E si arriva a porsi domande come questa:
Questa parte conclusiva dello Studio di Arturo ci fa comprendere come il "sogno" €uropeo sia un modo di smantellare lo Stato di diritto dei singoli ordinamenti democratici degli Stati coinvolti, concepito in modo tale da non dover mai essere sottoposto ad alcuna approvazione o consultazione popolare, consapevolmente adottata in conformità alle regole costituzionali dei singoli paesi.
Quand'anche vi sia una forma di approvazione - parlamentare e/o referendaria- dei trattati in sé considerati, a prescindere dalla funzione coessenzialmente limitata degli strumenti di "ratifica" (come vedremo evidenziato persino da Amato!), i trattati affermano (per implicito e progressivamente) un programmatico contenuto inespresso, che impatta sulle rispettive clausole fondamentali delle Costituzioni democratiche.
Questo contenuto si amplia inevitabilmente tramite una sorta di consuetudine applicativa, il cui valore di supremazia e di sottrazione delle sovranità nazionali, viene costruito sul "fatto compiuto" e, come emerge nelle vicende storiche €uropee, su uno "stato di eccezione permanente" che, viene inevitabilmente avallato dalla Corte di giustizia europea, fondandosi su una situazione di diritto (per lo più sanzionatorio e comunque fortemente pervasivo) che prescinde da ogni comune patrimonio di mores e di valori.
Questo diritto è infatti "dichiarato", al di fuori di una vera legittimazione nell'accordo formale tra Stati, facendo esclusivo riferimento alla "naturalistica" preminenza di regole direttamente derivanti da concezioni del mercato e ritenute (apoditticamente!) avere capacità "ordinativa"; la "base" di queste regole di rifermento, per di più, è espressa in forma sparsa e dissimulata all'interno dei trattati. Naturalmente, sono espresse così affinchè i cittadini dei singoli Stati vedano le rispettive norme costituzionali sopravanzate e disapplicate come effetto di una "vis maior cui resisti non potest".
Ciò spiega anche come, da un lato, sia stata possibile la sospensione extraordinem (cioè estranea a qualsiasi conformità a regole della nostra Costituzione, in particolare) dei principi fondamentali della nostra Costituzione; dall'altro, come e perché, proprio in stretta coincidenza con l'avvento della teoria del "vincolo esterno" inizi la mai rinunciata stagione delle "riforme costituzionali": in definitiva un realismo più realista del "re" (mercati sovranazionali) che caratterizza proprio la nostra classe dirigente.
Ho aggiunto alcune mie note personali [NdQ], per sottolineare quei passaggi che, pur ostici ai non specialisti, esigono una particolare attenzione. In termini straordinariamente attuali...
TERZA
PARTE
Ci avviamo alla conclusione con
quest’ultima parte de il "Manifesto" dei laburisti inglesi, del 1950, (ho alterato leggermente l’ordine degli argomenti per
esigenze espositive mie), che ci consente di riagganciarci all’argomento
principale.
[NdQ.1]: che è quello della consapevolezza originaria (da parte dei "padri" dell'€uropa) dell'impatto automaticamente modificativo delle Costituzioni dei singoli paesi aderenti alla costruzione "europa", e la simultanea esigenza di arrivare a questo effetto in via di fatto.
Il metodo è dunque quello di bypassare in modo "inavvertito" (per le democrazie coinvolte), ma consapevole (per gli ideatori del disegno), le procedure di revisione delle Costituzioni e ogni espressione del consenso popolare ad esse inevitabilmente connessa.
[NdQ.2] In altri termini, il fine della costruzione europea (l'instaurazione dell'ordine sovranazionale dei mercati) si separa geneticamente dalla democraticità dei mezzi e, come vedremo, dalla stessa Rule of Law (espressione equivalente a quella di "Stato di diritto", che è quello in cui gli organi di governo sono sottoposti anch'essi a regole precostituite, la cui violazione è deducibile dinanzi a un giudice): questo perché la sfera di attribuzioni delle nascenti istituzioni europee è programmata, mediante tale metodologia, per andare ben oltre le previsioni espresse di ogni "generazione" di trattati (persino dei più recenti):
“I
popoli devono essere interpellati (...?)
Tutte
le forme di unione finora discusse comportano un trasferimento di poteri dai
popoli dei singoli Stati europei a una qualche nuova organizzazione. Ciò
comporterebbe una significativa
modifica costituzionale in ogni paese. Una tale modifica può essere
realizzata solo se il popolo di ogni
paese lo decide dopo una matura riflessione in cui tutte le implicazioni del
cambiamento siano state presentate. È dunque dovere di ogni gruppo che
desidera tali cambiamenti guadagnare il popolo di ogni paese alle proprie
convinzioni. In particolare, ogni partiti politico che sostiene il cambiamento
è chiaramente obbligato a inserire una proposta di questa portata nel proprio
programma elettorale.
Si
sono già creati pericolosi equivoci. In ambienti in cui queste idee sono
popolari, importanti politici si sono vagamente espressi sulla loro
disponibilità a nuove forme costituzionali. Eppure gli stessi politici hanno
chiaramente evitato di presentare queste proposte al giudizio dei loro
elettori.
[…]
Cambiamenti costituzionali che limitino o
modifichino il potere democratico dei popoli sovrani dell’Europa occidentale
dev’essere sottoposto al giudizio di questi popoli. Nessun politico ha il diritto di sostenere tali
cambiamenti senza avere la sincerità e il coraggio di sottoporli al verdetto
del suo elettorato.”
Quanto alle difficoltà della
cooperazione tramite negoziati: “Laddove
i progressi sono stati deludenti, la causa non risiede in una qualche
inadeguatezza delle istituzioni esistenti, ma in reali conflitti di interessi che non possono semplicemente essere
ignorati o soppressi, ma devono essere pazientemente superati attraverso
reciproche libere concessioni.
5. Ultimo periodo a parte (che
restituisce alla politica lo spazio che le è proprio), vale la pena riflettere
sul denunciato affacciarsi di un “costituzionalismo” europeo, certo in teoria
facilmente praticabile per un paese privo di costituzione rigida.
A ben guardare, sul piano storico,
di là di concessioni retoriche, impegni “costituzionali” i politici nazionali non hanno mai inteso sottoscriverne:
posto che avessero il potere di assumerne. Quelli italiani ovviamente ne erano
privi, a meno di passare dal procedimento di revisione, coi suoi relativi
limiti.
Karen Alter, per un libro
importante di cui ci sarà occasione di riparlare, ha compiuto parecchie
interviste (anonime…) ai protagonisti dei negoziati europei. Gli intervistati
le hanno riferito quanto segue:
“L’idea
che le corti nazionali applicassero il diritto comunitario contro il diritto
nazionale o lo disapplicassero non fu mai discussa dagli esperti legali nei
negoziati del Trattato di Roma, tantomeno dai politici” (K. Alter,
Establishing the Supremacy of European Law, Oxford University Press, N.Y.,
2001, pag. 9).
5.1. Nel caso italiano, almeno per
quel che riguarda i politici, di dubbi non dovrebbero essercene.
Vi riporto
https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/file/lav_preparatori_n_3.pdf">un documento, poco noto ma che merita di
essere conosciuto: si tratta delle conclusioni di uno dei relatori della
Commissione Speciale istituita in occasione della ratifica del Trattato di Roma
(Atti Parlamentari, Senato della Repubblica, 2107-A, pag. 51), il senatore
Santero:
“Onorevoli senatori, dal punto di vista istituzionale si può concludere:
[…]
3)
che i Trattati non contengono che un minimo di sopranazionalità e nessun pericolo di sorpresa può esistere
per gli Stati contraenti, in quanto niente di sostanziale può sfuggire al
controllo dei Parlamenti nazionali.
L’Euratom
e il Mercato comune non vivranno per la lettera dei Trattati ma per la fede e
la buona volontà degli uomini che avranno la responsabilità di metterli in
opera, di gestirli, di controllarli. È soprattutto necessario che lo stesso
spirito europeo, la stessa volontà politica che ha animato i governi nel lungo
negoziato continuino a ispirarli nella messa in esecuzione dei Trattati.
Si
deve aver sempre presente che per ciascuno Stato contraente, ma specie per
l’Italia, che è tra tutti lo Stato economicamente più debole, il pericolo più
serio è di ordine politico, il rischio maggiore è rappresentato dall’isolamento
in un mondo che si organizza alle dimensioni continentali”.
Argomento del grande pennello a
parte (di cui potete così tutti apprezzare la freschezza e originalità),
quest’impostazione è esattamente quella che a sette anni di distanza la Corte
di Giustizia ritenne di poter rovesciare nell’interpretazione di quel medesimo
Trattato, al punto che, a partire dalla sentenza “Les Vertes”, ha iniziato addirittura a
parlare del Trattato di Roma come “carta costituzionale di base” della
Comunità.
6. Per ricapitolare e chiarire il
paradosso che ci troviamo davanti: uno degli argomenti dei sostenitori
dell’esistenza di una “costituzione” europea (per esempio Pernice) è che “tale presunta
costituzione sia stata già legittimata dai cittadini europei. Il miracolo sarebbe avvenuto grazie al
fatto che i Trattati sono stati immessi negli ordinamenti degli Stati membri grazie a leggi, nelle quali si sarebbe
manifestata la volontà democratica dei cittadini”. (M. Luciani, "Legalità e legittimità nel processo di
integrazione europeo" in AAVV, Una Costituzione senza Stato, Il Mulino, Bologna,
2001, pag. 85).
6.1. Anzitutto va segnalata
l’evidente inidoneità funzionale del procedimento di ratifica a fornire una
qualsiasi parvenza di copertura in termini di “costituzionalità” ai Trattati europei.
Cito in argomento un
autore insospettabile di antieuropeismo come Giuliano Amato (Costituzione
europea e parlamenti, Nomos, 2002, 1, pag. 15):
“Quando si ratificano i trattati
internazionali, in genere si ratificano quelli che disciplinano le relazioni
esterne. Quando si ratifica una modifica dei trattati comunitari non si
ratifica una decisione che attiene alle relazioni esterne, ma una decisione che
attiene al governo degli affari interni.
Il processo di ratifica così com'è è
congegnato è allora del tutto inadatto
ad assicurare ai parlamenti il ruolo che ad essi spetta rispetto agli affari
interni.
Il procedimento di ratifica è tarato sull’essere ed il poter
essere un potere intrinsecamente dei governi esercitato sotto il controllo dei
parlamenti. Tant’è vero che la legge di ratifica è una legge di approvazione e
non è una legge in senso formale.”
Ma il
vero clou del paradosso, dicevo, consiste nel fatto che “la
politica dei piccoli passi nel processo di integrazione comunitaria ha fatto sì
che mai nessuno abbia detto espressamente che, con i Trattati che si
andavano stipulando, si stava costruendo una nuova costituzione.” (Luciani, op. cit., pagg.
85-6).
6.2. Non basta. Dopo il
fallimento del progetto di costituzione europea a seguito dei due referendum
francese e olandese, il 22 giugno del 2007 la Presidenza del Consiglio Europeo
se n’è uscito con questa
solenne dichiarazione
:
“L’approccio
costituzionale, che consiste nell’abrogare tutti i Trattati e rimpiazzarli con
un singolo testo definito “Costituzione” è abbandonato. […] Il TUE e il TFUE non avranno un
carattere costituzionale.
La terminologia usata nei Trattati rifletterà
questo cambiamento: il termine “costituzione” non verrà usato […]. Con riguardo alla supremazia del diritto comunitario, la conferenza intergovernativa
adotterà una dichiarazione ricordando l’attuale
giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea”.
Tale dichiarazione è
diventata la numero 17 allegata all’atto finale della conferenza
intergovernativa che ha approvato il Trattato di Lisbona firmato il 13 dicembre
2007, ossia:
“La
conferenza ricorda che, per giurisprudenza costante della Corte di giustizia
dell'Unione europea, i trattati e il diritto adottato dall'Unione sulla base
dei trattati prevalgono sul diritto
degli Stati membri alle condizioni stabilite dalla summenzionata giurisprudenza.
Inoltre, la conferenza ha deciso di allegare al presente atto
finale il parere del Servizio giuridico del Consiglio sul primato, riportato
nel documento 11197/07 (JUR 260):
«Parere del Servizio
giuridico del Consiglio
del 22 giugno 2007
Dalla giurisprudenza della Corte di giustizia si evince che la preminenza
del diritto comunitario è un principio fondamentale del diritto comunitario
stesso. Secondo la Corte, tale principio è insito nella natura specifica della
Comunità europea. All'epoca della prima sentenza di questa giurisprudenza
consolidata (Costa contro ENEL, 15 luglio 1964, causa 6/64 […] non esisteva alcuna menzione di
preminenza nel trattato. La
situazione è a tutt'oggi immutata. Il fatto che il principio della
preminenza non sarà incluso nel futuro trattato non altera in alcun modo
l'esistenza del principio stesso e la giurisprudenza esistente della Corte di
giustizia.”
[NdQ.3] Col che ne emerge un non sequitur piuttosto clamoroso e, al tempo stesso, una stranezza, sicuramente antitetica allo Stato di diritto democratico.
Il diritto, - per di più posto al vertice di una gerarchia delle fonti (volutamente) non precisata da alcuna clausola scritta-, sorge da una corte che non è vincolata da norme preesistenti che ne stabiliscano seriamente non solo l'indipendenza e l'imparzialità (rispetto ad un Esecutivo particolaramente privo di legittimazione democratica come quello €uropeo), ma anche la "soggezione alla legge": cioè il valore e i limiti delle sue decisioni in un quadro legale predeterminato delle norme applicabili (europee) posto, com'è teoricamente dovuto (in base alla stessa lettera dei trattati!), in rapporto al rispetto di quelle costituzionali dei paesi-membri che, pure, ne costituiscono la vera fonte legittimante e il limite (secondo gli stessi enunciati espressi dei trattati: ma non di quelli "impliciti" e non approvati dagli Stati!).
6.3. Il “miracolo” di
cui parla Luciani consisterebbe quindi in una “non costituzione” composta da un
insieme di trattati internazionali a cui nessuno, in sede politica – posto
avesse i poteri per farlo -, ha mai attribuito un carattere costituzionale,
rifiutato peraltro esplicitamente dagli stessi vertici istituzionali europei,
ma che, appunto, “miracolosamente” prevale su ogni costituzione degli Stati
brutti e cattivi grazie a un “principio di preminenza” “scoperto”, vedremo
come, dalla Corte di Giustizia, e che peraltro quasi nessuna giurisprudenza
costituzionale dei paesi membri ha accettato, almeno non con l’assolutezza
pretesa dai giudici europei.
A questa follia collettiva
siamo arrivati oggi in Europa.
Perché sia stato praticato un
simile stravolgimento di consolidate categorie giuridiche, mi pare abbastanza
ovvio: visto che la
costituzionalizzazione dell’ordine internazionale dei mercati da una qualsiasi
assemblea costituente eletta a suffragio universale non c’era verso di farla
saltar fuori, figuriamoci da quelle di tutti i paesi europei contemporaneamente,
non restava altra via che aggirare la
legittimazione democratica senza poterlo confessare apertamente.
6.4. Sul piano ideologico, pare
difficile considerare casuale l’evidente consonanza col favore per il diritto
di matrice giurisprudenziale teorizzato dalla scuola austriaca, cioè per il
frutto di un ordinamento costruito a partire dalle “intuizioni” del giudice.
Come scrive Maria Chiara Pievatolo
("Rule of law e ordine spontaneo. La critica dello Stato di diritto
eurocontinentale", in "Bruno Leoni e Friedrich von Hayek in Costa, Zolo (a cura
di), Lo Stato di diritto", Feltrinelli, Milano, 2002, pp. 474 e 476): “L'appello di Hayek
all’intuizione del giudice, la tesi che è impossibile o deleterio vedere il
diritto come un complesso sistematico comprensibile da mente umana e la
precaria delimitazione del confine fra diritto e morale fanno capire che questa
concezione del rule of law può
funzionare, cioè riempirsi di contenuto, solo grazie all’apporto surrettizio, e
perciò criticamente incontrollabile, del governo degli uomini.”
“E perciò allontanare il diritto
dallo Stato può allontanarlo solo dal problema dello Stato, ma non dal generale problema del potere e della
sua controllabilità, che anzi si ripresenta tanto più drammaticamente quanto meno è reso pubblico e
formale, a meno che non si
facciano assunzioni naturalistiche sull'armonia della società e sull'omogeneità
degli interessi dei singoli.”
[NdQ4] E se c'è un ordinamento che non si preoccupa della "omogeneità degli interessi", ma anzi ne accentua la disomogeneità, attraverso il diktat della stabilità monetaria e della "economia sociale di mercato fortemente competitiva", è quello €uropeo: la "armonia della società", poi, in sede €uropea, è addirittura un disvalore, laddove, senza che si comprenda su quali basi normative ciò avvenga, si predicano continue "riforme strutturali" che si riducono alla permanente precarizzazione e flessibilizzazione del mercato del lavoro e allo smantellamento "inevitabile" del welfare di cui Prodi ci ha detto con estrema chiarezza.
Per chi dunque non ritiene plausibili
assunzioni naturalistiche sull’armonia della società, e tantomeno sulla capacità degli assetti
giuridici europei a conseguirla, - il che, vista la, come si dice, rapida evoluzione (pragmaticamente autorevisionista) del mainstream , non pare una
tesi particolarmente azzardata-, il controllo critico di quell’apporto
surrettizio diventa compito ineludibile per verificare quanto sia nudo il re:
ossia quanto la “primauté” del diritto comunitario sia frutto di un’illusione
collettiva, una bolla, che aspetta solo di scoppiare.
Mi scuso in anticipo per la lunghezza del commento.
RispondiEliminaTuttavia, in materia di rule of law (intesa come insieme di regole giuridiche che vigono in un contesto in cui il diritto è separato dalla sovranità o, il che è lo stesso, come esistenza di un diritto positivo giuridicamente collocato al di fuori della portata del sovrano e della sua volontà), riporto il pensiero di Mister Medioevo (al secolo G. Amato) in continuità con l’intervista rilasciata a Barbara Spinelli nel luglio del 2000 (e più volte citata).
In stile ordoliberista - come evidenziato nel post - e forse prendendo atto che “la costituzionalizzazione dell’ordine internazionale dei mercati da una qualsiasi assemblea costituente eletta a suffragio universale non c’era verso di farla saltar fuori”, il costituzionalista italiano certifica che è il rule of law (definito addirittura “nucleo essenziale del costituzionalismo”) la vera strada per la salvaguardia dei diritti fondamentali (non la sovranità nazionale, per definizione brutta e, visto che siamo in tema di miti, anche generatrice di guerre). Motivazione? Imbrigliare i poteri globali, di cui ovviamente deve sottintendersi la naturalità e la spontaneità (senza dimenticare che c’è anche la Cina!). Il nostro è però avanti anni luce; non solo l’€uropa mediante la rule of law, ma la Repubblica mondiale (!):
“1. L'emergere dei poteri globali
Molti di noi, costituzionalisti formati mentre si formava l'Europa unita, nutrono un sentimento misto nei confronti della sovranità dello Stato.
Siamo ben consapevoli che essa fu essenziale a far nascere lo Stato moderno. Ne smarcò il fondamento e i poteri dalla legittimazione esterna e, grazie al suo coessenziale requisito della esclusività, ne allargò la giurisdizione, erodendo i poteri frammentati e frammentanti che aveva sotto di sé. Ciò andò certo a beneficio delle casse del sovrano e quindi del rafforzamento della sua burocrazia e del suo esercito, ma creò anche condizioni migliori per lo sviluppo dell'economia e dei commerci e quindi per la formazione di tessuti sociali, politici e poi istituzionali che portarono all'assoggettamento dei poteri statali alla rule of law ed infine ai principi e agli assetti della democrazia…
Sappiamo anche però che l'erosione del pluralismo delle fonti e la centralizzazione del diritto ha avuto dei prezzi, che non è il solo Paolo Grossi a ritenere elevati. E sappiamo soprattutto che FU PROPRIO L'ESCLUSIVITÀ DELLA SOVRANITÀ STATALE ALLA RADICE DEI CONFLITTI INTERSTATALI che segnarono per secoli la vita europea, sino a quando, dopo la intollerabile vergogna di due guerre mondiali scaturite da quei conflitti a distanza di pochi decenni l'una dall'altra, la limitazione delle sovranità nazionali in nome di una PIÙ ALTA UNITÀ EUROPEA PARVE ADDIRITTURA UNA SALVIFICA NECESSITÀ…
Che cosa però è venuto accadendo? Che il ridimensionamento della sovranità statale è avvenuto a beneficio non solo dell'Europa ma anche di altri beneficiari e che soprattutto nel secondo caso, ma in parte anche nel primo, siamo approdati a risultati che ci hanno portato a rimpiangere i vecchi tempi. Non a caso è sempre più frequente, nelle valutazioni degli analisti e nella stessa opinione pubblica, che la perdita di sovranità sia presentata non come un proficuo progresso verso un governo più esteso e per ciò stesso più adeguato ai tempi nuovi, ma come una autentica spoliazione ad opera di poteri che spadroneggiano su di noi da un mondo che ci sovrasta: o perché si tratta di poteri privati che producono effetti a volte addirittura devastanti sulle nostre vite, senza essere né legittimati, né contrastati; o perché si tratta di poteri pubblici che percepiamo essi stessi come non legittimati, in quanto figli di un diritto molte volte non rispettoso della rule of law e sempre lontano dai principi democratici… (segue)
Ma possiamo davvero lasciarci andare alla nostalgia dello Stato così com'era prima che lentamente e tra mille difficoltà cedesse parte dei suoi poteri ad organizzazioni internazionali e, nel caso europeo, sovranazionali, aventi il fine di governare e regolare azioni e interazioni inesorabilmente sfuggite alla sua capacità di governo e di regolazione? Il fatto che la fuoriuscita di tante attività umane dai confini nazionali abbia anche generato i fenomeni di cui ci lamentiamo, può davvero consentirci di rimettere il dentifricio nel tubetto o deve portarci a rendere più forte, con meno buchi e più rispondente alle nostre aspettative, il tubetto più grande con il quale siamo comunque alle prese? Ed è rimasto tuttavia un ruolo per il tubetto più piccolo?
RispondiEliminaDa un lato non possiamo dimenticare che molti dei poteri non legittimati che ci sentiamo addosso (e che soprattutto la crisi finanziaria di questi anni ci ha fatto percepire in tutti quegli effetti devastanti ai quali ho già accennato) erano già usciti dal controllo statale. Se almeno in parte abbiamo preso ad imbrigliarli, lo dobbiamo proprio alle sedi istituzionali che abbiamo creato al di sopra degli Stati. Io ho fatto e continuo a seguire l'esperienza dell'antitrust e se non l'avessimo installato in sede europea non so come, attraverso le autorità nazionali, avremmo potuto fermare abusi di posizione dominante e concentrazioni anti-concorrenziali di grosse multinazionali, che sono state in effetti fermate.
Dall'altro lato, non possiamo neppure dare per scontata una impotenza degli Stati, che è invece tutt'altro che totale. Intanto il tubetto piccolo non sempre è così piccolo e, oggi come in passato, gli Stati più grandi sono protagonisti tutt'altro che marginalizzati o sovrastati della stessa arena globale. Sono le ex grandi potenze europee ad essere diventate, in termini relativi, piccole ed infatti non a caso è per esse che l'Europa, oltre ad essere valsa come antidoto contro i loro bollenti spiriti, vale anche come dimensione necessaria per equilibrare il peso degli Stati grandi extraeuropei…
2. Come inseguire e imbrigliare i poteri globali?
È proprio da qui che può partire la nostra ricognizione delle strade che si stanno battendo per inseguire e imbrigliare i poteri che sono cresciuti nell'arena globale.
LA PRIMA è appunto quella della forte torsione extraterritoriale del potere statale, tutte le volte che il potere da imbrigliare (in questo caso il potere privato) ha una radice in un contesto nazionale dalla quale non è in grado di staccarsi. Si hanno così regolazioni nazionali che investono l'emissione di titoli tossici, ovvero impongono alle società con sede legale nei propri confini di adottare gli stessi standard ambientali in qualunque parte del mondo operino, ovvero puniscono gli atti di corruzione compiuti da tali società ancora in qualunque parte del mondo. I rischi di conflitto fra Stati ci sono quando l'uso extraterritoriale del proprio diritto comporta la sottrazione del proprio cittadino a quella dello Stato in cui esso ha commesso il fatto… (segue)
LA SECONDA strada è la creazione di agenzie di regolazione da parte degli Stati, collocate ora dentro, ora fuori la complessa organizzazione delle Nazioni Unite. Troviamo quindi qui importanti istituzioni come l'Ilo o la Wto, o l'Icao (International Civil Aviation Organisation); oppure agenzie private o semi-private assai meno note, come l'Iso (International Organization for Standardization) o la più recente Icann (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers). Una tipologia molto variegata, che pone molteplici problemi: intanto la derivazione in qualche caso non pubblica ma privata delle regole, con tutte le conseguenti implicazioni. Poi l'efficacia delle regole o delle decisioni, che proprio nei casi maggiori di agenzie di derivazione statale (Wto e Ilo) non hanno efficacia diretta sui privati, ma sono indirizzate ai loro Stati. E infine i principi che le agenzie seguono nello svolgimento della loro attività, che dovrebbero rifarsi alle ragioni della trasparenza, del contraddittorio, della motivazione sindacabile, entrate, attraverso la rule of law, nei procedimenti di regolazione e decisione amministrativa degli Stati…
RispondiEliminaE questo ci porta alla TERZA STRADA, che è forse ad oggi LA PIÙ PROFICUA, quella che dalla PENETRAZIONE DELLA RULE OF LAW NELLE REGOLAZIONI E DECISIONI SOVRANAZIONALI…porta alla forza crescente del nucleo essenziale della stessa RULE OF LAW, CHE È IN REALTÀ IL NUCLEO ESSENZIALE DEL COSTITUZIONALISMO, vale a dire la salvaguardia dei diritti fondamentali della persona. Dal caso Kadi deciso dalla Corte di giustizia europea nel 2008 al caso Saadi, deciso nello stesso anno dalla Corte di Strasburgo, emerge come la norma che salvaguarda i diritti abbia sempre la priorità… Nella intricata rete di reti, in quello che Neil Walker ha chiamato il «global disorder of normative orders», QUESTO, SE SI CONSOLIDA, È UNO SVILUPPO DI CRUCIALE IMPORTANZA, CHE, SE NOI COSTITUZIONALISTI FOSSIMO COME I NOSTRI COLLEGHI AMMINISTRATIVISTI, DOVREMMO CHIAMARE DIRITTO COSTITUZIONALE GLOBALE E AVREMMO TUTTE LE RAGIONI PER FARLO. È infatti così nella sostanza — i grundrechte che penetrano in ogni ambito nel quale è presente una regolazione legale che quindi da essi non può prescindere — e lo è negli svolgimenti — PERCHÉ È DAL MEDIO EVO SINO AD ARRIVARE AI CASI PRIMA CITATI CHE I DIRITTI HANNO IL LORO NATURALE VEICOLO NELLA IURISDICTIO CHE FRENA IL GUBERNACULUM. E questa è proprio la dialettica del costituzionalismo, così come si è venuta affermando in tutti i nostri ordinamenti … grazie a costituzioni nelle quali hanno trovato il loro fondamento l'indipendenza dei giudici e la judicial review delle leggi (argini essenziali — e mai sufficientemente apprezzati nella loro essenzialità — nei confronti del gubernaculum in nome dei diritti)
Ma c'è la QUARTA STRADA (NdF: uno dei tanti fogni), la più ambiziosa, che intende raccogliere e organizzare le strade precedenti in un'unica mappa, quella di un ASSETTO DI GOVERNO SOVRASTATALE, organizzato secondo le regole democratiche. È la strada che stiamo percorrendo noi europei e che proprio oggi è oggetto di delusioni e addirittura di ripensamenti…Non abbiamo il tempo qui per rifare la storia della nostra Unione, ma certo merita riflettere sull'ambivalenza di ciò che uscì dal trattato di Maastricht, che ci dette il massimo dell'integrazione — la moneta unica con una banca centrale europea — ma l'affiancò non con strumenti «federali» di politica economica e finanziaria, bensì con il solo coordinamento delle politiche economiche e finanziarie nazionali. L'inadeguatezza di questa asimmetria è emersa nei guasti e nei rischi perduranti degli ultimi anni. E la necessità di correggerla sta dando forza rinnovata alla visione di un'Europa più federale, non solo per ragioni di funzionalità ed efficienza, ma anche PER DARE UN ANCORAGGIO DEMOCRATICO, OGGI INESISTENTE O DISTORTO… (segue)
3. Verso una «Repubblica mondiale»
RispondiEliminaE’ allora possibile una democrazia globale, così come auspicato tante volte nel corso degli ultimi decenni e di recente da un «Manifesto per la democrazia globale», firmato da molti intellettuali di diversi paesi del mondo, nel quale si scriveva che «globalizzare la democrazia è l'unico modo di democratizzare la globalizzazione»… Qualche arcata già l'abbiamo che va in quella direzione. Considero il nucleo dei diritti la più importante ed importante è pure quell'embrione di opinione pubblica mondiale di cui ho già parlato… Ma si tratta di una iurisdictio e di una opinione pubblica che fronteggiano i tanti gubernacula operanti nel mondo. E il problema è tutto da questa parte.
La Repubblica mondiale era la prima tra le soluzioni caldeggiate da Kant per la pace perpetua. Ma già lui aveva escluso che la natura degli uomini consentisse di arrivarci e aveva proposto per questo una federazione di popoli, che ponesse come cuore del foedus la rinuncia alla guerra.
Era il 1795 e i fatti succedutisi da allora non inducono a conclusioni molto diverse da quelle di Kant. Le faceva sue, aggiornandole, Ralf Dahrendorf, il quale scriveva che la democrazia globale è un obiettivo nobile ma non realizzabile. Ammesso che lo sia, si domandava, per ambiti regionali come quello europeo ed eventualmente altri, CONTENTIAMOCI, PER IL MONDO, DELLA ESTENSIONE DELLA RULE OF LAW, CHE È CIÒ SU CUI POSSIAMO MISURARE I NOSTRI LIMITI, MA ANCHE I NOSTRI CRESCENTI SUCCESSI…
Che il pluralismo delle legalità, sottolineato da Walker, sia sottratto a un ambiente anarchico, in balia delle forze materiali della globalizzazione, è già un grande risultato. E lo è…se ne esce intanto un tessuto, FONDATO SUI PRINCIPI DELLA RULE OF LAW, che rende compatibili e fa così convivere e cooperare diversità altrimenti irriducibili…
Che crediamo o no a una scelta dell'Onnipotente come fonte della Babele planetaria in cui ci troviamo a convivere con tutte le nostre diversità, certo si è che per tutti noi ne è uscita una sfida, quella appunto di dare un ordine a Babele. È una sfida che vale anche per noi costituzionalisti…”
[G. AMATO, Il costituzionalismo oltre i confini dello stato, in Rivista Trimestrale di diritto pubblico, Giuffrè, fasc.1, 2013, 1].
Se lo dice lui...
Ma scrive con un linguaggio esoterico o è proprio scemo?
EliminaCome disse Quelo, la seconda che hai detto!
EliminaPer Hayek dunque il diritto romano , ad esempio , sarebbe un delirio (data la sua pretesa normativa ,frutto della logica) e le intuizioni di un giudice (un aruspice ? un profeta ?) sarebbero invece fonte normativa a prescindere dai principi di un ordinamento alla cui comprensione e attuazione é chiamato ?. Ho capito bene ?
RispondiEliminaNo, per Hayek non è un delirio nella misura in cui non ha pretese "costruttiviste", ossia, in termini più concreti, fintanto che resta confinato all'opera di una ristretta élite che proclama di limitarsi a "scoprire", con gli strumenti ermeneutici dell'epoca (profetici o anche logici), un ordine preesistente, così da rifiutare qualsiasi tipo di responsabilità, e di discutibilità (se non interna a parametri, sociali e culturali, prefissati), pubblica del proprio operato. (Hayek dà ad intendere che tale atteggiamento sia caratteristico di tutto il diritto antico, cosa peraltro niente affatto vera).
EliminaSi capisce benissimo perché a un simile atteggiamento la lettura "neomedievale" del processo di integrazione europea non possa che risultare congeniale. Come ha detto un acuto filosofo del diritto come Palombella (Politics and Rights: The Future of the EU From a European Perspective, Ratio Iuris, vol. 18, No. 3, September 2005, pag. 404):
"Could the European world, albeit no longer “anarchical,” be a re-edition of the medieval plurality of orders? Only at the cost of forsaking the question of ends, of leaving goals to pure chance, in other words accepting the medieval regression of the “political” in the face of nature and customary habits."
Ovvero si naturalizza, rendendolo politicamente invisibile e indiscutibile, il prodotto di un'elaborazione giuridica affidata a "un circuito costituzionale-materiale" in cui i "produttori-proprietari, cioè gli operatori economici, titolari degli interessi (unici) che incarnano la Legge, e gli operatori culturali (accademia, giornalisti, esponenti della letteratura e dell'arte) che la esplicitano, e la rendono adeguata agli svolgimenti storico-politici, nel formare l'opinione pubblica." (sto citando da questo post, che ti invito a rileggere).
Il tema dell'illusione è fondamentale. O, ancor meglio, del prestigio.
RispondiEliminaNel senso etimologico del termine, non come "francesismo importato".
Come si fa ad imporre un ordine manifestamente immorale secondo il codice etico di gran parte dell'umanità, per imporre un ordine mostruosamente contrario a qualsiasi interesse materiale di persone umane che vivono qui ed ora, la cui aleatoria nascita - fino a prova contraria - ha sorteggiato luogo, data e ceto?
Quale deformazione umana può produrre una comunanza di intenti per creare un'umanità per cui ogni nuovo nato avrà matematica certezza di vivere una (breve) vita indegna di essere vissuta?
Quale mostruosa umana alienazione può produrre tale cecità in gruppi dirigenziali e in masse di uomini e donne?
Per quale motivo - di fronte ad un evidente pericolo di dimensioni colossali - c'è chi può blaterare di "altra Europa"?
Ma chi cacchio la vuole 'sta maledetta Europa desovranizzata? Mazzini e Garibaldi? eroi risorgimentali che appartenevano a Fratellanze legate a doppio filo all'imperialismo coloniale? che probabilmente mai hanno letto Madison?
Solo l'inganno, l'allucinazione collettiva, gli immediati e miopi interessi materiali paludati da "valori supremi rispetto ai quali tutto e tutti sono sacrificabili", possono permettere questa ennesima aberrazione post-novecentesca.
E ora cosa si dovrebbe fare con gli europeisti del "altra Europa"? di quelli che hanno, magari, organizzato i comitati del "NO al referendum"?
Il vero problema morale non è quello di traditori e collaborazionisti: è quello di coloro i quali sono troppo orgogliosi per ammettere di essere stati degli imbecilli.
E per questo fottuto orgoglio ci stanno portando ad una catastrofe di dimensioni immani.
(Grazie, come sempre, Quarantotto ed Arturo)
(Non c' è da sorprendersi se questi sono più per una collettività disciplinata -ALLA FONTE- da un "trattato" o "statuto" -come quello del diritto commerciale- piuttosto che da una COSTITUZIONE)
RispondiEliminaMa le idee di questi iperaziendalisti 5.0 (o a quanto siamo arrivati...) come assomigliano agli ideali fondanti degl' "austricanti"? Non intendo Hayek; i suoi "mitologici fondatori".
Giuro non lo so. Ma me lo sento a naso. Sicuri si trovera' tra i "geniali" fondatori di qualche "perla di saggezza" austriaca qualche nobile della Francia di fine '700...
Come andarono a finire le cose allora, che le COSTITUZIONI, per come le intendiamo noi,manco esistevano, lo si sa.
...Chissà come andrà a finire oggi che le Costituzioni appartengono al rango della Storia piuttosto che del futuro ignoto...
Sembra incredibile ma siamo a domandarci questo.
(Io sono ottimista per il semplice motivo che fossi pessimista mi sparerei subito. In un mondo governato da tale imbecillita' -molto pragmaticamente- non ci vorrei vivere per un minuto)
Il presidente Barra Carracciolo si è comunque seduto dalla parete giusta della riva del fiume. O della storia. Come dice Bagnai.CON UNA PAZIENZA (grandissssssima qualita' non a caso derisa nei tempi moderni) propria, oserei dire per definizione, dei sinceri democratici. Di più: degli esseri umani che riconoscono nel prossimo (che è prossimo non lontano...-cit. ), ovvero nella dignità del prossimo, la propria.
Se c'è lo ricorderemo saremo salvi; e il presidente avra' diritto a un posticino nella Storia.
Se c'è lo dimenticheremo.
...chi se ne frega. Saremo comunque perduti. :-)
Ce lo ricorderemo perché anche grazie a questo blog e ai suoi libri si contrasta quella maledettissima tendenza (di massa) che per Bazaar rappresenta attualmente la vera questione morale:un'adesione emotiva che impedisce l'attivazione psichica di un processo di COLPEVOLIZZAZIONE....continuando ad esaltare il proprio io disprezzando il prossimo. Il fenomeno dei social è stato mi è stato molto utile per seguire la formazione dell'ORGOGLIO di cui parla Bazaar: giovani ricercatori che sostengono con studi accurati l'assoluta necessitá della distruzione delle forme democratico-sociali, li ritrovi su fb ad esprimere tutta la violenza verbale possibile contro tutto ciò che possa considerarsi riconducibile al modello di UMANITÀ (oltre che di societá italiana)prefigurato in Costituzione. Ecco che allora si comprende non solo il fondamento ma anche IL FINE EMOTIVO che ispira la maggioranza di chi, vivendo nell'universo delle scienze sociali, non intende riconoscere quanto la programmazione e la pianificazione economica sostituiti al fratricidio tra capitali possa rendere meravigliosa la nostra esistenza. Ma non scatta questa intuizione proprio per un blocco emotivo! E non si tratta solo di riconoscere di essere stati degli imbecilli ma, ancora peggio, DI DESIDERARE CHE NON SIA MAI COSÌ PER SEMPRE! Ma ce lo vedreste mai Monti spiegare ai nipotini che nel primo conflitto mondiale le zecche bolsceviche erano le uniche a chiedere la pace e che per questo il conflitto termina nel '21 con l'invasione compatta da parte di tutti quelli che prima si stavano scannando...e che, infine, se fosse proliferato uno sciopero di Pietrogrado nelle altre nazioni...si sarebbe potuta liberare nel tempo tutta la capacità intellettuale delle successive generazioni e l'economia non sarebbe stata più POLITICA a caccia di armonie...ma il risultato di una comunitá scientifica UNA (e non frammentata in funzione della lotta tra capitali) che avrebbe studiato come procedere dalla diminuzione della natura (estrazione di risorse finite) al consumo...e, concludo, riferirsi a quello che
RispondiEliminasecondo me, ma correggetemi perché non conosco bene i lavori dell'Assemblea, è implicito nei Principi: L'AUTOREALIZZAZIONE DEGLI INDIVIDUI! FATTI NON FOSTE...
Ecco, io credo che molti esponenti della classe dirigente ODINO, o quantomeno PROVINO FASTIDIO all'idea che sia DESIDERATA una situazione in cui esistano ballerini, scienziati, autisti e bidelli che si esprimano e si riproducano FUORI DALLA REGOLA DELLA COMPETIZIONE E DELLO STERMINIO DEL PROSSIMO.
La REPUBBLICA MONDIALE AMATO.RIALE! Mi mancava! "Ma già lui aveva escluso che la natura degli uomini consentisse di arrivarci e aveva proposto per questo una federazione di popoli, che ponesse come cuore del foedus la rinuncia alla guerra.
RispondiEliminaEra il 1795 e i fatti succedutisi da allora non inducono a conclusioni molto diverse da quelle di Kant "...Eccoloooo!!! Si sente al sicuro Mr.G.A.! La passione di questi Lord è dedicarsi ai problemi per un fortissimo bisogno di discuterli da tutti i punti di vista ESCLUSI QUELLI CHE COMPORTANO LA MESSA IN DISCUSSIONE DELLA PROPRIO PERCORSO di vita e di Responsabilitá. Dal 1795, dice, è andata male. Benissimo. Prendiamo allora qualcosa che preconizzasse il '900, tipo le guerre franco-prussiane...mi dici, Sommo Sottile, come fai a non considerare il punto di vista di qualcosa di interessante che s'aggirava in quel periodo? Se tanto mi dici che è per L'INDIVIDUALISMO o per isterie di statualitá che non avresti voluto una fraternizzazione tra sconosciuti chiamati a prendersi a fucilate, perché ti piacciono tanto le materie umanistiche se dal tempo del liceo ti fanno ritornare sempre sullo stesso punto? Sono discipline che si ripetono dal 1795? Parti dal modo in cui si fa quello che mangi Giuliano!