lunedì 28 novembre 2016

COSTITUZIONALIZZARE HAYEK A PROPRIA INSAPUTA...(?)



http://www.sinistrainrete.info/images/stories/stories4/Schermata-1.jpg

1. Dunque, Carlo Clericetti, sul suo blog all'nterno di Repubblica.it, cerca di spiegare, citando un post di orizzonte48,  "che non solo l'adesione all'Unione viene costituzionalizzata, ma la formulazione è tale che le norme europee diventano sovraordinate rispetto a quelle della nostra Costituzione, e dunque - nei casi in cui vi fosse un conflitto - debbono essere quelle a prevalere. I difensori della riforma sostengono che non cambia nulla rispetto ad ora, ma non è così: finora non c'è stato niente del genere nella nostra Carta".

Apriti cielo! Torme di europeisti entusiasti e convintissimi, si inalberano ergendosi a sommi intepreti del diritto (di ogni tipo: internazionale, dei trattati e costituzionale), facendo leva sull'argomento che il blog "disinformi" e condendo il tutto con insulti e insinuazioni personali. Uno spettacolo (di apertura mentale e di capacità di scendere nel "merito" che sarebbe il cavallo di battagli vincente dei sostenitori della riforma)!
Tralasciando i commentatori (peraltro bloccati su twitter e doppiamente inviperiti), che la sanno lunga e che gioiscono dello shadow-ban/censura del link al blog su twitter - che twitter non ritiene di spiegare pur a fronte dell'esperimento di varie procedure di segnalazione dell'inconveniente inutilmente esperite- vi riproduco qui, con alcune integrazioni, la mia replica, tecnico-interpretativa, pubblicata gentilmente da Clericetti. 
Non sarà letta con alcuna attenzione dagli europeisti inviperiti

2. Ma non importa: può anche servire a chi è dotato di volontà di capire e informarsi, cioè ai sempre più numerosi lettori di questo blog, come quadro riassuntivo di una parte consistente delle fonti qui analizzate e delle analisi rilevanti sul tema della "€uro-riforma":

"I. Per prima cosa va notato che, per partito preso, e senza aver dunque letto né quanto scrivo, né tantomeno la "riforma", taluni si basano sull'art.117 per sostenere che non sia "cambiato nulla". RIguardo al 117 sono il primo a evidenziarlo. http://orizzonte48.blogspot.it/2016/10/la-costituzionalizzazione-del-vincolo.html
 
II. Rimane il fatto che la lettura completa e non estrapolata del mio post consente di comprendere il "quid novi" degli artt.55 e 70: se fosse bastato l'art.117, vecchio e nuovo, non avrebbero avuto bisogno di una riformulazione di altre e ben più importanti norme fondamentali relative all'intero potere legislativo (in Costituzione!).
Il che consiste in un'anomalia che salta agli occhi dal confronto tra gli articoli 55 e 70, nella formulazione risalente al 1948, e la nuova. Riproduco i passaggi c) e d) (ivi mancante) del sintetico ragionamento svolto nel post:
"...c) vi accorgerete, dunque, che l'effetto aggiuntivo più eclatante, rispetto alle previsioni della Costituzione del 1948 è che "la partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea" è divenuta un contenuto super-tipizzato e dunque, potere-dovere immancabile, della più importante funzione sovrana dello Stato (quella legislativa): ergo, la sovranità italiana è, per esplicito precetto costituzionale, vincolata, per sempre, ad autolimitarsi attraverso l'adesione alla stessa UE che, per logica implicazione, diviene un obbligo costituzionalizzato.
d) Non potrebbe dunque non essere, lo Stato italiano, parte dell'Unione, così com'è (dato che la previsione costituzionale non parla di alcuna iniziativa tesa alla revisione e al dinamico aggiornamento dei trattati stessi), altrimenti il Parlamento, cioè il teorico massimo organo di indirizzo politico-democratico, non sarebbe in grado di adempiere al suo dovere costituzionalizzato".

III. Che si costituzionalizzi un contenuto tipico dell'attività legislativa e si definisca la mission costituzionale del massimo organo rappresentativo dell'indirizzo politico è un'anomalia che si contrappone alla soluzione esattamente contraria adottata dalla Costituzione tedesca, come ho mostrato qui: http://orizzonte48.blogspot.it/2016/11/la-stupefacente-costituzione-teronoma.html
Sulla Germania e su come intende in modo sistematico, e molto pratico, il proprio filtro costituzionale, aggiungerei questo
http://orizzonte48.blogspot.it/2016/06/uk-italia-e-la-sovranita-la-sua-ragion.html (PP. 2-3.1.: si tratta della "rigida" Lissabon Urteil della Corte tedesca così come commentata, semplicemente prendendo atto, della irrealizzabilità degli Stati Uniti d'€uropa, da parte delle stesse istituzioni UE)
e questo:
http://orizzonte48.blogspot.it/2015/06/la-sentenza-della-corte-uropea-sullomt.html (qua s'è avuto un caso clamoroso di "adeguamento" della CGUE alla Corte costituzionale tedesca, esattamente in senso inverso a quanto accade in Italia!)
 
IV. Ma poi, sul piano normativo, tali passaggi non avrebbero neppure bisogno di essere troppo interpretati, dato che è la stessa Relazione governativa di accompagnamento della riforma, presentata al Senato, ad affermarlo, e proprio citando l'esigenza di adeguamento della Costituzione, attuale, al fiscal compact e all'introduzione in Costituzione del connesso pareggio di bilancio (e al nuovo patto di stabilità interna, cioè al pareggio di bilancio inderogabile per gli enti autonomi territoriali). V. qui: http://orizzonte48.blogspot.it/2016/10/luro-riforma-della-costituzione-la.html

V. Sulla filosofia riformatrice connessa all'€uropa, in effetti, gli atti ufficiali dell'organismo incaricato dalla Commissione di "predicare" le riforme" costituzionali ai vari paesi UE, sono inequivocabili: http://orizzonte48.blogspot.it/2016/10/la-filosofia-riformatrice-della-venice.html

VI. Infine, per un quadro riassuntivo dell'intera questione e del livello di falsificazione (in senso popperiano) cui s'è pervenuti per legittimare la riforma, rinvio a quanto scritto qui, dove c'è una ricostruzione anche storica della questione del bicameralismo, e della relativa critica, erroneamente attribuita a Mortati: http://orizzonte48.blogspot.it/2016/11/bicameralismo-improprio-o-asimmetrico.html "

3. Ma il commento forse più "divertente" è questo:
"Ah, e fra l'altro, sarebbe stato un po' sorprendente che la Costituzione del 1947 avesse citato l'Unione Europea, nata nel 1993...
Se fosse esistita l'Unione Europea prima del 1947, sicuramente la Costituzione l'avrebbe inclusa nei suoi articoli. Non vedo perchè avrebbe dovuto far finta che non esista quel livello superiore di legislazione, su molte materie...
D'altra parte è vero che se fosse esistita l'Ue negli anni '40, non ci sarebbe stata la guerra mondiale e quindi neanche la nostra nuova Costituzione..."
Questo commento ha il "pregio" di mettere insieme, in un unico breve periodo, una serie di inesattezze storico-concettuali, veramente notevoli.
Non solo di un passo supera ogni obiezione al fatto che un solo trattato sia costituzionalizzato, tra i tanti anche più importanti trattati relativi a organizzazioni internazionali nati anche prima della Costituzione: ad es; il trattato ONU che è del 1945, ancorché ratificato dall'Italia nel 1957, "solo" 50 anni fa; o il trattato Nato, ratificato dall'Italia nel 1949...
Non solo, dunque, non si domanda perché i trattati che hanno effettivamente garantito la pace in Europa nel secondo dopoguerra - laddove i conflitti armati in Europa sono invece ricomparsi proprio in concomitanza della nascita dell'UE!- siano stati lasciati alla previsione dell'art.11 Cost., senza sentire il bisogno di modificare addirittura il contenuto vincolato della funzione legislativa e la mission giustificatrice degli stessi organi legislativi... 
Ma dà anche per scontato che l'unione federata degli Stati europei non sia stata considerata, ed esplicitamente respinta, come oggetto di possibile costituzionalizzazione, da parte dell'Assemblea Costituente

4. Sarà dunque uno shock notevole, per il commentatore convinto, sapere che il federalismo interstatale come "soluzione" €uropeista, proprio allo scopo di disabilitare gli Stati democratici del welfare e reinstaurare il governo sovranazionale dei mercati, era stato già da lungo tempo teorizzato, trovando la sua sistematizzazione più compiuta nel super-liberista von Hayek già nel 1944:
"in una federazione di stati nazionali la diversità di interessi è maggiore di quella presente all'interno di un singolo stato, e allo stesso tempo è più debole il sentimento di appartenenza a un'identità in nome della quale superare i conflitti stessi (…). Un'omogeneità strutturale, derivante da dimensioni limitate e tradizioni comuni, permette interventi sulla vita sociale ed economica che non risulterebbero accettabili nel quadro di unità politiche più ampie e per questo meno omogenee (pagg.121-122)"). 
Ma la formulazione di Hayek stesso costituisce appunto una sintesi a posteriori di una concezione che nel '900, era già considerata consolidata. Einaudi, lo sa benissimo e infatti, ispirandosi a un altro economista "iper" e, poi, "neo" liberista, Lionel Robbins, patrocina l'elaborazione del "Manifesto di Ventotene" sulla base del pensiero europeista dell'ordine sovranazionale dei mercati.

5. Come se non bastasse, la natura del federalismo europeo, - non a caso costantemente patrocinato dai liberisti amanti del gold standard e dunque della "moneta unica europea" (sempre Hayek: "Con una moneta unica, l'autonomia delle banche centrali nazionali sarà ristretta almeno quanto lo era sotto un rigido gold standarde forse anche di più dal momento che, anche sotto il tradizionale gold standard, le fluttuazioni dei cambi tra paesi erano più ampie di quelle fra diverse parti di uno Stato o di quanto sarebbe comunque desiderabile consentire nell'unione...")  e delle recessioni come opportunità per riequilibrare verso il basso il costo del lavoro-, era già stata considerata da Rosa Luxemburg, proprio sulla base della sua natura mercatista e propria dell'anarchia naturale del capitalismo.  
"...Che un' idea così poco in sintonia con le tendenze di sviluppo non possa fondamentalmente offrire alcuna efficace soluzione, a dispetto di tutte le messinscene, è confermato anche dal destino dello slogan degli “Stati Uniti d’Europa”. Tutte le volte che i politicanti borghesi hanno sostenuto l’idea dell’europeismo, dell’unione degli stati europei, l’hanno fatto rivolgendola, esplicitamente o implicitamente, contro il “pericolo giallo”, il “continente nero”, le “razze inferiori”; in poche parole l’europeismo è un aborto dell’imperialismo.
E se ora noi, in quanto socialdemocratici, volessimo provare a riempire questo vecchio barile con fresco ed apparentemente rivoluzionario vino, allora dovremmo tenere presente che i vantaggi non andrebbero dalla nostra parte, ma da quella della borghesia..."

6. Senza aggiungere altre possibili copiose fonti sulla preesistenza, al 1946-47, dell'idea di federalismo e di Unione europea, sempre improntata al "governo dei mercati" e allo Stato minimo con una moneta unica insterstatale (e naturalmente "il pareggio di bilancio"), assunte come leggi naturali politico-economiche, la prova-provata la troviamo negli stessi lavori dell'Assemblea Costituente
Poiché, a differenza degli attuali, i deputati della Costituente erano còlti, e deliberavano preoccupandosi di informare il popolo (qui, p.4), la questione dell'eventuale inserimento dell'Europa fu esaminata e SCARTATA, sulla base delle considerazioni di sintesi (corrispondenti ad una vasta maggioranza), svolte dal presidente dell'Assemblea dei "75", (cioè quella "redigente"), Meuccio Ruini, in relazione al testo, approvato, dell'art.11 Cost. (quello che stabilisce i limiti entro i quali l'Italia può aderire ad organizzazioni internazionali):
"...Ma qualcuno ha chiesto: di quali organizzazioni internazionali si tratta? 
Non si può prescindere dalla indicazione dello scopo. Vi possono essere organizzazioni internazionali contrarie alla giustizia ed alla pace. L'onorevole Zagari ha ragione nel sottolineare che non basta limitare la sovranità nazionale; occorre promuovere, favorire l'ordinamento comune a cui aspira la nuova internazionale dei popoli
Ma l'attività positiva diretta a tale scopo è certamente implicita anche nella nostra formulazione: che dovrebbe essere (e non è facile qui su due piedi) tutta rimaneggiata, col rischio di perdere l'equilibrio faticosamente raggiunto di un bell'articolo.
La questione sollevata dall'onorevole Bastianetto, perché si accenni all'unità europea, non è stata esaminata dalla Commissione. Però, raccogliendo alcune impressioni, ho compreso che non potrebbe avere l'unanimità dei voti. 
L'aspirazione alla unità europea è un principio italianissimo; pensatori italiani hanno messo in luce che l'Europa è per noi una seconda Patria. 
È parso però che, anche in questo momento storico, un ordinamento internazionale può e deve andare anche oltre i confini d'Europa. Limitarsi a tali confini non è opportuno di fronte ad altri continenti, come l'America, che desiderano di partecipare all'organizzazione internazionale.
Credo che, se noi vogliamo raggiungere la concordia, possiamo fermarci al testo della Commissione, che, mentre non esclude la formazione di più stretti rapporti nell'ambito europeo, non ne fa un limite ed apre tutte le vie ad organizzare la pace e la giustizia fra tutti i popoli."
7. I costituenti, come traspare dall'intervento di Ruini, dovevano avere ben presente la "lezione" di Rosa Luxemburg, e hanno cercato di prevenire una deriva neo-liberista e liberoscambista, che avrebbe comportato il minare alle basi la nascente democrazia sociale e pluriclasse a cui si voleva dar vita; volevano anticipare, cioè, il pericolo di reinstaurazione e di "rivincita" del capitalismo anarcoide, dedito al controllo totalitario delle istituzioni (solo formalmente) democratiche,  desiderato da Hayek e Einaudi. E dagli ordoliberisti tedeschi.
7.1. I migliori e più "liberi" pensatori tedeschi di oggi, sono ben consapevoli che questo pericolo non è stato purtroppo scongiurato: l'idea neo-ordoliberista, da sempre alla base dell'Unione €uropea, distruttiva della tutela del lavoro e del welfare, ha prevalso a proprio tramite il trattato che si vuole ora costituzionalizzare
Ce lo dice Wolfgang Streeck, uno dei più eminenti sociologi ed economisti tedeschi, con parole che non lasciano adito ad equivoci:
“Dato che i problemi di legittimazione del capitalismo democratico presso il capitale divennero problemi di accumulazione, fu necessaria la liberazione dell'economia capitalistica dall'intervento democratico quale condizione per la loro risoluzione. In questo modo si trasferì dalla politica al mercato il luogo dove assicurare una base di massa a sostegno del moderno capitalismo nelle sue motivazioni più profonde, generate dall'avidità e dalla paura (greed and fear), nel contesto del processo di immunizzazione avanzata dell'economia rispetto alla democrazia di massa.  
Descriverò questo sviluppo come il passaggio da un sistema di istituzioni politiche ed economiche di orientamento keynesiano, tipico della fase fondativa del capitalismo postbellico, a un regime economico neo-hayekiano.”A "greed and fear" c’è una nota: ”Greed and fear, avidità e paura sono, secondo l'autodescrizione del capitalismo finanziario fornita dall’economia finanziaria, spinte decisive al funzionamento dei mercati azionari e dell'economia capitalistica in generale (Shefrin 2002).” (W. Streeck, Tempo guadagnato, Feltrinelli, Milano, 2013, pagg. 25 e 221).
8. In sintesi, chi crede (magari in buona fede...) che l'Unione europa sia volta alla pace e alla giustizia fra le nazioni, dimentica che è stata, e rimane, una costruzione politico-culturale hayekiana, in cui la "pace" significa in realtà il dominio delle "oligarchie dei mercati" a scapito del resto della società dell'intera Europa, sottoposta a un dominio totalitario, strenuo avversario della "dignità del lavoro" (come appunto teorizzava Hayek). 
Una volta che si sia consapevolmente compreso questo quadro storico-economico, superando gli accorti slogan dei trattati, che dissimulano lo pseudo-concetto di piena occupazione c.d. neo-classica e l'antisolidarsimo competitivo tra Stati (qui, p.2), è questo, dunque, che si vuole costituzionalizzare, contro la volontà espressa dei Costituenti, e il principio della sovranità popolare di una democrazia fondata sul lavoro? 
"...credo che la Costituzione democratica debba chiaramente sancire il concetto che la sovranità, cioè il potere, non solo appartiene al popolo, ma nel popolo costantemente risiede. Ed allora bisogna impedire qualunque interpretazione che un giorno possa far pensare a sovranità trasferite o comunque delegate. Ecco perché al termine «appartiene», come pure al termine «emana», preferisco il termine «risiede».

Gli organi attraverso i quali la sovranità e i poteri si esercitano nella vita di un popolo, sono organi i quali agiscono in nome del popolo, ma che non hanno la sovranità, perché questa deve restare al popolo. Ecco perché è preferibile il termine «risiede» in confronto a quello di «appartiene».
...
Può sembrare una sottigliezza, ma sottigliezza non è. La verità è un'altra. 
Esistono fra gli uomini due categorie di persone di fronte ai problemi costituzionali: quelli che credono nelle Costituzioni e quelli che non credono nelle Costituzioni
Per quelli che non credono nelle Costituzioni, cioè che pensano che il giorno che avessero la maggioranza farebbero quello che vogliono, un'affermazione di principio può sembrare una sfumatura, e non ha importanza; ma per coloro che, come me, credono profondamente nelle Costituzioni e nelle leggi, ogni parola ha il suo peso e la sua importanza per il legislatore di domani.
Noi ci dobbiamo preoccupare del documento che facciamo, guardando verso l'avvenire, cioè dando norme sicure ai legislatori di domani, in modo che la volontà di oggi non possa essere violata per improprietà di linguaggio, voluta o non voluta che sia." 
 

35 commenti:

  1. Segnalo un refuso: quinto punto
    l'anno invece di l'hanno.
    Cari saluti Maurilia Ferrero Cittaro

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Corretto.
      Peraltro, questa volta, l'errore è imputabile al file pubblicato on line da cui la citazione è tratta...

      Elimina
  2. Che poi, come ci ricordava Roberta De Monticelli, prima di accostare il referendum di autodeterminazione della Brexit al decisionismo del federalista Carl Schmitt, è Spinelli stesso che ricorda « nell’autobiografia (“Come ho tentato di diventare saggio”, Il Mulino, 1983): “Poiché andavo cercando chiarezza e precisione di pensiero -scrive- la mia attenzione non fu attratta dal fumoso e contorto federalismo ideologico di tipo proudhoniano o mazziniano, ma dal pensiero preciso e pulito di questi federalisti inglesi, nei cui scritti trovai un metodo assai buono per elaborare la situazione in cui l’Europa stava precipitando, e per elaborare prospettive alternative”. »

    Cioè, Spinelli scrive di suo pugno che non si rifà all'utopismo kantiano, irenico e federalista dell'ideale mazziniano o garibaldino, ma proprio a quello contro cui mettono in guardia sia la Luxemburg che Lenin - voce di tutta l'intellighenzia rivoluzionaria - e che, dietro le quinte, aveva infatti tutta la struttura teoretica ben studiata dai controrivoluzionari marginalisti, quindi neoliberisti alla Lionel Robbins: il grande amico di von Hayek. (Troppa grazia per il sociopatico austriaco far quelle considerazioni di carattere economicistico e istituzionalista dell'integrazione economica europea senza il supporto di economisti veri, figli di una nazione che il federalismo l'ha imposto in gran parte delle sue colonie...)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Credo che Spinelli, come emerge obiettivamente da ogni suo intervento ed elaborazione politica, non fosse proprio in grado di comprendere le conseguenze economico-sociali del federalismo capitalista anarcoide che finiva per promuovere...

      Si fidava di Einaudi e non ne comprendeva l'appartenenza e l'incompatibilità col pensiero economico socialista (almeno è preferibile ritenere che fosse così...).

      Per dire: in Costituente sarebbe stato probabilmente contro il diritto al lavoro come obbligo istituzionale a perseguire il pieno impiego dei fattori nazionali della produzione, e contro la retribuzione sufficiente a garantire al lavoratore, ed alla sua famiglia, un'esistenza libera e dignitosa.

      Avrebbe visto tutto come "privilegi" ostacolanti la...euro-democrazia (?) "pacifista", - ma propensa alla guerra contro la Russia- incentrabile, secondo "il Manifesto", sulla competizione mercatista tra Stati-minimi...

      Elimina
    2. Da notare che questa avversione all'intervento pubblico (italiano) era già giustificata col moralismo autorazzista (qui tra l'altro si manifesta una differenza notevole rispetto a Rossi). Le sue opionioni sull'ENI mi pare lo chiariscano come meglio non si potrebbe:

      "Ho avuto oggi una lunga conversazione con Rossi sul problema delle ricerche petrolifere. Siamo d’accordo nel criticare il progetto di legge fatto apposta per mettere i giacimenti nelle mani della Standard. Non siamo d’accordo perché egli propende, sia pure con qualche incertezza, per il monopolio statale ed io per la ricerca libera. Immagino cosa sarebbe un ente statale per la ricerca e lo sfruttamento del petrolio. In mano a democristiani. Nell’impossibilità di prendere personale americano, non potendo pagarlo adeguatamente. Con il timore di fare pozzi senza risultato che sarebbero criticati in Parlamento come sciupio (si pensi che in America solo il 20% dei pozzi dà petrolio, e 1'80 e rotti % dei pozzi che ne danno non ne danno in quantità commerciale). Sarebbe una mangeria. Preferirei che si
      formassero alcune decine di fortunati milionari
      e che il terreno fosse sfruttato bene. A nazionalizzazioni si potrebbe pensare ulteriormente.”


      "Giorni or sono, Rossi mi ha proposto di fare il mio nome a Mattei, presidente dell’ENI, perché mi assuma. Dice che l’Ente Nazionale Idrocarburi sta diventando una cosa gigantesca, che occorre che ci siano uomini di valore, e che vuole profittare della sua amicizia con Mattei per introdurvene quanto più è possibile.
      Il suo atto è segno di amicizia per me, perché si è preoccupato che io non resti senza arte né parte, senza possibilità di guadagnare, se il MFE svanisce. Mi ha già aiutato così nel ’46 quando mi ha fatto assumere dall’ARAR ed è pronto a fare ora lo stesso. A ciò si aggiunge che egli ama molto l’ENI, questo gran corpo nazionale del petrolio italiano. Scrive continuamente in sua difesa contro il pericolo che le ricerche petrolifere e lo sfruttamento del petrolio italiano vadano a finire in mano agli americani. Io l’ho ringraziato, ma non ho accettato. Non credo alla bontà della nazionalizzazione del petrolio italiano. Del Viscovo, che è nell’ufficio studi dell’ENI, mi ha narrato quali porcherie si combinano in questo grande trust statale. Ed è naturale che sia così. Una grande impresa nazionalizzata può essere un elemento di moralizzazione nella vita economica di un paese, solo se si può essere sicuri che essa sarà amministrata con criteri di moralità pubblica che oggi esistono forse in Inghilterra, ma non certo in Italia. Da noi essa è una fonte di mangerie senza fine, soprattutto da parte del partito governante e dei suoi clienti.
      (A. Spinelli, Diario europeo (1948-1969), Il Mulino, Bologna, 1989, pagg. 55 e 213).

      Elimina
    3. Notare come il padre dell'Europa, alla stessa maniera dei suoi tecno-nipotini, si tenesse sempre ben al riparo dalla "durezza del vivere" del libero mercato. Predica moralità ricordando beatamente le raccomandazioni ricevute (immeritatamente, visto il soggetto). Tra un calcio nel popò e un assegno dello Zio Sam: che glorioso fondatore

      Elimina
    4. Oscar Giannino Spinelli.

      « senza possibilità di guadagnare, se il MFE svanisce. »

      A proposito di moralità...

      È morale se i sussidi al reddito arrivano dall'americana CIA.

      Non ci si riesce neanche ad incazzare: il gatto e la volpe. In due non ne fan mezzo.

      E il bello è che è Spinelli a scrivere di considerare Rossi « un liberale, ossia un conservatore in fatto di questioni economiche e politiche... ».

      Uno scontro tra titani.

      Sulle cui spalle si siede la strepitosa "cultura de sinistra" nostrana....

      Elimina
    5. “Gli esponenti delle principali correnti sindacali dei lavoratori italiani - comunista, democratico cristiano e socialista - dopo un largo scambio di vedute sul problema sindacale nell'Italia liberata dall'invasore tedesco e dai suoi complici fascisti; convinti che l'unità sindacale di tutti i lavoratori senza distinzione di opinioni politiche e di fede religiosa, è lo strumento più efficace per il potenziamento dell'organizzazione del lavoro, onde assicurare la più efficace difesa degli interessi economici e morali dei lavoratori stessi e garantire il loro apporto più efficiente all'opera immane di ricostruzione del Paese (opera che sarà necessariamente imperniata sulle forze del lavoro) di pieno ed unanime accordo dichiarano…”.
      Avere Spinelli e Rossi al posto di Di Vittorio, Bruno Buozzi, Achille Grandi come “padri nobili” della sinistra ha portato ai risultati sotto gli occhi di tutti: il cosiddetto dumping sociale, incompatibile con l’idea di un duraturo sviluppo nazionale…

      Elimina
    6. Dopo la voce di pseudo socialisti-liberali, la voce di un vero socialista-costituzionale:

      “E.N.I., I.R.I., partecipazioni statali, Sturzo, Mattei, Bo, liberismo, statalismo, capitalismo di Stato: ecco dei nomi e delle sigle che popolano ogni giorno di più la polemica politica, senza che il grande pubblico abbia ancora potuto formarsi una idea chiara della natura e dell’importanza vitale dei problemi che si dibattono e degli interessi che sono in gioco. E PROBABILMENTE NEPPURE TUTTI I COMPAGNI SOCIALISTI HANNO IDEE CHIARE IN PROPOSITO, anche perché il Partito non ha fino ad oggi sufficientemente delineato e precisato la sua politica. Certo, su due punti esso ha avuto una posizione chiara ed efficace: HA APPOGGIATO VIGOROSAMENTE LA AZIENDA DI STATO CONTRO I MONOPOLI PRIVATI E IL RAPACE CAPITALISMO STRANIERO IN MATERIA DI IDROCARBURI, E HA CONDOTTO IN PARLAMENTO E FUORI UNA LOTTA TENACE PER LO SGANCIAMENTO DELLE AZIENDE I.R.I. DALLA CONFINDUSTRIA. Ma questo non basta a delineare una politica, e opportunamente quindi la Direzione del Partito ha deciso di convocare prossimamente a Roma un convegno nazionale che investa tutto il complesso problema delle partecipazioni.
      Perché i socialisti hanno dimostrato questo favore all’iniziativa pubblica? Perché hanno voluto la separazione anche organizzativa e sindacale dall’iniziativa privata? E come è accaduto che su queste richieste si incontrasse anche il consenso della D.C. o di una parte di essa, una parte essendo invece apertamente rimasta legata agli interessi privati? Credo che, partendo da queste domande, si possa arrivare ad alcune conclusioni in ordine ai temi che saranno trattati al prossimo convegno. Diciamo subito, anche per rispondere a certe obiezioni che ci sono venute pure dall’interno del Partito, che noi non abbiamo difeso l’iniziativa pubblica perché siamo ingenuamente tratti a confondere le attuali forme di capitalismo di Stato con forme di proprietà socialista, o perché ignoriamo che cosa l’azienda di Stato possa diventare, e stia diventando, nelle mani degli attuali governanti. Al contrario, sappiamo benissimo che se la D.C. ha fatto sua la proposta dello sganciamento delle aziende I.R.I. e della creazione di un ministero delle Partecipazioni, è proprio perché essa mira a fare del vastissimo settore delle imprese pubbliche un suo hortus conclusus, un campo chiuso del proprio dominio, mettendo alla testa delle aziende uomini di stretta osservanza, praticando una politica di discriminazione nelle assunzioni, servendosene in ogni modo per scopi elettorali e per il consolidamento del proprio potere, accentuando la presa clericale sul Paese.

      Non solo, ma sappiamo altresì che nelle mani della D.C. le imprese pubbliche, anche sganciate dalla Confindustria, non romperanno mai i loro legami di interessi con i monopoli privati, perché conosciamo bene la partecipazione che al capitale e alla direzione dei monopoli dà il Vaticano nella sua funzione di holding; e sappiamo che il Vaticano fungerà da tramite per accordi e collusioni di interessi al fine di sottoporre al suo controllo tutta la vita economica nazionale. Sappiamo tutto questo e sappiamo quindi che, nonostante lo sganciamento e nonostante il ministero, la battaglia per una seria politica delle imprese statali è appena agli inizi. Quali debbono esserne gli sviluppi? In proposito, ecco, in rapidissima sintesi, il mio pensiero. (segue)

      Elimina
    7. L’economia italiana, sotto la guida del capitalismo privato, si è sviluppata in modo abnorme, creando la situazione ormai a tutti nota di alcune grandi imprese o gruppi di imprese ad alto sviluppo tecnico, con larghi sovrapprofitti, con un grande potere economico sul mercato, e, per contro, di una vasta zona di sottosviluppo, caratterizzata da scarsa produttività, da metodi precapitalistici, da disoccupazione e sottoccupazione, che non si limita soltanto al Mezzogiorno, ma, geograficamente, tocca anche l’Italia del Nord (si pensi per esempio al Delta padano o all’Arco alpino), e, economicamente, investe come settori di produzione, come gran parte dell’agricoltura, del commercio e, più in generale, dei settore terziario.

      SE LO SVILUPPO DELL’ECONOMIA ITALIANA CONTINUA AD ESSERE ABBANDONATO ALLA COSIDDETTA SPONTANEITÀ DEL MERCATO, E CIOÈ IN PRATICA ALLA FORZA PREDOMINANTE DEI MONOPOLI, QUESTA SITUAZIONE PERMARRÀ E SI AGGRAVERANNO ANZI GLI SQUILIBRI FRA REGIONE E REGIONE, FRA SETTORE E SETTORE, FRA CETO E CETO: L’ARRETRATEZZA CON TUTTE LE SUE CONSEGUENZE (fra cui appunto disoccupazione e sottoccupazione, miseria, analfabetismo e semianalfabetismo, ecc.) continuerà a caratterizzare la vita italiana, impedendo la formazione di un Paese moderno e democratico, E IL DOMINIO DEI MONOPOLI SI ACCENTUERÀ ANCHE NELLA VITA POLITICA, CON LE SUE INEVITABILI TENDENZE ALL’ESERCIZIO DI UN POTERE TOTALITARIO.

      Solo un intervento cosciente e programmato nell’economia del Paese può invertire la tendenza, creando le condizioni dello sviluppo economico: investimenti industriali non soltanto e non prevalentemente nell’ambito delle aziende già fortemente sviluppate, ma al contrario con scopi estensivi dell’occupazione, e in settori propulsivi dell’economia e capaci di effetti moltiplicati; industrializzazione del Mezzogiorno per dare a questa vasta zona d’Italia… QUESTO INTERVENTO COSCIENTE E PROGRAMMATO PUÒ ESSERE OPERATO DALLO STATO SOLO SE ESSO DISPONE DI STRUMENTI ECONOMICI EFFICACI, E, PER RICONOSCIMENTO GENERALE, NON SONO OGGI PIÙ SUFFICIENTI, ANCHE SE MOLTO IMPORTANTI, GLI STRUMENTI CLASSICI DELLA FISCALITÀ, DELLA MANOVRA MONETARIA E DEL CONTROLLO DEL CREDITO, adoperati, a seconda dei casi, come freno o come incentivo, e quindi agenti in forma indiretta: SONO NECESSARI ANCHE STRUMENTI DI INTERVENTO DIRETTO, QUALI APPUNTO LE IMPRESE PUBBLICHE, CHE POSSONO EFFETTUARE ESSE STESSE I NECESSARI INVESTIMENTI, promuovere le industrie in base agli opportuni criteri di scelta economica e geografica, praticare direttamente la necessaria politica dei prezzi, ecc.

      Le partecipazioni statali sono quindi oggi necessarie a una politica di sviluppo, ma possono operare utilmente SOLTANTO SE SONO LIBERE DA QUALSIASI INTERFERENZA DI INTERESSI PRIVATI: infatti una politica di sviluppo non è possibile, se non entrando in conflitto con gli interessi dei monopoli, sia per quanto riguarda l’acquisizione del capitale e la scelta degli investimenti, sia per quanto riguarda la politica dei prezzi e l’allargamento del mercato. Come potrebbe seriamente concepirsi una politica di sviluppo che non rompesse le strozzature dei prezzi imposti dal monopolio in materia p. es. di tariffe elettriche, di concimi chimici, di cemento, e via discorrendo? Perciò lo sganciamento dalla Confindustria non deve significare soltanto una separazione puramente organizzativa, ma dev’essere il primo passo per una totale indipendenza di direzione, che permetta alla industria di Stato di assolvere i suoi compiti, che sono di aperta competizione con gli interessi del monopolio. (segue)

      Elimina
    8. Un’impostazione di questa natura porta necessariamente con sé la conseguenza che la politica delle partecipazioni statali, appunto perché diretta essenzialmente a FINALITÀ DI INTERESSE PUBBLICO (che, si badi bene, non sono affatto in contrasto con l’economicità, purché l’economicità sia riferita non al semplice bilancio aziendale annuale, ma ALL’UTILE GENERALE CHE SI VUOLE PERSEGUIRE), DEV’ESSERE SOTTOPOSTA CONTINUAMENTE AL CONTROLLO DEMOCRATICO DELLA COLLETTIVITÀ, controllo diretto soprattutto a garantire la corrispondenza dell’attività svolta al fini assegnati e a impedire conseguentemente ogni ulteriore collusione con gli interessi privati, non soltanto a livello aziendale ma, che è più importante, sul piano della politica generale. Quali siano oggi le forme più efficaci di controllo, è, a mio giudizio, problema arduo, che sfugge alle troppo facili formulazioni: parlare di controllo operaio o di controllo parlamentare non significa ancora uscire da formule generiche e da formule che, fino ad oggi, non hanno rivelato una particolare efficacia. Ma, appunto per questa difficoltà, è necessario che il problema di un controllo democratico sia bene al centro delle nostre preoccupazioni, non solo perché è problema inscindibile da quello dello indirizzo generale di politica economica, ma perché è attraverso il controllo democratico che si esercita la vigilanza e la pressione delle masse.

      Ora il significato più specificamente socialista di questa politica non sta nella famosa e fumosa “socialità” di cui parlano i cattolici, non sta neppure in possibili vantaggi sindacali cui potrebbero aspirare i lavoratori di queste aziende, ma sta nel fatto che ATTRAVERSO QUESTA POLITICA È LA COLLETTIVITÀ STESSA, SONO I LAVORATORI ORGANIZZATI E COSCIENTI CHE ASSUMONO L’INIZIATIVA POLITICA ANCHE IN CAMPO ECONOMICO, STRAPPANDOLA DALLE MANI DEI GRUPPI DIRIGENTI CHE CON IL LORO CHIUSO EGOISMO HANNO AVVILITO TUTTA LA VITA DELLA NAZIONE. In questo senso questa politica è parte viva di una alternativa democratica, che non può esaurirsi soltanto in un mutamento di leggi e in un rinnovamento di istituti, ma ha per scopo essenziale, attraverso una più forte presa di coscienza e una maggiore acquisizione di potere e quindi una più attiva presenza dei lavoratori nella direzione della cosa pubblica, di dare un nuovo protagonista alla vita nazionale, nel che sono contenute in nuce ulteriori possibilità di democratizzazione e di socialismo. [L. BASSO, I socialisti e le partecipazioni statali, su “Avanti!”, 26 febraio 1958].

      L’interesse pubblico, alias una politica socialista, per l’uomo comune e dell'uomo comune (mi ricorda Caffè!). Appunto, la Costituzione

      Elimina
  3. Luciano, a giusto titolo, ci segnala l'opera del grande Wolfgang Streeck.
    Che tanto aveva compreso, in effetti — e ci aiuta a capire come nella Ue sia l'Incarnazione della relazione simbiotica tra iper-liberismo vonhayekiano e ordoliberismo.
    Ma c'è un punto di caduta del pensiero streeckiano, drammatico, terribile, mi permetto di dire nichilistico, che ci interroga, e dove nessuna reticenza, a questo punto, è ammessa.
    Streeck è convinto della fine inesorabile del capitalismo, che questo neoliberista è appunto il ciclo dell'agonia mortale, ma...
    Cito:
    «Credere che il capitalismo sia un'epoca storica che finirà solo quando è in vista una società migliore, e un soggetto rivoluzionario è pronto a realizzarla per il progresso dell'umanità, è un pregiudizio marxista o, meglio, modernista.
    Presupporrebbe un certo grado di controllo politico sul nostro comune destino, che non ci possiamo neppure sognare di avere dopo che, nella rivoluzione neoliberale globalista, gli agenti collettivi sono stati demoliti, insieme alla speranza di ricostruirli».
    [New Left Review, 87, 2014, p.46]
    No, penso piuttosto che una via di fuga, un'alternativa, esista.
    Solo occorre ripensare il soggetto o la forza motrice per la fuoriuscita dal capitalismo, in termini nuovi e spregiudicati.
    Vogliamo aprirla questa discussione?
    Moreno Pasquinelli

    RispondiElimina
    Risposte
    1. In realtà questa posizione di Streeck mi era nota: ma gli annetto una rilevanza minore rispetto al tema trattato nel post.

      "Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo, solo questo vi possiamo dire...".
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/04/non-bisogna-mai-dimenticare.html
      (Ma forse al tempo non seguivi...).

      Ed è questo il tema di questo intero blog: in sostanza, l'analisi qui condotta è nel senso che la "fine del capitalismo" sia un falso problema. L'ipotesi, (che Bazaar dovrebbe/vorrebbe sviluppare per benino), è che Marx, se nato nel '900, sarebbe stato d'accordo con Keynes.

      E d'altra parte, qui abbiamo supportato questa ipotesi citando innumerevoli brani di Caffè, Kaldor, Myrdhal e, naturalmente, Kalecky. Aggiungiamoci con certezza anche Rosa Luxemburg...

      Ma occorrerebbe, per non disperdere le forze in sterili dibattiti (eccessivamente filosofici), un forte movimento popolare a continuo e vigile presidio dell'ATTUAZIONE della Costituzione del 1948, cosa che dovrebbe essere del tutto logica (se non altro per "utilitarismo" di massa): perché questa Costituzione è stata, consapevolmente, proprio rivolta a realizzare quel "controllo politico del nostro comune destino", attraverso la democrazia partecipata a realizzazione permanente.
      Cioè Basso, se vuoi, che certo non aveva bisogno di spiegazioni da parte di Streeck: e Basso è ancora attualissimo (come Di Vittorio, recentemente citato per esteso da Arturo sulle politiche economico-industriali conformi all'interesse democratico nazionale).

      Insomma, non solo qui il discorso è aperto da un pezzo, ma pure in uno stato molto avanzato..che occorra una forza motrice, siamo d'accordo,; ma che si identifichi, in saecula saeculorum, il capitalismo col liberismo, arrendendosi alla impraticabilità della via socialista-costituzionale (del 1948)...beh, non chiederlo qui :-)

      Elimina
    2. Caro Luciano,

      ricevuto!
      Perdonerai il mio filosofeggiare?

      Per quelli come me, strana specie di eiezione del marxismo eretico (che quindi compete con quello ortodosso per chi è più ortodosso) ammettere che la classe operaia non ha alcuna funzione teleologica e salvifica... beh... è come restare orfani, spaesati.
      Tuttavia il problema del soggetto di una trasformazione socialista esiste e come.
      David Harvey ci suggerisce una possibile risposta. Comunque... il ciclo neoliberista ci consegna una paccottiglia plebea, precisamente una plebaglia, che noi dovremmo essere in grado di trasformare in POPOLO sovrano COSTITUENTE. Il fattore schmittiano del "politico"...
      Dopo, solo dopo viene il problema della strada, se e quali rotture chiede il cambiamento. La via socialista-cosituzionale non esclude una rivoluzione democratica.
      passo e chiudo.
      Moreno Pasquinelli

      Elimina
    3. Non saprei se occorra una nuova fase Costituente, una volta che hai superato il vincolo esterno e hai la Costituzione del 1948 passabilmente intatta (e semmai da rafforzare con pochi ma ben studiati accorgimenti).

      Ti segnalo però alcune analisi che hanno una gamma di rationalia molto simili a quelli qui suggeriti (in via del tutto autonoma):
      1) http://www.sinistrainrete.info/geopolitica/8531-domenico-moro-trump-risposta-alla-crisi-secolare-e-apertura-della-seconda-fase-della-globalizzazione.html (su Trump e lo spazio per il socialismo)

      2) E anche, meglio tardi che mai (potrebbe essere tratto dai posti degli ultimi 4 anni..):
      "Il problema per noi non è soltanto quello della redistribuzione della ricchezza, come poteva essere in fasi espansive dell'economia capitalistica, ma oggi è diventato anche quello della produzione della ricchezza, a causa della distruzione di forze produttive attraverso la ristrutturazione complessiva dei processi di accumulazione in corso in Europa.
      L'euro è lo strumento strategico per l'attuazione di tale ristrutturazione.
      Di conseguenza un nostro orientamento che si limiti a invocare politiche di taglio neokeynesiano o antiliberiste senza considerare il dissolvimento dell'euro è destinato a rimanere su un terreno perdente. Una delle argomentazioni contro l'uscita dall'euro è il pericolo di una esplosione dell'inflazione. Oggi, però, il problema non è quello dell'inflazione, ma quello della crescita. Infatti, l'Europa occidentale è, per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, in deflazione, e lo è soltanto perché non riesce ad uscire dalla recessione. La disgregazione e/o l'uscita dall'euro ovviamente non risolve da sola tutti il problemi del capitalismo, ma di certo consente di rimettere all'ordine del giorno, ponendola su basi reali, la questione centrale della crescita e, insieme ad essa, quella dell'occupazione.

      Per questa ragione è nostro compito inserire l'uscita dall'euro in una elaborazione programmatica più complessiva, che includa, ad esempio, l'allargamento del perimetro dell'intervento pubblico nell'economia, specie sul piano degli investimenti fissi, l'introduzione di aspetti di programmazione economica, e l'annullamento della indipendenza della Banca centrale".
      http://www.sinistrainrete.info/europa/7295-domenico-moro-uscire-dall-euro.html

      Elimina
  4. Carissimi,
    mi è già capitato di trovarmi particolarmente d'accordo con una formulazione testuale (nella specie, della libertà domiciliare) proposta da Lucifero, anche in opposizione a Basso. C'è da dire -almeno da quanto mi pare di capire da Wiki- che Lucifero, più che un liberale, era un monarchico.
    Forse, proprio per questo, aveva, per così dire, una concezione "forte" della sovranità, e temeva che quest'ultima fosse trasferita, dal sovrano al popolo, solo per poi essergli sottratta (scippata, si direbbe dalle mie parti), da altri soggetti ai quali il popolo deve necessariamente delegarla, perché, in quanto soggetto collettivo, non può materialmente esercitarla "in prima persona".
    Questo mi ha fatto ripensare alla Brexit.
    Anche in quel caso, infatti, parrebbe che un ruolo forse fondamentale l'abbia svolto la regina, che pure dovrebbe rimanere neutrale in tali questioni, e che invece, in un paio di occasioni prossime al voto, avrebbe dato chiari segnali pro Brexit.
    Del resto, se nasci Maestà Imperiale, è pure normale che non vuoi morire suddita di qualche oscuro burocrate.
    Per quanto riguarda Altiero, invece, devo dire che proprio non riesco a credere alle coincidenze. Spero mi scuserete il complottismo. Ma quante probabilità ci sono che due fratelli romani, negli stessi anni, a migliaia di chilometri di distanza, e quindi in maniera indipendente, si sposino con due ebree tedesche entrambe di famiglie rilevanti, in diverso modo, in ambito economico?
    E' un poco come per l'indiano: prima sposa la figlia proprio di Ursula, poi, quando la poveretta muore per un cancro, si sposa direttamente una Rothschild (sempre fonte Wiki).
    Anche qui, quante probabilità ci sono?
    Sarò complottista, ma a me, in entrambi i casi, paiono tanto storie di cooptazione, per via matrimoniale, di uomini utili alla "causa" della lobby transnazionale dei prestatori professionali di danaro.
    Tom

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Warburg, Rothschild, Hirschmann... tutti comunisti ortodossi come il compagno Altiero e del figliol prodigo di Einaudi, Ernesto Rossi.

      Dal capitalismo ci si uscirà: dritti verso il medioevo.

      Elimina
  5. Accettare la riforma costituzionale è da stupidi.

    Vedo di spiegarmi per bene.

    Una persona può essere €peista o €scettico (con i due termini intendo non solo una posizione sulla moneta unica, ma anche sui trattati europei in generale).
    Parto dal presupposto che entrambe le posizioni siano legittime (esiste pur sempre la libertà di pensiero).

    In generale, una persona assennata, dinanzi ad una decisione molto importante, cerca sempre di prevedere un piano B, cioè una strategia alternativa nel caso in cui le ipotesi di partenza, su cui si basa la scelta, venissero a cadere (perchè sbagliate o mutate).

    Ad esempio, se devo andare a prendere l'aereo parto dal presupposto che ci sia traffico normale, ma parto comunque prima nell'ipotesi che invece ci sia un ingorgo per cause non prevedibili (es. un incidente).

    Vediamo il nostro caso.
    Una persona €scettica ritiene € e UE 'cattive' quindi voterà NO. Ma nel caso dovesse sbagliarsi? Nessun problema, l'Italia potrà continuare a rispettare i trattati e le politiche europee senza nessun problema. L'attuale costituzione non impedisce questo (in realtà si, ma perchè i trattati cozzano con i principi fondamentali, non per divieto assoluto).
    D'altra parte sono 20-30 anni che rispettiamo i trattati con la costituzione in vigore, quindi quale problema potrebbe generare la vittoria del NO?

    Un €peista ritiene € e UE cosa buona, quindi sarà contento di avere UE in costituzione e voterà SI. Ma se dovesse sbagliarsi? Qui sta il problema, perchè una volta inserita in costituzione diventarà obbligatorio 'attuare le politiche europee', senza poter avere voce in capitolo. E se l'UE dovesse rivelarsi negativa (o dovesse diventare negativa, per coloro che la ritengono positiva oggi) ecco che non ci sarebbe nessuna scappatoia possibile, nessuna uscita di sicurezza, nessun piano B. Condannerà sè stesso e i propri figli ad avere le mani legate per una convinzione sbagliata. Questo è da stupidi.

    Ecco perchè votare SI per l'UE è da stupidi.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il ragionamento è un po' "paralogico": in realtà potrebvbe andare bene cone svolgimento dialettico per €uropeisti convinti. Ma convinti di che?

      Rinvio alla risposta a Moreno e al post ivi citato.
      Perché affaccendarsi a rassicurare logicamente coloro che hanno dimenticato i fondamenti della democrazia "necessitata" e NON HANNO LETTO E NON SONO IN GRADO DI COMPRENDERE I TRATTATI?

      Tanto più che, come abbiamo tante volte qui evidenziato, le ragioni"prevalenti" del "no" sono...prevalentemente sbagliate...Sicuramente incomplete: non c'è democrazia e vera solidarietà (ordinamentale), e quindi socio-politica, senza verità.

      E una versione non vale l'altra: la libertà di pensiero degli €uropeisti si esprime essenzialmente per PENSIERO UNICO, ACRITICO E CENSORIO.

      Cioè negando in radice, in nome di oligarchie di cui non riconoscono correttamente il controllo istituzionale TOTALITARIO, le condizioni costituzionali poste dall'art.3, comma 2, (grund-norm della nostra democrazia), per l'esercizio ANCHE della libertà di espressione del pensiero stesso.

      Elimina
    2. Beh... io ci vedo una tensione verso la logica pascaliana.

      Sulla "libertà di pensiero", aka "fascismo dell'opinione" secondo Bagnai, aggiungo l'imprescindibile e definitivo "Tirannia dei valori" di Carl Schmitt:

      « per la filosofia dei valori non solo la libertà è il valore supremo, ma anche la libertà dai valori è la libertà suprema »

      Ossia: fiat justitia, pereat mundus

      Dove la "giustizia" è rigorosamente commutativa e fondata sulla stabilità dei prezzi.

      Schmitt è riuscito pure ad occuparsi fino alla più raffinata disamina del "costituzionalismo politico" dell'economicistica Venice Commission ante litteram...

      Elimina
    3. "Il ragionamento è un po' "paralogico": in realtà potrebvbe andare bene cone svolgimento dialettico per €uropeisti convinti."

      Era proprio questo l'obiettivo. Purtroppo a pochi giorni dal voto è meglio un NO ad un SI, anche se per motivi sbagliati.

      Grazie per i commenti.



      Elimina
    4. Io ho l'impressione che piano piano i motivi giusti si comincino a percepire in giro, sia pure ancora confusamente. Ci fosse un mese in più per parlarne... ovvio che qui se ne parla da anni, ma è lettura per pochi ancora. Il principale atout di questa riforma risiede purtroppo nella sua nebulosità, rispetto a una Brexit o all'elezione di un presidente. Vincerà il sì, probabilmente per questo e per la paura, non abbastanza controbilanciata dall'odio meritato verso la UE che pure esiste eccome e alle volte coesiste con i politiciladri ve lo farà vedere la riforma. L'antipatia per il servo sciocco che l'ha proposta farà da ago della bilancia. Devo dire peraltro che mai ho avuto l'impressione di sentire così vicino a me il do ut des come in questo caso. E i pecoroni messi in crisi dalla crisi apparentemente ci cascano. Breve sollievo.

      Per non parlare degli incidenti di certi proprietari di impensati no, mentre Juncker invoca basta referendum - non che il nostro possa impedire di continuare con il programma bce peraltro, come dimostra l'aziendalizzazione della sanità del nuovo contratto metalmeccanico - a meno che i nostri politici non si stanchino di un lavoro così precario come quello di esecutori della UE. Ma a quel punto gli ci vorrebbero un'energia e un'audacia di cui sono incapaci per costituzione, rigorosamente con la minuscola.

      L'impressione è che una comune mortale come me possa scorgere veramente solo lievi increspature di una lotta ben più sorda e profonda.

      Elimina
    5. Purtroppo le cose stanno così: e la diffusione di sondaggi favorevoli al no è un deterrente aggiuntivo a cercare capire veramente (come i tempi di pubblicazione e i contenuti di certe sentenze della Corte cost.).

      Ma in certe aree d'Italia, il boomerang potrebbe essere proprio il "do ut des": cosa mai si può più dare in cambio, che non sia effimero e ri-sottraibile subito dopo, in molte forme (su tutte: tagli sanità e pensioni) come ognuno ha imparato sulla sua pelle?

      Elimina
    6. "Non che il nostro possa impedire di continuare con il programma bce peraltro, come dimostra L'AZIENDALIZZAZIONE DELLA SANITÀ NEL NUOVO CONTRATTO METALMECCANICO"

      Vogliamo parlarne? Non è un cavallo di Troia: è una mandria di cavalli di Troia! Passata così, de plano, completamente sotto silenzio, con quell'aborto di segretario fiom che addirittura se ne vanta dalla Annunziata mentre si fa mettere all'angolo da Renzi sul referendum per becera impreparazione sui contenuti base della riforma (naturale riflesso di una abissale insipienza di fondo). Come si può sperare, in queste condizioni, non dico di invertire e nemmeno di arrestare, ma almeno di arginare la tendenza? Scusate lo sfogo, ma personalmente lo sconforto è tanto e non è facile da elaborare.

      Elimina
    7. @48: lo spero, il JA ad esempio non è stato affatto dimenticato. Ma la paura è tanta. Appartengo, brutalmente, a una fascia economica che non sopravviverebbe, né potrebbe aiutare i suoi vecchi, cosa straziante per me.

      Ma le sentenze quali sarebbero? Sì, ne hai sicuramente già parlato e per pietà, al blog serve un indice! :-) Oggi ho provato a cercare con google art. 58, non è che sia andata proprio benissimo :-/.
      Bellissimo il post di oggi, comunque.

      @Fabrizio: tutto questo e anche più. Tra l'altro quel contratto non vale solo per le tute blu di Landini, ormai tristemente ridotto a pagliaccio di Camusso (ma come ha potuto ché scemo non è, e nel suo sindacato ha altri ben più coscienti da almeno dieci anni) ma, cosa che pochi conoscono, è l'inquadramento base di molte più realtà.
      Comunque: sindacato ormai completamente paralizzato, FIOM normalizzata ufficialmente. Altra mediazione e rappresentanza su cui è impossibile contare. Resistono giusto i pochi COBAS, quando non li stirano sotto i camion. In Emilia! Non so più chi di "essi" ha scritto che bisognava mettere in conto una generazione di scontenti. Fatta fuori quella, scomparsa la Costituzione dalle norme come prima fu fatta scomparire dalle scuole, iniziato a ripetersi nelle coscienze il mantra che "sarà così per un po' ormai" (dettomi direttamente da una tedesca trapiantata in Italia che lavora nei progetti UE), le barriere e le barricate cadono una dopo l'altra.

      Forse si dovrebbe dare a questo contratto una valenza anche simbolica. Nel 1969, proprio in dicembre, un altro contratto fu chiuso e si aprì una stagione diversa da questa, pur se anch'essa inquietante.
      P.S.: ho letto, scompisciandomi dal ridere, per una volta! il tuo favoloso commento al Keynes-Telemann: il migliore.

      Elimina
  6. “Financial markets clearly don't like uncertainty, which has recently increased, not only in Italy, and are concerned that the reforms -- encouraged in the past two years because considered as sustainable and important for financial sustainability -- are somehow implicitly called into question,” Economy Minister Pier Carlo Padoan said, referring to the Financial TImes, which said that if Italy's constitutional reform is rejected, eight banks would face a bail-in procedure.".
    I repeat: "...if Italy's constitutional reform is rejected, eight banks would face a bail-in procedure.". Non sapevo che il referendum conservativo costituzionale fosse sul bail in. Che novità!

    RispondiElimina
  7. Che fatica seguire questo blog. Capisco quello che posso ma "sento" molto. Grazie infinite.

    RispondiElimina
  8. Ho visto i commenti sul sito di "repubblica"...... Certo sono curiosi questi "europeisti". Parlano tanto contro il "populismo", quando i primi "populisti" sono proprio loro: basta vedere il livore, l'acredine, la "rabbia" che profondono (lo ha notato, se non erro, anche il pedante), contro chi manifesta e professa una visione del mondo diversa da quella in cui credono.
    A tal punto si spinge la loro tendenza ad avere aprioristicamente ragione che -come leggo qui- "se ci fosse stata l'UE nel 1947, la Costituzione la avrebbe automaticamente recepita al suo interno". Devo desumere, in barba al più elementare buon senso, che "la storia si fa con i sé"? In ogni caso, affermazione indice di una tendenza orwelliana a riscrivere il passato non certo rassicurante.

    Io non so cosa diranno gli storici del futuro. Io personalmente penso che stiamo assistendo al fallimento storico degli "ismi" nati dopo la seconda guerra mondiale.
    Il "mondialismo" è uno di questi, seguito da tutti quelli elaborati dalla cosiddetta "sinistra del costume": uniti, stanno dando luogo ad una società distopica, dove un'oligarchia delle disuguaglianze si erge a monarca di una società di livorosi schizofrenici impoveriti. Non proprio una conquista, mi pare.....

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Hai individuato come più "eloquente" indizio di non sequitur, da difetto di strumenti culturali, lo stesso commento indicato al p.3 (e ss.) di questo post :-)

      Elimina
    2. « il livore, l'acredine, la "rabbia" che profondono [...], contro chi manifesta e professa una visione del mondo diversa da quella in cui credono. »

      Tutto già analizzato un secolo fa da Nicolai Hartmann, Max Weber, e suntuosamente riassunto negli anni sessanta da Schmitt nella "Tirannia dei valori".

      Ogni punto di vista è dialetticamente un punto d'attacco (Angriffspunkt): ragionare di valori, e pensare per valori (Heidegger), è la trappola più subdola del liberalismo, figlio del positivismo economicistico: tutto ciò che è contrario ad un valore (l'europeismo) è un non valore (la sovranità nazionale).

      Tutto ciò che non ha valore va annientato: non esiste più lo justus hostis: si è tornati al sanguinario e medioevale justum bellum.

      Il mondo si divide nei buoni "democratici liberali" e in una serie di Hitler nazionalsocialisti.

      Ogni conflitto è totale e ideologicamente totalitarista: il mondo si divide tra annientatori ed annientati.

      Traete voi le conseguenze nella lotta tra classi.

      Elimina
    3. Ti segnalo, per opportuna conoscenza, e tuo divertimento (di eventuale replica) :-), questa risposta a un commentatore affetto da undestatement "sistematico"...
      http://orizzonte48.blogspot.com/2016/09/quaestiones-d-referendi-subtilitatibus-1.html?showComment=1480508754219#c548396340905137286

      Elimina
  9. Ah beh... allora quando vogliono anche i Baron Furbini qualche puntino riescono a unirlo, e qualche analisi e paragone storico un po’ meno campato in aria riescono a partorirlo! Bene, mi fa piacere per una volta scoprire di essere un po’ meno intelligente e attento di quello che la loro stakanovistica attività di inquinamento logico, informativo e culturale mi aveva quasi portato a credere. O chissà, magari trattasi di resipiscenza autentica… magari hanno veramente scoperto l’acqua calda, essendosi casualmente imbattuti in qualche analisi lievemente più conseguente di quelle che di solito propinano al piddino di turno, e ora, abbagliati dalla luce della vera conoscenza, cercano di condividere l’epifanica esperienza con chi ancora si dimena negli oscuri meandri dell’inconsapevole ignoranza. In ogni caso, se mai ce ne fosse ancora bisogno, anche queste sono fior di pistole fumanti.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Come dico sbaglio perché le mie conoscenze sono infime e confuse, ma di primo acchito sembra un articolo assolutamente schizofrenico. Come fai a ritrovarti in futuro gli attivi giganteschi delle partite correnti nell'area euro (non in un paese della) se il commercio mondiale crolla? e sarebbe l'Uk che esporta deflazione nell'eurozona?! Non potendo più negare certe evidenze, si arrampicano sugli specchi per non ammettere che il discorso fatto fin qui non era altro che un mucchio di balle, per parlare pulito. Lo fanno per di più orecchiando certe formule "esportare disoccupazione" per rimetterle in circolo cambiandone il contenuto che diventa magari "esportare deflazione". Le poche affermazioni corrette vengono mescolate alla vecchia propaganda sulle riforme strutturali ecc., per corroborarne la validità ormai minata. Mi sembra un'operazione di propaganda nemmeno troppo stupida data la complessità del tema per il grande pubblico, tra cui sono anche io, evidentemente.

      Elimina
    2. Sullo storico (e logico) rapporto tra politiche deflattive (attuate con la complicità 'responsabile' delle sinistre) e avvento al potere delle destre dicono cose ovvie (per noi) ma ancora oggi tutt'altro che moneta corrente del dibattito pubblico e del senso comune.

      Sul plausibile 'doppio passo' nell'andamento della quotazione del dollaro, con rafforzamento a breve causa aspettative di rialzo preventivo dei tassi e prospettive di indebolimento a medio termine causa ulteriore deterioramento di conti interni ed esteri USA via politiche espansive finanziate a debito, dicono cose che sappiamo avere senso.

      Sulla tesi che quello che fa bere il cavallo non è il QE, ma aspettative credibili di politiche fiscali espansive (su cui la destra americana, e marcatamente il 'populismo' trumpiano, dà senz'altro maggiori garanzie che la morigerata eurozona a trazione tedesca) direi che ci si può stare.

      Sul fatto che il deprezzamento di sterlina e dollaro comporterebbero ulteriori pressioni deflattive sull'euro, che si regge su una sottovalutazione pompata via QE anch'essa sempre meno sostenibile col passare dei mesi, e sul fatto che la combinazione di svalutazione del dollaro ed esaurimento del QE sarebbe alquanto destabilizzante per l'eurozona, mi pare che il discorso tenga.

      Certo, quale sia per i nostri la particolare accezione del concetto di 'gioco a somma zero', o come possa l'area euro ritrovarsi "con attivi pazzeschi nelle partite correnti con l'estero" in caso di rivalutazione dell'euro medesimo e crollo del commercio mondiale, sono cose... un tantino misteriose. Ma il dato rilevante - e questo era il senso del mio commento, credo non così diverso dal tuo - mi sembra quello che ormai queste persone, obtorto collo, sono comunque costrette ad ammettere, anche a costo di incorrere, come giustamente tu fai notare, in palesi manifestazioni di pensiero schizofrenico.

      Elimina
    3. Infatti siamo d'accordo. Sottolineavo soprattutto, a parte il punto misterioso che anche tu rilevi nell'ultimo capoverso come schizofrenico, l'adozione di espressioni già adoperate ma utilizzate in diverso contesto, per creare una sorta di "aria di famiglia" nel discorso, mentre si tratta di un maldestro tentativo di arrampicata sugli specchi non potendo più negare l'evidente, ma volendo salvaguardare le vecchie ricette anche dopo avere accettato alcuni ormai innegabili dati di fatto.
      Quanto alla deflazione, potrebbe aggiungersene, certo, ma ancora a livello linguistico, il mettere l'accento sulle misure prese per evitarla sottacendo così la loro inefficacia, finisce con il rafforzare l'idea che "se" arriverà la deflazione sarà colpa degli "altri" di fuori malgrado gli sforzi fatti qui.
      Il che tenendo conto che i destinatari sono mediamente persone che non leggono certi blog, continua a essere potenzialmente pericoloso.

      Elimina