mercoledì 25 novembre 2015

"LA COSTITUZIONE NELLA PALUDE" E IL CESPUGLIO SULL'ORLO DEL BARATRO




http://www.corrispondenzaromana.it/wp-content/uploads/2013/01/NOBEL-UE-2012.jpg

1.Gli incidenti militari al confine tra Siria e Turchia gettano un'ombra inquietante sulla possiblità che l'Occidente sia in grado di gestire pacifiche e proficue relazioni internazionali proseguendo nel sistema istituzionalizzato nei trattati oggi vigenti, in testa ONU e NATO.
Il nuovo libro "La Costituzione nella palude" evidenzia come i trattati europei, nella loro intera evoluzione culminata nel trattato di Lisbona, siano, più che mai, figli di quel quadro internazionale nascente dalle contrapposizioni di blocchi seguita alla seconda guerra mondiale
Ma nessuno si è poi domandato il senso della conservazione, anzi dell'irrigidimento, di quel sistema delle relazioni internazionali, una volta che si sia affermata la trasformazione mercatista che lo ha alterato irreversibilmente. 
E' una questione di "credibilità" che non può essere affermata solo attraverso il controllo mediatico e la manipolazione dell'opinione pubblica: un nuovo nichilismo, paludato da ideali logori e ripetuti senza alcuna convinzione, si è impadronito delle istituzioni di governo dei protagonisti più importanti delle relazioni internazionali. E i paesi "minori" subiscono questo nichilismo come un condizionamento del tutto scontato e "dovuto", senza avere più alcuna difesa immunitaria per resistere e preservare il bene dei propri cittadini.

2. Per quanto la "posticcia" legittimazione nella pace e nella cooperazione in Europa sia ancora oggi goffamente richiamata per affermare la "necessità" della federazione europea, questa è in realtà divenuta, secondo il programma ordoliberista che vi è rigidamente realizzato, uno Stato di polizia dei mercati. 
L'evoluzione degli equilibri internazionali registratasi negli ultimi due decenni (proprio quelli in cui si afferma con inarrestabile volontà di potenza il paradigma €uropeo), mostra che il quadro dei trattati successivi alla II guerra mondiale, appunto ONU, NATO, ma anche FMI, WB, OCSE e lo stesso WTO, siano strutturalmente inadeguati a garantire la cooperazione e il benessere (sociale ed economico) nei rapporti internazionali stessi.

3. La sempre più evidente crisi europea conferma questo quadro evolutivo: l'ideologia neo-liberista che ormai pervade le principali istituzioni internazionali rivela il suo volto della instabilità e della insostenibilità di "rapporti di forza" sempre più aggressivi e sempre meno solidali e incapaci del benché minimo dialogo tra Nazioni (delle quali, anzi, viene sempre più negata la legittimità, in nome di una frenetica affermazione del mondialismo neo-liberista).
La crisi europea, in fondo, è solo la conseguenza della crisi più generale e profonda del sistema internazionale sopra evidenziato: un esperimento di fusione a freddo, incentrata sul "governo dei mercati" e presidiata dalla valuta unica, diviene ora il sintomo eloquente della impraticabilità di un ordinamento internazionale senza la democrazia e che rinnova il conflitto sociale, ignorando ogni  soluzione ad esso in nome della mondializzazione del lavoro-merce.

4. Oggi l'€uropa è un figlio degenere, nato in provetta, dell'idea che il mondo possa essere governato solo da standard e automatismi, autoapplicativi, di tutela degli interessi della finanza e della grande industria transnazionali: evidente, dunque, è l'alterazione ormai totale degli scopi essenziali per cui nacquero le istituzioni che oggi governano i rapporti politici ed economici internazionali.  
L'Unione europea, come punta avanzata di questa "cultura" del supply side (che neppure i liberisti dell'800 avrebbero pensato di portare ad una tale inesorabile "efficienza"), dunque, si trova come un cespuglio sull'orlo di un baratro, le cui radici siano rese poco profonde da un continuo smottamento del terreno.

Il secondo libro per la democrazia: LA COSTITUZIONE NELLA PALUDE

5. Nell'ottica di questi problemi epocali, vi riporto l'indice de "La Costituzione nella palude" perchè è stato appositamente redatto in modo da costituire un abstract del libro. 
Da esso, in sintesi, emergono tutte le criticità che compongono il quadro drammatico, nazionale e internazionale, che ci troviamo a fronteggiare e che ho appena tratteggiato.   
Molte, moltissime, voci consapevoli sono oggi una necessità e un'urgenza assoluta per riportare la democrazia e la ragionevolezza al centro delle nostre vite.
Spero che la lettura del libro possa essere una spinta in questa direzione.
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   "13 Capitolo primo. L’Italia e la sua crisi epocale
13 Che cosa sta veramente accadendo?
15 Abbiamo risolto o aggravato i nostri problemi? L’emergenza permanente,
18 La misura del successo va rapportata a uno scopo non apertamente dichiarato… ma “programmato”.
20 2. Le ragioni della trasformazione in atto e la pretesa al superamento della democrazia costituzionale.
22 I nodi vengono al pettine e, sempre più, dipanarli spetta alla Corte costituzionale.
23 Due idee trainanti: l’abrogazione tacita della Costituzione e l’inerzia delle soluzioni precostituite a livello europeo.
25 La Costituzione “superata” e un nuovo Potere Costituente extralegale: il “vincolo esterno”.
27 3. Un riassunto schematico delle questioni e degli strumenti
che il cittadino comune “dovrebbe” comprendere.
29 Una complessità abilmente costruita oscura l’eguaglianza sostanziale e la democrazia partecipata.
31 L’appartenenza all’Unione europea non implica l’adesione all’euro: la religione della “scelta irreversibile”.L’incombente prospettiva del Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP).
33 La coincidenza tra euro e Unione europea come implicito
inter esse dei banchieri (centrali e non).
36 Il recesso da un trattato secondo le previsioni generali del diritto dei trattati… e il recesso dalla moneta unica “secondo” lo stesso trattato.
38 Regolazione europea dei “mercati” e “privatizzazioni” del settore pubblico, accomunate dal favore per il grande gruppo industriale privato a forte impronta finanziaria.In nome dell’abbattimento del debito pubblico…
40 Privatizzazioni, politiche di bilancio, tributarie e del lavoro divengono serventi della moneta unica.
p. 41 Inseguimento a livelli crescenti di gettito tributario, problema demografico e “output-gap”: il “bias”deflazionista
46 4. Unione monetaria e Unione europea: le difficili alternative (?) di un futuro ingestibile. L’incertezza del diritto è direttamente proporzionale alla rigidità di un modello macroeconomico fuori controllo.
48 Quale che sia la via d’uscita, si dovrebbe comunque concludere un nuovo trattato.
49 E i nuovi trattati richiedono anni di negoziati: l’importanza del previo recupero della sovranità monetaria.
50 Non a caso il Regno Unito…
52 Non arrivare impreparati agli eventi. E rammentare le condizioni (costituzionali) per la piena occupazione.
54 In gioco è la democrazia “necessaria”. La Costituzione, cioè la sovranità, è al di sopra delle oligarchie e della democrazia “idraulica”.


58 Capitolo secondo. La Costituzione democratica del 1948 e la sua difficile sopravvivenza nell’era del  neo-liberismo europeista
58 1. Cosa significa che la Repubblica è fondata sul lavoro. Introduzione ai lavori della Costituente e alla loro interpretazione autentica… cominciando da Calamandrei.
61 Il fondamento lavoristico e il cedimento al marxismo come reinterpretazione a posteriori.
63 Calamandrei “nipotino di Stalin”? No, semplicemente credeva nel popolo sovrano.
65 I primi quattro articoli della Costituzione come una progressione di norme in stretta connessione.
67 2. Una selezione ragionata dei lavori dell’Assemblea Costituente: principio lavoristico e scelta consapevole di un modello di “equilibrio” economico e sociale.
68 Un problema di informazione: la reinterpretazione della Costituzione facendo prevalere la mitologia, mediatica ed extralegale, delle “riforme” e della “globalizzazione”.
71 L’azione costituzionale dei pubblici poteri come realizzazione obbligatoria del principio lavoristico.
72 Dossetti e Moro: la chiara distinzione tra obblighi (assicurativi solidali) di tutela del lavoro incombenti sullo Stato e il riconoscimento della tutela collettiva mediante le associazioni sindacali.
p. 75 E Lucifero e Togliatti convergono…
76 Lo Stato tra tutti i fattori della produzione predilige il lavoro: la convergenza umanistica.
78 Una convergenza che testimonia l’intesa profonda dell’intero Paese, al tempo della Costituente.
80 L’originaria chiarezza sul legame tra “intervento dello Stato nella produzione” e effettività del diritto al lavoro.
81 Nel plenum emerge la connessione inscindibile tra diritti fondamentali e Costituzione economica: la dignità umana, espressa nella condizione del lavoro, è solo “comunista”? Non “speranze”, ma “impegni”.
87 Il superamento della contrapposizione tra Stato e individuo nella sovranità democratica.
91 Ghidini e la profezia sulla futura possibile prevalenza delle “forze regressive”: “le leggi sono fatte in previsione del peggio” e il diritto al lavoro è una “realtà della coscienza universale”.
96 Ruini, la scelta antiliberista della Costituzione: la presa d'atto del fallimento de «l’edificio teorico della scienza creata dall’Ottocento»
101 Considerare abrogata, o priva di effetti obbligatori per lo Stato, la Costituzione economica, significa ri-degradare a mero auspicio il diritto al lavoro.

103 La sostenibilità del welfare come problema “europeista”, che assolve lo Stato dall’obbligo costituzionale di perseguire la piena occupazione. Il ribaltamento della prospettiva costituzionale determinato dai “trattati”.
106 3. Una prima sintesi ragionata dello stato dell’analisi giuridica rispetto al diritto al lavoro e alla sua connessione con la Costituzione economica. La voce di Pietro Barcellona e le “anticipazioni” di Giuseppe Guarino. Flexicurity e “reddito di cittadinanza” in rapporto al modello costituzionale.
109 Il “Reddito di cittadinanza” come soluzione extracostituzionale che implica la rinuncia alle politiche
di pieno impiego, obbligata dallo status quo imposto dai trattati.
112 L’assoluta preminenza europea dei principi di austerità fiscale non è negoziabile. O reddito di cittadinanza o pensioni e sanità pubbliche (la “terza via” è solo un’illusione…).
115 Le voci di illustri studiosi di diritto pubblico sulla questione europea; “ieri” e nel corso del tempo.
p. 117 La trasformazione dello Stato costituzionale indotta
dalla moneta unica (e dagli stessi “criteri di convergenza”): il “non-Stato” post Maastricht, nella “concorrenza tra sistemi” e la “corsa affannosa” verso un “traguardo impossibile”.
122 4. Considerazioni riassuntive del discorso giuridico ed economico in tema di attuale “effettività” del modello costituzionale.
126 L’abrogazione tacita della Costituzione come processo “naturale” di affermazione del “nuovo ordine” europeo. L’ostacolo dei “controlimiti” affermati dalla Corte costituzionale. Privi di risvolti pratici?
128 L’attenzione per le geometrie istituzionali e il mercato del lavoro “dimenticato”. La “profezia” di Luciani e la “incomprensione” della moneta unica.
132 La nuova direzione del pensiero giuridico e il nuovo Potere Costituente del “condizionamento dei mercati” nella “economia globale”
134 5. I concreti effetti della disattivazione del modello costituzionale a opera del vincolo dei trattati europei: limiti fiscali, risparmi, sistema bancario e la scissione dai diritti fondamentali legati al principio lavoristico.
136 Il mistero del superamento delle “perplessità” nella “corsa” verso l’euro. La crisi inevitabile che i forti non hanno alcuna convenienza a risolvere.
140 Ma allora il problema di compatibilità costituzionale, de jure condito, si poneva fin da Maastricht…
141 Mancavano le “condizioni di parità”.

142 Il free-trade e la competizione commerciale tra Stati non perseguono la pace e la giustizia tra le Nazioni.
143 Non “cessioni” ma “limitazioni”, condizionate e giustificate, della sovranità.
147 La crescita export-led all’interno dell’eurozona: la vera funzione dei saldi primari del bilancio pubblico e la  insostenibilità di tale traiettoria.
149 Una traiettoria insostenibile e contraria alla Costituzione “anche” per i suoi effetti redistributivi.
 

151 Capitolo terzo. Le radici ideologiche e politico- economiche della costruzione europea. La grande restaurazione neo-liberista: ordoli-berismo e modelli di neo-democrazia “idraulica”
p. 151 1. Il neo-liberismo come modello “naturale” del federalismo europeo. Le origini tra l’ordoliberismo tedesco e l’intuizione di von Hayek sulla dispersione della sovranità 

155 Un «biopotere antidemocratico»…
156 La strategia europea dell’ordoliberismo: la frantumazione progressiva, ma inevitabile, della sovranità in una inconciliabile “diversità di interessi” tra Stati-nazione.

159 2. L’ordoliberismo e la sua programmatica realizzazione nei trattati europei come processo unificante e “necessitato”.
161 Neo-liberismo, ordoliberismo e i vari “totalitarismi”: l’idea che la libertà coincida (solo) col “mercato”.
166 L’approvazione delle Costituzioni democratiche come ostacolo alla “grande idea” del neoliberismo. La Scuola di Friburgo prepara la rivincita del “mercato”.
168 La “lunga marcia” dell’ordoliberismo federalista: il pensiero di Roepke e la natura tattica della “terza via”.
171 La tutela dei consumatori come versione “sociale” del neo-liberismo per rafforzare un modello socio-economico basato sulla prevalenza dei “mercati”. L’ideale astratto della concorrenza perfetta tra politica monetaria severa, mercato del lavoro e ambientalismo. La realizzazione nei trattati europei.

175 3. Ordoliberismo trasversale o “consociativo”:
la migrazione verso i partiti socialdemocratici.
177 L’identificazione dello Stato sociale “interventista” col “collettivismo” da abbattere e la funzione
di consenso della “lotta all’inflazione”. L’interpretazione “autentica” di Draghi.
180 La stagione europea ordoliberista come trasversale a partiti “conservatori” e “progressisti”, accomunati da “libero mercato” e avversione al sindacalismo (fin dal Manifesto di Ventotene).
183 Il “metodo Juncker” e l’economia “sociale” di mercato per rendere appetibile… ciò che non si comprende.
184 4. La tradizione italiana: le correlazioni europeiste tra ordoliberismo, Einaudi e il Manifesto di Ventotene.
185 Liberalismo come dottrina economica in sé autosufficiente e “naturalisticamente” completa: cioè “liberismo tout-court”
189 La disputa tra Croce ed Einaudi. E la sua proiezione “europea”. Il senso della “pace” dell’internazionalismo liberoscambista e la figura di Coudenhove-Kalergi.
p. 193 Einaudi e gli Stati nazionali “esistenti” come “polvere senza sostanza”.

194 Einaudi e la “flessibilità” politica realizzativa del neo-liberismo.
197 Le “unità statali superiori” da Einaudi al Manifesto di Ventotene.
198 Il Grande Stato sovranazionale pacificatore e il raccordo con von Hayek.

202 5. Le implicazioni dell’originario pensiero liberista sulla concreta realizzazione dei trattati europei.
La scottante attualità di tale visione nell’Unione monetaria di oggi.
204 Il pensiero di Einaudi, in chiave attuale, sui temi “federalisti”, internazionalisti e… monetari.
207 Profezie realizzate nei minimi particolari nel presente dell’eurozona.
 

211 Capitolo quarto. Trattati europei e modelli economici globali: l’equilibrio della sotto-occupazione, la finanziarizzazione e la “stagna-zione secolare” come effetti istituzionali
211 1. Le conseguenze economiche dell’ordoliberismo istituzionalizzato.

212 Un preliminare schema di principi-guida utili per comprendere la “complessità” giuridica, apparentemente indecifrabile, dei trattati.
215 Uno schema condiviso della dottrina giuridica liberista.
216 L’essenza economica da preservare: deflazione e mercato del lavoro flessibile.
218 2. La negazione liberista del concetto di crisi: il paradosso delle “soluzioni” e il paradigma della crisi permanente. Lo Stato non è come una famiglia!
222 Se lo Stato non è una famiglia e lo spreco è un concetto “relativo” di distorsione della spesa pubblica, limitare il bilancio dello Stato rimane uno strumento servente alla moneta unica.
223 Le crisi economiche “non esistono”: o esistono? Dipende: se si vuole considerare il mercato del lavoro solo come luogo di riequilibrio del “sistema dei prezzi” in assenza di ogni interferenza dello Stato, ovvero come fattore di crescita del risparmio e degli investimenti, indotta dallo Stato.

224 Il senso vero del concetto di “Secular Stagnation”.
227 Un problema molto “europeo”: l’equilibrio della sotto-occupazione può divenire stabile e…irrisolvibile, con le teorie economiche che lo inducono.
228 3. La crisi come «sano aggiustamento al cambiamento» e le origini del pareggio strutturale di bilancio.
229 Lo Stato è come una famiglia! La crisi del 1929 e l’approccio di Hoover sono tra noi, oggi.
231 Dalla crisi come “male necessario” di Schumpeter al pareggio strutturale di bilancio, sempre in attesa della deflazione salariale come unica soluzione (“aggiustamento”).
234 L’irrisolvibile problema della crescita e della disoccupazione all’interno della moneta unica attuale.
237 4. Le conseguenze sociali e politico-istituzionali del paradigma neo-liberista nell’ambito della globalizzazione trainata, in Europa, dalla moneta unica.
238 Apertura dei mercati dei capitali e la fine inevitabile del legame tra territorio, industria manifatturiera e organizzazione del consenso elettorale. La omogeneizzazione degli interessi perseguiti dagli ex-partiti di massa.
240 Gli effetti del nuovo modello sulla specifica “vocazione” industriale italiana.
243 L’analisi di Dani Rodrik: dalla dissoluzione dei partiti di massa e della rappresentatività democratica
all’astensionismo.
245 E il processo diviene irreversibile: il non-Stato sotto l’attacco permanente dei sub-conflitti sezionali e la non-élite deprivata della solidarietà.


249 Capitolo quinto. I trattati europei e il problema di compatibilità costituzionale alla luce dell’art. 11 della Costituzione
249 1. La natura generale dei trattati internazionali nei loro effetti politici ed economici. La soluzione dell’art. 1 1 della Costituzione.

249 Il diritto internazionale è governato dai rapporti di forza: la pace dei trattati è sempre quella dei più forti.
252 Le organizzazioni internazionali, specie di carattere economico, funzionano, inevitabilmente, con una “governance” tipica delle società di capitali.
p. 254 Perché i più deboli aderiscono ai trattati (specialmente economici)? Per ché sono “già” deboli: o vengono “convinti” di esserlo…
257 I trattati economici attuali come la via per una “condizionalità” crescente: la debolezza indotta, dello Stato sovrano, diviene la giustificazione etica di un “giusto” asservimento.
258 Ma tutto ciò era ben presente quando si formulò l’art. 1 1 della Costituzione.
260 La pretesa “etica superiore” delle norme dei trattati ne falsifica la natura e ostacola la loro riconduzione a equità e democrazia. Ma è un’operazione mediatica, e oligarchica, nell’interesse dei più forti: a livello internazionale ma anche nazionale.
261 La privatizzazione degli interessi perseguiti dal diritto internazionale dei trattati dietro la facciata della pace e della cooperazione: l’infiltrazione e lo svuotamento degli Stati sovrani da parte dei “tecnici” che sostituiscono la classe politica.
264 Lo svuotamento della rappresentanza politica democratica: la difesa delle Costituzioni come (unico) argine al diritto internazionale auto-applicativo a interesse privato.

266 2. L’articolo 11 della Costituzione nei lavori della Costituente e l’adesione alla Unione europea (e monetaria).
268 L’intervento di Ruini: «vi possono essere organizzazioni internazionali contrarie alla pace e alla giustizia». Per questo bisogna accertarlo applicando l’art. 11 della Costituzione.
271 Le conseguenze (dovute) di una corretta applicazione dell’art. 11 Cost. La consapevole mancata costituzionalizzazione della “federazione europea” e il vero senso delle “limitazioni” di sovranità, in rapporto all’effettiva realtà della costruzione europea.
274 Non si può spiegare il presente senza rammentare il ruolo originario, politico-strategico, della via europea al federalismo. L’interesse degli USA e la “idealità cosmetica”: «nulla pax sine Europa»?
276 La “narrazione epica” della costruzione europea oscura l’effettivo ruolo del costituzionalismo democratico, vero promotore della pace.
p. 277 L’Unione europea, col suo internazionalismo a interesse privatizzato, come portatrice di nuove tipologie di conflitto tra i popoli. Le guerre senza limiti, l’arma finanziaria globale e la guerra per bande: i prodotti della privatizzazione del diritto internazionale nell’era del capitale globalizzato.
280 E infatti si parla di “cessione” di sovranità, tipica conseguenza della sconfitta militare (“debellatio”) cui è soggetto uno Stato sovrano, invece che di “limitazione”, come previsto dall’art. 11 Cost.
281 La “limitazione” non solo deve costantemente corrispondere allo scopo della pace ma deve giustificarsi in “condizioni di parità”: economica e di impatto sociale sui cittadini dello Stato italiano.
282 Ma la pace è mai passata per l’Unione europea di Maastricht, cioè per la disparità e per vincoli e condizionalità “esterne” a forte impatto socio-economico?
285 3. Il quadro giuridico dei trattati. La distinzione tra euro ed “Europa” e le conseguenze sulla possibilità giuridica di uscita dalla moneta unica.
287 Il quadro istituzionale e sociale dei trattati e, in particolare, dell’eurozona: una società senza solidarietà e dove la “forte competizione” tra Stati è l’unico valore unificante.
291 Uscita dall’Unione e uscita dalla moneta unica, come ipotesi distinte: la seconda conforme al sistema normativo oggettivato nei trattati e, dunque, senza implicare anche la prima.

295 La procedura dell’art. 140 del TFUE ha natura «ampliativa» «a regime», su domanda dello Stato interessato, conferendogli un «vantaggio»
296 L’Unione monetaria come istituto, «auspicato» dai trattati, di beneficio per lo Stato richiedente e che, proprio in quanto beneficio volontariamente richiesto, risulta liberamente rinunziabile senza violar e alcuna disposizione dei trattati.
298 Se il beneficio non fosse rinunziabile dalla libera volontà dello Stato “ammesso” il trattato sarebbe interpretato contro lo jus cogens del diritto internazionale dei trattati.
300 La convergente analisi di Guarino.
301 4. L’uscita dal quadro dell’unione monetaria come riaffermazione della democrazia dei popoli, alla luce degli stessi trattati, e come incentivazione del libero processo negoziale paritario verso una “Nuova Europa”.
303 L’uscita dall’eurozona come realistico e concreto recupero della capacità negoziale dello Stato interessato.
305 Appendice

14 commenti:

  1. Immagino che sia spiegato nel libro (p. 277: “L’Unione europea, col suo internazionalismo a interesse privatizzato, come portatrice di nuove tipologie di conflitto tra i popoli. Le guerre senza limiti, l’arma finanziaria globale e la guerra per bande: i prodotti della privatizzazione del diritto internazionale nell’era del capitale globalizzato”), ma al punto in cui siamo è ormai sufficiente lasciare l'unione monetaria, o l'obiettivo migliore da porsi come nazione è quello di lasciare l'Unione Europea?

    Dal punto di vista pratico, poi, se l'Italia lasciasse l'unione monetaria (non importa se come primo paese o come parte di una concatenazione di eventi), potrebbe completamente distruggersi l'unione monetaria e come conseguenza, di lì a poco, l'Unione Europea stessa, visto l'investimento politico che l'Unione Europea ha fatto nell'unione monetaria. Quindi per provocare il crollo dell’Unione Europea potrebbe bastare l’uscita dall’euro, se il momento è favorevole, anche se le due ipotesi sono distinte (p. 291: “Uscita dall’Unione e uscita dalla moneta unica, come ipotesi distinte: la seconda conforme al sistema normativo oggettivato nei trattati e, dunque, senza implicare anche la prima”).

    In effetti in un commento di Quarantotto dell'estate scorsa il ragionamento era in questi termini (il grassetto è mio):

    «L'UE poi ha un genesi liberista che, non a caso, risale a Ventotene (nella versione italica...). Altrimenti, più direttamente a Hayek e, comunque, agli ordoliberisti che diedero vita ai trattati originari (ci sono vari post al riguardo)...

    Dunque, come organizzazione internazionale vive e si identifica, in modo giuridicamente costitutivo della sua personalità giuridica e della sua sostanza politica, con l'attuale trattato istitutivo: non può, sul piano giuridico e politico, quindi, pensarsi ad essa come a un contenitore variabile in funzione di persone (che, come classe dirigente non si vedono all'orizzonte, comunque), e regole diverse.

    Se non altro perché per mutare queste regole occorre, secondo il trattato, l'unanimità. Nessun accordo unanime di suo cambiamento è realisticamente pensabile, oggi e per tutto il tempo in cui l'UE stessa sarà, nefasta, ancora in vita.

    Quanto ad un diverso trattato, escludendo la Germania la vedo altrettanto difficile se posta in termini di Unione politica. La Germania deve esserci: se non ci può essere perché porsi il problema prematuro e insidioso (per i rapporti di forza che comunque nasconderebbe) dell'unione “politica”? Mica, in assenza di essa, siamo a rischio di ostilità tra Stati europei. Abbiamo anzi la prova del contrario!

    All'Europa bastano e avanzano un'unione doganale e, con molta pazienza e gradualità, nella difesa e nella politica estera, semmai le relazioni commerciali portassero a una sufficiente omogeneità di interessi (la Germania non pare averlo mai compreso, però).

    E sempre rispettando il principio di Westfalia per preservare la democrazia sostanziale: almeno finché un nuovo “popolo”, spontaneamente autoidentificandosi in lingua, cultura e valori profondi comuni, non sia sorto e non trovi storicamente "naturale" creare istituzioni politiche comuni.

    Cosa che non può nascere dalle oligarchie liberoscambiste ma dalla convergenza dei valori democratici.»

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    1. Se me lo avessi segnalato prima lo avrei inserito nel libro :-)

      Nota a margine: le istituzioni internazionali oggi dominanti lo scenario, vanno tutte avanti per forza di inerzia.
      Dunque, non è soltanto l'UE a costituire un simulacro che dissimula sostanzialmente l'autoconservazione delle burocrazie organizzative e gli interessi dominanti su cui le stesse burocrazie hanno disegnato i fini non dichiarati (ma abilmente occultati nei vati "statuti").

      Il problema dell'UE è in effetti la sua invadenza d'azione sposata a questa stessa inerzia; in partica, non possono tornare indietro, in nessun modo e correggere una traiettoria che non sono atttrezzati poi a gestire (parlo della democrazia sostanziale e del benessere).

      Possono ormai solo autodistruggersi: ma nel farlo, tenderanno a distruggere pure i popoli.

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    2. Vorrà dire che presto ci potrebbe essere una seconda edizione del libro :)

      A proposito, che dire di una edizione economica di Euro e (o?) democrazia costituzionale in formato tascabile e allo stesso prezzo de La Costituzione nella palude? È chiaro che per l’editore, specializzato in testi giuridici, potrebbe trattarsi di un formato e di una distribuzione molto diversi da quelli a cui è abituato, insomma un territorio inesplorato, però mi chiedo se all’uscita del nuovo libro possa corrispondere un rilancio del precedente. Si tratterebbe di sfruttare la scia. Che facciamo, scriviamo tutti all’editore?

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    3. E' una bella idea, ma non mi risulta che Dyke faccia edizioni economiche. Ma provo a sentire; se qualcuno gli scrive di certo può essere utile. :-)
      Ma mi chiedo se non saranno ben pochi a farlo, visto che gli interessati avranno già l'originale, in questi tempi piuttosto "demotivati"

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    4. Già che ci siamo, in termini di percorsi di lettura, quali sarebbero da consigliare per i nuovi lettori del blog? Partire da Euro e (o?) democrazia costituzionale e proseguire con La Costituzione nella palude o viceversa? O includendo altri testi ancora?

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    5. Beh sì l'ordine logico è coerente con quello cronologico: ma in linea di massima, senza una vera propedeuticità. I due testi sono certo complementari.
      L'insieme dei due libri consente di leggere proficuamente il blog a chi arriva alla n...100 puntata, direi (specie se non vuole farsi carico del compito di leggersi tutto dall'inizio)...

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  2. Considerato che l'instaurazione del nuovo (dis)ordine passa dalla immancabile neutralizzazione (non nel senso del diritto internazionale, come dovrebbe essere del tutto evidente anche ai più sprovveduti dopo gli accadimenti degli ultimi giorni), se non addirittura abolizione, dello Stato (ma forse sarebbe meglio dire: degli Stati), una più corretta definizione del regime "in via di sviluppo" potrebbe essere la seguente: anomia per il singolo Übermensch e anarchia controllata per la società.
    Se a prima vista il concetto di "anarchia controllata" può apparire paradossale, una più attenta riflessione dovrebbe permettere di inquadrarlo sotto la giusta prospettiva (di ESSI): se le regole fondamentali dell'esistenza umana devono piegarsi alla Legge naturale hayekiana, che è superiore alla legislazione empirica, dunque è in un certo qual modo arazionale, appare del tutto evidente che l'impossibile diviene possibile ("The impossible made possible", ci suggerisce da qualche tempo la divisione marketing della Coca-Cola) in quanto tale distinzione non dipende più dagli uomini e dalla loro logica, bensì, essendo "legibus" solutus - innanzitutto da quelle etiche, cui seguono evidentemente a cascata tutte le altre -, è condizionata esclusivamente dalla volontà del singolo Übermensch, che plasma la realtà intorno a sé secondo i propri capricci.
    Immagino che tutto ciò sia sostanzialmente identificabile come psicosi. A questo punto dell'analisi la domanda sorge spontanea nell'animo di ognuno di noi: è curabile?

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    1. Hai inquadrato felicemente l'Elysium prossimo (molto) venturo che stanno programmando.
      Per i dettagli:
      http://orizzonte48.blogspot.it/2015/05/dopo-la-resa-della-democrazia.html

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  3. Di seguito un elenco di fattori che mi sono appuntato per rispondere alla domanda del perché non si è fatto nulla fino ad ora per controbattere l'euroschiavismo. E perché adesso ci troviamo a essere in una delle situazioni peggiori tra tutti i paesi europei.

    In primis abbiamo il tradimento della sinistra e dei sindacati dei lavoratori, che hanno sempre propagandato un cieco europeismo come antitesi a quello che era presentato come il Grande Vecchio che aveva in mano l'Italia, cioè Silvio Berlusconi. Chi sia Berlusconi siamo tutti in grado di riconoscerlo; ma è quell'autoritarismo dal volto buono, o buonista, che i più fanno ancora fatica a riconoscere; quell'autoritarismo de sinistra che ci ha consegnato per intero, senza se e senza ma, nelle braccia dei nazisti dell'euro. E ricordo ancora gli editoriali trionfali de L'Unità diretta da Furio Colombo al momento dell'ingresso in circolazione degli euro in Italia; quegli editoriali elogiativi e leccapiedi verso tutti gli uomini e governi di sinistra che ci avevano portato in Europa, sconfiggendo quelli che i giornalisti de l'Unità chiamavano i “particolarismi” e i “razzismi antidemocratici”.
    I sindacati poi si sono trasformati in meri strumenti di rivendicazioni di categoria o di parti sociali, mantenendo i loro iscritti nell'ignoranza del quadro generale europeista (per lo più esaltato) che si andava delineando.
    In secondo luogo i mass-media e i principali quotidiani hanno fatto una propaganda serrata dell'europeismo che ci avrebbe salvato dai nostri corrotti governanti, e ricordo bene quanto Travaglio fosse considerato un mito tra tutta la sinistra alternativa che combatteva contro lo stato ladrone e corrotto.
    In terzo luogo io metterei i tassi di analfabetismo elevati del nostro paese; adesso qui non vorrei sconfinare nell'autorazzismo, perché abbiamo statistiche che attestano che la percentuale di laureati è la più bassa di tutta Europa, perché ci sono statistiche che affermano che le competenze linguistiche e matematiche degli italiani sono parecchio sotto la media tra i paesi sviluppati. Con questo non si vuole dire che gli italiani siano geneticamente inferiori, ma semplicemente si vuole affermare che il diritto allo studio, così come sancito in Costituzione, non è stato mai efficacemente applicato. Che la scuola pubblica è stata sempre sotto finanziata, che l'educazione universitaria è diventata un privilegio per ricchi. Non serve qui fare una panoramica di quanto sia indietro il nostro paese su questi punti; basta andarsi a leggere cosa fanno in quasi tutti gli altri paesi sviluppati per venire incontro agli studenti meritevoli e senza reddito. Non serve anche affermare che sovente la scuola indottrina e non è detto che anche un'educazione superiore sia garanzia di libero pensiero. Certo, se un'educazione superiore non è garanzia di libero pensiero, ancor meno lo è una scarsa o totale mancanza di educazione, con gente che è a malapena capace di leggere una lista della spesa; a meno che non si faccia totale affidamento, in puro stile decrescista antiscuola pubblica, sulle tradizioni dei nonni come succedaneo a quelle scolastiche, ma non è certo detto che tutte le vecchie tradizioni siano cose buone e giuste; ad esempio mia nonna inneggiava a Mussolini, ma chi fosse Mussolini io l'ho imparato in una scuola pubblica.

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  4. In quarto luogo io metterei lo scollamento generazionale e intercategoriale di opportunità e diritti, e quindi di percezioni della realtà subita; queste diverse realtà percepite e sperimentate hanno diviso anziché unire gli italiani. Ci troviamo di fronte a diritti che vengono erosi piano piano, e non tutte le categorie sono attaccate insieme in un'unica occasione; ci troviamo quindi di fronte a differenti esperienze della realtà.
    Il primo esempio che porto è quello tra genitori e figli, nonni e nipoti. Seppur tutto l'impianto europeista antidemocratico sia stato portato avanti con una certa lentezza, nondimeno è nell'arco di relativamente pochi anni che abbiamo avuto una netta flessione di opportunità e diritti per le nuove generazioni in confronto a quelle avute nelle generazioni precedenti. Io metterei come spartiacque l'anno 1997, anno in cui fu approvata la legge Treu. Le generazioni di padri e nonni davano per scontato la possibilità di trovare lavoro fisso e per sempre, di avere una pensione decente e un sistema sanitario tra i migliori nel mondo. Queste generazioni così invecchiate a mio avviso non si sono mai rese conto pienamente di come fossero state fortunate; siccome comunque queste generazioni, per mia esperienza diretta, difficilmente si sono formate o hanno acquisito consapevolezza sulla realtà mutante in peggio, e tanto meno si sono rese conto delle cause (per via anche del livello di educazione relativamente basso, come effetto della non effettiva messa in pratica del diritto allo studio pubblico, gratuito e di qualità anche nelle precedenti generazioni, e della degenerazione dei sindacati, che avrebbero dovuto educarli anch'essi) , hanno iniziato a colpevolizzare i figli e i nipoti (mancanza di lavoro, disoccupazione) di eventi che non erano a loro imputabili, ed i mass media d'altronde, non facevano altro che stigmatizzare i giovani bamboccioni. La categoria dei pensionati è stata infatti, fino a non molto tempo fa, quella che aveva risentito di meno del disastro economico; poi sappiamo che è arrivata la Fornero. Persone che hanno vissuto per tutta la vita con un lavoro garantito e che poi sono andate in pensione a 50 anni e che da lì hanno avuto vita relativamente facile, come fanno a capire gli sconvolgimenti capitati alle nuove generazioni? Pochi, per mia esperienza l'hanno capito, dagli altri è solo arrivato moralismo reazionario.
    Un'altra categoria che non ha realmente percepito cosa stesse accadendo è stata quella degli impiegati pubblici garantiti. Adesso non dico che tutti gli impiegati pubblici siano da condannare, ma direi che una buona fetta di loro badava solo al proprio orticello, ignara di cosa stesse accadendo intorno a loro. Eppure delle cose stavano accadendo; io ricordo grosse difficoltà sul trovare un lavoro fisso già a partire dai primi anni 2000. Adesso, se c'erano delle persone che potevano studiare cosa stesse accadendo, acquisire maggiore consapevolezza, protestare e avanzare delle rivendicazioni per tutti gli altri che, precari, erano molto più ricattabili, questi erano gli impiegati pubblici sindacalizzati e garantiti con un lavoro fisso e anche ben retribuito, che avrebbero potuto sostenere istanze e fare scioperi senza l'immediata probabilità che venissero subito licenziati. Ma cosa hanno fatto costoro? A me sembra che abbiano preferito nascondere la testa sotto la sabbia, e muoversi solo quando magari non gli venivano garantiti gli scatti di stipendio, fregandosene, in buona parte, tranne le dovute eccezioni, del resto della società. Io ricordo benissimo quando andai a raccontare la mia storia di difficoltà a trovare un lavoro e una casa ai servizi sociali; ricordo benissimo il moralismo reazionario e accusatore dell'impiegato pubblico che mi dice:”Lei non deve venire da noi a chiedere aiuto, lei deve cercarsi un lavoro; gli italiani hanno dei doveri oltre che dei diritti!”

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  5. Un altro fattore che, secondo me ha influito sulla scarsa coesione e consapevolezza e sulla solidarietà di classe, è il fatto che in Italia hanno smantellato le grosse aziende e i precari-sotto occupati erano/sono impiegati per lo più nelle piccole e medie aziende (ma poi li hanno assunti in massa anche nel settore pubblico a partire dai primi anni 2000, ma non sono mai stati considerati dai sindacati nemmeno lì); adesso io non sto facendo una valutazione in termini di efficienza delle piccole e medie aziende, sto solo dicendo che i precari sono stati polverizzati, atomizzati, distanziati gli uni dagli altri e tutto ciò, in mancanza di un sindacato che venisse loro incontro, anziché difendere solo gli interessi degli impiegati pubblici garantiti, li ha portati all'isolamento, e perciò li ha portati anche alla non completa comprensione del quadro generale; se poi si aggiunge che i precari cercavano risposte nei giornali de sinistra che credevano essere dalla loro parte, comprendiamo maggiormente il perché la consapevolezza abbia latitato.
    Last but not least in Italia vi è stata una serrata propaganda decrescista e terzomondista, che ha portato la gente a sentirsi in colpa e/o dei privilegiata anche se usava un deodorante al mattino per rinfrescarsi le ascelle, anziché essere puzzolente e contenta come gli africani, che vivendo nelle baracche, senza scuola pubblica, senza sanità pubblica, senza pensione, senza un lavoro garantito, avrebbero raggiunto una felicità interna lorda maggiore della nostra. Da aggiungere anche la divulgazione, da parte dei decrescenti, di un concetto di lavoro unicamente inteso come catena schiavista votata solamente al profitto di pochi e alla produzione di merci inutili, in ogni caso; merci che avrebbero portato alla catastrofe ecologica; da qui l'idea della disoccupazione come conquista del proprio tempo libero sottratto alla produzione di merci capitalista; da qui l'idea masochista di combattere il capitalismo per mezzo della propria disoccupazione o sotto occupazione; e di affidarsi agli scambi senza denaro, basati per lo più sul dono reciproco o sull'economia di sussistenza, come reazione di liberazione; una reazione, a ben vedere, perfettamente funzionale al sistema ordoliberista che ci vuole schiavi disoccupati-sottoccupati a basso reddito, che si affidano ai baratti e all'economia di sussistenza dei tempi di guerra come modello sociale ideale per “vivere” in un mondo dove lo stipendio non c'è più, e se c'è è talmente basso che è impossibile sopravvivere decentemente.
    Ce lo ha detto chiaramente anche il decrescista Pallante: ”Anzi penso che il difetto della sinistra sia voler estendere alle classi subalterne i modelli di comportamento di quelle dominanti: più salario per poter comprare più cose».” Capito! Il nuovo modello è quello che è brutto rivendicare più salario! Ma come mai le idee di Pallante sono così simili a quelle dei gerarchi nazisti della Commissione Europea e della BCE??
    http://www.lastampa.it/2014/01/17/cultura/tuttolibri/nei-monasteri-la-decrescita-una-via-felice-qdOuMvsfTPuS6bhC3qSRWN/pagina.html
    Naturalmente ci sono anche altri fattori che possono essere considerati, ma, a mio avviso, è importante tenere in considerazione questi eventi che ho elencato nel cercare di dare una risposta esaustiva del perché non si sia fatto nulla prima d'ora per controbattere la dittatura europeista che così tanto fedelmente è stata portata avanti dalle nostre istituzioni e accettata ciecamente dalla maggior parte dei cittadini.

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  6. ..e intanto "Loro" non mollano l'osso....

    http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2015/11/26/ue-a-italia-nodo-debito-competitivita_ec3f2d78-6183-488b-8a43-493a1aceb2aa.html

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    1. Decisamente governati da confusionario groviglio tra cause ed effetti. E ancora non mostrano di averci capito nulla.
      Si conferma quanto detto a Sergio nella 1a risposta:
      "Il problema dell'UE è in effetti la sua invadenza d'azione sposata a questa stessa inerzia; in partica, non possono tornare indietro, in nessun modo e correggere una traiettoria che non sono atttrezzati poi a gestire (parlo della democrazia sostanziale e del benessere)."

      Insomma, non "possono" mollare perchè ne va della loro stessa autogiustificazione: contro ogni evidenza di buon senso e di buona scienza.
      Almeno, dico così per dire, provassero a leggersi Dani Rodrik (se proprio Alberto Bagnai non lo capiscono o fanno finta di...): prossimamente su questi schermi :-)

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  7. Forse OT rispetto al post... non è in questo blog che si pubblicò un link che rimandava ad un documento della lobby EU sulla difesa nel quale si auspicavano più spese per la sicurezza?

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