1. Lo spunto per ri-attualizzare la questione, che troverete approfondita ne "La Costituzione nella palude", lo fornisce questo recente commento di "Stopmonetaunica":
"Se ho capito bene, quello che lei definisce consumismo senza senso è lo spostamento ordoliberista dai diritti del lavoro ai diritti del consumatore considerato come unico Dio. Se è questa la definizione che ne dà sono perfettamente d'accordo; è chiaro che i due diritti si trovano sovente in conflitto; banalmente: il consumatore vuole pagare di meno una merce, il lavoratore vuole essere pagato di più; la deflazione salariale adesso fa sì che sia anche una scelta obbligata da parte del consumatore il pagare meno le merci e nel contempo chiedere tutte le garanzie che queste merci siano prodotte con standard qualitativi alti; è quindi un circolo vizioso, un feedback negativo, che porta alla catastrofe sociale..."
2. Due piccole precisazioni: "consumismo senza senso" è una (felice) definizione non mia, ma di Rawls.
La "catastrofe sociale", in realtà, dipende da quale osservatore di consideri. Un neo-liberista, cioè in particolare un ordoliberista, vedrebbe tale schema come un virtuoso ripristino non solo del magico sistema dei prezzi, ma anche delle indispensabili gerarchie (di fatto), che devono governare la società come "Legge" superiore alla "legislazione" degli "inutili" parlamenti (quando non siano espressione del sondaggismo controllato dagli "operatori economici razionali").
Detto questo, il commento sintetizza correttamente il meccanismo già illustrato qui.
Ma vale la pena peraltro di sviluppare ulteriormente l'argomento.
Il motivo è che, quando l'ordoliberismo è culturalmente radicato, come in €uropa, e in particolare in Germania, dove tutela del consumatore e ambientalismo decrescista sono di casa, le cose vanno poi così, quando si tratta di opporsi al TTIP...per le ragioni sbagliate (anche mettendo la questione "lavoro" nel mucchio delle altre):
"Berlino, 250mila persone in corteo contro il Ttip. Paura per ogm, qualità della tutela ambientale e del lavoro"
3. Ma diciamo sbagliate non in sè (nessuno, giustamente, vuole alimenti ad effetti dannosi per ecosistema e fisiologia umana), quanto perchè, presi da un dilagante condizionamento mediatico-culturale, si combatte l'effetto: cioè, il connaturale abbassamento degli standards di tutela dell'interesse pubblico in situazione di intensificato liberoscambismo, essendo la teoria dei vantaggi comparati (cioè la giustificazione del free-trade) tanto più valida quanto più è limitato il ruolo dello Stato, possibilmente "minimo".
Dunque, ragioni sbagliate perchè, opponendosi esclusivamente in base ad esse, si impedisce all'opinione di massa di scorgere la cause e quindi la creazione di una resistenza al TTIP realmente capace di segnalare, alla politica €uropea, il temuto costo di un ampio dissenso (elettorale) che verta sulla "vera posta in gioco" con il TTIP. Vale a dire, i rimasugli dello Stato sociale (sopravvissuti all'euro e alle sue esigenze di conservazione ad ogni costo) e dei servizi di pubblico interesse essenziale non privatizzati, ma da privatizzare in accelerazione.
4, Ecco dunque una espansa illustrazione di come agisce (sull'assetto socio-economico e istituzionale), l'enfasi monopolizzatrice della tutela
del consumatore.
5. Notare: si tratta della stessa elasticità unidirezionale che viene considerata imperdonabile nel settore pubblico. E viene propugnata come imperdonabile proprio dagli stessi protagonisti di questa escalation dei compensi nel "privato".
6. Ciò che più importa è che un'apparente attenzione verso la "massa" (dei consumatori), determina, sul piano degli interessi economici prevalenti, la coincidenza della posizione degli azionisti di controllo con la tendenza degli executives ad accrescere con qualunque mezzo i propri compensi: in pratica, nei fatti, il sistema viene realizzato attraverso le periodiche offensive di tagli del personale, (anche mediante "esternalizzazione" con riassunzione dei dipendenti presso imprese esterne create ad hoc, con contratti di lavoro meno costosi, o mediante la intensa precarizzazione contrattuale dei dipendenti stessi, talora licenziati e riassunti con formule di part-time e collaborazione autonoma etc.).
In pratica, l'effetto ultimo e "massificato", è di relegare la parte debole del contratto di lavoro alla condizione di utente, naturalmente anch'esso debole, del credito al consumo, governato dalle condizioni generali di contratto imposte dall'onnipossente sistema finanziario, ovvero alla condizione di morte sociale di "non-consumatore", in quanto disoccupato o working-poor.
8. La tutela del consumatore finisce così per coprire il danno che, alla principale componente di tale massa, i lavoratori, viene inflitto in nome del "mercato": per conquistare il mercato, per rimanere sul mercato, nella competizione di volta in volta considerata in un certo settore, la forza lavoro diviene per definizione sacrificabile, in un'illusoria contrapposizione tra la forza lavoro di "settore", o di una singola impresa, e la massa volutamente indifferenziata dei consumatori.
La
premessa empirica è certo quella già sopra detta: il consumatore ha
interesse a pagare meno e a ricevere un bene di effettiva qualità (migliore
di "prima", migliore di quella promessa da una diversa impresa del
settore di mercato, comunque di qualità effettivamente corrispondente a quella
"promossa" sul mercato).
L'impresa
ha interesse ad abbassare i costi per potersi garantire la quota di mercato al
prezzo più basso offribile e/o con l'esclusiva di certe qualità distintive.
Il modo più diretto e logico di realizzare ciò è
l'abbassamento dei costi: il più "facile" e consistente da abbattere
è quello del lavoro.
Ovviamente, "facile" a date certe condizioni istituzionali e
politiche: che sono ben fornite dall'applicazione dei trattati europei, come
dovremmo ormai ben sapere.
Va
peraltro notato che, in pratica, l'incidenza dei costi del management è non
meno insidiosa, sulla formazione dei prezzi, perchè si è conquistata una
rigidità notevole e una varietà di forme di compenso (diretto o indiretto)
senza precedenti; o meglio si
è guadagnata, oggi più che mai, un'elasticità esclusivamente verso l'alto.
5. Notare: si tratta della stessa elasticità unidirezionale che viene considerata imperdonabile nel settore pubblico. E viene propugnata come imperdonabile proprio dagli stessi protagonisti di questa escalation dei compensi nel "privato".
Si
tratta di una lotta che vede dunque prevalere
una "casta", molto privata, a scapito del valore
condiviso dell'interesse collettivo realizzato da ogni struttura
pubblica: funzionale a questa prevalenza, ormai conclamata, è la questione
della corruzione, invariabilmente proposta come fatto del solo
corrotto, dimenticando la categoria del corruttore...privato. Ma questo è un
altro versante del discorso, che merita approfondimento in altra apposita
sede).
Dunque,
questa rigidità (verso il basso) dei propri enormi compensi, la casta
degli executives se l'è conquistata proprio per il "merito"
della riduzione dei costi e della connessa garanzia dei profitti, estesa
agli azionisti di controllo, e quindi a scapito del lavoro.
Questo
schema, che muove dall'idea salvifica dell'interesse del consumatore, è dunque
un'autogaranzia dei compensi al management di vertice: il paradigma "mercato-concorrenza
su prezzo/"qualità distintive"-consumatore" è comunque
premiante in modo selettivo verso il basso, cioè che riduce il
"premio" via via che si scende nel livello dell'apporto lavorativo, e
quindi in modo regressivo rispetto alla "forza lavoro".
6. Ciò che più importa è che un'apparente attenzione verso la "massa" (dei consumatori), determina, sul piano degli interessi economici prevalenti, la coincidenza della posizione degli azionisti di controllo con la tendenza degli executives ad accrescere con qualunque mezzo i propri compensi: in pratica, nei fatti, il sistema viene realizzato attraverso le periodiche offensive di tagli del personale, (anche mediante "esternalizzazione" con riassunzione dei dipendenti presso imprese esterne create ad hoc, con contratti di lavoro meno costosi, o mediante la intensa precarizzazione contrattuale dei dipendenti stessi, talora licenziati e riassunti con formule di part-time e collaborazione autonoma etc.).
Tutte
queste "tecniche" di gestione del costo del lavoro sono chiamate
pomposamente "riorganizzazione".
Dunque,
l'enfasi sulla figura del consumatore (spostato strategicamente sul
rapporto qualità/prezzo), crea la (nei fatti forzata) coincidenza tra la
tutela del consumatore stesso, considerato ipocritamente come
l'appartenente ad una categoria indifferenziata, con il prevalente interesse
del management e della proprietà finanziaria.
7.
Ma avuto riguardo alla caratteristica del consumatore di costituire una
"massa", si impone di distinguere ciò che è invece dissimulato in
questo schema: le differenti posizioni economiche, cioè reddituali e di
capacità di spesa, in cui si suddividono di fatto, inevitabilmente, i
consumatori, appartenenti alla massa indistinta di cui si propugna la
indifferenziata tutela.
I
consumatori non sono affatto indifferenziati: proprio per effetto della condizione
simultanea di appartenenti alla forza lavoro, sottoposta al sistema della "riorganizzazione"
del personale, perdita di potere d'acquisto e perdita del posto di lavoro,
colpiscono la gran parte dei consumatori.
In pratica, l'effetto ultimo e "massificato", è di relegare la parte debole del contratto di lavoro alla condizione di utente, naturalmente anch'esso debole, del credito al consumo, governato dalle condizioni generali di contratto imposte dall'onnipossente sistema finanziario, ovvero alla condizione di morte sociale di "non-consumatore", in quanto disoccupato o working-poor.
8. La tutela del consumatore finisce così per coprire il danno che, alla principale componente di tale massa, i lavoratori, viene inflitto in nome del "mercato": per conquistare il mercato, per rimanere sul mercato, nella competizione di volta in volta considerata in un certo settore, la forza lavoro diviene per definizione sacrificabile, in un'illusoria contrapposizione tra la forza lavoro di "settore", o di una singola impresa, e la massa volutamente indifferenziata dei consumatori.
Ma
la massa è, nei numeri della collettività sociale, percentualmente composta in
modo maggioritario dalla stessa forza lavoro; e tale componente,
sociologicamente, include anche il lavoro autonomo, in forme nuove e
antiche, nella sua parte che non può volgere a proprio vantaggio il potere
di fissazione dei prezzi.
Questi,
infatti, sono in concreto stabiliti dagli operatori che hanno "potere
di mercato", cioè in posizione di oligopolio e/o monopolio, spesso
artificiosamente distinti ma nella
realtà a stento distinguibili (nel comportamento sul mercato e sul
controllo dei costi).
9. L'evidente conseguenza
di questa imposizione ideologica e, nell'ambito della costruzione
europea, anche normativa, è che la tutela del consumatore, diviene una
fortissima spinta alla giustificazione (dissimulata) del tipo di mercato del
lavoro che consente l'operazione di bandiera, continua, di tutela del
consumatore attraverso la (presunta e illimitata) competizione sui prezzi: quel
tipo di mercato del lavoro-merce, o lavoro-costo, che consente di
rifissare i prezzi, e rimodulare l'offerta di beni e servizi, essenzialmente in
funzione riduttiva della quantità (disoccupazione+precarizzazione) e della
remunerazione (salari reali) del fattore lavoro.
10.
Sul piano morale, e politico (nel senso di ideologico generale), ciò consente la
settorializzazione e la frammentazione della tutela del lavoratore, che
diviene sacrificabile alla luce del "generico" interesse superiore
del consumatore, nascondendo gli effetti reali del mercato del lavoro che così
viene affermato come scelta eticamente ineludibile (There is no alternative:
TINA).
Le ragioni della classe dirigente economica privata,
assurgono così a priorità incontestabile proprio con il coinvolgimento di chi
ne viene danneggiato nei suoi interessi, cioè i consumatori nella loro prevalente
realtà sociologica: solo che tale interesse del vertice sociale privato
scompare - in una frammentazione settoriale che indebolisce il lavoro fino a
renderlo irrilevante-, nella stessa percezione dell'opinione di massa. E
questo, grazie alla categoria artificiosa del mercato in "libera concorrenza"
(che nasconde gli oligopoli transnazionali) e a quella del consumatore come suo
(artificioso) principale beneficiario.
A proposito di Corruzione, mi imbatto in questa -seminascosta- agenzia dell'ANSA, che recita:
RispondiElimina<>
Ora: dato che la celeberrima stima dei 60 miliardi aveva, come fonte, la Corte dei Conti (ed era stata messa in circolo già dal 2012, durante l'ascesa del Governo Monti), una dichiarazione del genere mette niente meno che in dubbio la credibilità della suprema magistratura contabile.
Insomma: su questa "corruzione" ne abbiamo veramente viste di tutti i colori: opinabili dati di "corruzione percepita" (elaborati da agenzie meno indipendenti di quello che vogliono far credere) proposti al pubblico -da autorevoli giornali!- come "corruzione effettiva"; cifre iperboliche su presunti "costi" della stessa rivelatisi, per bocca delle stesse autorità sul tema, praticamente di pura fantasia; nomi e cognomi dei corruttori passati sotto silenzio (ad eccezione dei casi in cui si deve denigrare il Paese all'estero: allora e solo allora, di fronte al bieco corruttore di "Finmeccanica", il povero statale della P.A. indiana che prende la mazzetta diventa -udite,udite- vittima).
Quante altre bugie dovremo sorbirci sul tema???
Pardon: errore clamoroso di caratteri. Riporto nuovamente la notizia:
EliminaFIRENZE, 23 NOV - "E' impossibile calcolare le conseguenze indirette" del fenomeno della corruzione in Italia[...]Lo ha detto Raffaele Cantone, presidente dell' Autorita' nazionale anticorruzione, nel corso di un convegno sul tema all'Universita' di Firenze.(ANSA).
Ho l'impressione che non si fermeranno mai fino a che non sia stato privatizzato tutto: compresa la Corte dei conti (che ha un bel da fare a smentire di essere stata lei a diffondere il mitico "dato": niente, il vero autore, rimane...nell'ombra e, anzi, aumenta il suo prestigio privatamente sponsorizzato e pubblicamente ascoltato).
EliminaInfatti dopo Poste ora tocca a FS... il 40% messo sul mercato...
EliminaVabbeh:
Elimina"Crisi economica e corruzione procedono di pari passo, in un circolo vizioso, nel quale l'una è causa ed effetto dell'altra". Lo afferma il presidente della Corte dei Conti, Raffaele Squitieri... all'inaugurazione dell'anno giudiziario. L'illegalità, denuncia, ha "effetti devastanti sull'attività di impresa e quindi sulla crescita". "Il pericolo più serio - aggiunge - è una rassegnata assuefazione al malaffare, visto come un male senza rimedi". (10-2-2015)
http://www.tgcom24.mediaset.it/politica/la-corte-dei-conti-avverte-la-corruzione-ha-effetti-devastanti-sulla-crescita-_2094819-201502a.shtml
Ma leggi qui: "prendo atto ma...è ancora peggio, allora":
http://anticorruzione.eu/2015/02/60-miliardi-una-stima-grossolana/
E' un intero sito dedito alla "corruzione"...
@Flavio: e non sei contento?
EliminaLa presenza di investitori privati (mi sento che se si formerà un bel pacchetto di controllo sarà francese, non so perchè) non è forse portatrice di prezzi più bassi e maggiore qualità, INVARIABILMENTE?
E non per caso stiamo parlando di tutela dei consumatori e utenti...
E proposito del bail-in, un piccolo effetto collaterale che, come sempre, va a colpire i pesci piccoli...
EliminaVorrei che ai più si ricordasse il perchè nel 1905 si procedette con la nazionalizzazione delle Ferrovie... tratto velocemente da Wikipedia: "Nel 1875 il governo Minghetti-Spaventa fece un primo tentativo di riscatto delle linee concesse per riunirle in un solo organo di gestione, ma il Parlamento respinse la proposta e provocò la caduta del governo (quello successivo della Sinistra aveva come principale programme le "privatizzazioni"!!). Intanto venivano accumulate forti passività soprattutto da quelle linee secondarie che non avevano traffici consistenti di viaggiatori e di merci. Queste linee presto determinarono il fallimento del regime delle concessioni.
EliminaNello stesso periodo nel resto d’Europa si affermava la tendenza ad affidare l'esercizio delle ferrovie alla gestione diretta dello Stato, dato il fatto che le società concessionarie, perseguendo fini esclusivamente economici, trascuravano quelli sociali lasciando così completamente sprovviste di comunicazioni le zone depresse...
Il XX secolo iniziava con una situazione precaria del sistema "privatistico" delle ferrovie italiane; la carenza di investimenti da un lato e la scarsa remuneratività di molti settori dell'esercizio dall'altro aveva spinto le società ad un sempre maggiore sfruttamento dei lavoratori il cui impegno travalicava spesso ogni ragionevole limite. Sempre più accese manifestazioni sindacali spinsero molti settori dell'opinione pubblica e della politica a chiedere la rescissione delle "Convenzioni". Alla fine del 1898 era stata istituita una "Commissione parlamentare di studio per il riordino delle strade ferrate" le cui conclusioni concordavano sull'ovvia constatazione che per il loro valore strategico le ferrovie non potevano ulteriormente essere lasciate in mano a gruppi finanziari privati...".
Non lo so: un po' mi ha fatto ridere..."magari non allineati al "loro" profilo di rischio"? "Diffusi"!
EliminaIn effetti 75 miliardi e in così tanti che credono alle fiabe, in un decennio di massacri obbligazionari, senza precedenti e continuando a volere l'euro!
E, inutile dirlo, venerando in automatico la Banca centrale indipendente (dall'interesse generale! E la soluzione sarebbe la "partecipazione della Consob", come ben sanno gli investitori in azioni...).
Che dire? Tanto il bail-in pizzica pure i correntisti, cioè i massimamente prudenti (nel praticare la trappola per la liquidità, ammettendo a loro insaputa, l'esistenza di una crisi da domanda).
Ti ricordi la privatizzazione della moneta realizzata attraverso la selezione darwiniana dei mercati internazionalizzati (e quindi a favore delle banche non italiane)?
http://orizzonte48.blogspot.it/2013/12/riflessioni-sulla-unione-bancaria-tra.html (p.4)
Errata corrige: Ovviamente il sito era "dedicato" non "dedito"...
EliminaGrazie orizzonte48; non pensavo certo di essere degno di una citazione in un suo post.
RispondiEliminaQuando avevo uno stipendio ero il primo a fare discorsi etici e a comprare equo e solidale (che poi non ho tanto ben capito quando del costo aggiuntivo del prodotto equo e solidale andasse realmente ai produttori-lavoratori piuttosto che agli intermediari); adesso, da disoccupato senza alcuna indennità di disoccupazione, per me è puro istinto di sopravvivenza quello di cercare buoni prodotti a basso costo, cioè cercare la sopravvivenza al minor costo possibile.
Riguardo al ripristino delle "indispensabili gerarchie" questa a me sembra piuttosto un spiegazione volutamente sostenuta e propagandata da parte dei proprietari del capitale, quella spiegazione che vorrebbe che in realtà fossero i "più forti" a sopravvivere all'interno della spietata lotta per la sopravvivenza; ma quello che oramai mi sembra di aver capito è che non sono affatto i "più forti" a sopravvivere all'interno di una società dove non vi è un'uguaglianza sostanziale, ma sono altresì i più fortunati e privilegiati, o quelli che leccano di più il culo a qualcuno; e queste caratteristiche non è detto che coincidano con l'essere più qualificati e più intelligenti.
Questa società Hayekiana è solo un sistema sociale che si vuole imporre ai paesi sudditi delle grosse superpotenze globalizzate (ma anche alle classi subalterne all'interno delle superpotenze vincitrici). E' un sistema che i vincitori impongano agli altri, un sistema sociale distorto votato al fallimento, proprio per fare in modo che gli altri paesi (o corporations, o classi subalterne all'interno dei paesi) non salgano sulla stessa scala che il paese (o corporation, o classe) vincitore ha percorso, fatta di sussidi pubblici e welfare per le aziende, ricerca scientifica pubblica tradotta in profitti privati; in una frase: socializzazione dei rischi e privatizzazione dei profitti.
E' chiaro che, dietro praticamente in ogni successo di una corporation multinazionale, specialmente nelle nuove tecnologie, vi sia uno stato nazionale forte e protezionista, che investe in ricerca e sviluppo e finanzia le proprie aziende; io credo che il miglior successo di marketing di Apple non siano i suoi prodotti, ma sia la costruzione morale dell'immagine del guru Steve Jobs, l'archetipo dell'uomo che si è fatto tutto da solo. La leggenda dell'uomo che è partito da un garage e ha costruito un impero tecnologicamente avanzato solo con le sue forze sembra fatta apposta per imporre uno stile di vita ai sudditi di tutto il mondo, specialmente a coloro che hanno perduto un lavoro fisso per effetto delle "riorganizzazioni" (e vediamo quando sia oramai radicato nel nostro paese il mito delle start-up senza stato e senza ricerca pubblica come motore di crescita e sviluppo); non aspettatevi nulla da nessuno, la storia ci vuole insegnare, men che meno dallo stato, partite dalla vostra miseria e fame (stay hungry) e vedrete che costruirete un impero, se solo lo volete e se sarete abbastanza forti e "foolish".
RispondiEliminaHanno costruito un mito moderno. A nulla servono le precisazioni si Steve Wozniak (il compagno co-fondatore della Apple di Steve Jobs) sul fatto che «Il garage è un po' un mito». Il mito della land of opportunity persiste nella mente dei darwinisti sociali; un mito di un uomo che avrebbe costruito alcuni degli aggeggi più tecnologicamente avanzati partendo solo dal suo garage, senza uno stato alle spalle (che, anzi, nei suoi discorsi anarcoidi e "foolish", Jobs senbra anche attaccare) senza alcun sussidio statale, senza alcuna ricerca scientifica pubblica. Se guardate bene la storia di tutte le maggiori corporation della new economy statunitense vedrete che il frame degli uomini che si sono fatti da soli partendo da zero si ripete all'infinito; è così sia per Mark Zuckemberg (Facebook) che per Jan Koum di Whatsapp. La storia di Koum riassume in sè anche quella del poverello emigrato che, da emarginato sociale, sarebbe diventato ricchissimo con solo la propria inventiva e creatività. Non vorrei essere "complottista", ma queste storie mi sembrano tutte così stereotipate (gli emarginati e gli stralunati che partono da zero [Steve Jobs era un ammiratore della setta degli Hare Krishna] e diventano proprietari di multinazionali in men che non si dica) che sembrano fatte apposta per propagandare quel mito che, chiunque, se vuole, nella nostra società, può diventare ricco, se solo lo vuole e si impegna duramente senza chiedere nulla a nessuno; un mito, appunto; per lo più propagandato in una società, gli USA, con la più bassa mobilità sociale tra i paesi sviluppati (come ha detto Stiglitz).
Per quanto riguarda l'abbassamento dei costi di produzione e quindi di vendita; questo è un gioco al massacro dove solo le grosse multinazionali con le spalle coperte, che hanno gettato via la scala sulla quale sono salite (e abbiamo visto come sono salite) possono sopravvivere, a discapito di quasi tutti gli altri minions che pensano di partire dai garage e poi, applicando la filosofia di Oscar Giannino, fanno la fine che sappiamo; gli stessi minions sottoccupati-disoccupati che poi, diventati consumatori low cost di Amazon e McDonalds, saranno i primi ad essere tutelati.
Suppongo non ti sia sfuggito il libro "Bad Samaritans" di H.Y.Chang nè il ciclo di post "Flag of our Fathers"...
EliminaAvevo letto buona parte del ciclo "Flag of our Fathers"; ho solo iniziato Bad Samaritans. Comunque sono anni che mi interesso di queste cose, a dire il vero senza molto seguito nella mia cerchia di amici. Soprattutto vedo gli effetti di queste politiche economiche sulla mia pelle. Sono cresciuto lavorativamente all'interno di una generazione dove il posto fisso non esisteva più. E non è vero che non esiste più dal Jobs Act di Renzi, ma dalla legge Treu del 1997, che ha introdotto la precarietà in Italia senza nemmeno la mancetta. Da laureato mi sono fatto tutta la trafila dei lavori temporanei sottopagati nei call center ed in altri posti senza alcuna tutela sostanziale. E' anche questo il modo per distruggere l'intelligenza e la cultura di una nazione. Nello stesso tempo ho assistito a tutta la propaganda mass-mediatica dei vantaggi di essere liberi dai vincoli del lavoro fisso, dell'eccitazione del rischio. Poi, una decina di anni fa, ho letto i sociologi Bauman e Beck che da una parte criticavano la società del rischio e della mancanza di tutele e dall'altra proponevano un superstato sociale Europeo (ed anche un reddito minimo) per risolvere i problemi del moderno capitalismo. Poi ho capito che anche questa risposta era sbagliata e l'unica via è quella di riappropriarci della nostra Costituzione, metterla in pratica, rigettare tutta la propaganda europeista insieme a tutti i trattati. Il sistema politico economico introdotto in Italia con i trattati europei è un sistema votato al fallimento, voluto, con cui si vuole distruggere il futuro di intere generazioni, per il vantaggio di una ristretta élite.
EliminaMi auguro che persone come lei raccolgano il più ampio consenso tra la gente di modo che si possa contrastare efficacemente questa costruzione europea antidemocratica e antiumana.
Si, questa società "Hayekkiana" si regge, a ben vedere, su una morale molto elastica (e quindi ipocrita), dove i principi e le regole cambiano a seconda del soggetto cui vengono impartiti. Snoccioliamo qualche esempio terra-terra.
Eliminaa) Per "ESSI" vale il principio "pecunia non olet", ma per gli altri vale la morale della decrescita felice;
b) Per "ESSI", è legittimo buttare via la scala una volta salito prima sull'albero, ma per gli altri è immorale;
c) per "ESSI" l'usura è un reato, per gli altri vale il principio che "i debiti debbono essere pagati";
d) prima ti mettono in mano la carta di credito (dicendoti che è l'equivalente di un reddito), e ti colpevolizzano perché non la usi. Poi, a crisi scoppiata, ti colpevolizzano perché la hai usata;
e) i lavoratori debbono -spesso- pagare le scelte sbagliate di manager cui vengono COMUNQUE corrisposte buonuscite milionarie (vedi ad VW, o lo stesso Romiti, quando la FIAT stava per fallire). Ma non si è mai visto mai nessun Rizzo, nessun Severgnini, nessun Serra, nessun Mauro e nessun Mieli indignarsi per questo o dedicarci un vero editoriale.......
f) anche il correntista, in fondo, è un creditore della sua banca. Ma al posto di essere garantito sarà chiamato a pagare la mala amministrazione di manager "legibus soluti";
g) corollario al punto precedente: ma se, come dice Weidmann, il correntista deve assumersi rischi al pari dell'azionista, perché non ne condivide anche i privilegi? L'azionista può vendere le sue azioni dall'oggi al domani, ma il correntista NON PUO' andarsene via con i suoi soldi di punto in bianco: glieli bloccano....
h) secondo corollario: ma un sacro principio del capitalismo non era la remunerazione del rischio? Perché una banca come il Montepaschi, cui le agenzie danno un rating da brivido (e non in positivo), corrisponde interessi quasi nulli su un conto corrente? Cosa dice il luterano Weidmann al riguardo?
i) E poi, c'è la "morale pop", quella di cui trasudano i film Disney. Il trionfo del "volere è potere". Tutto è possibile se davvero lo vuoi, quindi, se fallisci, è solo perché TU non hai VOLUTO. Punto. La colpa è tua, tua, tua, solo tua! Che poi è l'approccio psicoterapeutico dominante: sei tu quello sbagliato ed il mondo ha sempre ragione.
l) corollario: se stanno male, è perché vogliono star male. Perché sono sporchi, perché sono fannulloni, perché sono "corotti", perché "se so magnati tutto", perché non sanno cosa è la durezza del vivere (ma Padoa Schioppa, la ha mai portata una motozappa?), perché in fondo è solo colpa loro, loro, loro e ancora loro. E tutti con la coscienza a posto.
Vorrei vivere duecento anni solo per vedere cosa scriveranno gli storici di questa epoca. Ma, se sono orwelliani come sembra, è molto probabile che gli storici del futuro abbiano, come unico compito, quello di scrivere tante "storie del compagno Ogilvy". Ed allora, forse, è meglio non vedere.
Caro Lorenzo, il quadro che delinei mette addosso un misto di rabbia e tristezza. Ma non per il comportamento di questi signori (ESSI), ma per l'ignavia di chi subisce tutto questo e neppure vuole informarsi sul perchè accada.
EliminaUn mondo orwelliano autoinflitto per default della coscienza è qualcosa che Orwell stesso non poteva immaginare.
Solo il neo-liberismo ci poteva riuscire...In fondo sono da ammirare: tanto danno a così tante persone col minimo sforzo.
Economicamente sono distratrosi e scientificamente valgono ben poco: ma quanto a ingegneria sociale non li batte nessuno...
Buongiorno. Continuo a "studiarmi" i suoi scritti e relative considerazioni di chi interviene. Anche io con poco seguito , devo dire, fra gli amici, anzi... Ma non demordo. Ed anche io condivido il pensiero del lettore "stopmonetaunica" in ordine alle sue considerazioni sulla legge Treu. Per la semplice ragione che già ne vidi allora gli effetti sulla precarietà costante di mia figlia, a sua volta poi diventata mamma; precarietà che poi , nel tempo, si è accentuata. Cio ' che oggi si verifica è la "conclusione" di un processo piu' vasto inziato anni fa " con molta calma".E questa " molta calma" la ritrovo dichiarata apertamente oggi ( ieri ndr) nel convegno "think thank" a R.E. ( e non solo convegno ma anche "progetti" della Stazione MEDIOPADANA) dal min. Del Rio ( reggiano) riguardo le "privatizzazioni" di cui si parla : "Delrio ha anche parlato della privatizzazione di Ferrovie dello Stato di cui il governo vuole mettere sul mercato un 40%. Ha detto: “Ferrovie dello Stato sono un’azienda importante e delicata e spostano milioni di persone ogni giorno. Le cose vanno fatte con calma e ragionevolezza, come abbiamo fatto con Poste”.....http://www.reggiosera.it/2015/11/mediopadana-delrio-lavorero-per-il-collegamento-con-la-a1/8675/. Attendo il 4 dicembre per l'uscita del libro..... Bisognerà pure, in qualche modo, trovare la pala per ...uscire dalla......palude..... Grazie. Bruna
RispondiEliminaOT: credo che l'abbattimento di un Su-24 da parte dei Turchi - dei Turchi, non da parte dell'Isis o Daesh, e non si sa ancora se attraverso attacco da terra o con F-16 - sia un pessimo segnale...
RispondiElimina"Avrà conseguenze tragiche nei rapporti tra Russia e Turchia" l'abbattimento di un jet militare russo da parte delle forze armate di Ankara nei pressi del confine tra Siria e Turchia: lo ha annunciato Vladimir Putin incontrando il re di Giordania. Putin ha parlato di "un colpo alla schiena" ed ha ribadito che il jet è stato colpito da un F16 turco con un missile aria aria mentre era in territorio siriano, ad 1 km dal confine turco, e conduceva operazioni contro l'Isis." tratto dall'Ansa .
EliminaLa Turchia fa un gioco molto strano. Certo è che non è così schierata contro l'ISIS, che per alcuni aspetti, appare funzionale alla sua politica anti-curda.
EliminaPotrebbe essere un tentativo di "trascinare" a forza la NATO (ed i suoi membri) sulle sue posizioni politiche nella regione, anche se si tratta di una partita molto pericolosa.........
A mio avviso questo è un fatto gravissimo e ho veramente paura che possa accadere l'irreparabile... Guardando i radar è impossibile non notare che, se c'è stato, lo sconfinamento dei Su-24 è stato davvero minimo, in una striscia di pochi km. Inoltre i piloti paracadutatisi dall'aeromobile in fiamma sono stati colpiti in volo dalle brigate di ribelli turcomanni (finanziate dalla Turchia per combattere Assad), quando convenzioni internazionali dicono che essi NON possono essere colpiti. La Turchia pertanto sembra essere colpevole direttamente ed "indirettamente". Strana anche la "regola d'ingaggio": un caccia straniero, dovrebbe essere scortato fuori dal territorio altrui dai caccia dello stato "invaso", non abbattuto. E' un comportamento FOLLE. La Turchia l'ha fatta grossa. Speriamo che la situazione non precipiti.
EliminaSì,è un fatto gravissimo. Rientra purtroppo nella immancabile professione di irresponsabile aggressività che caratterizza tutto ciò che gravita intorno all'ISIL in termini di appoggio e finanziamento. Cioè, allorchè l'ipocrisia (leggi, acquisto di petrolio irakeno, depredato dall'ISIL e distruzione, da parte russa, dei camion che lo trasportano...) viene smascherata, si passa direttamente alla più pretestuosa ostilità armata!
EliminaOccorre ora vedere di quanta ulteriore arroganza negazionista della sproporzione (persino nel principio di ritorsione ammesso dal diritto internazionale, nel caso sulla presunta violazione del proprio spazio areo, per 17 sec e km 1,36!), sarà condivisa dagli alleati Nato.
Il brutto è che in mezzo ci siamo anche noi...
Putin non è farina con cui fare le Ostie, ma per carità di Dio, qui stanno giocando con il fuoco...
Eliminaquando i compagni scoprirono il codice del consumo:
RispondiEliminahttps://www.youtube.com/watch?v=qtbaSD6Ve7A