Questo nuovo contributo di Sofia mette in connessione i due aspetti salienti del fallimento, inevitabile e purtroppo inarrestabile, del paradigma economico neo-liberista, dettato dalla moneta unica: la distruzione di reddito e ricchezza trova il suo pendant simmetrico nella povertà conseguente alla mutata condizione del lavoro.
Fatti e dati economici confermano sempre più questo degenerare della situazione economica e sociale: i provvedimenti che si prendono risultano, in ossequio a un fideismo per cui la cura non può altro che consistere in "ulteriori dosi dello stesso veleno", aggravare la situazione.
Senza che nessuno dei "decidenti" paia in grado di comprendere e di trovare un modo per uscire da questa situazione: ormai divenuta insostenibile...
1. All’inizio del 2015 (in contrasto con i dati
che erano appena stati pubblicati dalla banca d’Italia) il Premier Renzi sosteneva: "In un tempo di crisi le famiglie italiane hanno visto crescere i propri risparmi,
passati da 3,5 a 3,9 triliardi di euro dal 2012 al 2014". Senza neppure comprendere il significato di
questi dati.
In realtà si era trattato, come evidenziava lo studio di Bankitalia (sui dati disponibili al quel tempo più recenti) di una transitoria preferenza della liquidità resa necessaria dal costante calo della ricchezza patrimoniale delle famiglie, generato dall'intensa austerità fiscale imposta dall'UEM per salvare l'euro, e che vedeva un saldo netto complessivo negativo; questo era, anzitutto, imputabile al drastico calo dei prezzi immobiliari, e al sudden stop degli acquisti relativi, che ha determinato l'attesa nella spesa del risparmio monetario in attesa dell'assestamento verso il basso del prezzo degli immobili.
Ma tale risparmio "difensivo" era anche dovuto alla previsione del dover ricorrere ai propri (residui) risparmi per fronteggiare sia l'attesa dell'aumento costante della pressione fiscale, sia l'aspettativa di insolvenza dei propri debitori, sia la diminuita capacità di pagamento legata alla propria stessa situazione reddituale (ad es; clienti di micro e piccole imprese e liberi professionisti, ovvero, imprese fornitrici, e invano creditrici, sia dello Stato che delle PMI che, però, dovevano fronteggiare aumenti della tassazione, potenziali insolvenze fiscali, o il pagamento, a loro volta, dei rispettivi fornitori).
1.1. D'altra parte, al di là di questa congiunturale preferenza per la liquidità, non si vede come l'effettivo risparmio, cioè il reddito non consumato, potesse essere aumentato, in termini quantomeno "reali" (cioè al netto dell'inflazione) con questi dati relativi al reddito e all'aumento delle passività delle stesse famiglie (un dato, tutto dovuto all'assetto della moneta unica, senza precedenti nella storia italiana):
Dati che trovano appunto riscontro nell'andamento della ricchezza complessiva delle famiglie, indipendentemente dalla considerazione come "risparmio" del solo contante posteggiato nei depositi bancari:
2. In ogni caso i dati ISTAT più recenti
mettono in evidenza la riprova sociale dell'altra faccia di questa drastica diminuzione di reddito e ricchezza-patrimonio: un aumento del livello di povertà della popolazione e non
certo un arricchimento (almeno nel senso implicato da Renzi).
Gli
ultimi dati ISTAT 2015 su condizioni di vita e reddito
stimano che il 28,7% delle persone residenti in Italia sia "a rischio di povertà
o esclusione sociale" ossia 17 milioni 469 mila persone; coloro che vivono in
famiglie gravemente deprivate sono l’11,5%.
La condizione di diversità tra persone "a rischio povertà", cioè che vivono di espedienti e "non arrivano alla fine del mese" (senza ricorrere ad altro indebitamento o alla carità, pubblica o privata: figuriamoci se sono in grado di risparmiare), e "povertà conclamata" (ascrivibile a circa 4.6 milioni di persone), risiede essenzialmente, nella quantità di fame e di malattia irrisolvibili, che nel secondo caso, devono affidarsi esclusivamente, e senza alternative, all'assistenza pubblica e privata. E quest'ultima, comunque, com'è ben noto, non è certamente in grado di apprestare una via d'uscita dalla condizione di indigenza (irreversibile).
3. Come del resto anticipato anche nel libro Finanziamenti
Comunitari – Condizionalità senza frontiere, gli obiettivi
prefissati dalla Strategia Europea 2020 (entro il 2020 l'Italia dovrebbe
ridurre gli individui a rischio sotto la soglia dei 12 milioni 882 mila) non
saranno raggiunti proprio perché la popolazione esposta a tale "rischio" (per la verità piuttosto concreto e attualizzato, almeno rispetto agli standards di un paese appartenente alle c.d. "nazioni civili") è ancora «superiore di
4 milioni 587 mila unità rispetto al target previsto».
I dati
settoriali, poi sono a dir poco inquietanti perché al Sud quasi quasi
la metà dei residenti (!!!) risulta a rischio povertà o esclusione sociale, con una
percentuale del 46,4%.
Inoltre nella graduatoria dei Paesi
dell'Ue «l’Italia occupa la sedicesima posizione assieme al Regno Unito».
In questa situazione il 20% più ricco
delle famiglie percepisce il 37,3% del reddito equivalente totale; il 20% più
povero solo il 7,7% e se questa diseguaglianza è andata aumentando negli anni
il merito è proprio delle politiche europee che predicano pace e benessere per
tutti.
3. Un modo per migliorare questi dati sarebbe
stato quello di fare politiche del lavoro per l’aumento dell’occupazione (effettiva, cioè stabile e dignitosamente retribuita).
Il
Governo Renzi aveva promesso miracoli con il jobs act.
Eppure anche su questo piano piovono
smentite su ogni fronte, perché il jobs act non ha affatto
aumentato l’occupazione ma, associato alla (ulteriore) modifica dell’art. 18, ha solo
contribuito ad aumentare il precariato.
LʼOsservatorio sul precariato (INPS)
segnala (ma i dati sono confermati
anche dall’ISTAT) che i contratti a tempo indeterminato
sono il 32,9% in meno rispetto al periodo corrispondente del 2015.
Scendono anche quelli le assunzioni da parte dei datori privati: -8%,
mentre crescono i licenziamenti del 31%. Nei primi otto mesi del 2016
i c.d. voucher destinati al pagamento delle prestazioni di lavoro accessorio,
sono aumentati del 35,9%. Nell’identico periodo 2015 rispetto al 2014, erano
aumentati del 71,3%.
4. Mentre si delinea in senso crescente questo stato di cose, che registra in modo oggettivo le tendenze reali innescate dal jobs act, è di
qualche giorno fa la notizia che si vorrebbe risolvere il problema povertà con
l’introduzione del “reddito di inclusione”.
Ed infatti il ministro delle Politiche agricole Maurizio
Martina sostiene: "Noi dobbiamo rispondere
all'appello lanciato giorni fa da "Alleanza contro la povertà".
A parte il
fatto che Martina richiama i soli dati ISTAT in base ai quali i poveri "assoluti" sarebbero 4,5
milioni, - mentre invece abbiamo visto sopra che la condizione di "povertà relativa", (di per sè allarmante e non tollerabile in un paese democratica e a capitalismo "avanzato"), sono oltre 17 milioni-, egli smentisce
che si tratti di una manovra di conquista elettorale. Ritiene invece che "Si
tratterà di un sostegno finanziario non assistenziale, che dovrà rispettare
determinati criteri e che coinvolgerà nella prima fase famiglie con minori” che
ammonta a circa 400 euro mensili.
Dal che desumiamo che se si abbiano a disposizione più di 400 euro mensili, il problema povertà diviene tale che lo Stato non se ne prende cura o, il che è lo stesso, che, a causa dei "vincoli di bilancio assunti nei confronti dell'Unione europea", un intervento "non ce lo possiamo permettere" (come ironizzava Keynes, stigmatizzando una situazione passata del tutto analoga all'attuale, e parlando dell'incubo del contabile).
5. Tuttavia, Martina omette qualunque riferimento alla copertura necessaria per una manovra
del genere, che tenga conto dell’obbligo del pareggio di bilancio introdotto in Costituzione
(art. 81) e delle sempre incombenti misure di correzione fiscale, dettate dalla Commissione UE, in senso "austero", che comunque questo stesso governo dovrà in qualche modo adempiere (con un ulteriore inasprimento fiscale che non potranno che aumentare il "rischio povertà" e la "povertà assoluta").
In ogni modo, del
reddito minimo e di cittadinanza, della inutilità di queste misure, di come
esse siano - nella migliore delle
ipotesi - solo un sedativo delle masse e uno strumento di deflazione salariale
si è ampiamente parlato qui, qui, qui, qui
e - con riferimento alla non conformità di tali misure alla Costituzione- qui e
ancora qui.
Degli effetti che produce l’introduzione
di un salario minimo o, in stretta connessione, un "reddito di
inclusione" generalizzato (per modo di dire), con il già avvenuto simultaneo smantellamento di una misura, con finalità ben
più logiche e mirate, come la c.d. mobilità pure, si è ampiamente
detto; si era infatti chiarito che (riferendoci al salario
minimo) “è un espediente per
abbassare i salari di "entrata" allo stesso livello degli assegni di sostegno, per eliminare
la cassa integrazione e, nello stesso tempo, per risolvere problemi legati alle
procedure di mobilità”.
6. E non è un
caso, quindi, che si parli di "reddito di inclusione" proprio in parallelo alla
disattivazione, a partire dal primo gennaio, della procedura di mobilità. Scompare, infatti, così come previsto dalla legge 92/2012
(art. 2 comma 71), la mobilità introdotta dalla legge 223/1991, e, con essa, una qualche sicurezza per il futuro di 185mila impiegati nel settore manifatturiero che ne
usufruivano. Ai quali si vanno ad aggiungere gli 86mila in cassa integrazione e le
migliaia dell'indotto.
Dal primo
gennaio non esiste più l’indennità di mobilità, l’ammortizzatore sociale che in
caso di licenziamenti collettivi accompagnava nel modo meno traumatico
possibile il passaggio alla disoccupazione vera e propria o, nelle storie più
fortunate, era il ponte verso un nuovo posto di lavoro.
L’indennità
di mobilità, dal 1° gennaio 2016 viene corrisposta per un massimo di dodici mesi
per le due prime fasce di lavoratori fino a 40 e 50 anni per salire a diciotto
mesi per gli over 50: questo avviene nelle aree del centro nord mentre nel
meridione l’indennità di mobilità e’ pari a 12 mesi per i soggetti fino a
quarant’anni, sale a 18 mesi per quelli fino a 50, mentre per coloro che
superano tale età diviene di 24 mesi.
Questo striumento sarà sostituito, man mano che andranno ad esaurirsi i periodi
di mobilità in essere, dal combinato disposto di altri e "nuovi" ammortizzatori sociali: la
Naspi in primis, che rappresenta una copertura ridotta, correlata
alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni e che prescinde
dall’età e dal luogo di residenza dell’interessato (la modifica definitiva è
intervenuta con il D.L.vo n. 148/2015).
E si tratta
di misure che riguarderanno, solo per citare i casi più corposi, gli operai
dell'Ilva, della Lucchini di Piombino, dell'Alcoa di Portovesme, ma anche
dell'Hp, dell'Italtel, della Linka-Compel, della Nokia, della Whirpool-Indesit,
dell'Electrolux e molti altri.
7. Occorre
ricordare che la mobilità, dopo la riforma Fornero del 2012, aveva una durata
massima di 48 mesi e prevedeva l’erogazione di un importo pari al 100% per il
primo anno e all’80% dal tredicesimo mese in poi - entro i
massimali previsti in ogni caso-, della retribuzione effettivamente in godimento.
La Naspi
disciplinata dal decreto legislativo n.80/2015, invece, è corrisposta per un massimo di
24 mesi; e ne hanno diritto i lavoratori con almeno 13 settimane di
contribuzione negli ultimi 4 anni e almeno 30 giorni di lavoro effettivo
nell’ultimo anno che precede l’evento di disoccupazione. L’ammontare
dell’ammortizzatore in esame si ottiene sommando gli imponibili previdenziali
degli ultimi 4 anni, dividendo il risultato per le settimane di contribuzione e
infine moltiplicando il tutto per 4,33 entro un massimale di 1300 euro.
L’importo, però, viene ridotto del 3% a partire dal quarto mese di fruizione, secondo i criteri messi in evidenza dalle
circolari INPS n. 94 e n. 142 del 2015.
Sia
l’accesso alla NASPI che all’indennità di mobilità, nel momento in cui sarà
pienamente operativo il sistema ipotizzato, con l’ANPAL, dal d.lgs n. 150/2015, saranno condizionati
dalla partecipazione a programmi di riqualificazione professionale susseguenti
alla sottoscrizione di specifici programmi con i servizi per l’impiego.
8. In forza di tale meccanismo, e considerata la già vista situazione occupazionale italiana, e l'ormai consolidato prevalere della deflazione salariale connessa alla dilagante precarizzazione, si avrà la conseguente impossibilità di rifiutare proposte di lavoro pena la perdita del
sostegno economico.
Ma a quale soglia di impoverimento reddituale si attualizzerebbe questa prospettiva di perdita del sussidio NASPI (entro i 24 mesi massimi di sua fruibilità)?
Laddove andasse in porto la proposta del reddito di
inclusione, sarà praticamente automatica la fissazione del tetto di retribuzione "non rifiutabile" in
misura almeno equivalente al reddito di inclusione di circa 400 euro. Con la
conseguenza che coloro che non vogliono perdere la NASPI saranno costretti ad
accettare posti di lavoro retribuiti come il reddito di inclusione ed anche
meno: si è visto, infatti, che non è ammessa la facoltà di rifiutare lavori,
soprattutto se sono qualificati socialmente utili.
9. Tra l’altro la mobilità non era una misura
utile ai soli lavoratori per tamponare le conseguenze reddituali e occupazionali di situazioni di difficoltà aziendale, ma
anche per le aziende stesse.
Costituiva,
infatti, uno strumento che consentiva di ripartire tra l’impresa e lo Stato gli
oneri della disoccupazione momentanea, in linea con le tutele del lavoro
previste in Costituzione.
Ma non
solo.
La legge sulla mobilità conteneva delle misure,
incentivanti all’assunzione, molto diffuse e questo, probabilmente, farebbe comprendere le ragioni per cui se ne è voluta l’abolizione.
Va, infatti, ricordato, che la legge
223/1991 agevolava sia le occasioni di impiego con contratto a termine, sia gli
inserimenti più stabili nel mondo del lavoro, con assunzioni a tempo
indeterminato.
In entrambe le fattispecie, la norma prevedeva che la
contribuzione a carico dei datori di lavoro che assumessero i lavoratori in mobilità, fosse dovuta nella misura prevista
per gli apprendisti.
Diverso era l’arco temporale di spettanza:
12 mesi per le assunzioni a tempo determinato, a cui si aggiungono altrettanti
in caso di trasformazione a tempo indeterminato; 18 mesi nelle ipotesi di
assunzione con un contratto a tempo indeterminato.
L’agevolazione competeva
anche per le assunzioni part-time.
La medesima legge, inoltre, prevedeva, la
concessione di un ulteriore “bonus” nel caso di assunzione/trasformazione a
tempo indeterminato di un rapporto a termine (in entrambi i casi a tempo
pieno). Ove, infatti, le "trasformazioni" stesse riguardassero lavoratori aventi diritto
all’indennità di mobilità, al datore di lavoro era corrisposto un contributo
mensile, consistente nel 50% della prestazione che sarebbe toccata al
lavoratore se non fosse stato assunto.
10. Con le modifiche introdotte dal 2017,
invece: fino al 30 dicembre 2016, per le aziende rientranti nel relativo campo
di applicazione, sarà possibile collocare in mobilità i lavoratori sia dopo un
periodo di Cigs (articolo 4, legge 223/91), sia a seguito di licenziamento
collettivo (articolo 24, legge 223/91); le aziende che attiveranno assunzioni
di questi lavoratori entro la fine del 2016 potranno contare, nel rispetto dei
principi generali, sugli incentivi di legge.
Occorre, tuttavia, ricordare che, mentre le
assunzioni a tempo indeterminato effettuate entro il 31 dicembre 2016 potranno
beneficiare dell’intero periodo di durata dell’agevolazione (18 mesi) (cioè di decontribuzione delle assunzioni dei lavoratori in mobilità), quelle "a
termine" che sconfineranno nel 2017 non potranno essere né prorogate (con i
benefici decontributivi), né trasformate a tempo indeterminato fruendo degli incentivi
previsti dall’articolo 8 della legge 223/91 in quanto la norma, come già
anticipato, sarà abrogata dal 1°gennaio 17.
In ultima analisi: dal 31 dicembre 2016 i lavoratori non
potranno più essere collocati in mobilità, in quanto l’iscrizione nelle liste
decorrerebbe dal 1° gennaio 2017, giorno successivo alla data di licenziamento;
dal 1° gennaio 2017 non potranno essere premiate le assunzioni effettuate con
riferimento a soggetti iscritti entro il 31 dicembre 2016, in conseguenza del
venir meno delle relative norme incentivanti.
11. L’impossibilità di accedere alle misure
agevolate si rifletterà anche sui contratti di apprendistato professionalizzati
instaurati con lavoratori che fruiscono della mobilità. Dalla medesima data,
con questa tipologia contrattuale, sarà possibile assumere solamente lavoratori
beneficiari di un trattamento di disoccupazione; per costoro - tra l’altro - da
un anno e mezzo l’Inps dovrebbe dare specifiche istruzioni.
Insomma, siamo di fronte all’ennesima
cronaca degli effetti prodotti da politiche combinate di tagli alla spesa
pubblica con effetti generalizzati sui redditi, sia del settore pubblico che
privato, con conseguente restrizione della domanda interna, deflazione salariale
e liberalizzazione del lavoro, smantellamento/svuotamento di ogni forma di welfare, in
perfetta rispondenza ai diktat europei per la neutralizzazione della nostra
carta Costituzionale.
E la povertà, o anche solo il (molto concreto) "rischio" di finirci dentro, non potranno che aumentare.
Io da tempo leggendo Lei,il Prof.Bagnai,il Prof.Rinaldi,il Prof.Borghi sono giunto alla tristissima conclusione che presto questo paese finirà in un bagno di sangue (la sanità è allo sbando,se vuoi lavorare devi accettare la schiavitù o emigrarele fabbriche continuano a morire,le tasse aumentano così come accade ai prezzi dei beni di consumo del "Popolo" non c'è futuro).
RispondiEliminatale granitica determinazione al disastro mi lascia ammirato
RispondiEliminaCalenda ieri a In mezz'ora:
Elimina"Il dichiarato legame tra il declassamento dell'Italia da parte di Dbrs e l'esito del referendum del 4 dicembre si spiega col fatto che tale esito viene interpretato come la probabile interruzione del cammino delle riforme. ECCO, QUESTO È ASSOLUTAMENTE CIÒ CHE NON DEVE ACCADERE".
È sempre più chiaro che ci vogliono morti. Per il nostro bene naturalmente, anche se fanno sempre più fatica a nascondere che vogliono farci espiare la colpa di esistere.
Ti rispondo riproducendo un commento a un altro post, apparentemente OT, ma moooolto pertinente nella sostanza:
Elimina"E' l'(auspicabile) effetto Trump ai suoi albori
http://www.repubblica.it/esteri/2017/01/16/news/se_trump_incita_a_uscire_dall_ue-156109492/
Gli autorazzisti imbecilli tenteranno di terrorizzare gli italiani che questo sia un grande male: ma la crescente maggioranza dell'elettorato, stavolta, non accetterà supinamente.
I favorevoli all'uscita dall'euro sono al 33% persino per i sondaggisti "istituzionali"
http://www.centrometeoitaliano.it/attualita/sondaggi-elettorali-politiche-oggi-12-gennaio-2017-emg-cise-e-il-mattarellum-46680/
Ma la reale opinione degli italiani sull'UE-UEM, potrebbe essere molto peggiore di quanto non credano gli ordoliberisti mediatici al servizio dell'oligarchia internazionalista (non dimentichiamo la maggioranza del "no" al referendum" che sfiora il 60%,).
E non abbiamo ancora visto niente..."
Sempre "apparentemente OT". Leggo dalle agenzie di oggi che Trump ha preso una posizione netta sulla quella che potrebbe essere definita la "questione tedesca", affermando senza tanti fronzoli che l'UE altro non è che uno strumento della Germania per i suoi scopi.
Eliminahttp://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Trump-sfida-Europa-UE-usata-da-Germania-Angel-Merkel-per-ottenere-suoi-scopi-Ha-fatto-bene-Gran-Bretagna-a-uscire-Brexit-992bd597-29b2-4766-aae2-bd470c4d6b8c.html
Parallelamente, quella che gli USA definiscono ormai, per bocca del loro presidente entrante, un'estensione della Germania, ci "richiama all'ordine" pretendendo una ulteriore manovra deflattiva:
http://www.repubblica.it/economia/2017/01/16/news/ue_ultimatum_all_italia_manovra_da_3_4_miliardi_-156112779/
E questo tacendo del duro attacco della Germania contro il gruppo FCA.
Tenuto anche conto della crisi bancaria in corso, credo che presto i tempi imporranno a chiunque sia al Governo in Italia di prendere una posizione netta, come ne..... 1943. Frattalicamente parlando, o stai con gli alleati o con il Reich. Tertium non datur.
E secondo me, non credo -data anche la posizione strategica nel Mediterraneo- che gli USA, per quanto isolazionisti, siano disposti a lasciarci in orbita tedesca.
Emerge, ancora una volta, l'inadeguatezza politica dell'esecutivo in carica.....
Vedremo........
E considera che il quadro incombente è ancora più "pesante" di così, per gli €uropeisti.
EliminaAl punto che, sicuramente (mi arrischio a prevedere), non riusciranno più a nascondere che l'imperialismo mercantilista è conflittuale per natura.
Altro che pac€!
Buongiorno. Continuo a seguirvi. Parole non ce ne sono piu'.Parlano ormai solo i fatti " terrificanti" cui ogni giorno assistiamo, nelle ns. case , nei piccoli uffici distrutti, in ogni dove.
RispondiEliminaDevo altresi' registrare, fotografare che la nefandezza vera e propria dei " redditi da inclusione o sociali o altro che dir si voglia", che certificano l'assoluta volontà di distruggere il distruggibile vede ancora una volta, fare da apripista la nostra regione, già da novembre-dicembre 2016 . E qualcosa mi dice che la "propostona" del min.Martina abbia " genitori certi". Un reddito di solidarietà con ISEE a tremilaeuro( 3000). Non credo siano necessari commenti. Intanto i " disoccupati, inoccupati" vagano fra centro per l'impiego e agenzie interinali . A loro vengono richiesti chili di CV,( formato UE ovviamente) . Per " fare finta" che ci sia " offerta" ( che invece non esiste o dove esiste è già " incanalata"). E ancora cè CHI non vede ( o non vuole vedere) il " disegno". Questo è quanto. Ringrazio lei e i commentatori. http://www.regione.emilia-romagna.it/notizie/2016/dicembre/Il-Reddito-di-solidarieta-e-legge-un-sostegno-concreto-per-persone-e-famiglie-in-gravi-difficolta-economiche