Premessa alla Parte III- Questa storia, che ci racconta Francesco Maimone e che trovate ricostruita nel post, è una storia infarcita di Europa, intesa come Unione Europea: e inizia quando neppure c'era l'euro (ma Maastricht, sì e l'adesione alla moneta unica pure. E non si tratta certo di un caso).
Ma è la storia beffarda dello smontaggio sistematico del fondamento stesso della Repubblica: il principio della tutela del lavoro (art.1 Cost.).
Questa tutela, che nell'art.4 Cost. vedete enunciata come un obbligo, a carico della Repubblica, di intervenire per rendere effettivo il relativo "diritto", - che non è quindi un mero enunciato puramente enfatico- è stata estirpata dall'ordinamento democratico italiano senza neppure mai nominare, come vedremo, la Costituzione: una rimozione totale che ha investito non la pur detestata "Costituzione economica", ma proprio gli articoli fondamentalissimi e inderogabili che avrebbero dovuto dare forma alla nostra democrazia.
E tutto questo, con una profusione di sglogan, formule rituali e stilemi in "economicorum" dissimulatore dei fini, è stato attuato e portato a compimento con l'ossessivo richiamo all'€uropa. Fino alla beffarda "dedica" ai "giovani" nel Libro Verde del 2008, dove le esequie frettolose di una Costituzione ancora viva, sono celebrate dal preannunzio di un vantaggio "pensato per i giovani" che, oggi, significa disoccupazione giovanile al 40,1%.
Tutta la "occupabilità", tutta la flessibilità e la connessa privatizzazione del welfare, pronunciate in nome dell'efficienza del mercato, predicati in parole paludate in modo da sfuggire al senso comune dei destinatari (cioè i cittadini italiani), possono riassumersi in questo dato, che rende tangibile il "futuro" radioso che veniva preannunciato fin dal 1997 mediante l'inizio del "gran ballo" delle riforme del lavoro.
E spicca, in questo inesorabile percorso, non solo il richiamo all'€uropa come motore della enunciata reductio ad mercatum della dignità umana (art.2 Cost.), ma lo sprezzo verso la stessa Costituzione, il cui unico (dis)valore implicitamente riconosciuto è quello di dar luogo a "inefficienze normative".
Per la cronaca e per la Storia: nessuno al tempo reagì (v. infra p.2), così come non si reagì alla "decisione-fatto compiuto" di aderire alla moneta unica.
Si voleva, semmai, da parte delle opposizioni, più flessibilità e, rispettivamente (per quanto riguarda l'adesione alla moneta unica), più privatizzazione dello Stato e più dratici tagli della spesa pubblica (v. p.8). Cioè dei nostri diritti fondamentali sociali (senza cui, diceva Mortati, la democrazia semplicemente "non è").
1. Vieni a pescare con noi …Voci dall’Italia occupabile
(e di fatto ormai occupata)
Il nostro Paese non si è infatti
sottratto alla subordinazione culturale di matrice neo-ordoliberista,
risultando anzi all’avanguardia e sensibile al richiamo del “fate presto” [1] nel recepimento dei suoi dettami qualificati ossessivamente,
ormai da più di un ventennio, con l’espressione pseudo-progressista di “riforme strutturali”. Trattasi di una
serie di provvedimenti legislativi che sanciscono sul piano normativo nazionale
la nuova mistica neo-ordoliberista del “lavoro-merce”
e correlativamente, sul piano sociale, la certosina costruzione di un nuovo ideal-tipo umano del tutto assoggettato
alle logiche del mercato.
Nei suoi snodi
essenziali, detti provvedimenti prendono avvio con la L. n. 196/1997
(c.d. legge o pacchetto Treu, completata dai d.lgs. n. 280/1997
e 468/1997), continuano con l’essenziale L. 30/2003 (c.d. legge
delega Biagi e l’attuativo d.lgs. n. 276/2003), passano per la
L. n. 92/2012 (c.d. legge Fornero) e si concludono, al momento,
con la recente riforma battezzata “Job Act”
(e la sua pletora di decreti attuativi).
Hanno assunto indefettibimente
e con rigore di metodo il ruolo di apri-pista ideologico di dette novelle
legislative alcuni “Libri” dal cromatismo rasserenante (sempre bianchi o verdi) che
fungono da apposita locandina dottrinaria per la “rimappatura” neuro-psicologica
e comportamentale della collettività.
2. Il “pacchetto” Treu
Nella seduta pomeridiana al
Senato del 12 marzo 1997, l’allora Ministro del lavoro Tiziano Treu così
esordiva nella presentazione del DDL n. 1918:
“… Il disegno complessivo in cui si inquadra il disegno di legge … è stato inserito fin dall’inizio in una
prospettiva europea. Abbiamo
partecipato alle indicazioni europee in materia di lavoro ed il nostro
complesso di misure si ispira agli
orientamenti DELL’UNIONE EUROPEA. Noi
crediamo che l’Europa debba essere tale non solo sotto l’aspetto
finanziario, ma ANCHE SOTTO QUELLO
SOCIALE; il nostro modello naturalmente è L’EUROPA SOCIALE …”.
Il responsabile del
dicastero passava poi a delineare le “tre
grandi linee di intervento per la politica del lavoro” del Governo, ovvero “…
risanamento del debito pubblico. Si
tratta di un impegno che dobbiamo all’Europa… CIÒ NON SI TRADUCE … NELLA
RIPRESA DI POLITICHE GENERICAMENTE KEYNESIANE …”, nonché “… LA
FORMAZIONE
PROFESSIONALE CONTINUA…” e un
pacchetto di iniziative “… CHE HANNO A CHE FARE CON LA PROMOZIONE E IL
SOSTEGNO DELLE IMPRESE …” [2].
Il Ministro illustrava quindi
nello specifico le norme riformatrici del mercato del lavoro, coerente con le
linee di intervento, annunciando in sintesi la fine “del monopolio pubblico del collocamento” (=istituzione delle
agenzie di somministrazione del lavoro), l’avvento della “flessibilità”, l’ampliamento degli “strumenti dell’apprendistato e del contratto di formazione lavoro” nell’ottica
della formazione continua, e la “redistribuzione
degli orari di lavoro” con la rivisitazione della disciplina dell’impiego part time.
La discussione parlamentare
era caratterizzata da un trasversale accordo sul disegno di legge da parte di pressoché
tutti gli schieramenti politici.
Ove disaccordo è emerso, al tempo, lo stesso si è
caratterizzato polemicamente per il fatto che la futura normativa non avrebbe addirittura
consentito “… una maggiore flessibilità del lavoro e un adeguamento dell’offerta di
lavoro ai bisogni del mercato, valorizzando la formazione per migliorare la
qualità del lavoro …” secondo
le linee dettate dal rapporto Delors, non a caso richiamato a più riprese come sacrum verbum [3].
E’ con la legge Treu che quindi esordisce in Italia il mito del lavoratore flessibile come risultato
epifanico di una strategia economica che, sottotraccia, si era imposta a livello internazionale
già alla fine degli anni ’70 allo scopo di favorire in via privilegiata e ad
ogni costo le esigenze datoriali [4].
In tal modo i lavoratori italiani cominciavano ad essere lasciati in
balia del libero gioco delle forze del mercato, teorizzando di fatto un loro assoggettamento
alle sole regole del diritto comune dei contratti ed alla conseguente precarizzazione
spacciata per una utopica “autonomia
negoziale” nel mercato [5].
Tale linea di pensiero ha trovato linfa e supporto in una corrente della dottrina giuslavoristica ancora in auge la quale, già prima dell’entrata in vigore del pacchetto Treu e delle ulteriori riforme che sarebbero intervenute (e nelle quali avrebbe peraltro assunto un ruolo da protagonista), aveva in gran parte teorizzato in Italia l’adeguamento del diritto del lavoro alle leggi del mercato con istituti che, in effetti, sarebbero stati puntualmente recepiti ad anni di distanza nella normativa successiva [6].
Tale linea di pensiero ha trovato linfa e supporto in una corrente della dottrina giuslavoristica ancora in auge la quale, già prima dell’entrata in vigore del pacchetto Treu e delle ulteriori riforme che sarebbero intervenute (e nelle quali avrebbe peraltro assunto un ruolo da protagonista), aveva in gran parte teorizzato in Italia l’adeguamento del diritto del lavoro alle leggi del mercato con istituti che, in effetti, sarebbero stati puntualmente recepiti ad anni di distanza nella normativa successiva [6].
3. Libro Bianco sul mercato del
lavoro in Italia e Legge Biagi
Con la riforma Biagi la spinta neo-ordoliberista ha effettuato un salto
di qualità, tanto che il “timido” approccio adattivo con i dictat europei, realizzato con il pacchetto Treu, si è via via evoluto
in un compiuto amplesso.
I prodromi ideologici della legge Biagi sono contenuti
nel "Libro Bianco sul mercato del lavoro
in Italia- Proposte per una società
attiva e per un lavoro di qualità" dell’ottobre 2001, di cui la legge costituisce
l’appendice [7].
La politica generale del Libro
Bianco, orientata “… dai valori
dell’economia sociale di mercato, dai principi fondamentali del
lavoro che ormai compongono l’acquis communautaire …” [8], è ancora
centrata sulle strategie per l’occupabilità “…
A
questo fine deve essere rafforzata la capacità di funzionamento efficiente del
mercato, liberandolo dalle inefficienze economiche e
normative che hanno nel corso degli anni ostacolato il pieno dispiegarsi delle
sue potenzialità. Ciò, ovviamente, non dovrà avvenire restringendo
le tutele e le protezioni, bensì spostandole dalla garanzia del posto di
lavoro all’assicurazione di una PIENA OCCUPABILITÀ durante tutta la vita
lavorativa, riducendo, quindi, i periodi di disoccupazione o di
spreco di capitale umano…” [9].
L’ideologia di fondo da
cui prende le mosse il Libro Bianco è quella secondo cui sarebbe necessario “… SOSTITUIRE
IL TRADIZIONALE APPARATO GARANTISTICO …
con un sistema di tutele operanti nel mercato”, e tanto allo
scopo di “… garantire l'obiettivo sociale della OCCUPABILITÀ che il Libro Bianco colloca al centro della politica
del lavoro …” [10].
Il significato filosofico
contenuto nel documento esaminato risulta quindi indiscutibile se si
considerano i seguenti ragionamenti che – se ve ne fosse ancora
bisogno - ne svelano senza equivoci il contenuto:
“… Un'economia competitiva fondata sulla
conoscenza deve poter contare su lavoratori il cui potere contrattuale poggi
sulla loro qualità professionale e CAPACITÀ
DI ADATTAMENTO piuttosto che su di un sistema di garanzie ingessate. Questa
è la vera stabilità del lavoro … Ecco perché la stabilità non può più essere
misurata con i vecchi canoni, come se fosse uno status o, peggio, un privilegio… PERCHÉ, QUANDO UN GIOVANE È PREPARATO E MOTIVATO, LA STABILITÀ DEL
LAVORO VIENE POI DA SÉ …” [11].
Il programma giuridico e culturale
del Libro Bianco era stato anticipato nell’aprile del 2001 proprio dall’autorevole
giuslavorista che avrebbe dato il nome alla riforma. Il prof. Biagi così
delineava la riprogettazione giuslavoristica (e sociale) italiana sull’onda di
un cambiamento avvertito come naturale, oltre che epocale ed ineluttabile:
“… In Europa stiamo vivendo una trasformazione epocale che in altri
continenti … conosce stadi di sviluppo più avanzati … cioè il passaggio definitivo dalla “vecchia” alla “nuova” economia,
la transizione tra un sistema economico
“industrialista” ad uno nuovo fondato sulle “conoscenze” …
Il quadro giuridico istituzionale e i rapporti costruiti dalle parti sociali,
quindi il diritto del lavoro e le relazioni industriali devono cogliere
queste trasformazioni in divenire agevolandone il governo…Si tratta … di
accogliere una nuova filosofia-che è poi la filosofia del legislatore
comunitario e di quei Paesi europei che meglio si sono orientati nella modernizzazione
del diritto del lavoro – volta ad
ELIMINARE GLI OSTACOLI ALLA COMPETITIVITÀ DELLE IMPRESE e all’adeguamento del
quadro legale al dato socio-economico …” [12].
Le suddette anticipazioni
sono state poi sostanzialmente trasfuse nella corrispondente relazione al
disegno di legge n. 848 [13]. Il
provvedimento in parola ha rappresentato, in definitiva, la più compiuta
istituzionalizzazione del lavoro-merce, come senza mezzi termini pure è stato denunciato
da qualche senatore durante i lavori parlamentari [14].
Alcuni commentatori a
sostegno della novella legislativa, dopo il varo del
d.lgs. n. 276/2003, si sono affrettati tuttavia a precisare come la
stessa non potesse e neppure volesse rappresentare il punto terminale del
progetto di modernizzazione del diritto del lavoro italiano, ma semmai “… il punto di partenza – imprescindibile, ma di per sé non
sufficiente – del complesso e delicato processo di ridefinizione e
razionalizzazione delle regole che governano il il nostro mercato del lavoro …”
[15]. Al peggio, si sa, non c’è mai
fine.
La stessa fonte
concludeva che “… Molto lavoro resta
ancora da compiere SUL PIANO CULTURALE che – non
ci stancheremo mai di ripeterlo – è
poi il vero fronte su cui verra’ giocata la battaglia decisiva per
avviare quel processo di riforma reale di cui ha tanto bisogno il nostro paese …”
[16]. Più chiaro di così…
4. Il Libro Verde. Una prima implementazione ideologica per
un nuovo “modello sociale”
Proprio al fine di
intervenire ancor più incisivamente sul “piano culturale”, nel mese di luglio
2008 il Ministero del Lavoro pubblicava un Paper
il cui titolo da solo vale già un programma, ovvero "La vita buona nella società attiva – Libro Verde sul futuro
del modello sociale", benevolmente “… dedicato
ai giovani e alle loro famiglie perché vuole concorrere a ricostruire fiducia
nel futuro …” [17].
Il documento, coerentemente con il titolo, costituisce in
modo lampante un ulteriore passo nell’edificazione di un annunciato “nuovo modello sociale” di stampo neo-ordoliberista,
cioè all’insegna del disimpegno dello Stato nella garanzia e nella tutela dei
diritti sociali fondamentali.
Il Paper prende le mosse dall’assioma secondo cui
“… La crisi del modello sociale italiano è,
prima di ogni altra cosa, UNA CRISI CULTURALE E DI VALORI …” ed offre pertanto una nuova cifra
educativa al fine di far fronte a “disfunzioni
e sprechi” del Welfare italiano
che non sarebbe più sostenibile nel “quadro
difficile delle compatibilità macro-economiche attuali” (=impossibilità di
spesa causata dai preordinati vincoli €uropei, non ultimi il Fiscal Compact ed il pareggio di
bilancio costituzionalizzato nell’art. 81 Cost.).
Il nuovo modello sociale
dovrà perciò orientarsi in due precise e distopiche direzioni:
a - verso un Welfare meno pubblico basato su una “dimensione comunitaria”, dal momento
che “un welfare delle opportunità non può
che scommettere su una virtuosa alleanza
tra mercato e solidarietà” (trattasi di un palese ossimoro, v. infra).
Non più, quindi, un sistema in
cui lo Stato interviene in prima battuta a sostegno e difesa dei cittadini, ma
un sistema nel quale famiglie e “corpi
intermedi” sono attori riconosciuti ed in cui le Istituzioni intervengono
solo in via sussidiaria. “… Fondamentale,
in questa prospettiva, è la capacità di “fare comunità”, a partire dalle sue
proiezioni essenziali che sono la famiglia, il volontariato, l’associazionismo
e l’ambiente di lavoro, sino a riscoprire luoghi relazionali e di servizio come
le parrocchie, le farmacie, i medici di
famiglia, gli uffici postali, le stazioni dei carabinieri …(!)”;
b - verso
un Welfare che deve riconoscere un nuovo
ruolo ai privati nel suo finanziamento; “… Lo sviluppo del pilastro
privato complementare è un passaggio essenziale per la riqualificazione
della spesa e la modernizzazione del nostro Welfare…”. Lo Stato, invece,
svolgerà “un ruolo importante attraverso
il sistema delle agevolazioni fiscali” [18].
Nell’ambito del Green Paper, il diritto del lavoro,
nello specifico, non si sottrae a tale generalizzato e progressivo smantellamento
dei diritti sociali costituzionali, recependo in proposito il citato concetto
di Welfare to Work, “cuore delle
politiche sociali per una società che vuole essere attiva”.
In sostanza, insistendo in modo martellante sul consueto mantra della occupabilità, dello sviluppo delle capacità personali attraverso la formazione continua del lavoratore e della sua responsabilità personale (“l’idea della persona…che RISPONDE IN PRIMA ISTANZA DA SÉ AL PROPRIO BISOGNO – della persona cioè che vive in maniera responsabile la propria libertà e la ricerca di risposte alle proprie insicurezze”), detto concetto teorizza l’introduzione di ancor più robuste dosi di deregolamentazione e semplificazioni (= flessibilità) nel mercato del lavoro che, nella personalissima visione dell’allora Ministro, sarebbe “ormai diventato adulto”.
In sostanza, insistendo in modo martellante sul consueto mantra della occupabilità, dello sviluppo delle capacità personali attraverso la formazione continua del lavoratore e della sua responsabilità personale (“l’idea della persona…che RISPONDE IN PRIMA ISTANZA DA SÉ AL PROPRIO BISOGNO – della persona cioè che vive in maniera responsabile la propria libertà e la ricerca di risposte alle proprie insicurezze”), detto concetto teorizza l’introduzione di ancor più robuste dosi di deregolamentazione e semplificazioni (= flessibilità) nel mercato del lavoro che, nella personalissima visione dell’allora Ministro, sarebbe “ormai diventato adulto”.
Fa da contorno la
previsione di una riforma degli ammortizzatori sociali che da un lato sviluppi
“un sistema integrativo su base
mutualistica” e, dall’altro, applichi la “elementare regola di
responsabilità che vuole
sanzionato con la decadenza dal beneficio o dalla indennità il percettore del
trattamento che rifiuti una occasione congrua di lavoro o un percorso formativo
di riqualificazione professionale” [19].
Insomma, tutto come da programma.
___________________________________
NOTE
[1] http://orizzonte48.blogspot.it/2016/01/ari-fate-presto-habemus-ital-tacchino.html;
http://orizzonte48.blogspot.it/2016/06/brexit-e-il-vizio-del-fate-presto.html
[2] Così il ministro
del lavoro Tiziano Treu in Senato nella seduta del 12 marzo 1997, 28,
reperibile all’indirizzo
http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00004802.pdf.
[3] Così il
senatore Roberto Napoli nella seduta al Senato del 12 marzo 1997, cit., 7-8; nella stessa seduta
richiamavano il Libro Bianco Delors il senatore Giuseppe Mulas, 19, ed il
ministro del lavoro Tiziano Treu, 32; quest’ultimo si riferiva al Libro Bianco
Delors anche nella seduta al Senato del 17 giugno 1997 reperibile all’indirizzo
http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00004854.pdf,
48
[4] E’ stato infatti
affermato che “… In passato, in ossequio
all’ottica keynesiana del sistema di Bretton Woods, il FMI imponeva restrizioni
dal lato della domanda aggregata
e concedeva credito allo scopo di renderle meno severe possibile. Con
l’affermarsi dell’ideologia monetarista nei tardi anni ’70 si è preteso che gli
aggiustamenti “strutturali” imposti si dovessero attuare attraverso politiche
volte a modificare le condizioni di offerta,
cioè prevalentemente la struttura produttiva e proprietaria ... Dunque:
abbattimento dei dazi e di altre forme di protezionismo per aumentare la
concorrenza, liberalizzazione dei prezzi per curare l’inflazione, deregolamentazione dei mercati del lavoro
per favorire la flessibilità e ridurre il costo del lavoro... In questo
modo il FMI svolge la funzione di una ruspa che prepara il terreno all’ingresso
del capitale multinazionale nei paesi sfigati. Lo prepara in modo tale che
l’ingresso sia più profittevole possibile: fa abbassare i salari e il
costo delle materie prime, rende flessibile il lavoro, fa svendere
imprese pubbliche e risorse naturali a costi di realizzo...” così
E. SCREPANTI, L’imperialismo globale e la grande crisi, DEPS Siena,
n. 14, luglio 2013, 130, reperibile all’indirizzo http://www.econ-pol.unisi.it/quaderni/collana/screpanti14/Imperialismo%20globale%20CollanaA4.pdf.
[5] Dipinge il
pacchetto Treu come il “… seguito
di una prolungata attività di riforma degli assetti tradizionali, di un lungo e
concreto impegno riformistico a cui hanno partecipato in prima persona le
grandi organizzazioni sindacali …” L. MARIUCCI in Le fonti del diritto del lavoro, quindici
anni dopo, Torino, 2003, 151
[6] Si fa
riferimento, in particolare, al testo “profetico” di P. ICHINO, Il lavoro e il mercato - Idee
per un diritto del lavoro maggiorenne, Milano, 1996, 1-6
[7] Trattasi del
testo confezionato da un gruppo di lavoro
coordinato da Maurizio Sacconi e Marco Biagi; il testo integrale è reperibile
al seguente indirizzo: http://www.ambientediritto.it/Legislazione/Sicurezzalavoro/anno%202001/libro%20bianco%20lavoro.pdf
[8] Così Libro Bianco, cit., VI. Si segnala che il Libro Bianco
è ispirato da documenti comunitari in materia di modernizzazione del diritto
del lavoro. Si veda, in particolare, la comunicazione della Commissione Europea
su Modernising the Organisation of
work – A Positive Approach to the Change, COM(98)592,
reperibile all’indirizzo http://aei.pitt.edu/3358/1/3358.pdf
[9] Così Libro
Bianco, cit., X-XI
[83] Così P. ALLEVA - A. ANDREONI - V. ANGIOLINI - F. COCCIA - G. NACCARI,
Dignità e alienazione del lavoro nel Libro Bianco del Governo, in AA.VV., Lavoro: ritorno al passato. Critica del
Libro Bianco e della legge delega al Governo Berlusconi sul mercato del lavoro,
Ediesse, Roma, 2002, 23 reperibile anche all’indirizzo
http://old.cgil.it/archivio/giuridico/Politiche%20del%20diritto/Archivio/Diritto%20del%20lavoro/Libro%20Bianco%20%20-%20delega%20-%20decreto%20276/Nota%20su%20Libro%20Bianco.pdf
[11] Così
M. SACCONI - M. TIRABOSCHI, Un futuro da precari? Il lavoro dei giovani tra rassegnazione e
opportunità, Mondadori, Milano, 2006, 64
[12] Così
M. BIAGI, Competitività e risorse umane: modernizzare la regolazione dei
rapporti di lavoro, Relazione presentata al Comitato scientifico di Confindustria
(Roma 18 aprile 2001), ora in Rivista italiana di diritto del lavoro, Milano,
2001, 258-260
[13] Reperibile
al seguente indirizzo
http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00009753.pdf
[14] Così
V. BAVARO, La destrutturazione dei
diritti nella legge delega, reperibile al seguente indirizzo
http://www.ildiariodellavoro.it/adon.pl?act=doc&doc=22731#.V5hpMo9OLIU
[15] Così
M. TIRIBOSCHI, La riforma del lavoro, attuazione della legge Biagi, Guida
normativa Il Sole 24 ore, settembre 2003, 5; parla addirittura di ispirazione
“laburista” della legge Biagi P. ICHINO, L’anima laburista della legge Biagi – Subordinazione e
“dipendenza” nella definizione della fattispecie di riferimento del diritto del
lavoro, in Giust. Civ.,
2005, 131
[16] Così M. TIRIBOSCHI, La riforma del lavoro, attuazione della legge
Biagi, cit., 6
[17] La vita buona
nella società attiva – Libro Verde sul futuro del modello sociale, 3,
Reperibile all’indirizzo http://www.retepariopportunita.it/Rete_Pari_Opportunita/UserFiles/Pubblicazioni/libro_verde_welfare.pdf
[18] La vita buona
nella società attiva – Libro Verde sul futuro del modello sociale, cit., passim, 4, 5, 10, 16 e 20. D’altronde, per Luigi Einaudi “…
l'organizzazione statale dei più svariati
rami di assicurazione sociale è ... un ideale che si muove entro una bassura:
l'esistenza di masse umane le quali hanno bisogno di essere costrette alla
previdenza, alla organizzazione e alla solidarietà…”, così L. EINAUDI,
Gli ideali di un economista,
Edizioni “La Voce”, Firenze, 1921, 135-143
[19] La vita buona
nella società attiva – Libro Verde sul futuro del modello sociale, cit., passim, 9 e16
RispondiEliminaMi sento sempre ripetere da più parti, quando parlo di precarietà di lavoro: ah! è quella che se non rendi ti licenziano! Sottinteso: una cosa buona, moralizzatrice, via i fannulloni e dentro gli efficienti! E poi, dove se non l'Italia dei pigri e fannulloni, era più necessaria una tale via modernizzatrice? Come se il fine della vita precaria fosse questa "efficienza" superiore e noi fossimo sempre premiati se lavorassimo bene. Mentre realtà che poi ti trovi di fronte è una tua completa accondiscendenza a tutti i voleri dell'imprenditore competitivo, pur di non perdere il posto di lavoro.
Il lavoro fisso, invece, a livello di FRAME SENZA RIFLESSIONE, viene fatto passare come impossibilità di licenziare i fannulloni, nel pubblico impiego e nelle imprese, che poi falliscono a causa di questi pesi; perché, ti dicono, se lavori bene, tanto il datore a te non ti licenzia comunque. Come corollario, ti citano sempre qualche dipendente pubblico che, invece di lavorare, passa le giornate al bar ed è a carico di tutta la comunità degli onesti pagatori di tasse.
Peccato che, tranne le rare eccezioni di lavori particolarmente specializzati e ricercati, per via della competitività, anche se poi lavori bene l'azienda si potrà benissimo sbarazzare di te, sia per motivazioni di "ristrutturazione interna" e taglio dei "costi", sia per assumerne un altro che rende di più ed è pagato sempre di meno.
E poi la resa si misura spesso in termini di pochissimo tempo, spesso per mansioni semplici: ma, affinché si possa imparare a dovere un mestiere che non sia composto da semplici mansioni, è necessario avere qualche anno sulle spalle, fare pratica; mentre con i contratti precari dai il via all'usanza che o rendi subito per qualsiasi tipo di mansione, o ci sbarazziamo di te e ne troviamo uno che renda al meglio e senza il minimo investimento da parte nostra, e magari lo troviamo già bello che formato nel mercato internazionale degli schiavi competitivi.
Io mi rendo conto sulla mia pelle che, avendo fatto diversissimi lavori nel corso della mia vita, tutti svolti solo ed esclusivamente per necessità di un reddito per sopravvivere, e senza alcuna possibilità di scelta, non sono riuscito ad maturare alcuna solida esperienza in nessuno di essi; ed è questo che più mi fa male; mi sento quasi incapacitato a poter svolgere in futuro un qualsiasi tipo di lavoro specializzato che necessiti esperienza, nonostante la mia laurea e le mie specializzazioni; c'è sempre la sensazione di ripartire da zero all'infinito, e l'acquisizione di esperienze monche; la mia esperienza come insegnante precario di terza fascia senza alcuna preparazione, all'interno di una scuola professionale disagiata, mi ha prosciugato l'anima; era l'ennesimo lavoro che avevo scelto come ripiego, senza alcun vaglio, solo per necessità di soldi; mi sono trovato di fronte ad una realtà con alunni difficili da gestire, con molti stranieri, molti con storie di disagi familiari alle spalle, delinquenza, spaccio, consumo di droghe, ostilità verso il corpo docente. Poi ho letto che, in effetti, il lavoro di insegnante oggi è uno dei più difficili e usuranti a livello psicologico. Ma la scuola pubblica italiana non forma assolutamente i precari di terza fascia che vengono assunti per qualche mese al fine di coprire carenze numeriche del corpo docente. Nonostante la gentilezza e l'aiuto volontario di qualche collega, ho avuto come la sensazione di essere gettato in una piscina senza aver prima imparato a nuotare; una sensazione bruttissima di inadeguatezza, di solitudine, di inferiorità, che è più umiliante se vissuta in età adulta; mi feriva il paragone, enunciato da alcuni colleghi che non mi conoscevano se non per le ore di copresenza in aula, magari anche detto senza intenti maligni, tra me e gli insegnanti di ruolo; ad esempio che con me gli alunni erano più agitati rispetto alle ore trascorse con un insegnate di ruolo che aveva più sotto controllo la classe ed era quindi più capace.
RispondiEliminaHo dovuto stringere i denti se non volevo perdere qualche misero soldo di stipendio. Ma la vita così non la considero degna di essere vissuta.
La nostra generazione, tra chi ce "l'ha fatta" strafatto di psicofarmaci o zombizzato emotivamente, e chi si è goduto il simpatico "lavoro interinale" o il "body rental" dagli anni '90, può affermare di aver vissuto in uno dei periodi storici in cui l'angosciante sofferenza è, manifestamente, un atto politico di guerra di classe con null'altra motivazione che non sia inana stupidità o inana volontà di potere: queust'ultima confusa con volontà di potenza.
EliminaLa Chiesa cattolica, le più importanti logge rappresentanti della massoneria, qualsiasi forma organizzativa al di fuori delle logiche istituzionali ed interstatuali, è corrotta fino al midollo dalle logiche antiumane del mercato liberoscambista della finanza usurara.
Mi risparmio la Chiesa romana: ho più rispetto delle sette di fanatici new age. Sotto ai ridicoli grembiulini dei liberi muratori del nulla, non c'è nulla di ciò che si può trovare sotto un kilt...
Quando penso al mercato del lavoro, penso alla vuota e stupida ipocrisia delle parole « libertà, uguaglianza, fraternità »: lo slogan dei finanzieri.
I fratelli architetti di orrori, se ci fossero ancora esseri umani non zombizzati a recitare inutili rituali, potrebbero cominciare ad imparare cosa è la Democrazia - unico ordinamento che onora l'Uomo - inserendo sotto il loro antifrastico motto rivoluzionario, il ben più rivoluzionario secondo comma del terzo articolo della nostra Costituzione.
Prima di allora, bè, ... si facciano un po' di apprendistato.
Un abbraccio, @Stop
Cari amici, io ci sono andato vicino a quella che si è trasformata nella "preda ambita" di un'occupazione stabile e dignitosa nel proprio ambito di competenza ed interessi (e non un diritto garantito dalla legge, come vuole la nostra Costituzione): ma mi è sfuggita di mano all'ultimo momento (almeno per ora, di mollare non ci penso nemmeno, sopratutto ora che il sistema inizia a collassare), quindi ritengo di avere il diritto di capire e condividere la sofferenza altrui.
EliminaE' interessante che Bazaar abbia chiamato in causa Chiesa e Massoneria, due istituzioni protagoniste della ricostruzione dell'Italia dopo la guerra (tra i Costituenti, a quanto mi risulta, c'erano sia massoni che cattolici. ed il simbolo della nostra Repubblica, la stella a 5 punte, è presente nella simbologia massonica, oltre che di tante altre tradizioni).
Per chi come me ritiene che la crisi dell'Occidente, e dell'Italia, sia, oltre che strutturale (economica) anche sovrastrutturale (spirituale), la necessità si impone di un cambiamento anche in quest'ambito, sostituendo il modello post-modernista e relativista, battistrada "filosofico/teologici" del neoliberismo (il quale aveva bisogno di una sovrastruttura adeguata per imporsi), con un ritorno alle radici della spiritualità occidentale, di cui la Chiesa e la Massoneria, se vogliono sopravvivere, potrebbero essere protagoniste e che forse le potrebbe anche condurre a superare la loro opposizione, più apparente che reale (e comunque esistente solo da relativamente poco tempo), data la complementarietà della dimensione religiosa (exoterica) ed iniziatica (esoterica), attestate nel cristianesimo sin dalle origini (vedi per es. gli studi di Jean Daniélou sull'esoterismo nel cristianesimo primitivo).
All'inizio del post si sottolinea, giustamente, lo "sprezzo" riservato alla Costituzione. "Sprezzo" reso oggi secondo me, palesemente evidente dal rifiuto, sia a livello politico e giurisdizionale, del referendum del 4 dicembre, dove il corpo elettorale, respingendo la forma di governo funzionale all'ideologia ordoliberista e caldeggiata apertamente dai suoi rappresentanti, ha implicitamente posto la "norma fondamentale" del ripristino valoriale della Costituzione, lavoro incluso. Anzi: lavoro "in primis".
RispondiEliminaUn referendum di questa portata, con un Governo "delle riforme" che ha addirittura investito su di esso il proprio futuro politico e che si è -coerentemente, va riconosciuto- dimesso dopo il risultato, mi appare (anzi, mi azzardo a dire: è) chiara conferma della costituzione materiale oltre che formale.
Le recenti pronunce della Cassazione, e l'orientamento della politica rendono invece palese la volontà di rifiuto ti tutto ciò, cosa secondo me gravissima, alla luce della recente pronuncia del popolo (non più?) sovrano, con il quale si produce un'inevitabile frattura.
Sì, la rigidità è stata aggirata. Se si pensava, o meglio, si confidava in essa come sicuro baluardo, è necessario ricredersi. Addirittura sembra essersi prodotto un paradosso: le norme cosituzionali sono rimaste lì, immutate, "rigide" eppure sostanzialmente morte, se non addirittura..... reinterpretate alla luce della mutata legislazione ordinaria! Sicuramente, quando si ricostruirà dalle macerie lasciate dalla drammatica esperienza ordoliberista-europeista, sarà necessario rifletterci.
Un lavoro eccezionale.
RispondiEliminaChe va diffuso in ogni dove.
Dal che si deduce che l'UNICO omicidio politico effettuato negli ultimi 70 anni "a favore" o "dalla parte" della classe lavoratrice in Italia è stato quello effettuato dalla Lioce.
RispondiEliminaN.B. Quanto precede vuole essere una constatazione e non un giudizio di merito. Come dice correttamente Preve
"fra l'anticapitalismo e la decisione solitaria di uccidere a freddo due esperti di diritto del lavoro, eretti a simbolo astratto del nuovo lavoro interinale, precario e flessibile, ci stanno almeno dieci passaggi logici, di cui almeno otto o nove sbagliati. Così come in nome del Cristianesimo non si possono uccidere musulmani "simbolici", ed in nome dell'Islam non si possono uccidere cristiani "simbolici", nello stesso modo in nome del Proletariato non si possono uccidere giuslavoristi "simbolici".
Per inciso la citazione è inserita in un discorso che ce l'aveva con il gran visir di tutti i Paranoici sopravvalutati, la Fallaci, ma questo è un altro discorso.
PERCHÉ, QUANDO UN GIOVANE È PREPARATO E MOTIVATO, LA STABILITÀ DEL LAVORO VIENE POI DA SÉ ... ovvero: se non lavori, è perché sei impreparato e scarsamente motivato; cioè, la colpa è TUA! Questa è la logica della 'meritocrazia' di cui parla il Pedante, e la logica delle riforme Hartz.
RispondiEliminaConosciamo e apprezziamo il lavoro de il Pedante.
EliminaMa giacché siamo in questa sede specifica, rammento che di meritocrazia abbiamo qui parlato ben prima e funditus
1) http://orizzonte48.blogspot.it/2014/05/onesta-competenza-meritocrazia-e.html
"Quello che, per ora, ci importa sottolineare, tuttavia, è che il richiamo alla "meritocrazia" è una parte essenziale della vulgata di controllo sociale liberista, una simulazione di "giustizia nella società" che nasconde e contrasta la realtà dei diversi punti di partenza per gli individui, evidenziata dai pensatori pluralisti.
Insomma, la meritocrazia è una negazione del pluralismo ed una implicita affermazione della giustizia basata sui rapporti di forza economica.
Non a caso, infatti è propugnata da coloro i quali si guardano bene dall'evidenziare i criteri di selezione (darwinista) che avrebbero portato alla posizione personale da cui predicano tale sistema!
Mai è evidenziata l'influenza del privilegio per nascita, e meno ancora, ovviamente, la liceità e utilità sociale dei loro strumenti di scalata nelle gerarchie umane: tipica la posizione ereditaria o l'appartenenza a gruppi economici in posizione di monopolio o, ancor più insidiosamente, di oligopolio"
2) http://orizzonte48.blogspot.it/2015/03/lesercito-di-riserva-dei-meritocratici.html
"Diciamo che il discorso meritocratico coincide con l'affermazione conclamata dell'ordoliberismo in Italia a partire dai mitici anni '80, con infinite iniziative strategiche tese, essenzialmente, a tagliare gli stipendi e a rafforzare l'arbitrio gerarchico-politico sui corpi amministrativi pubblici, fino, possibilmente, a ripristinare, in nome della meritocrazia, il diritto di licenziamento, contrabbandato come sanzione alla "immeritevolezza" ma in realtà tradizionale valvola di imposizione deflazionista salariale..."a prescindere".
Che ci volete fare, il bislinguaggio orwelliano funziona così. Si sottrae alla logica (evidente) perchè ci sottrae gli elementi del linguaggio per esercitarla. E sottraendo il linguaggio sottrae il pensiero, sconnettendolo dalla descrizione della realtà che quegli elementi del linguaggio consentivano.
Insomma, il bislinguaggio orwelliano nasconde la doppia verità, tipica del liberismo, in una ubriacatura neo-etica che impedisca ogni scoperchiatura dei veri fini dell'azione del Potere..."
Per finire alla recente strepitosa citazione, fatta da Francesco Maimone, della definizione data da P.Barcellona, maggior teorico generale del diritto italiano degli ultimi decenni:
Elimina3) http://orizzonte48.blogspot.it/2017/01/spostare-il-focus-dai-diritti.html (nota 4)
"P. BARCELLONA il quale, in Parolepotere cit., 94, osserva “…la parola meritocrazia è soltanto uno strumento arbitrario per realizzare diseguaglianze e appiattire le attitudini singolari. Tornano alla mente le sempre attuali riflessioni di Schopenhauer sul sapere istituito e strutturato in modo sistematico dagli statuti disciplinari delle università, funzionale a cacciare fuori dal recinto del potere il Genio che interrompe la sequenza conformistica delle logiche quantitative e incrementali. Nel passaggio dal concetto di merito all’attuale formula della meritocrazia ad ogni costo c’è uno slittamento semantico che ha profonde implicazioni: il merito era stato introdotto in una visione che tendeva a contestualizzare le abilità di una persona in rapporto alle situazioni concrete in cui si svolgeva la sua vita, viceversa la meritocrazia è un sistema generale e astratto… Di fatto, la meritocrazia è uno strumento di emarginazione sociale, la cui perversione efficientista assume uno standard astratto e uniforme, impone di prescindere dalla personalità di chi deve essere valutato, dalle sue origini familiari, dall’ambiente in cui si è formato e dell’attività che ha svolto. È quindi uno strumento di riproduzione, come classe dirigente, della casta dei meritocrati, la nuova «aristocrazia» che costruisce un criterio di selezione, non certo per realizzare il miglior governo possibile della società, ma per garantire la continuità del proprio dominio”
E tanto per completare e chiudere il cerchio sulla "anticipazione" di Barcellona qui autonomamente compiuta:
Elimina4) http://orizzonte48.blogspot.it/2014/05/onesta-competenza-meritocrazia-e.html
"5- Competenza e processo elettorale. La relatività della meritocrazia se non c'è l'eguaglianza sostanziale.
E' chiaro dunque che la competenza può essere legata alla "cultura" di un individuo, intendendola come comprovata (nei fatti "curriculari") espressione di un alto livello intellettuale.
Ma questo, a sua volta, nulla può avere a che fare con l'attitudine a comunicare ed a "portare voti".
E, punto anche più importante, non può misurarsi il MERITO in senso oggettivo, legandolo a un metro che consenta valutazioni tali da distinguere il possessore di un prestigioso curriculum da un cittadino meno titolato ma capace di testimoniare, con la sua stessa vita, un grande impegno culturale...
si pensi ad es; ad un operaio che riesca a diplomarsi o a laurearsi come studente lavoratore; o anche soltanto a un operaio che sia politicamente attivo e impegnato strenuamente nel cercare di conoscere le dinamiche sociali in cui si trova a vivere."
Mi permetta, Presidente, di condividere con i lettori alcuni pensieri che nel 1945 Costantino Mortati immortalava nel suo libro dal titolo “La Costituente”.
RispondiEliminaNella prefazione l’Autore spiegava innanzi tutto il suo proposito, ovvero “… fornire alle persone colte, non specializzate negli studi giuspubblicistici e politici, gli elementi necessari per giungere alla comprensione dei problemi sollevati dalla decisione costituente…”.
Mortati affrontò, con la sua grande maestria, un problema da far tremare le vene e i polsi, ovvero se vi fossero “limiti sostanziali” all’attività costituente. Questo l’emozionante resoconto:
“… al contrario di quanto accade per l'attività diretta alla formazione della costituente per sua stessa natura vincolata all'attuazione dei principi democratici, quella di quest'ultimo organo, una volta formato, lungi dal potere essere sottoposto a vincoli, dovrebbe godere del più ampio margine di. discrezionalità e quindi essere capace di attuare qualsiasi forma di ordinamento, anche il meno libero, operando una trasmissione della potestà spettante al popolo sotto forma di delegazione, di rinunzia, o come altrimenti si voglia qualificare giuridicamente.
Per quanto però riguarda l'Italia una pienezza di poteri in questo senso è da escludere, sia per una ragione di ordine internazionale e sia per una di carattere interno. … Dal punto di vista interno, il limite non ha indole direttamente giuridica…trovando il suo fondamento, più che nell'ordinario movimento pendolare del corso storico, NELLA NATURA DELLE FORZE CHE HANNO ISPIRATO LA DECIONE COSTITUENTE e NELLA NATURALE REAZIONE DEL SENTIMENTO POPOLARE contro il tipo di ordinamento creato dal regime responsabile della sconfitta militare.
L'affermazione di un amplissimo limite, com'è quello dato dall’osservanza del principio democratico, se consente al costituente un ampio margine di libero apprezzamento nella scelta dei particolari congegni organizzativi del nuovo Stato, CONDIZIONA TUTTAVIA LA SCELTA STESSA A DIRETTIVE DALLE QUALI ESSO NON POTREBBE DEVIARE SENZA COMPROMETTERE IL PRINCIPIO STESSO. E' da richiamare a tal proposito quanto fu detto nella prima parte sulla necessità che la costituente, per il fatto ai porsi quale fonte prima dell'ordinamento, RICERCHI LA RAGIONE FINALE DEL POTERE ESERCITATO IN UN PRINCIPIO METAGIURIDICO, il quale assume la funzione di contenere l’azione delle forze politiche imponendo ad essa di trascendere fino al punto di incidere sui valori assunti quali supremi ed assoluti.
Alcune di queste direttive sono inerenti all'essenza stessa delle costuzioni moderne, le quali devono la loro ragion d'essere al bisogno di tutelare le esigenze di libertà dei singoli. Altre invece derivano dal mutamento intervenuto in epoca più recente, in conseguenza dell'estensione del suffragio a tutti i cittadini all’infuori del possesso di capacità specifiche, e della necessità conseguente di rendere efficiente la partecipazione dei medesimi alla vita politica dello Stato. (segue)
E’ necessario rendersi conto delle une e delle altre in modo sommario ma quanto più possibile chiaro, allo scopo … DI RICHIAMARE L’ATTENZIONE su alcuni dei confini che con maggiore evidenza L’ESIGENZA DI FEDELTÀ AL FINE PONE ALL’ARBITRIO DEL COSTITUENTE.
RispondiEliminaLa prima delle dette serie di direttive riguarda sia il contenuto che la forma delle istituzioni rivolte alla salvaguardia dei valori collegati alla persona umana. Sotto l'aspetto del contenuto l'indole del presente scritto non consente di entrare in un esame di merito, e basterà perciò fare riferimento a quanto si è osservato in precedenza intorno al CARATTERE SOCIALE E NON ESCLUSIVAMENTE POLITICO ASSUNTO DAI DIRITTI DEI SINGOLI NEGLI STATI MODERNI ed alla conseguente esigenza che, oltre alla garanzia dei medesimi di fronte all'azione dei poteri pubblici ed al riconoscimento della titolarità dei cittadini all'esercizio di questi poteri, SI PROCEDA AD UNA PIÙ PENETRANTE TUTELA DELLE CONDIZIONI, atte a mettere in valore i diritti individuali, CREANDO LE POSSIBILITÀ PER UNA LORO CONCRETA ED EFFICIENTE ESPLICAZIONE …” [C. MORTATI, La Costituente, Darsena, Roma, 1945, 210-211].
Fedeltà alla volontà del Popolo, unico ed esclusivo sovrano, il quale aveva deciso in modo inequivocabile che la nuova democrazia italiana sarebbe stata SOCIALE. E i Costituenti, i quali esercitarono un potere terribile (così più o meno C. Schmitt qualifica quello costituente) furono fedeli al Popolo. Giganti.
A differenza, purtroppo, di quanto ci tocca assistere ormai da troppi anni per mano di questi indegni nani nietzschiani
Ho risposto via mail ad alcuni tuoi interrogativi...vedrai che è roba interessante (sadly) :-)
EliminaA proposito di nani nietzchiani, una perla:
Elimina"Il programma liberale sembra cosí straordinario e pazzesco che i futuristi lo fanno proprio, persuasi di essere originalissimi e ultra-avveniristici. È lo scherno più atroce delle classi dirigenti. Cavour non riesce a trovare in Italia altri discepoli e assertori che F. T. Marinetti e la sua banda di scimmie urlatrici."
Gramsci, Il grido del Popolo, 16 marzo 1918. Il programma se siete interessati è il seguente:
- Lotta contro l'analfabetismo. Viabilità. Costruzione di nuove strade e ferrovie. Scuole laiche elementari obbligatorie con sanzioni penali. Insegnamento tecnico obbligatorio nelle officine.
- Parlamento: equa compartecipazione di industriali, agricoltori, ingegneri e commercianti al governo del paese — limite minimo di età per la deputazione portato a 22 anni; abolizione del Senato.
- Dopo un periodo di prova, un Parlamento così composto potrà essere abolito, per giungere a un governo tecnico senza Parlamento, composto di 20 tecnici eletti mediante il suffragio universale e controllato da un'Assemblea di 20 giovani non ancora trentenni, an- ch'essi eletti col suffragio universale.
- Abolizione dell'autorizzazione maritale. Divorzio. Suffragio universale uguale e diretto a tutti i cittadini, uomini e donne. Scrutinio di lista a larga base. Rappresentanza proporzionale.
- Costituzione di un vasto demanio mediante la proprietà delle Opere pie, degli Enti pubblici e con la espropriazione di tutte le terre incolte e mal coltivate.
Energica tassazione dei beni ereditari e limitazione dei gradi successori.
- Imposta diretta e progressiva con accertamento integrale.
- Libertà di sciopero, di riunione, di organizzazione, di stampa.
- Trasformazione ed epurazione della polizia. Abolizione della polizia politica. Abolizione dell'intervento dell'esercito per ristabilire l'ordine. Giustizia gratuita e giudice elettivo.
- I minimi salari elevati in rapporto alle necessità della esistenza. Massimo legale di 8 ore di lavoro. A uguale lavoro uguale salario per gli uomini e le donne. Trasformazione della beneficenza in assistenza e previdenza sociale. Pensioni operaie.
- Sequestro della metà di tutte le sostanze guadagnate con forniture di guerra.
Esercito: mantenerlo fino allo smembramento dell'impero austroungarico, per quindi diminuirne gli effettivi al minimo.
- Religione: anticlericalismo integrale; espulsione dei preti, dei frati e delle monache.
- Amministrazione: riforma radicale della burocrazia, divenuta oggi fine a se stessa e Stato nello Stato. Sviluppo delle autonomie regionali e comunali. Decentramento. Diminuire gli impiegati di due terzi, raddoppiando gli stipendi. Concorsi difficili ma non teorici. Dare ai capi-servizio la responsabilità diretta. Principio elettivo nelle cariche maggiori.
- Sviluppo della marina mercantile e della navigazione fluviale. Canalizzazione delle acque e bonifiche. Difesa dei consumatori.
Il rapporto Delors è un testo cruciale per capire questi ultimi decenni, la distruzione dei redditi da lavoro e la deviazione anche culturale del welfare con il sussidio hayekiano come punto di arrivo.
RispondiEliminaTra molte altre cose, in questo post si vede letteralmente la fonte del nuovo argomento dialettico prediletto da tanti commentatori progressisti: dal prossimo anno, bang! arriveranno i robot, parola del World economic forum. Quindi il lavoro sparirà, quindi via con il reddito di cittadinanza.
Un saluto a tutti,e grazie dell eventuale ospitalità alla mia frustrazione. Tempo fa mi dissero di seguire questo blog e cosi feci. Oggi mi trovo a vivere sulla mia pelle da lavoratrice tutto ciò che ho sempre trovato illustrato qui quasi in ogni post del blog, cosi come nelle pagine di "Euro e (o?)democrazia costistuzionale": assunta nel 2006 con contratto indetreminato, a partire dal 2011/12 ho assistito alla drastica riduzione del numero delle ore lavorative fino all attuale oltre 50% in meno, soppiantata mese dopo mese dai voucher a 7,50E/h. La mia colpa è quella di avere un contratto "di altri tempi" con le garanzie e le tutele, oggi considerato un costo da abbattere(i contributi). Non so che fare e mi domando se valga la pena conservare un contartto, peraltro ormai svuotato di tutto anche della dignità del salario e non accettare anche io i voucher. Grazie, e che la tenacia di perseverare in questa opera colossale di informazione e di approfondimento sia sempre con voi presidente.
RispondiElimina€UFEMISMI
RispondiElimina(otc)
L'intrigante ultimo rapporto previsionale 2017 di EUROFER (associazione dei produttori EU di acciaio, fatturato di 150 mld € e 330.000 addetti) mostra la tendenza consolidata della domanda di acciaio e ILVA (commissariata Gnudi) mette in mobilità 5.064 addetti per "colpa della crisi".
http://www.eurofer.eu/News&Events/Press%20releases/Press%20Release%20EU%20steel%20market%20.fhtml?utm_content=buffer15b8a&utm_medium=social&utm_source=twitter.com&utm_campaign=buffer
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/01/31/ilva-da-marzo-5mila-dipendenti-cassa-straordinaria-per-colpa-della-crisi-sindacati-garantire-integrazioni-salariali/3353147/
Tutto regolare: la deflazione è "sicurissimamente" conseguenza di aspettative razionali negative e non ha nulla a che fare con la destrutturazione delle filiere dell'offerta conseguente a crisi, altrettanto strutturale, della domanda.
Elimina€uroindotta, what else?