende in esame neppure per un momento che tutto questo è antitetico al trattato UE-UEM, scritto sotto la spinta delle teorie macroeconomiche neoclassiche di Lucas e Von Hayek, che di tale elenco di interessi e programmi perseguiti dalla nostra Costituzione sono inconciliabili avversari.
Ora più che allargare il discorso all'analisi del pensiero politico-economico degli altri nomi, indicati all'inizio, di possibili futuri appartenenti al governo che si cerca di formare, mi viene da rinnovare un appello.
Un appello rivolto a questi due illustrissimi e influenti costituzionalisti, che come giuristi, si trovano nella difficile posizione di non essere "colpevoli" di ignorare la verità su certi meccanismi economici che non sono chiariti dagli stessi economisti (tranne le note eccezioni cui va la nostra riconoscenza), ma al tempo stesso avrebbero l'onere, nell'interesse della democrazia, di poter difendere la Costituzione cognita causa, in modo da poterne comparare la effettiva portata, lavorista e redistributiva, con l'inesorabile disegno economico-finanziario racchiuso nel vincolo europeo.
L'appello che affido a queste pagine di nicchia, ma che mi auguro ripreso dalla capacità dei lettori di far sentire la propria voce e il proprio impegno civile, è rivolto a questi due illustri costituzionalisti affinchè, quando e come potranno dedicarci il loro prezioso tempo, prendano in considerazione quanto scritto nei seguenti post:
a) FOCUS 3- "REDUX";
b) COSTITUZIONALITA' DELLE MANOVRE FINANZIARIE. UN DUBBIO INTERNO ALLA STESSA COSTITUZIONE;
c) PER CHI...NON GUARDASSE SOLO GOOGLE E FOSSE INTERESSATO ALL'ARTIGLIERIA PESANTE;
d) LA DOTTRINA DELLE BANCHE CENTRALI INDIPENDENTI E LA SUA ATTUALE EVOLUZIONE.
Non nutriamo eccessive speranze di essere ascoltati così "in alto". Ma un tentativo crediamo valga la pena di farlo. Se non altro per non rimanere con lo scrupolo di aver trascurato una delle possibili vie che, nella piena circolazione delle idee e di una informata visione razionale, potrebbero portare frutti di verità e di democrazia.
Una cosa l’abbiamo capita bene: il debito pubblico che ristagna intorno al 120% del PIL è una palla al piede che il paese non può ulteriormente permettersi. Il problema è come ridurne l’entità. Ci dicono che la via maestra sarebbe l’aumento del PIL (la famosa “crescita”) con ritmi che, nel volgere degli anni, ridurrebbero l’incidenza relativa del debito, pur costante in termini assoluti, se si riesce nel frattempo ad evitare nuovo disavanzo annuale. Ma poi ci spiegano che molte delle misure che riducono la spesa pubblica o che aumentano il prelievo fiscale sono destinate ad avere effetti contrari alla crescita del PIL. Sembra un circolo vizioso.
Il coro invoca la riduzione dei “costi della politica”: e va bene, era ora. Non ha senso che i parlamentari paghino i pasti al prezzo di una mensa operaia (a spese delle Camere). Ma tutti sappiamo che se anche smettessimo da un giorno all’altro di pagare compensi a tutti i titolari di cariche elettive, o abolissimo queste ultime, avremmo ridotto di poco il problema finanziario (e, forse, avremmo ridotto anche il tasso di democrazia del paese: attenzione, prima di entusiasmarsi per i dimezzamenti delle “poltrone”, senza domandarsi quali dovrebbero essere i rapporti numerici congrui fra rappresentanti e rappresentati!).
Eliminare gli sprechi? E’ sacrosanto (in genere, però, sono visti come “sprechi” solo i soldi spesi per altri, non quelli spesi per interventi che finanziano le nostre imprese o le nostre famiglie). Ma poi, combattuti gli sprechi, siamo sicuri di volere (e che sia accettabile) uno Stato che riduca ancora la spesa per l’istruzione, per la salute, per l’assistenza sociale a chi ne ha bisogno, per la cultura?
L’incompetente allora si domanda: c’è un’altra strada per abbattere il debito pubblico o il suo onere eccessivo? Lo Stato potrebbe vendere beni (o assets, come oggi si dice), salvo poi trovarsi impoverito di strumenti e risorse per perseguire i suoi scopi (che non sono solo quello di mantenere l’ordine pubblico). In ogni caso non sembra una strada semplice né rapida (intanto, però, si cedono gratuitamente alle imprese televisive frequenze dell’etere, che sono un bene pubblico limitato). Oppure si potrebbe chiedere ai cittadini di contribuire una tantum ad abbattere il debito, secondo la logica per la quale “lo Stato siamo noi”, e quindi, se lo Stato ha un fabbisogno straordinario, noi dobbiamo concorrere a colmarlo.
Ci hanno spiegato a lungo che la forza dell’Italia, nella claudicante economia dei paesi sviluppati, era che noi abbiamo sì un grande debito pubblico, ma relativamente poco debito privato, e cioè i cittadini hanno un patrimonio netto (beni meno debiti) più cospicuo che altrove. Bene, allora perché non si chiede ai cittadini titolari di questo patrimonio di sacrificarne una piccola parte ciascuno, in progressiva proporzione all’entità del possesso individuale, per consentire allo Stato di ridurre significativamente il suo debito, vuoi attraverso un prelievo straordinario, vuoi attraverso un prestito, spontaneo o “forzoso”, da restituire a lungo termine e ad interesse inferiore a quello che i “mercati” pretenderebbero? O immediatamente, o in prospettiva, per effetto della riduzione degli interessi, l’onere del debito pubblico diminuirebbe.
Subito si leva il coro: altre tasse, per di più sul patrimonio? Vade retro! Lo Stato ha fatto il debito, lo Stato lo ripaghi. Com’è noto, quando una persona si indebita troppo rispetto alle sue possibilità economiche, o fallisce subito o finisce nelle mani degli strozzini, che gli prestano sì nuovo denaro, ma ad interessi sempre più alti (e alla fine fallisce lo stesso perché non è più in grado di rimborsare i debiti contratti). Nel nostro caso gli “strozzini” sono i “mercati”, che di fronte alle difficoltà dello Stato alzano la misura degli interessi richiesti per continuare a finanziarne il debito (il famoso spread). E dunque?
Non vorremmo che finisse come altre volte nella storia: il debito pubblico evapora come neve al sole perché, o con l’inflazione (se non dovessimo più avere la protezione dell’euro) o con la “ristrutturazione”, i titoli di Stato diventano carta straccia. Ci perderebbero gli “strozzini”, e poco male, visto che molti sono professionisti del rischio finanziario, ma ci perderebbero anche i cittadini normali che hanno investito tutti o parte dei loro modesti risparmi (pensando che lo Stato non è la Cirio né la Parmalat) in titoli di Stato: in quel debito pubblico che, come diceva lo Statuto albertino (la Costituzione repubblicana non lo ripete, ma in qualche modo lo presuppone) è - deve essere - “guarentito” (perchè “ogni impegno dello Stato verso i suoi creditori è inviolabile”).
L’unica cosa che dovremmo esigere è che alle “dolorose” operazioni necessarie presieda un Governo (sorretto da una maggioranza parlamentare più ampia possibile) degno di questo nome, cioè credibile."
Per voi attenti lettori questa serie di indicazioni non potrebbe che essere preoccupante.
Riassumendo: il debito pubblico è il problema economico italiano, siamo finiti nella mani degli strozzini-mercati a causa del fatto che ci saremmo troppo indebitati (vivendo "al di sopra delle nostre possibilità"...), l'unica soluzione è che un governo credibile introduca una forte una tantum patrimoniale (anche perchè uscire dall'euro condurrebbe a un'inflazione distruttiva...del debito pubblico...in mano alle famiglie!!!).
Fortunatamente (in senso eufemistico), premette di essere un "cittadino incompetente".
In effetti non pare conoscere le "verità nascoste" e parte da premesse del tutto smentite dai dati economici: il debito pubblico italiano non è la palla al piede; il debito pubblico italiano non è stato creato da eccessi di spesa, bensì da eccessi di interessi passivi a favore di grossi soggetti finanziari; tentare di correggere l'ammontare del debito mediante una forte incisione patrimoniale sui privati non solo piomberebbe il paese in una recessione autenticamente distruttiva (ancora di più), ma non risolverebbe le cause della crisi, che sono da individuare nell'euro, cioè in una moneta che diminuisce la competitività dei nostri beni sui mercati esteri e ci porta in situazione di indebitamento privato via CAB strutturale e crescente; questo indebitamento privato, da squilibrio commerciale a base monetaria, sarebbe riproducibile e persino aggravato anche in caso di abbattimento del debito (deleveraging, appunto, su cui vale il passaggio di Osservatorio PUD€-2 sopra riportato).
Insomma quello che è preoccupante è uno dei più grandi costituzionalisti italiani appaia completamente all'oscuro delle ragioni della crisi: tanto per dire, il debito pubblico è in mano non certo alle famiglie, ma per circa il 90% a istituzioni finanziarie, che sarebbero esse stesse ad essere garantite dal prelievo patrimoniale sulle famiglie. Insomma, al governo potrebbe andare una personalità che potrebbe non avere difficoltà a concordare con Schauble e in generale con le più "oscure" pulsioni germaniche.
Veniamo a Zagrelbesky. Con lui, in linea teorica, ci accomuna il voler riproporre il pensiero giuridico di Costantino Mortati e Piero Calamandrei. Ma, mancando del tutto, nell'analisi di Zagrelbesky, punti di riferimento riferiti alla reale causa europea della crisi economica e costituzionale italiana gli sviluppi tratti da questi grandi antecedenti di pensiero sono obiettivamente dissimili.
Questa coincidenza di premesse e divergenza di conclusioni si vede bene in questo passaggio riassuntivo di sue recenti prese di posizione politico-istituzionale:
"Nella Costituzione troviamo la politica, il bene pubblico che più, oggi, scarseggia". Di una "stagione costituzionale", e non di una "stagione costituente", quindi, il Paese ha bisogno, spiega Zagrebelsky. Di "atti di contrizione e segni di discontinuità" con quanto ci ha preceduto. E, in questa parola d'ordine, ossia nel dettato costituzionale, si troverebbe soluzione ai problemi del Paese che vengono elencati nel manifesto. Al primo posto anche qui il lavoro, quindi i diritti civili, l'uguaglianza, l'equità sociale e fiscale, i servizi sociali, la salute, la cultura e i beni culturali, la natura, intesa come patrimonio a disposizione di tutti; l'informazione, come diritto dei cittadini a essere informati e dei giornalisti di informare; la politica come autonomo discorso sui fini e la partecipazione all'Europa."
D'accordo che il bisogno sia quello di una "stagione costituzionale", ma il tutto diventa irrimediabilmente generico e privo di valore pratico se non si indica come, alla luce della cause effettive della attuale crisi, si possa "porre al primo posto" il lavoro, i diritti civili, e tutto quanto elencato, quando non si prende in esame neppure per un momento che tutto questo è antitetico al trattato UE-UEM, scritto sotto la spinta delle teorie macroeconomiche neoclassiche di Lucas e Von Hayek, che di tale elenco di interessi e programmi perseguiti dalla nostra Costituzione sono inconciliabili avversari.
Ora più che allargare il discorso all'analisi del pensiero politico-economico degli altri nomi, indicati all'inizio, di possibili futuri appartenenti al governo che si cerca di formare, mi viene da rinnovare un appello.
Un appello rivolto a questi due illustrissimi e influenti costituzionalisti, che come giuristi, si trovano nella difficile posizione di non essere "colpevoli" di ignorare la verità su certi meccanismi economici che non sono chiariti dagli stessi economisti (tranne le note eccezioni cui va la nostra riconoscenza), ma al tempo stesso avrebbero l'onere, nell'interesse della democrazia, di poter difendere la Costituzione cognita causa, in modo da poterne comparare la effettiva portata, lavorista e redistributiva, con l'inesorabile disegno economico-finanziario racchiuso nel vincolo europeo.
L'appello che affido a queste pagine di nicchia, ma che mi auguro ripreso dalla capacità dei lettori di far sentire la propria voce e il proprio impegno civile, è rivolto a questi due illustri costituzionalisti affinchè, quando e come potranno dedicarci il loro prezioso tempo, prendano in considerazione quanto scritto nei seguenti post:
a) FOCUS 3- "REDUX";
b) COSTITUZIONALITA' DELLE MANOVRE FINANZIARIE. UN DUBBIO INTERNO ALLA STESSA COSTITUZIONE;
c) PER CHI...NON GUARDASSE SOLO GOOGLE E FOSSE INTERESSATO ALL'ARTIGLIERIA PESANTE;
d) LA DOTTRINA DELLE BANCHE CENTRALI INDIPENDENTI E LA SUA ATTUALE EVOLUZIONE.
Non nutriamo eccessive speranze di essere ascoltati così "in alto". Ma un tentativo crediamo valga la pena di farlo. Se non altro per non rimanere con lo scrupolo di aver trascurato una delle possibili vie che, nella piena circolazione delle idee e di una informata visione razionale, potrebbero portare frutti di verità e di democrazia.
Onida deprimente e sconcertante. Livello Tobias Piller. Sembra evidente che avallerebbe qualunque furto stile Cipro, con relativo trasferimento dei soldi alle banche tedesche (soprattutto), olandesi etc.
RispondiEliminahttp://www.dagospia.com/rubrica-4/business/il-modello-cipro-il-prossimo-euro-salasso-per-litalia-52995.htm
EliminaQuarantotto ha scritto: il debito pubblico italiano non è la palla al piede; il debito pubblico italiano non è stato creato da eccessi di spesa, bensì da eccessi di interessi passivi a favore di grossi soggetti finanziari.
RispondiEliminaCiao Quarantotto vorrei aggiungere che questi elevati interessi passivi erano contratti per attirare capitali esteri a compensazione del permanente disavanzo della bilancia dei pagamenti, a causa dell'aggancio con il marco. A riprova di ciò riporto queste osservazioni fatte dall'economista Augusto Graziani ancora nel lontano 1985.
"La sopravvalutazione della lira nei mercati europei si fa sentire e i risultati si vedono nella bilancia commerciale, che è passiva. Le esportazioni sono costantemente al di sotto delle importazioni, c’è un disavanzo nella bilancia commerciale. Ma le autorità sanno benissimo che questo disavanzo è la conseguenza inevitabile della loro politica monetaria e quindi hanno, con grandissima flessibilità, effettuato un altro capovolgimento di politica monetaria, pienamente coerente con quello che ho detto prima. Hanno, cioè, deciso, ormai da diversi anni, di accettare il disavanzo nella bilancia commerciale ed hanno provveduto a compensarlo — non correggerlo, compensarlo — con un avanzo corrispondente nei movimenti di capitali. Questa è una vera rivoluzione nella politica delle autorità monetarie."
Ritenendomi un umile cittadino, mi si stringe il cuore constatare che certi meccanismi economici siano sconosciuti a Illustri Costituzionalisti.
Grazie Quarantotto, non mollare.
Grazie per la precisazione di dettaglio, non trascurabile, legata al duplice effetto SME-divorzio bankitalia.
EliminaIn effetti studiosi di tale livello, tanto più se impegnati, in varie forme, nella politica e nella presenza televisiva, è quasi incredibile che non conoscano tali decisive circostanze (verificatesi quando già erano parte del mondo accademico).
Caro 48 spero ti ascoltino.
RispondiEliminaMa è incredibile che figure istituzionali di quel livello non avvertano l'elementare necessità di interrogarsi con strumenti che non siano solo quelli attinti dall'ortodossia mediatica.
Un atteggiamento mentale che potrei capire in una situazione precedente al 2008 - quando tutto andava "più o meno" bene e nessuna clamorosa evidenza aveva ancora suonato l'allerta: è successo a me, potrei anche concederlo a loro - ancorché la posizione privilegiata avrebbe richiesto loro maggiore "attenzione".
Ora però la discrepanza fra la realtà e la narrazione che viene fatta per spiegarla è troppo stridente e non può essere ignorata, perlomeno non a quel livello.
Puntuale la tua osservazione sull'attitudine "psicologica". Che acuisce e non attenua la preoccupazione.
EliminaA volte mi domando se l'analisi economico-costituzionale qui condotta non servirà solo "a futura memoria", per qualche storico specializzato...
Già.
RispondiEliminaAmmesso che in futuro la figura dello storico specializzato non sia quella del funzionario addetto all'incessante riscrittura della storia per adattarla alle esigenze propagandistiche del Grande Imp€uro Comunitario... Devo ricordarmi di rileggere Orwell.
Ma se studiosi di questa statura scendono a questo livello, cosa possiamo aspettarci riesca a capire il concittadino medio, che coincide con lo spettatore tv?
RispondiEliminaScoraggiato e pessimista.
Temo che sia un problema di consenso accademico condiviso: i professori tendono ad accreditare l'opinione degli altri professori che sono considerati, nel loro campo, autorità incontestabili. Diciamo che c'è una sorta di reciproco riconoscimento ut auctoritate. Che finisce per allineare il pensiero, nel campo economico, su quello di altri prof. come possono essere Giavazzi o Tabellini.
EliminaMa ci sono anche Acocella, Sapelli, De Grauwe, Stiglitz, Krugman etc etc. Mi pare un pigro e opportunistico adagiarsi sul mainstream dominante in Italia.
EliminaSì. E' proprio un pigro adagiarsi derivante da una sorta di "etichetta" accademica.
EliminaMagari il Corsera e Repubblica avessero da anni dato spazio a un Acocella...
I padroni dei due quotidiani non l'avrebbero mai consentito....
EliminaCerto: avrebbe svelato che l'euro è il più potente strumento di deflazione salariale e di depotenziamento della tutela del lavoro escogitato dai tempi del primo capitalismo. E ne avrebbe additato le connessioni con la dottrina della BC indipendente.
EliminaEsattamente ciò che la linea di tali giornali tende ad accreditare da oltre 20 anni.
...ma solo 30 anni fa, guarda guarda com'erano diverse le idee di Eugenio Scalfari, a proposito di BC indipendendente.
EliminaParlando dell'ex Governatore della Banca d'Italia Donato Menichella:"...impose alle banche di credito di limitarsi alla raccolta di depositi e al loro impiego nel credito commerciale a breve tempo; e assegnò invece il finanziamento degli investimenti industriali a medio e lungo tempo a istituti regolati da norme rigide, che avrebbero dovuto raccogliere il risparmio attraverso l'emissione di titoli obbligazionari.... Ma fu anche l'uomo che, una volta raggiunto un solido equilibrio monetario e finanziario, stimolò continuamente la classe politica a mitigare con appropriati interventi la disparità di condizioni tra i gruppi sociali e tra le aree geografiche del paese.."
La Repubblica 24 luglio '84
Bella citazione storico-filologica...ma Menichella, in essenza, fece ciò che la legge del 1936 prevedeva che facesse, scontando che il CICR e gli organismi di indirizzo politico previsti dalla legge non funzionarono mai come in teoria previsto (cioè codecidendo su aspetti tecnici del sistema). Anzi,fu proprio dal ruolo de facto assunto dal governatore che nacque l'idea di una autonomia "politica" del governatore.
EliminaMa certo la centralità dell'interesse pubblico incorporata nella legge del 1936, unita alla nuova concezione del risparmio posta in Costituzione, aiutarono a tenere la figura all'interno delle istituzioni pubbliche senza farne il polo di governo delle banche.
Ma questo Scalfari non lo poteva aver capito: la sua apologia va letta nel clima che circondò il divorzio, con l'idea della superiorità morale del mondo finanziario sulla politica...che, pensa tu, come stigmatizzò Andreatta, era presa dal mito della "crescita", niente di meno!
Ogni volta che si parla di Scalfari un dubbio il cor m'assale: se cioè è lui che col tempo ha perso lucidità o sono io che col tempo l'ho acquistata.
EliminaNOn sopravvalutarlo: tu sei "in crescita" :-). Lui è da sempre su quelle posizioni. Solo che mentre lui ci si attacca sempre più, il resto del mondo sta cambiando. E' una storia tipo quella dei giapponesi nella II WW: poi alcuni rimasero ad oltranza su delle isolette. E mica solo Scalfari: in fondo un segno della diffusa senilità al potere in Italia è la difficoltà di cambiare ed evolversi...
EliminaIntanto Lupi dalla Gruber dice che la mancanza di un governo non consente di perseguire la priorità dell'abbassamento del costo del lavoro!
RispondiEliminaProbabilmente, ad un orecchio esterno le teorie economiche suonano come dispute fra appartenenti a diverse sette religiose. Non è agevole comprendere, di primo acchito, come le "manovre" di politica economica impattano il benessere collettivo ed individuale, attuale e prospettico, in applicazione delle suddette teorie.
RispondiEliminaTanti fra gli "happy few" frequentatori di questo blog di nicchia sono stati indotti ad approfondire la materia economica solo in seguito all'impatto della crisi sulle proprie esistenze. Non così avviene, di norma, per chi ne risente meno o in ritardo.
Enorme merito al padrone di casa che è riuscito a contemperare conoscenze di elevato livello in campo giuridico ed economico.
In condizioni normali, tuttavia, è normale fidarsi degli specialisti della materia. In caso di ricovero in ospedale non è agevole, di norma, ripercorrere e valutare i protocolli di cura adottati dai medici.
Il momento storico che stiamo vivendo non è normale, ma senza una stampa libera non è alla portata di tutti comprendere il tradimento dei chierici.
Purtroppo è così.
EliminaAnche perchè normalmente il giurista accademico è talmente a digiuno di economia da non poter neanche intuire vagamente quello che, ad esempio nel campo della medicina, sarebbe di comune buon senso.
Non solo gran parte degli economisti "ascoltati" sono esperti in economia finanziaria (non esattamente adatta a descrivere i fenomeni macroeconomici regolati in Costituzione) o industriale-aziendale. Ma sono poi compattamente esponenti della NMC, cioè di quella macroeconomia che parte dall'estensione deduttiva delle teorie microeconomiche (legge domanda e offerta, attenzione ai costi dell'offerta-produzione) che si è impadronita di gran parte delle cattedre.
Ora per chi si richiama a Mortati e Calamandrei accreditare queste interpretazioni economiche è un pò come se nel campo del diritto pubblico si rivitalizzassero le teorie generali della sovranità monarchica discendente dalla divinità. Oppure se, in medicina, oltre che a rivolgersi a un dermatologo per curare una problema cardiologico, si trovasse pure un dermatologo che segue Galeno (perchè questa è la portata restauratrice, mutatis mutandis, dell'operazione della nuova macroeconomia classica).
Ma anche volendo giustificare le carenze nella disciplina economica, che producono omologazione al mainstream per il fenomeno (psicologico?) del consenso accademico condiviso: la disciplina costituzionale è il loro pane, quindi il conflitto fra trattati europei e Costituzione dovrebbe essere oggetto di sistematica denuncia da parte loro.
EliminaO lo fanno e io non ne sono al corrente?
Questo è un vero mistero per quanto riguarda il complesso dei costituzionalisti. In gran parte suppongo che influisca il fatto che i trattati sono considerati materia per "comunitaristi", specialisti del diritto europeo. Suppongo.
EliminaPerchè si ha come la sensazione che la clausole del trattato non siano state lette con attenzione: anche se è pur vero che fondamentalmente parlano di procedure per il coordinamento di politiche economiche generali o di settore. O regole riguardanti la fatidica BC, pre apprezzare le quali sono indipsensabili conoscenze di macroeconomia.
Perciò in questo blog abbiamo approfondito la relazione dei trattati coi diritti fondamentali, con la stessa dottrina della BC indipendenti e, se ricordate, con il concetto di "piena occupazione".
E mi rendo conto che sono problemi scarsamente affrontati. Il diritto costituzionale, probabilmente a seguito dell'era di B., ha finito per occuparsi essenzialmente, negli ultimi anni, di problemi di rapporti tra i poteri dello Stato (specie giudiziario e esecutivo) e, ora, di procedure interne al legislativo e prassi parlamentari.
Cioè si è focalizzato sui problemi contingenti di una degenerazione delle dinamiche interne alla politica, cullando l'illusione (o l'indifferenza) verso gli interessi sostanziali e gli aspetti socio-economici programmatici della Costituzione stessa. Cioè la parte più importante del patto sociale, qella su cui ha inciso pesantemente l'UE.
Sono stanca ma non riesco a rimanere indifferente,alle tematiche del post di oggi, partecipo con parole non mie:
Elimina“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
...Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime"
Antonio Gramsci
E Gramsci sapeva di cosa parlava...
EliminaPer quanto gli "indifferenti" sono tutto intorno a noi. E sono la maggioranza: i lamentosi senza alcuna autentica voglia di contrastare veramente ciò che li opprime.
E' un pò la situazione del film "Essi vivono"...
INDUZIONE ALL'INDIFFERENZA
RispondiEliminaFrom: poggiopoggiolini
Sent: martedi 26 marzo 2013 07:01
To: Moderazione [mailto:moderazione@ilfattoquotidiano.it]
Subject: FW/dalla moderazione de Il Fatto Quotidiano
Cortesi Moderatori,
riscontro da qualche tempo che gli interventi proposti nella sezione "commenti" degli articoli FQ vengono sistematicamente "rimossi" anche senza contenere frasi e/o parole offensive, oscene, oltraggiose, alteranti o oltre il limite delle 1.500 battute.
Sono consapevole di differire, con motivate e personali posizioni, dalla linea "editoriale" del FQ notando che qualsiasi posizione che si allontana dall' aforisma acritico e dominante del EUROPA=EURO siano mal tollerate e addirittura censurate il FQ, da sempre dichiaratamente indipendente, libero e democratico.
Sono consapevole che la delicatezza di questi momenti storici, dove si diffondono le riflessioni democratiche e non ideologiche di molti cittadini europei sul significato monetaristico e poco sociale di questa Unione Europa, impone attenzioni sempre più "particolari", come "vigilanza" del consenso e "controllo" del dissenso.
Avrei desiderato e sperato che tutto questo non accadesse su FQ ma, mio/nostro malgrado, devo prendere atto che le "ragion di Stato" della distopia europeistica impongono, propongono, dettano anche su questa prestigiosa testata la linea editoriale.
L'informazione e la notizia rimangono, comunque, "qualcosa" di differente.
Con rispetto
Poggiopoggiolini
un cittadino, ex lettore/utente di FQ
ps: http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/europe/eu/9845442/EU-to-set-up-euro-election-troll-patrol-to-tackle-Eurosceptic-surge.html
-----Original Message-----
From: Moderazione [mailto:moderazione@ilfattoquotidiano.it]
Sent: lunedì 10 dicembre 2012 11:11
To: poggiopoggiolini
Subject: dalla moderazione de Il Fatto Quotidiano
Gentile Lettore,
Durante un controllo abbiamo riscontrato che diversi suoi messaggi sono rimasto nella sezione di pre moderazione a causa della loro lunghezza.
Purtroppo spesso riscontriamo problemi con la pubblicazione di commenti molto lunghi.
Questo per via del grandissimo flusso di commenti che la nostra piattaforma di moderazione rileva ogni giorno.
Si tratta dunque di un problema tecnico nel quale la nostra piattaforma cade.
Onde evitare che il problema si ripeta abbiamo fissato un limite alla lunghezza dei commenti: sempre al di sotto delle 1.500 battute.
Da una verifica risulta infatti che gli unici suoi commenti che non sono stati pubblicati siano superiori a questo limite.
Le consiglio dunque di attenersi a questa norma di sintesi. Non siamo certamente noi ad essere insensibili verso certi argomenti, anzi, magari tutti gli utenti fossero attenti e portassero contributi come lei, solo un pochino più brevi.
Grazie della comprensione e buona giornata, la Moderazione=
Bah...
EliminaDunque.
RispondiEliminaNel dicembre del 2012, la Commissione europea dice che le finanze italiane "sono sostenibili". Già nel 2010, lo stesso organismo diceva che la competitività italiana era stata compromessa proprio dall'euro.
Marzo 2013. Dopo un anno di "credibili riforme" operate dal Governo Monti sotto l'egida UE, Bersani ci rivela invece che "ci vorrebbe un miracolo per salvare l'Italia" e la crisi cipriota lascia intravedere un ulteriore declassamento del Paese da parte delle agenzie di rating.
Anche al più luogocomunista dei luogocomunisti, risulterà evidente che queste due versioni dei fatti non vanno d'accordo. Quindi, qualcuno sta mentendo.
Anche al più luogocomunista dei luogocomunisti dovrebbe risultare chiaro che il taglio alle indennità di Grasso e Boldrini non basta per dare un sussidio a MILIONI di disoccupati, tanto meno un LAVORO.
Anche al più luogocomunista dei luogocomunisti non potrà non risultare cristallino che, se dopo l'adozione di una "soluzione per Cipro" elogiata da tutti gli attori in causa le borse crollano perché "si teme che possa essere applicata altrove" (parole dell'ANSA!!!), evidentemente quella soluzione è stata studiata e messa in pratica o da assoluti incompetenti o, peggio ancora, da persone dichiaratamente in malafede.
Basta leggere le normali agenzie di stampa per arrivare a queste conclusioni.......
L'inconciliabilità si spiega così: a dicembre occorreva garantire la continuità di Monti o di analoghe espressioni dello stesso potere NMC al governo, in vista delle imminenti elezioni.
EliminaOra, invece, occorre poter dire che, nonostante l'aura di sinistra e "l'attenzione al lavoro", la situazione è tale, a causa di una crisi genericamente accusata e presuntamente aggravata dalla mancanza di azione di governo (quella stessa che ha causato la recessione), per garantire la stabilità e su pressione dei "mercati", ci DEVE essere un governo che adotti misure ECCEZIONALI.
Cioè eccezionali veramente: ancora non abbiamo visto nulla.
La questione Cipro, dato lo stato pietoso di un'informazione allucinata, capita come il cacio sui maccheroni.
Terrorizzando gli italiani che saremmo in una situazione simile a Cipro (segnali abbondanti dalla germania che è "credibile" per definizione), accetteranno meglio una tantum, prestiti forzosi, ipoteche di Stato sugli immobili in cambio di titoli a lungo termine e basso interesse e così via. Diranno che loro sono "seri" e che "altrimenti non possiamo pagare gli stipendi e le pensioni".
I grillini giù a dire che è giusto, che questo è lottare contro la corruzione e la casta. E tutti o ironizzare che se fossimo come i tedesci questi problemi non ci sarebbero stati.
Ma forse gli italiani, nutriti in TV a colpi di "Monti ci ha salvato da una situazione che era disperata", hanno bisogno di questo per accennare a una reazione...
Personalmente, dico io......
EliminaSe uno mi deve ipotecare la casa in cambio di titoli e prelevare forzosamente dal conto corrente, perché non torna alla lira?
Con la "lirasvalutazionebrutto" non potrò comprarmi un'auto tedesca, ma -dato che non tutta la svalutazione diventa inflazione- potrò almeno fare la spesa e pagarmi una vacanza a Venezia. E se la moneta svaluta, l'immobile dove vivo rivaluterebbe, compensando la svalutazione del denaro liquido.
Senza sapere nè leggere nè scrivere, mi sembra che i costi della permanenza siano ben superiori a quelli dell'uscita......
Dimentichi il vantaggio ideologico-economico: il Fiscal compact negativizza il risparmio, cioè lo ristrasferisce dalle famiglie agli interessi sui titoli e da questi alle banche che li detengono e che devono ripatrimonializzarsi nonchè a quel 35% di detentori esteri (perchè questo significa il pareggio di bilancio). Ma non basta: consente, permanendo l'euro, la prosecuzione della deflazione salariale, e quindi rende potenzialmente più profittevoli le imprese italiane che, prive di credito, possono passare di mano con buone prospettive di redditività per l'acquisitore...estero.
EliminaLa recessione e la colonizzazione sono tutt'uno. E ci verranno a pure a dire che hanno mantenuto meglio che potevano i livelli occupazionali (il famoso riequilibrio "naturale", fatto a colpi di vincoli e con una moneta estera)
Mi sembra, se non erro, che il rischio di un "attacco di gruppi esteri" al patrimonio imprenditoriale italiano sia stato segnalato anche dalla recente relazione al Parlamento dei servizi segreti.
EliminaEvidentemente, Bersani e la direzione del PD non hanno gli occhi foderati di prosciutto, ma di piombo. Assieme ai vari "giornalisti impegnati" alla Scalfari.
Non so veramente più che dire......
Lo chiamano "attirare investimenti esteri", è l'unica forma di "rilancio dell'occupazione" che hanno veramente nella zucca, Monti ne aveva fatto una bandiera, il popolo acclama (tipo FQ), il modello è l'Irlanda (che infatti dall'ELA, per salvataggio bancario da bolla immobiliare, si è riappropriata dell'autonomia della sua banca centrale di disporre di emissione di liquidità BCE, da ripagare in origine con bond irlandesi ordinari, per trasformarla in titoli atipici del debito a scadenze lunghissime).
EliminaBasta insomma diventare una brava colonia con redditi concentrati (sugli executives), profitti e interessi esportati all'estero, e permanente deflazione salariale per non avere grandi problemi. L'importante è non dare fastidio.
E magari rivedono pure la riforma Fornero, tanto a stipendi da fame e con i licenziamenti collettivi decisi a discrezione da un sede estera, non c'è bisogno del licenziamento individuale per motivi economici.
Ciao 48, bellissimo post. Io ho sempre apprezzato molto Zagrebelsky, e quando posso ascoltiamo insieme con gli studenti la sua bellissima conferenza Democrazia in briciole. Vorrei tanto che le tue parole gli arrivassero. Chissà..intanto farò la mia piccola parte rilanciando il tuo appello.
RispondiEliminaGrazie Carmen.
EliminaMa il problema, come evidenzia il dibattito nei commenti, è sulle fonti accademiche a cui attingono le loro convinzioni i costituzionalisti.
Se non so decifrare quale ideologia politica ispiri veramente Maastricht e seguenti, mi convinco che "abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità", magari a causa di una degenerazione del costume (legalità) dovuta a B. Fenomeno di cui ho più volte cercato di mostrare come, pur esistendo, non ha efficienza causale rispetto alla crisi ed alle misure fiscali che si vorrebbero fa passare cme "cura"...
Mi permetto di sottoporre al blog un articolo sulla filosofia neo-liberista odierna che reputo interessante. Credo si allacci con molte tesi qui sostenute.
RispondiEliminahttp://www.kainos-portale.com/index.php/malavita-editoriale-e-indice/86-ricerche12/285-dieci-tesi-contro-il-capitalismo-predatorio
In effetti, penso che l'autore dell'ironico TG-PUDE, abbia in un certo senso colto nel segno. Questo capitalismo dell'Euro, è davvero assimilabile alle locuste: aggredisce il campo, e quando ha consumato tutte le risorse senza possibilità di crescita, riparte.....