1. Il modo in cui si sta sviluppando la crisi dell'area euro, ci pone di fronte alla verifica empirica del frame teorico-politico cui tale area è ispirata. Possiamo definirlo un frame ordoliberista ovvero semplicemente neo-liberista: la distinzione è solo tattica, come abbiamo visto, cioè di adattamento storico e geo-politico alle condizioni concrete in cui il neo-liberismo assume il controllo istituzionale della società.
Krugman (qui, tradotto da vocidall'estero.it) ci porta ad una riflessione su questo argomento, con una delle sue analisi relative alla vicenda "Grecia".
In questo caso, il nodo è la capacità di resistenza del governo Tsipras nella trattativa sul debito e sulla condizionalità imposta dal famoso memorandum. O meglio il punto "era" questo: si tratta infatti di un'analisi compiuta ai primi di febbraio, quando non si era ancora ben compreso quali fossero i rapporti di rispettiva forza tra le parti del negoziato, per lo meno in funzione di quale posizione (ad adjuvandum) avrebbero assunto proprio gli USA, cioè se avrebbero spalleggiato i greci o l'Eurogruppo e la trojka.
2. Ma il punto al tempo sollevato da Krugman rimane interessante. Egli poneva la questione in questi termini:
"Perchè, quindi, la faccenda va in ebollizione? In parte perché “ciò
che tutti sanno” non è mai stato spiegato agli elettori del nord Europa,
per cui l’ora di riconoscere la realtà dei fatti è rimandata a una
qualche data futura. In parte anche perché ho il sospetto che i
creditori si attendano il solito rituale dei governi debitori che
abbandonano miseramente, in nome della responsabilità, le promesse fatte
in campagna elettorale, e restano quindi in attesa che il nuovo governo
greco paghi il consueto tributo dell’umiliazione.
Ma, come ho detto, stavolta la dinamica è molto diversa.
Sono convinto da tempo che Matthew Yglesias
abbia centrato un punto molto importante quando ha notato che i
politici dei paesi piccoli in genere hanno degli incentivi personali ad
assecondare le richieste della troika, anche se questo vuol dire
andare contro gli interessi del loro paese:
“Normalmente si può pensare che la soluzione migliore per il Primo Ministro di un paese sia quella di tentar di fare delle cose che rendano più probabile la sua rielezione. Per quanto le prospettive siano desolanti, questa è la strategia dominante. Ma in un’era di globalizzazione e di EU-rizzazione, penso che i leader dei paesi piccoli si trovino in una situazione piuttosto diversa. Se quando si lascia la carica si è riusciti a ottenere la stima dell’establishment di Davos, allora c’è sempre un posto alla Commissione Europea, o al Fondo Monetario Internazionale, o in qualche carrozzone del genere, al quale si può accedere anche se si è assolutamente disprezzati dai propri compatrioti. Anzi, in un certo senso essere odiati sarebbe un pregio. La dimostrazione ultima della solidarietà nei confronti della “comunità internazionale”, sarebbe di fare quel che vuole la comunità internazionale, anche di fronte ad una forte resistenza da parte dell’elettorato del proprio paese.”
Ma un vero governo di sinistra, a differenza di uno di
centro-sinistra, è molto diverso — non perché le sue idee politiche
siano folli o selvagge, perché non lo sono, ma perché i suoi funzionari
non saranno mai tenuti in grande stima dall’establishment di Davos.
Alexis Tsipras non entrerà mai in un Consiglio di Amministrazione
bancario, né diventerà presidente della Banca dei Regolamenti
Internazionali, o magari commissario europeo. A Varoufakis non piace
nemmeno mettere la cravatta — cosa che, consapevole o no, è un modo
per dichiarare visibilmente che non ha nessuna intenzione di giocare al
solito gioco. I nuovi leader greci avranno successo o falliranno, sul
piano individuale, in base a ciò che succederà in Grecia. Non ci saranno
premi di consolazione per un fallimento convenzionale."
3. La citazione di Matthew Iglesias illustra un meccanismo di "sociologia del potere" che collima con quanto, in termini analoghi, abbiamo descritto qui:
"...in
un ambiente (ri)globalizzato, e più che mai
liberoscambista-finanziarizzato, ..."uomini d'affari" provenienti dal
mondo delle grandi banche universali, o in esse approdati da specifici
percorsi accademici e/o governativi, sono sempre più indistiguibili dai
vertici istituzionali degli organismi che governano i processi
sovranazionali di decisione politico-economica (direi, politica
tout-court).
E
questa anomalia (per i parametri della imparzialità dell'esercizio
delle funzioni di governo, sancita dalla nostra Costituzione) non può
che acuirsi, in tali condizioni, perchè si verifica un'eccezionale
concentrazione di potere: essa caratterizza la nostra epoca anche più di
altre, configurando una piramide gerarchica che disarticola- in un
modo che non ha precedenti, se non nel...medioevo-, il concetto
(centrale, negli ordinamenti costituzionali democratici) di interesse
generale (non di "bene comune": vi prego, non arrendetevi alla
terminologia ingannevole proveniente da questa stessa matrice
culturale!).
Tale
è l'accentramento di potere istituzionale in questi soggetti che, il
loro potere di influenzamento, che è poi un potere supremo di indirizzo e
di creazione normativa vincolanti, viene ormai esercitato a doppio e
intrecciato titolo: come eminenti uomini d'affari (spesso divenuti tali
in un percorso di induzione reciproca tra i due piani, istituzionale e
privato-professionale) e, aggiuntivamente, proprio in conseguenza di
ciò, come legittimati preferenziali alla titolarità delle cariche di
governo sovranazionale (e per la verità, anche nazionale, laddove lo
"stato di eccezione" riemerga periodicamente nella vita dei sinigoli
Stati nazionali assoggettati al vincolo sovranazionale)."
4. Dov'è che la previsione di "inattaccabilità" di un "vero governo di sinistra" fatta da Krugman - ad una sostanziale forma di "corruzione da parte dello straniero" (art.246 cod.pen.) ovvero di "infedeltà in affari di Stato", (art.264 cod pen.)- mostra la sua fallacia?
Non certo nel fallimento del tentativo di corruzione o di suscitare la "infedeltà" nei negoziatori greci, cosa che, allo stato di quanto sappiamo, è probabilisticamente corrispondente al vero.
Il vero punto debole sta in un altro meccanismo, la cui premessa fenomenologica riposa su questa caratteristica del controllo liberista, una volta instaurato:
"(nel regime liberista)...processo elettorale e opinione pubblica sono due cose distinte, o meglio, il controllo esercitato sulla seconda costituisce la pre-condizione di ammissibilità del primo.
Coloro che soprassiedono saldamente alla conformazione dell'opinione pubblica, però, devono inderogabilmente essere espressione di quella Tradizione, (per la
verità molto recente...), che estrinseca e autentica ciò che può legittimamente costituire la Legge, ma avendo la sua origine nel mondo pre-istituzionale e superiore al processo elettorale.
Questa predeterminazione a priori della Legge, da parte di una oligarchia insita nell'ordine naturale delle cose, fa in modo che la
"legislazione" (cioè il prodotto istituzionale dei governi-parlamenti
designati elettoralmente) sia sempre perfettamente conforme alla Legge a gli interessi della stessa oligarchia "naturale".
...Il sottinteso (cioè, tale da non dover essere manifestato espressamente ai soggetti che lo subiscono) presupposto elitario di esercizio del potere politico-istituzionale,
come appare evidente, rende il processo elettorale (solo) un metodo di
rafforzamento del potere di condizionamento dell'opinione pubblica. Cioè
l'esito del processo elettorale deve essere costantemente una sua mera conseguenza.
Al punto che permette di elaborare un ulteriore camuffamento della vera titolarità del potere supremo di decisione politica: il concetto di mercato, impersonale e svincolato dall'individuazione di una qualsiasi categoria sociale di essere umani.
L'oligarchia-elite,
detentrice del potere di fissare la Legge al di sopra di ogni
istituzione sociale (elettiva o meno che sia), trasforma in una meta-necessità incontestabile (come le trasformazioni climatiche o gli eventi meteorologici o terremoti e cicloni), il "governo dei mercati". "
5. Questo è dunque il punto debole della posizione di Tsipras: una volta entrati nell'UE-UEM, anzi proprio a causa di questa decisione, l'asse della democrazia è per sempre sfalsato(p.7). Il processo elettorale sarà diretto sempre e solo a rafforzare il condizionamento dell'opinione pubblica che precostituisce la "effettività" del potere di controllo liberista.
In altri termini, Tsipras ha dovuto adeguare la sua offerta politica al controllo liberista (se pure ha compreso di trovarsi di fronte a questo fatto compiuto) e, pertanto, per vincere le elezioni ha dovuto evitare di evidenziare che la scelta di adesione all'UE-UEM aveva già irreversibilmente compromesso gli equilibri della democrazia costituzionale greca, rendendola una mera forma, "idraulicamente" strumentale a tale controllo (dell'ordine internazionale dei mercati).
Se la sua offerta politica fosse stata nel senso di rivelare questa verità presupposta, la predeterminazione dell'orientamento dell'opinione pubblica non gli avrebbe consentito di vincere le elezioni. Sappiamo infatti come, sicuramente al tempo delle elezioni e, a quanto pare, tutt'ora, i greci siano favorevoli in maggioranza a permanere nell'Unione e persino nella moneta unica.
6. Insomma, le elezioni si possono vincere solo assecondando la "precomprensione" (mediatica) di un'opinione pubblica precostituita dal controllo neo-liberista. Se non lo si facesse, si deve supporre, non si vincerebbero le elezioni.
Se poi, vinte le elezioni, si decidesse di essere incorruttibili da parte dello "straniero"(art.246 cod.pen.) e di rimanere "fedeli" al mandato di negoziare nell'interesse nazionale (art.264 cod.pen.), ci si troverebbe costretti, dalla logica inevitabile degli eventi, a rinnegare quello stesso "vincolo esterno"- così decisivo nel disattivare la democrazia (e precostituire ogni possibile esito del processo elettorale in conformità al vincolo): ma allora, si andrebbe incontro a un calo di consenso vistoso, perdendosi l'appoggio della maggior parte dell'elettorato.
Per questo, quindi, neppure vale la pena di tentare di "comprare" i recalcitranti a prendere atto del controllo neo-liberista penetrato all'interno degli Stati democratici attraverso il "vincolo esterno". Non è, come ipotizza Krugman, questione di outsiders che non potrebbero mai trovarsi nella situazione di vantaggio promessa o ventilata in cambio del condurre la trattativa in favore dei creditori esteri.
E' invece solo questione di aspettare, per i negoziatori di parte avversa: essi possono contare sul fatto che non si può sostenere l'interesse nazionale (democratico) senza fare i conti con l'irreversibile democrazia idraulica ormai instaurata.
7. Forse, ma molto "forse", le cose sarebbero potute andare diversamente se Tsipras avesse vinto le elezioni dicendo con chiarezza, ai suoi elettori, che solo sottraendosi al vincolo esterno sarebbe stato possibile ritornare alla famosa tutela delle classi deboli e a un minimo di democrazia sostanziale.
Ma in tal caso, avrebbe rischiato non solo di contraddire tutto quanto sostenuto prima di allora nella sua traiettoria politica (perdendo voti solo per questo), ma anche di trovarsi a dover fare un lunghissimo (e probabilmente "non convinto") lavoro di informazione e di riconversione della percezione della realtà politico-economica da parte dei greci. Trovandosi però contro, in modo compatto e senza distinzioni di colore politico, tutto il sistema mediatico "ufficiale", come tale, decisivo.
Insomma, come avevamo detto:
"Il risultato è uno e uno solo.
All'interno
del vincolo dei trattati, essendo esclusa la possibilità giuridica
della piena democrazia nazionale, dovranno dunque accedere al governo
solo partiti che si dichiarino compatibili con ordoliberismo e metodo
della democrazia idraulica."
8. Va aggiunto che le alternative sono:
a) un lavoro di rivelazione della realtà economico-politica relativa al "vincolo esterno", portato avanti con inflessibile impegno nel senso di bypassare il condizionamento mediatico e riportare il problema della democrazia al centro delle priorità dell'opinione pubblica (ipotesi "donchisciottesca");
b) un'offerta politica che rinneghi la moneta unica in sè considerata (cioè, perchè manifestamente disfunzionale), ma non intacchi fondamentalmente il controllo sociale neo-liberista, cioè che continui a voler predicare riduzione del welfare, lavoro-merce e politiche fiscali solo sul lato dell'offerta (ipotesi "national" tea-party, meta-euristica...);
c) un combinato ambiguo delle prime due ipotesi, sapendo che si rimarrà a lungo all'opposizione; e che, probabilmente, i mutamenti istituzionali, nel frattempo divenuti inevitabile "urgenza" sostenuta dai neo-liberisti, potrebbero non consentire più un ruolo effettivo a qualunque opposizione (ipotesi della cosmesi all'interno della democrazia idraulica).
Questo, almeno, rebus sic stantibus...
Fermate il mondo, voglio scendere.......!
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