mercoledì 24 settembre 2014

RASSEGNA SULL'ART.18. "MAPPE COGNITIVE" E "LINEE INTERPRETATIVE". LOTTA DI CLASSE: CHE CAFONATA!

 

Costretta dai "vincoli" della sala d'attesa di un aeroporto, Sofia ci manda una rassegna stampa "monografica", nascente dalla lettura del Fatto Quotidiano. 
Una sorta di panorama sistematico che lumeggia un atteggiamento di fondo: si può dubitare della bontà o meno della riforma dell'art.18, ma non della "colpa di popolo", irredimibile, che, chissà perchè, attinge gli italiani più di qualsiasi altro paese UEM (che, pure, ha problemini economico-fiscali ben più gravi).

Con l'art.18 usano il solito metodo: distogliere l'attenzione dalle cose importanti, come la recessione, che ci sta regalando ogni giorno dati significativi, e nello stesso tempo  dare tante, troppe informazioni, perchè cosî non ci si capisca niente.
Sul Fatto quotidiano di oggi pare non si parli d'altro. 
 
Tutta la pag 5, parla della riforma del lavoro e delle guerre interne al PD, del peso politico dei bersaniani sulla riforma del lavoro e sulla introduzione del job act.
Oscar Farinetti (il signor Eataly): "dell'art. 18 il problema è il concetto di "giusta causa" che giustifica il licenziamento e quello dei magistrati che lo interpretano nel senso sbagliato visto che dispongono il reintegro nel 90% dei casi"
Insomma art 18 non va modificato, va abolito. 
Al coro si unisce De Benedetti che ritiene la norma superata per i tempi e per la situazione che l'Italia sta affrontando.
 
Cesare Damiano (presidente della commissione lavoro della Camera) rilancia il contratto a tutele crescenti al quale andrebbe applicato un monitoraggio di tre anni per verificarne gli affetti.
E cosa si aspettano di poter verificare al termine di questi tre anni? Pensano che la situazione drammatica della disoccupazione si risolva o che vi siano risultati positivi in tre anni solo perchè liberalizzerebbero il mercato del lavoro in uscita, senza agire sulla domanda? 
Comunque, indipendentemente dai risultati, al termine del triennio il datore di lavoro può licenziare senza alcun contenzioso, come se si trattasse di un contratto a termine, o assumere con le regole della legge Fornero. 
Poiché gli  imprenditori opteranno sicuramente per la prima soluzione, (e quindi sanno benissimo che la situazione della domanda non migliorerà e che quindi non migliorerà neppure l'occupazione), lo Stato offre un incentivo fiscale per l'assunzione, soddisfacendo le richieste dell'Europa, che ci chiede di allungare il periodo di prova e di ridurre il costo del contratto (Ecco risolto l'arcano! A loro interessa solo dire all'Europa che hanno modificato e quindi maggiormente liberalizzato il mercato del lavoro, misura che avrà come inevitabile effetto una maggiore deflazione salariale).
 
Pag.6: Caterina Soffici se la prende con la burocrazia, le tasse, la criminalità e la mancanza di certezza del diritto (non se n'è scordata nemmeno una!). Molti servizi potrebbero essere effettuati per via telematica  e, come prova di coraggio, si aspetta dal PD  l'abolizione dei notai invece della modifica dell'art.18, visto che il reintegro rimane un problema secondario se le imprese non assumono. 
Almeno in quest'ultima affermazione ha ragione; tuttavia...si rende conto che i servizi resi per via telematica, così come tutta la semplificazione della burocrazia, la diminuzione delle tasse e il rafforzamento della lotta alla criminalità, richiedono investimenti pubblici enormi, - esattamente come la lotta alla disoccupazione - e che quindi tutti questi problemi hanno la stessa matrice?
 
Non è mica finita qua.
A pag.11 si parla di Bonanni che lascia la CISL ( sia fatta la sua volontà!!!!!) del cui ruolo nell'ambito dei sindacati ho già scritto.
 
E poi c'è altro articolo di Stefano Feltri che si domanda se ha ragione Renzi o la CISL: le imprese non assumono perchè non possono licenziare? 
Secondo lui non c'è risposta alla domanda (guarda un pò). 
Anzi. Alla domanda si risponde con dati alla mano, quelli sul monitoraggio della legge Fornero del 2012 che ha giá modificato l'art. 18. In base ai dati del Ministero (lui dice) sappiamo solo che la flessibilità è aumentata in conseguenza della possibilità di licenziare...in imprese con meno di 15 operai, dove art. 18 non si applica; nonchè che molti super precari hanno brevi contratti a tempo determinato (ma questo non gli dice proprio niente?)
Ma poi finalmente pure lui una cosa giusta la dice: cambiare le regole del lavoro in periodo di recessione non permette di misurarne gli effetti, mentre sottolinea l'errore di partire sempre, quando si parla della situazione del lavoro, dalla facilitá dei licenziamenti, senza prove che sia la variabile decisiva (si tiene sul vago, non sia mai assumersi la responsabilità di avanzare un'ipotesi. A proposito delle prove: per lo specialista Riccardo Realfonzo, sicuramente non si hanno che la precarizzazione e flessibilizzazione in uscita aumentino l'occupazione, valendo come più probabile - e confermata dai dati di tutta l'UEM- l'ipotesi opposta.)

Dulcis in fundo, Mauro Magatti (bocconiano laureato in discipline economiche e sociali) sostiene che è finita la società dei consumi: avere un impiego non serve solo a produrre merci, ma a permettere alle persone di esprimersi e dare senso alla propria vita Sembra quasi che abbia capito il senso del lavoro come diritto fondamentale costituzionalmente garantito: ma da un "bocconcino" è chiedere troppo!
Infatti, continua a dire cose controintuitive: pensare al possibile futuro del lavoro richiederebbe un nuovo modello di sviluppo che esprima la capacitá di essere produttivi (è appurato: siamo improduttivi e scansafatiche) e garantisca equità sociale (il problema insomma è sempre la redistribuzione, ma...tra sottoccupati e disoccupati). 
 
Ritiene che spostare il baricentro sul consumo e la concentrazione di ricchezza (di chi? Degli esportatori di capitali e dei delocalizzatori? Non pare prenderli in considerazione), ha fatto perdere rilievo al lavoro e alla sua importanza economica sociale ed esistenziale. (Davvero? Ma com'è successo esattamente? Dunque i disoccupati si danno troppa importanza! Pensassero a tutelarsi come consumatori e pagatori di tasse sul patrimonio!)
Per questo, prosegue, il lavoro ha perso quota sul valore aggiunto del prodotto in due decenni (non sarà la precarizzazione-disoccupazione-deflazione salariale la causa di ciò, piuttosto che l'effetto?)
 
Secondo lui la soluzione forse non c'è (e certo: la curva di Phillips non viene neppure menzionata. E dire che siamo in deflazione "quasi" conclamata!) e, comunque, se proprio di soluzione bisogna trovarne una, allora bisogna rivedere le categorie: non contratti a tempo indeterminato o determinato, ma contratti per chi si occupa di ambiente o di sanità o altro.  
Che poi divengano a tempo determinato "tutti" i contratti in questi settori, perchè mai chi si occupa di lavoro "utile e degno",  (essendo il resto del lavoro inutile e indegno?), dovrebbe preoccuparsene e dimostrare avida ricerca di inutili privilegi? Certo! Cambiamo le categorie e vedrete come aumenta l'occupazione, che idea geniale, ma come mai non ci hanno pensato prima!!!!
 
Aggiunge che bisogna investire su "mappe cognitive", linee di ricerca che aprono "piste interpretative" nuove, perchè poi il problema è sempre lo stesso: siamo inefficaci, arretrati, obsoleti e tutti so' più bravi di noi!
Richiama infine il pensiero marxista ad esprimere al meglio le proprie capacità in una società liberata dall'ossessione della crescita. Bisogna spostare accento sulla capacitá collettiva di produrre valore, possibile solo se cambia il modo di vedere e trattare il lavoro; non solo merce da scambiare e sfruttare ma espressione della capacitá personale di iniziativa, creatività e realizzazione, elemento fondamentale di una economia giusta e una società umana. 
 
Apprendiamo dunque che il pensiero marxista si dovrebbe preoccupare di ricategorizzare il lavoro, in funzione dei settori che...consentano di liberarsi della "ossessione della crescita"...specialmente salariale, ovvio! La lotta di classe finirebbe se, si desume, coloro che vengono pagati...il meno possibile, non ci fanno caso, in quanto impegnati a "salvare il mondo" ed appagati da ciò (vallo a raccontare a chi si occupa di bonifiche ambientali sui campi infestati da diossina o agli infermieri precarizzati in corsia...)
Manca qualche passaggio logico; diciamo un po' di puntini di congiunzione. 
È il bello è che queste "eccentricità controintuitive" le va a ripetere pure domani a Milano in un convegno che si occupa di indagini sullo sviluppo del mondo del lavoro.

13 commenti:

  1. Non possono che contraddirsi, arrampicarsi sugli specchi per una mission impossible, indorare la pillola della schiavitu'. Stavamo conquistando le 35 ore settimanali, con la meccanizzazione produciamo merci in quantita' inimmaginabile rispetto a qualche decennio fa... eppure ci chiedono i turni di notte (e non sono tutti ospedali o altiforni, la maggior parte delle macchine si puo' fermare senza danni) sabato e domenica, festivita', un mondo sempre acceso che sembra poetico ma in realta' e' un incubo di alveare brulicante di esserini in costante movimento spasmodico. Non veniteci a dire che il lavoro nobilita e da' un senso alla vita, ognuno di noi, essere senziente, persona, e' per diritto in grado di darsi il proprio, personale, senso alla vita. Il paternalismo e' sinonimo di dittatura, il cui fine ultimo e' far lavorare gli altri senza dare nulla in cambio.

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    1. Non fa una grinza...
      Ma cercano di indorare la pillola dicendo di non ossessionarci della crescita che tanto bisogna ingegnarsi di trovare lavoro in sanità o ambiente. Ma perchè solo i lavoratori non devono ossessionarsene?
      E magari, diventando autonomi (cioè falsa partita IVA?), dimostrando "capacitá personale di iniziativa, creatività e realizzazione", si cambierebbero i rapporti di produzione, i poteri di indirizzo e organizzazione del capitale, avendo a che fare con struttura industriale di oligopoli multinazionali? E si sarebbe meglio incuranti della crescita stessa?

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    2. A proposito di paternalismo dissimulato e di "morali" liberiste.

      Mi son letto ultimamente diversi articoli di uno dei "grandi padri" del libbbberismo "di tipo anglosassone" itaGliani:
      Luigi Einaudi.
      Intanto è sorprendente come il linguaggio sia estrememante contemporaneo. Leggendo un fascista lo senti che è di un altra epoca, leggendo Gramsci lo senti che è di un altra epoca, leggendo un Fanfani lo senti che è di un altro tempo. Proprio a livello di grammatica, voglio dire (molto più gradevoli gli scritti di fascisti e democristiani, per lo meno sono figli -nel bene e nel male- della cultura italiana).

      La cosa buffa è che in un articolo del 1904 (mi pare, comunque di quell' epoca) si autodefinisse "neo-liberista" e ci tenesse a dire che le "sue" teorie economico-politiche-sociali erano "VECCHIE" (a proposito del "neo-liberismo" che avanza come il "nuovo" che avanza).

      A parte questo.
      Ho notato in tutti codesti articoli einaudeschi delle contraddizioni impresionanti espresse persino entro lo stesso articolo. Giannino non è meno cialtrone di Einaudi. Questa la verità (ponendo Einaudi come in buona fede). La pretesa che le sue teorie politiche fossero "scientifiche" "di buon senso" è 'na robba da ridere. E dai! (esattamente come i "tecnici" odierni).

      Dicevo delle stridenti contraddizioni che "il grande" economista riusciva a mettere nel giro di uno stessa frase, addirittura.
      Una più di tutte mi ha colpito e proprio riguardo al "paternalismo" che come ben dice "A perfesc world"...è quella roba li.
      Ora non saprei ritrovare l' articolo per fare la citazione testuale. Comunque, sosteneva che lui era contro lo Stato corporativo (fascista) perché lo Stato assumeva un inaccettabile attegiamento di paternalismo (come dargli torto?) perché voleva educare la popolazione. Meglio lo Stato liberale. Perché? Perché lo Stato liberale avrebbe EDUCATO i cittadini alla responsabilità personale (e bla bla bla)...
      Non fa una piega, no?
      Il paternalismo altrui è sbagliato in quanto tale il paternalismo proprio è "scientifico" e di "buon senso"...
      Buffissimi anche i suoi strali contro la "plutocrazia" (testualmente). Ovviamente contro la "plutocrazia nazionale".

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      Un tronfio ideologo ciarlatano, insomma. Chiarissimamente si capisce che è stato lui il VERO "ghost-writer" del "manifesto di Ventotene", anche senza leggersi la biografia.

      Sarebbe interessante un post (Baazar potrebbe essere preparato in materia) sui collegamenti (eventuali) tra i padri costituenti alla Basso e Beveridge.
      Come sarebbe interessante risalire i collegamenti di Einaudi (padre costituente anche lui, ma, direi, assai poco incisivo, in quella funzione) con i vari Rockfeller & Co. (da sempre molto attivi nel promuovere """nuove""" idee con i loro pensatoi/think-thank)...

      Poi, per carità, io sono un pò fissato ma , oggi vediamo la resa dei conti di quella contrapposizione proprio tra "spirito di Ventotene" e "spirito della Costituzione del '48".
      O sbaglio?

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    3. La resa dei conti si ebbe il giorno della ratifica di Maastricht (3 novembre 1992).
      Quella di cui oggi si tratta è piuttosto un "risveglio" che possa portare a una Ri-Costituente.
      Ma come detto nell'ipotesi frattalica "aggiornata", questo è un processo che potrà richiedere circa tre anni a partire dal 2014. O giù di lì.

      Rammento il post, perchè, a rileggerselo, scritto come fu nel novembre dello scorso anno, non è poi così fuori bersaglio
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/12/lipotesi-frattalica-un-anno-dopo-lo.html

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  2. A parte le supercazzole contro-intuitive con lo scappellamento a destra come fosse antani col sindaco....questi da te citati, non hanno assolutamente una visione d'insieme della società, e nel tempo e nello spazio.
    Sarebbe meno peggio pensare ad un complotto, sottintenderebbe una visione e capacità strategica dei "nostri", ma non è così. Trattasi di semplice miopia cognitiva o tetraparesi spastica distonica analitica.
    Insomma non capiscono un cxxxo, tranne qualcuno, ma sono minoranza. E in malafede.

    Ho letto le recenti interviste fatte da Avvenire e La Repubblica, al ministro Padoan. Mi sono cadute le braccia dallo squallore e da tanta protervia.
    Ho una sola certezza: che la strada intrapresa dagli azzeccagarbugli nostrani gli farà scoppiare il giocattolo tra le mani, nostro malgrado.

    Diceva bene un tizio qualche hanno fa, a proposito della parte, per qualcuno, meno nobile del nostro corpo.

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  3. "Costretta dai "vincoli" della sala d'attesa di un aeroporto, Sofia ci manda una rassegna stampa "monografica", nascente dalla lettura del Fatto Quotidiano.
    Una sorta di panorama sistematico che lumeggia un atteggiamento di fondo: si può dubitare della bontà o meno della riforma dell'art.18, ma non della "colpa di popolo", irredimibile, che, chissà perchè, attinge gli italiani più di qualsiasi altro paese UEM" -- MA LEI 48, UN MODO APPENA APPENA PIU' CHIARO DI SCRIVERE NON LO PUO' TROVARE? LUMEGGIA , ATTINGE ....MA CHE VOR DI'???

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    1. Ha ragione: non riesco a resistere. Nel caso specifico, però, suvvia, sono termini abbastanza chiari e non particolarmente inconsueti o, peggio, incomprensibili.
      Ma se proprio non ce la fa, perderò un lettore distratto, legato ad un conformismo lessicale fine a se stesso e non nuovo a sortite che rivendicano la banalità confodendola con la chiarezza.
      E che, in realtà, dissente dai contenuti per una sua probabile posizione preconcetta.
      Mi faccia il piacere, "si perda".
      Me ne farò una ragione. Anzi, me la sono già fatta...

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  4. A proposito di "capacitá personale di iniziativa, creatività e realizzazione", auspicata in "una società liberata dall'ossessione della crescita", ci sovviene questo esempio divenuto vero "cavallo di battaglia", negli ultimi tempi:
    "I ricavi di Uber dipen­dono da una rete di migliaia di auto­mo­bi­li­sti che tec­ni­ca­mente non sono dipen­denti della società ma piut­to­sto sono appal­ta­tori auto­nomi"
    Per vedere quanto questi si sentano liberi, felici e compartecipi del "nuovo modo di vedere il lavoro":
    http://ilmanifesto.info/sotto-il-nero-cofano-di-uber/

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    1. APPPPPROPOSITO DI UBER

      Dei presupposti che sottengono [dal lat. subtendĕre, tendere sotto, corda tra due punti di una circonferenza ... :-) ] il liberismo, il ritorno alla GIUNGLA risulta fondamentale affinché possa affermarsi la naturale competizione darwiniana che decreta la sopravvivenza del più forte, del più efficiente, del più efficace.

      Una GIUNGLA resa tanto necessaria per giustificare e sostenere l’evidente scollamento tra l’emisfero destro e sinistro di un “muscolo” superfluo di quanti, gli uni e gli altri, che avrebbero il compito di coordinare il governo di comunità civiche e civili.

      Una GIUNGLA artatamente (spec., in modo forzato) sostenuta per aver polpa da spolpare e per manifestare l’evoluzione di una specie che neppure la Natura matrigna ne ha permesso privilegio e supremazia.


      Ps: noto che monta (der. da monte, andare sul m., muovere verso un luogo più alto; salire, m. a cavallo, m. sulla bicicletta) una certa dose di insofferenza e intolleranza, c’è da continuare a far filosofia e poesia.
      Tiremm innanz!

      Pss: apppproposito di “tiremm innanz”, oggi sinonimo di “necessaria” indifferenza e dell’ “obbligata” accettazione di zia T.I.N.A., è originariamente l’esatto opposto.
      E’ riferita a Amatore Sciesa – patriota repubblicano durante la repressione austriaca di Radetsky dopo le 5 giornate di Milano del ’48 – che, fatto passare sotto le finestre di casa prima della condanna a morte, viene “invitato“ alla collaborazione in cambio del rilascio.
      Amatore – colui che ama – senza dubbio alcuno, viene fucilato il 2 agosto 1851 a Porta Vercellina

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  5. Una rassegna che illustra, in termini mirabilmente chiari e terribilmente crudi, il basso livello cui è scesa la stampa italiana.
    Un'informazione che ha tradito se stessa, che ha ridotto il giornalismo all'agit-prop e che ha trasformato i giornalisti da investigatori della realtà ad un branco di ignoranti che si dedicano alla denigrazione di persone e/o categorie sociali, alla proclamazione della dittatura del luogo comune ed alla diffusione di veline di regime. Il tutto coperto da un'interpretazione ipocrita e distorta del principio della libera informazione, in base alla quale il giornalista ha ragione a priori indipendentemente da quello che scrive, con l'onere della prova sempre ed integralmente scaricato sulla controparte.

    Non so davvero se questa gente crede alla professione che esercita. Se fossero vivi, che so, un Tobbagi o un Siani, gli piacerebbe questo giornalismo? Io credo di no.......

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    1. Sicuramente non si autoprecepiscono come agit prop e credono che sia normale riportare interpretazioni e teorie economiche che riflettono il mainstream in modo assolutamente prevalente.
      Probabilmente neppure si domandano se esistano versioni differenti dal mainstream stesso, liquidandole al più come bizzarre e "obsolete".

      Quanto questo sia "libera informazione" dipende dalle...risorse culturali cioè dalla consapevolezza e dalla voglia di capire senza precomprensione che ne consegue, "spine" a noi ben note.

      Il tuo interrogativo finale è edificante: ma non so se i tempi e le vicende "sistemiche" intercorse siano tali da consentire una comparazione omogenea dei rispettivi contesti. Cioè chissà? Non sarei così sicuro, con tutto il rispetto alla memoria, che non gli sarebbe piaciuto, se avessero continuato ad essere immersi nella gigantesca macchina mediatica del riduzionismo pop, spinnata dai controllori finanziari.

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    2. Qui torna attuale perfino quanto disse Depretis in un dibattito sulla libertà di stampa nel parlamento piemontese. Era il 1852, ed egli diceva: "[...] perché l'opinione pubblica possa formarsi, è necessaria una stampa libera che non sia cioè proprietà esclusiva e prevalente di una parte politica o sociale. Poiché se una maggioranza legale del Paese avesse in mano lo
      strumento della stampa in modo esclusivo, le manifestazioni della opinione pubblica verrebbero qualificate reati".

      Da notare l'attualità del pensiero: "parte sociale" è anche il mondo finanziario, che, guarda caso, oggi controlla economicamente una stampa non più libera. Con tutte le conseguenze del caso......

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    3. Controlla direttamente o indirettamente...(stimolando i media ad essere più realisti del re).

      Piuttosto, i tuoi preziosi "estratti" dalle cronache della storia italiana pre-fascista ci dicono, (come già le ricostruzioni di pensiero politico-economico ad opera di Galbraith), quanto siano inevitabilmente riproducibili queste dinamiche di controllo e di riaffermazione gerarchica delle classi dominanti.
      E quanto sia sopravvalutata - o fuorviante- la variante "progresso tecnologico" nel cercare di ridefinire in "forme nuove", (le riforme), gli assetti effettivi della società borghese: le alterne vicende nel dominio più o meno "sfrenato" delle classi economiche capitaliste (variandone la vocazione finanziaria o manifatturiera, secondo i tempi), determinano una dialettica con la democrazia costantemente riproponibile.

      Ed allora, anche la riproposizione del tema della /de)tutela del lavoro non è affatto nuova, nè giustificata da nuove esigenze; quelle che si vogliono restaurare sono dinamiche vecchie, molto più vecchie, se c'era bisogno di ridirlo, del modello di democrazia costituzionale tanto detestato. Di questi tempi...

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