1. Questi sono i dati macroeconomici e fiscali italiani (che potete estendere andando su questo sito "ufficiale", con il suo ultimo aggiornamento disponibile).
Parrebbe superfluo rilevare - ma ribadirlo non è mai inutile- che il debito pubblico italiano, prima del "divorzio" tesoro-Bankitalia, era al 55% del PIL.
L'aumento successivo al "divorzio" fu oggettivamente effetto combinato con lo SME, in vigore dal 1979, sebbene oggi ci si "dimentichi" sempre di dire che alla fine degli anni '70 si era verificata un'effettiva ripresa italiana (su cui Giavazzi e Spaventa ammettevano: "in spite of wage indexation, inflation was an effective policy instrument and disinflation was relatively painless").
Questa ripresa, tuttavia, iniziò a vacillare all'inizio delle politiche deflattive determinate dal divorzio-SME e dalla svolta sindacale anti-scala mobile.
Ne derivarono il contemporanero crescere vertiginoso dell'onere degli interessi sul debito pubblico e la perdita di competitività da "vincolo" sul cambio, nonché la finanziarizzazione della grande industria italiana: ci avrebbero poi spiegato che la deflazione salariale non era stata sufficiente e che pensioni e sanità non ce le potevamo permettere; e ce lo spiegarono in nome di Maastricht.
2. Siamo stati cattivi e poco virtuosi?
In effetti, durante il fascismo, come si vede molto bene qui sotto, eravamo "buoni&virtuosi", secondo il metro di giudizio del sistema bancario creditore anglosassone: De Stefani e, poi, il corporativismo - cioè i tagli d'imperio delle retribuzioni-, garantirono che si portasse la Nazione al "reddito di sussistenza", cui inneggiavano i "liberali" come Einaudi, e infatti, il decantato welfare del regime era, conseguentemente, "di sussistenza", per non guastare la "competitività ai monopoli&oligopoli nazionali...
3. Il grafico sottostante è tratto da Goofynomic e distingue ciò che è importante capire; quantomeno, prima di partire in crociate contro la spesapubblicabrutta. E cioè che, comunque, prima di SME-divorzio, e fino alla metà degli anni '80, ERA LARGAMENTE SOTTO LA MEDIA €UROPEA...
L'incremento, successivo al 1981, della spesa pubblica complessiva, si spiega con l'onere degli interessi sul debito e in parte con il dover, la "politica", fronteggiare gli effetti socialmente destabilizzanti delle politiche deflattive, con l'aumento strutturale della disoccupazione.
Al tempo, per motivi politici, - che furono poi "rimossi" dopo Maastricht e cioè facendo manovrone su manovrone di "sacrifici", per ottemperare ai criteri di convergenza verso l'euro-, esistevano più ampi stabilizzatori automatici e sistemi di pre-pensionamento (che facevano pagare alla collettività, peraltro con l'inizio della grande fase dell'aumento delle tasse, il preteso recupero della competitività, entro il nuovo paradigma monetario imposto dal vincolo europeo).
4. Il soprastante grafico aggiornato al 2010, va però integrato con gli sviluppi fiscali delle politiche super-austere, che stiamo ancora applicando in dosi massicce, solo appena meno "gigantesche" di quanto non pretenda, con minacce e condizionalità, la "governance" €uropea.
Anzitutto, perché va considerato l'avanzo primario di bilancio realizzato dall'Italia, trattandosi di risparmio pubblico che, per definizione, corrisponde a liquidità sottratta al PIL, via tasse e tagli delle prestazioni pubbliche. Questo "avanzo", dunque, determina, di per sè, un sottoutilizzo dei fattori della produzione nazionale che, transitoriamente, è pure talora necessario, ma protratto per decenni, - unici in €uropa!!!- porta all'output-gap: cioè a minor crescita, e a deindustrializzazione strutturale (cioè è anche un risparmio di "squilibrio" macroeconomico: non si converte in investimenti, per sua preordinata funzione essenziale).
Non so a voi ma a me "diverte" sempre vedere i dati della Spagna o della Francia: i principali "modelli" (di...crescita) usati per dirci che siamo cattivi e corrotti. Ma nessuno suggerisce un "facciamocome" relativo ai loro saldi negativi primari, prevalenti, e nel caso della Spagna, crescenti:
Addendum: sulla questione ammontare complessivo dei saldi primari, comparativamente per i vari principali Stati dell'UE, Mauro Gosmin ci fornisce questo eloquente grafico, che consente di raffigurarsi tangibilmente il danno da output gap subito dall'Italia con l'adesione all'eurozona e le politiche fiscali seguite negli ultimi 20 anni (e oltre: la serie dovrebbe iniziare nel 1992):
5. Se dunque lo Stato provvede a creare un risparmio "dannoso", cioè a priori inconvertibile in investimenti, e lo fa tassando di più e erogando prestazioni ridotte (in termini reali, quindi erose dall'inflazione nella migliore delle ipotesi), anche il reddito privato ne risente: e se diminuisce il reddito, diminuisce il risparmio privato e, con esso, gli investimenti produttivi.
5. Se dunque lo Stato provvede a creare un risparmio "dannoso", cioè a priori inconvertibile in investimenti, e lo fa tassando di più e erogando prestazioni ridotte (in termini reali, quindi erose dall'inflazione nella migliore delle ipotesi), anche il reddito privato ne risente: e se diminuisce il reddito, diminuisce il risparmio privato e, con esso, gli investimenti produttivi.
Piaccia o non piaccia agli "studiosi" di economia industriale, questi sono gli effetti che vincolano la propensione agli investimenti (non la pigrizia degli industriali e la corruzione dei....corruttori).
Notare che la miniripresa di risparmio e investimento che si registra dal 2014, è dovuta, anzitutto, al comportamento difensivo delle famiglie che, in situazione deflattiva e di attese di tagli al bilancio pubblico e di intensificata tassazione, non consuma più e non acquista più abitazioni come prima; e, quanto agli investimenti, questo minimo sussulto (ante-mortem?) è dovuto anche al fatto che, toccato un certo punto di caduta, le imprese tendono a riprendere gli investimenti lordi, cioè a sostituire gli impianti per non chiudere, sperando di sopravvivere con l'aumento della domanda estera che si lega a una fase deflattiva; e comunque il volume degli investimenti é strutturalmente disincentivato da un livello di precarizzazione del lavoro tale che non si punta tanto a investire in innovazione e tecnologie, ma ad assumere lavoratori sottopagati, nonché part-time e a brevissimo termine.
6. Va infatti considerato, - contro lo "spin" ossessivo-maniacale della spesa pubblica "mostruosa", pretesa causa della mancata crescita (boiata controintuitiva che gli italiani vivono ormai come un dogma della instaurata teologia ordoliberista)-, che l'incremento italiano della spesa pubblica è il più modesto, dell'eurozona, del post "crisi" finanziaria (USA).
E' vero che il rapporto debito PIL ri-decolla, come già a seguito del divorzio-SME, ma stavolta non perchè salgano gli oneri degli interessi o la spesa primaria- come invece è accaduto negli altri paesi UEM!-, quanto piuttosto perché il numeratore del rapporto, il PIL, si inabissa. E con esso occupazione e produzione industriale: grazie €uropa della crescita e della pace!.
E' vero che il rapporto debito PIL ri-decolla, come già a seguito del divorzio-SME, ma stavolta non perchè salgano gli oneri degli interessi o la spesa primaria- come invece è accaduto negli altri paesi UEM!-, quanto piuttosto perché il numeratore del rapporto, il PIL, si inabissa. E con esso occupazione e produzione industriale: grazie €uropa della crescita e della pace!.
7. Il dato che dovrebbe preoccuparci di più è la spesa primaria pro-capite, quella che più direttamente misura perché vivete peggio, meno a lungo (ormai) e dimorando in un paese che, nelle sue strade e nelle sue città, nelle sue ex-zone industriali, appare più simile a un territorio bombardato da un aggressore bellico.
8. Insomma, la spesa pubblica primaria "reale", cioè al netto dell'inflazione, è proprio diminuita, in controtendenza con tutto, ma proprio tutto, il resto del mondo "occidentale", nonostante quello che, insensatamente, continuano a invocare la maggior parte delle forze politiche di governo e di opposizione:
Basta guardare (tra i tanti dati che confermano quanto appena detto) agli USA e alle conseguenze, in termini di spesa pubblica e sua tipologia, del bel mercato del lavoro che hanno imposto anche a noi...anche se non riescono ad accorgersene, perché continuano a chiederci di "fare le riforme".
E pensate che ora Trump, in ciò del tutto similmente a quanto prometteva anche la Clinton, ha intenzione di aumentare la spesa in infrastrutture e lavori pubblici:
9. Risultatone? Questo è l'andamento comparato della produzione industriale, grosso modo da Maastricht a oggi: ma davvero senza "cedere sovranità" non si può sopravvivere, come diceva Guglielmo Giannini, precursore dei "movimenti" livorosi indifferenti al vero ruolo economico dello Stato democratico, voluto dalla Costituzione, già al tempo dell'introduzione della CECA?
Direi piuttosto che tutto evidenzia che "cedendo sovranità" SI MUORE.
Credere il contrario era, ma soprattutto oggi è, qualunquismo.
E dunque, aveva ragione Di Vittorio, e la r€altà successiva lo rende buon profeta:
9.1. A questo punto del discorso, appare opportuno un inciso non affatto secondario.
L'andamento della spesa pubblica primaria (cioè, al netto dell'onere degli interessi, il cui aumento cumulativo composto spiega il livello crescente del debito pubblico a seguito dell'entrata nello SME-divorzio), ci dice due cose;
a) una volta instaurato un vincolo di cambio (o, ancor più intensamente, avendo aderito a una "moneta unica") viene meno progressivamente, e sempre più intensamente, il sostegno pubblico alla domanda interna, cioè al reddito e, di conseguenza, al livello di occupazione;
b) la compressione, ovverosia il taglio nominale, o quantomeno reale (cioè al netto dell'inflazione), della spesa pubblica è essenzialmente rivolto ad abbassare l'inflazione e a rendere più competitiva l'economia sui mercati esteri, SUL PRESUPPOSTO che chi svolge questa politica sa che l'inflazione diminuisce a causa dell'aumento della disoccupazione e quindi della diminuzione dei salari. Chi cerca lavoro, in accesso sul relativo mercato o perché disoccupato, è disposto a lavorare per "meno", sempre meno, se molti altri, e sempre di più, sono nella sua stessa condizione: e questi molti altri, per accelerare l'intero processo, possono opportunamente essere...importati.
Nei fatti (e nei risultati), se nel perseguire questa strategia di competitività ci si priva della flessibilità del cambio, il prezzo è altissimo: si perdono più domanda interna, e occupazione, di quanta non se ne si guadagni con l'aumento delle esportazioni. La diminuzione dell'inflazione infatti è essenzialmente realizzabile attraverso l'aumento della disoccupazione.
Ma siccome questo aumento, in regime di cambio fisso, può non essere sufficiente - a causa della competizione che altri Stati interni all'area valutaria, come la Germania, operano su questo fattore di competitività, il cui indicatore è il tasso di cambio reale-, occorre intensificarlo attraverso la strutturazione di una disoccupazione talmente elevata, da far finire il paese in sostanziale deflazione, che significa permanente sottoutilizzazione dei fattori della produzione nazionale e deindustrializzazione distruttiva. Sicchè, alla fine, non sarà più possibile rendere "competitivo"...nulla, perché i pochi settori industriali rimasti in piedi saranno per lo più finiti in mani estere.
Ecco i dati che confermano puntualmente questo quadro:
Nel grafico soprastante occorre fare molta attenzione agli scostamenti in eccesso del tasso di inflazione italiano, al loro momento di verificazione, e ai suoi corrispondenti momenti "politici".
Il che si pone in stretta correlazione col grafico sottostante che, avendo ben presente quanto finora detto, consente di raffigurarsi la "guerra" che deriva dalla competizione di mercato tra sistemi-Stato imposta dai vincoli valutari €uropei (guerra che l'Italia ha perso perché non ha creato abbastanza rapidamente il livello adeguato di disoccupazione, ovvero il suo equivalente, di "precarizzazione" e flessibilità totale del lavoro):
E se si "perde una guerra" le più ovvie conseguenze sono equivalenti a quelle di una conflitto bellico, solo combattuto con le armi del capitale finanziario "mobile e libero" e della gara deflattiva in cui, chi deflaziona per primo, vince, come se avesse bombardato a tappeto il vicino.
Vale a dire, le conseguenza sono la distruzione dell'industria, cioè fisica degli impianti, e la disoccupazione-precarizzazione totale di chi accede al lavoro, con sostanziale privazione del welfare conseguente alla disciplina, de-pubblicizzata e de-sindacalizzata, del mercato del lavoro (una disciplina dettata dallo "stato di eccezione" -dei "mercati"- come in un'economia di guerra): un disoccupato o un working poor non sono poi molto differenti, poiché queste due condizioni socio-economiche, in tale regime, deflattivo-competitivo, tendono a "incrociarsi" come dimensione esistenziale...normativamente imposta dall'adesione alla moneta unica...
10. Poi, naturalmente, quasi tutte queste previsioni di crescita del PIL che trovate sotto, per il 2017, si riveleranno errate: quella che sbaglierà meno è la previsione di Confindustria. Ma sarebbe pur sempre ottimista ove si verificasse lo "sterminio" dei risparmatori italiani e del controllo nazionale del sistema bancario (auto)imposto da coloro che entusiasticamente ci hanno fatto entrare nell'Unione bancaria...
http://ec.europa.eu/economy_finance/eu/forecasts/index_en.htm
http://www.mef.gov.it/documenti-pubblicazioni/doc-finanza-pubblica/index.html#cont1
11. Dato tutto questo (e sarebbero da aggiungere molti altri dati), COME VOTERESTE A UN REFERENDUM CHE DI CHIEDESSE LA CESSIONE DI ULTERIORE SOVRANITA' (ANZI: DI TUTTA) ' ALL'€UROPA?
Fate un po' voi. Tanto è un'ipotesi teorica...
Nessuno ci ha mai chiesto direttamente nulla sulla cessione della sovranità contenuta nei vari trattati. E intendono continuare a non chiedercelo:
Per gli eurocrati UE la democrazia è un fastidio - Juncker supplica i leader UE di non tenere referendum sull’exit https://t.co/fJuxtKma62— Blu di Russia (@Blu_di_Russia) 30 novembre 2016
Però, se ci riflettete bene, forse un tal genere di referendum potrebbe pure essere attuale, molto attuale. Se ci riflettete...
Se fosse esistita l'Unione Europea prima del 1947, sicuramente la Costituzione l'avrebbe inclusa nei suoi articoli. Non vedo perchè avrebbe dovuto far finta che non esista quel livello superiore di legislazione, su molte materie...
D'altra parte è vero che se fosse esistita l'Ue negli anni '40, non ci sarebbe stata la guerra mondiale e quindi neanche la nostra nuova Costituzione..."