1. Se il sistema (denominato Target-2) di contabilizzazione interstatale della moneta che circola all'interno dell'eurozona, - in quanto intermediata dai pagamenti reciproci eseguiti dalle varie banche centrali facenti capo, all'interno del SEBC, alla BCE quale unico istituto emittente "primario" -, funziona come un "bilancio", (relativo appunto alla distribuzione della moneta emessa in monopolio legale dalla BCE), il suo saldo complessivo, necessariamente riferito al centro di imputazione "titolare", cioè alla BCE, "deve" essere pari a 0 (e in effetti lo è).
2. In ogni modo, in linea di principio, le passività delle banche centrali non sono da considerare alla stregua di debiti esigibili di "diritto comune" (cioè secondo la disciplina del diritto civile) da parte di terzi "creditori": ciò in quanto sussistendo la "garanzia di validazione", da parte dello Stato - o di un'entità politica di altro tipo che si reclama "sovrana"-, del corso legale della moneta emessa dalla "propria" banca centrale, l'illimitato potere di emissione facente capo (per pacifico meccanismo fisiologico della moneta fiat) alla BC stessa (appunto "tesoriere del sovrano") rende sempre, per definizione, saldabili quelle "passività".
E questo, senza che il soggetto che riceve la prestazione in denaro nulla possa opporre circa il modo in cui la banca centrale si è procurata la provvista (cioè creando essa stessa il denaro nell'ambito dei suoi poteri "sovrani" di emissione).
"C’è molta
confusione sulle implicazioni fiscali del programma di acquisto di
bond – noto anche come OMT, Outright Monetary Transactions – che
la BCE ha annunciato lo scorso anno.
- La confusione ha origine principalmente dall’applicazione dei principi di solvibilità delle società private (banche incluse) alle banche centrali.
- Il livello di confusione è così alto che il presidente della Bundesbank si è rivolto alla Corte Costituzionale Tedesca sostenendo che il programma OMT della BCE esporrebbe i cittadini tedeschi al rischio di dover pagare tasse per coprire potenziali perdite generate dalla BCE....Al contrario delle società private, i debiti delle banche centrali non rappresentano un diritto sugli asset delle banche centrali. Questo era vero durante il periodo del “gold standard”, quando le banche centrali promettevano di convertire le proprie obbligazioni in oro a un prezzo fissato. Analogamente, in un sistema a cambi fissi, le banche centrali promettono di convertire le proprie obbligazioni in moneta estera a un prezzo fisso....Per essere chiari:
- La banca centrale (che non può fallire) non ha bisogno di alcun sostegno fiscale dal governo (che invece può fallire).
- L’unico sostegno di cui la banca centrale necessita da parte del governo è che mantenga il monopolio sull’emissione di moneta in tutto il territorio su cui ha giurisdizione."
3. Questo insieme di chiari principi (non accedendo ai quali, appunto, si fa "grande confusione"), riguarda perciò l'eventuale passività della BCE verso la Bundesbank, nel caso un paese in saldo passivo nel sistema Target 2, uscisse dalla moneta unica (e, come vedremo, l'altrettanto eventuale azione di "regresso" della BCE verso il paese uscente che avesse registrato una passività Target-2).
Se la passività è sempre saldabile con la "provvista" costituita dal potere di emissione, garantito e illimitato, dell'istituto centrale legalmente "emittente, non v'è ragione effettiva perché, su questa fisiologica attività solutoria, l'istituto emittente debba rivalersi sulla banca centrale del paese uscente, chiedendole l'apprestamento di un altro tipo di provvista (in euro) che tale BC non ha il potere di creare.
Si creerebbe infatti una locupletazione, duplicativa e sine titulo, rispetto al potere di saldo illimitato delle proprie passività in capo alla specifica banca centrale "BCE": questa fingerebbe di non avere il potere di emissione/saldo (di qualunque passività) e richiederebbe la provvista da essa solo creabile una seconda volta a chi non ha il potere di crearla (in euro).
Insomma, la BCE si comporterebbe come se l'euro fosse una moneta "gold standard", al di fuori di qualsiasi disciplina giuridica che autorizzasse tale conclusione.
3.1. Una
passività di banca centrale fa dunque capo a un soggetto emittente in
quanto tale e non costituisce "debito" se non come potenziale e (del
tutto) astratta garanzia escutibile nei confronti dello Stato o,
appunto, di un'altra entità sovrana, che ha il potere ORIGINARIO di emettere
quella moneta.
In pratica, rapportandosi al sistema BCE-SEBC e Target-2, ciò vuol dire che eventuali rapporti di credito verso la Banca centrale - ma sempre vantati da terzi necessariamente estranei alla entità emittente, qualificazione di cui c'è da dubitare rispetto alla Bundesbank per la valuta "euro", in quanto organo interno del SEBC- sono semmai crediti esigili verso l'UE-Eurogruppo, entità atipica di derivazione dai trattati, rafforzata nella sua soggettività autonoma dalla UE dal fiscal compact e dalla previsione dell'art.3, comma 4, del TUE.
3.2. Ma rispetto all'Eurogruppo-(suo)organo BCE-SEBC (l'organo è lo strumento di azione e di imputazione di effetti che caratterizza l'attività giuridica delle persone giuridiche, ed è perciò parte integrante della loro soggettività), abbiamo visto che il saldo target-2 complessivamente considerato è pari a 0.
Quindi anche i singoli Stati, in quanto associati e quotisti della BCE, non hanno nessuna perdita da condividere rispetto a tale saldo 0 (per definizione).
Almeno finché non ci sia una "uscita".
4. Ma anche ciò che si verificherebbe in questo caso, nulla ha a che vedere - secondo questa corretta configurazione dei rapporti tra entità politica sovrana e suo istituto emittente (emittente, appunto, la "passività convenzionale" costituita dalla moneta)-, con il pretendere che si verifichi il sorgere di un debito dei singoli Stati uscenti.
Ed infatti, quand'anche il saldo target-2 non fosse più zero ma divenisse un saldo attivo esigibile per la "solita" Bundesbank, parte del SEBC, verso la BCE e successivamente, in via di regresso verso la BC "uscente", a favore della BCE che avesse fornito a Bunsedbank la provvista corrispondente al suo attivo, ne consegue un effetto giuridico evidente sulla titolarità di questo debito (ove appunto fosse configurabile giuridicamente senza una vera e propria indebita locupletazione).
Dunque: se, superando quanto abbiamo finora precisato, una passività imputata a una singola BC del SEBC, non valesse più come mero "attivo" della BCE a fini di contabilità interna (al sistema di emissione territorialmente distribuita dell'euro), e divenisse invece un obbligo pecuniario di dare a carico della ex articolazione interna del SEBC (cioè la BC dello Stato "uscente"), lo Stato "uscente" rimarrebbe comunque estraneo a qualunque rapporto di dare/avere sorto all'interno dell'organo SEBC (e garantito esclusivamente dall'entità politica Eurogruppo) e non ci sarebbe alcun titolo giuridicamente previsto per trasferirlo in capo ad esso.
4.1. La Banca centrale uscente si farebbe carico della "passività" costituita dalla emissione della nuova moneta (a seguito della €xit), ma lo Stato ridivenuto titolare a titolo originario del potere di emissione delegato a tale BC, dovrebbe solo garantire il corso legale della nuova moneta.
Mai lo Stato "uscente", privato anzi della sua sovranità monetaria, ha avuto un obbligo di garantire le passività della BCE dalla quale è stato espressamente estraniato (v.art.123 TFUE, su tutti).
Alla BC "uscente", a sua volta, era contabilmente imputata la passività Target-2 non in quanto tesoriere di tale Stato (funzione che era cessata a seguito
dell'adesione alla moneta unica), ma IN QUANTO ORGANO INTERNO DEL SEBC
(cioè delegato a livello periferico a svolgere funzioni che la BCE
potrebbe in astratto svolgere direttamente da sé).
4.2. Durante il tempo in cui si è formato il passivo Target-2, e relativamente alle sue funzioni "secondarie" di emissione della moneta "euro", la banca centrale "nazionale" (in precedenza all'entrata nell'eurozona), - in virtù del rigido principio di indipendenza sancito dallo stesso Trattato FUE (art.131: ma proprio all'interno della disciplina pattizia di BCE e SEBC)-, NON era più organo dello Stato nazionale, ma articolazione organica interna al SEBC.
L'indipendenza "pura" della BC (art.123 TFUE), requisito di ammissione alla stessa eurozona (art.140 TFUE), non può essere invocata sempre e solo a sfavore dello Stato, prima per reclamare la fine della sua sovranità monetaria e poi per fare l'opposto, cioè reimputando allo Stato (!) le funzioni, esecutive della disciplina dell'eurozona, che avessero dato luogo ad una passività comunque facente capo al potere di emissione esclusivo della BCE.
5. La conseguenza di una diversa interpretazione del sistema normativo sancito dai trattati, nella misura in cui sono rinvenibili disposizioni espresse e non interpretazioni basate su "intuitus mentis", sarebbe infatti del tutto paradossale.
Dovremmo affermare, senza che a ciò corrisponda alcuna norma invocabile, e quindi in violazione della "Rule of Law", (che pure il diritto europeo pretende di rispettare, pur con notevoli anomalie e contraddizioni, v.qui, e infra in appendice)- che, in assenza di emissione di titoli del debito pubblico o di equivalente garanzia, lo Stato italiano, via ministero del tesoro, abbia già contratto un debito effettivamente esigibile senza aver mai espresso una tale volontà di obbligarsi verso un qualunque soggetto terzo e, appunto, in assenza di qualunque previsione dei trattati che lo obblighi a ciò.
In altri termini, accettando che l'uscita faccia maturare come credito esigibile della BCE l'attivo corrispondente alla passività della Banca d'Italia, si sosterrebbe che già adesso lo Stato italiano avrebbe un debito pubblico pari a ulteriori circa 360 miliardi, sicchè, a condizioni certe quanto all'an ma incerte quanto al quando, il rapporto debito/PIL sarebbe pari a circa il 150%.
5.1. Ma questa enormità non è sostenibile: e non è sostenuta, al momento attuale, - proprio per l'assenza di qualunque previsione espressa (e ragionevole) che deroghi alla normale fisiologia della "passività" costituita dalla (mera) emissione di moneta da parte dell'ente che ha un inesauribile potere di emissione-, neppure dalle istituzioni UE.
A rigore l'opinione informale di Draghi è una mera posizione personale non costitutiva e neppure accertativa, dato che non ha alcuna competenza, nè egli come presidente, nè la stessa BCE, a regolare, accertare e "riscuotere" debito verso gli Stati, meno che mai se (divenuti) estranei alla moneta unica (la competenza, in via di principio spetterebbe alla Commissione, ma sempre ove vi sia una previsione espressa che gliela attribuisca nel caso considerato).
6. Ma supponiamo che la BCE, a seguito di un €xit di uno Stato con passività Target-2, assumesse formalmente questa posizione (con un atto formale di ingiunzione o messa in mora dello Stato uscente, magari, in modo più legalitario, avallata da conforme determinazione della Commissione cui la BCE si fosse eventualmente rivolta): ci sarebbero, da parte dello Stato cui venisse accollato, in violazione della Rule of Law, un debito pubblico corrispondente alla passività T-2, una consistente serie di eccezioni sollevabili nei sensi finora precisati.
6.1. La controversia, però, attinendo tutta a poteri e fatti giuridici (costitutivi del preteso credito) ascrivibili al diritto dei trattati europei, sarebbe di competenza solo e sempre della Corte europea.
Non sarebbe infatti configurabile in alcun modo un debito di diritto comune (da fonte volontaria c.d. "negoziale" e quindi "iure privatorum), imputabile ad alcun contratto tra soggetti privati-commerciali.
7. Ne discende la (naturale) conseguenza che non sarebbe neppure in astratto configurabile l'applicazione della lex fori relativa alle "controversie aventi ad oggetto un rapporto contrattuale", disciplinato "sulla base del Regolamento CE n. 44/01 del Consiglio, il quale, - dopo aver stabilito
all'art. 2, punto 1, che «le persone domiciliate nel territorio di un
determinato Stato membro sono convenute, a prescindere dalla loro
nazionalità, davanti ai giudici di tale Stato membro», in tal modo
individuando, quale foro generale, quello del convenuto-, prevede,
all'art. 5, punto 1, un foro speciale alternativo, poiché «la persona
domiciliata nel territorio di uno Stato membro può essere convenuta»
anche «davanti al giudice del luogo in cui l'obbligazione dedotta in
giudizio è stata o dev'essere eseguita» (lett. a), precisandosi ancora
(lett. b) che, ai fini dell'applicazione di tale disposizione, e salvo
diversa convenzione, «il luogo di esecuzione dell'obbligazione dedotta
in giudizio è, nel caso della compravendita di beni, il luogo, situato
in uno Stato membro, in cui i beni sono stati o avrebbero dovuto essere
consegnati in base al contratto, nel caso della prestazione di servizi,
il luogo, situato in uno Stato membro, in cui i servizi sono stati o
avrebbero dovuto essere prestati in base al contratto".
7. Nulla di tutto questo è configurabile nei rapporti tra Stati o, al più, tra banche centrali, in quanto, pur con una certa difficoltà all'interno dei visti principi del diritto europeo, queste siano assumibili con "organi" dello Stato.
Questi rapporti sono tutt'altro che "contrattuali" (o "volontari-negoziali") e, invece, indubbiamente regolati dal diritto pattizio "pubblico", cioè dalla disciplina interstatale (nel senso che soggetti contraenti sono e rimangono gli Stati) dei trattati europei.
La "giurisdizione" apparterrebbe alla CGUE in base a queste previsioni apposite, di disciplina dei rapporti tra Stati nel quadro applicativo del diritto (pubblico) dei trattati:
Le competenze della Corte di giustizia dell'Unione europea
La presente nota sintetica esamina le competenze
della Corte di giustizia dell'Unione europea, che comprende tre organi
giurisdizionali — la Corte di giustizia stessa, il Tribunale e il Tribunale della funzione pubblica
— e offre vari mezzi di ricorso, come stabilito all'articolo 19 del
trattato sull'Unione europea (TUE), agli articoli da 251 a 281 del
trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), all'articolo 136
del trattato Euratom e al protocollo n. 3 allegato ai trattati sullo
statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea, quale modificato
dal regolamento (UE, Euratom) n. 741/2012 del Parlamento europeo e del
Consiglio dell'11 agosto 2012.
La Corte di giustizia...
a.Ricorsi diretti contro gli Stati membri o un'istituzione, un organo o un organismo dell'Unione europea
La Corte si pronuncia sui ricorsi contro gli Stati o le istituzioni
per inadempimento degli obblighi previsti dal diritto dell'Unione.
1.Ricorsi per inadempimento contro uno Stato membro
Tali azioni sono proposte:
- dalla Commissione, dopo un procedimento precontenzioso (articolo 258 TFUE): la Commissione emette un parere motivato, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni (1.3.8);
- oppure da uno Stato membro contro un altro Stato membro, dopo aver sottoposto la questione alla Commissione (articolo 259 TFUE).
Ruolo della Corte:
- accertare che lo Stato membro non ha adempiuto ai propri obblighi; in tal caso lo Stato in questione è tenuto a porre fine all'inadempimento immediatamente;
- qualora, dopo essere stata nuovamente adita dalla Commissione, la Corte constati che lo Stato membro interessato non si è conformato alla sua sentenza, può imporgli il pagamento di una sanzione finanziaria (una somma forfettaria fissa e/o il pagamento periodico di una penalità), il cui importo è stabilito dalla Corte sulla base di una proposta della Commissione (articolo 260 TFUE).
2.Ricorsi di annullamento o per carenza contro le istituzioni dell'Unione
Oggetto: i casi in cui il ricorrente chiede l'annullamento di un atto
presumibilmente contrario al diritto dell'UE (annullamento:
articolo 263 del TFUE) oppure i casi di violazione del diritto dell'UE
nei quali un'istituzione, un organo o un organismo si sia astenuto dal
pronunciarsi (articolo 265 del TFUE).
Procedimento: i ricorsi possono essere proposti dagli Stati membri,
dalle istituzioni stesse o da qualsiasi persona fisica o giuridica,
qualora il ricorso concerna un atto (in particolare un regolamento, una
direttiva o una decisione) adottato da un'istituzione, un organo o un
organismo dell'UE e che la riguardi.
Ruolo della Corte: la Corte dichiara nullo e non avvenuto l'atto
impugnato o accerta l'avvenuta astensione, e in tal caso l'istituzione
inadempiente è tenuta a prendere i provvedimenti che l'esecuzione della
sentenza della Corte comporta (articolo 266 TFUE).
Speriamo di aver chiarito alcuni punti fondamentali della questione.
Ma non crediamo che verranno compresi...
9. APPENDICE:
Ma, sempre per comprendere meglio, vale la pena di rammentare alcuni elementi di scenario, politico prima ancora che giuridico, che caratterizzano la giurisdizione della Corte europea e il rispetto della Rule of Law in sede €uropea, e proprio in relazione alla ricorrenza del trattato di Roma ed alla sua presunta "diversità" rispetto al quadro attuale dei trattati.
Certo, il quadro che stiamo per descrivere rende molto incerto e, ancora una volta, manifestamente contrario ai principi costituzionali fondamentali, il riconoscimento di una giurisdizione "privilegiata" in capo alla CGUE in casi dove sia in gioco la diretta espressione della sovranità democratica di un singolo Stato.
E certamente tale è il caso della riappropriazione della sovranità monetaria nei suoi legami con la legittimazione costituzionale di tale Stato di perseguire i fini essenziali della propria azione conforme a Costituzione:
"...il fine della costruzione europea (l'instaurazione dell'ordine sovranazionale dei mercati) si separa geneticamente dalla democraticità dei mezzi e, come vedremo, dalla stessa Rule of Law, espressione equivalente a quella di "Stato di diritto", che è quello in cui gli organi di governo sono sottoposti anch'essi a regole precostituite e anticipatamente individuabili, la cui violazione è deducibile dinanzi a un giudice: questo perché la sfera di attribuzioni delle nascenti istituzioni europee è programmata, mediante tale metodologia, per andare ben oltre le previsioni espresse di ogni "generazione" di trattati (persino dei più recenti):
...In argomento traiamo un spunto storico, particolarmente attuale (anzi: perennemente attuale) dal "Manifesto" dei laburisti inglesi, del 1950, (riportato dal Arturo dei post da cui traiamo spunto, ove è stato alterato leggermente l’ordine degli argomenti per esigenze espositive), documento che ci consente di riagganciarci all’argomento principale:
"...il fine della costruzione europea (l'instaurazione dell'ordine sovranazionale dei mercati) si separa geneticamente dalla democraticità dei mezzi e, come vedremo, dalla stessa Rule of Law, espressione equivalente a quella di "Stato di diritto", che è quello in cui gli organi di governo sono sottoposti anch'essi a regole precostituite e anticipatamente individuabili, la cui violazione è deducibile dinanzi a un giudice: questo perché la sfera di attribuzioni delle nascenti istituzioni europee è programmata, mediante tale metodologia, per andare ben oltre le previsioni espresse di ogni "generazione" di trattati (persino dei più recenti):
...In argomento traiamo un spunto storico, particolarmente attuale (anzi: perennemente attuale) dal "Manifesto" dei laburisti inglesi, del 1950, (riportato dal Arturo dei post da cui traiamo spunto, ove è stato alterato leggermente l’ordine degli argomenti per esigenze espositive), documento che ci consente di riagganciarci all’argomento principale:
“I
popoli devono essere interpellati (...?)
Tutte
le forme di unione finora discusse comportano un trasferimento di poteri dai
popoli dei singoli Stati europei a una qualche nuova organizzazione. Ciò
comporterebbe una significativa
modifica costituzionale in ogni paese. Una tale modifica può essere
realizzata solo se il popolo di ogni
paese lo decide dopo una matura riflessione in cui tutte le implicazioni del
cambiamento siano state presentate. È dunque dovere di ogni gruppo che
desidera tali cambiamenti guadagnare il popolo di ogni paese alle proprie
convinzioni. In particolare, ogni partiti politico che sostiene il cambiamento
è chiaramente obbligato a inserire una proposta di questa portata nel proprio
programma elettorale.
Si
sono già creati pericolosi equivoci. In ambienti in cui queste idee sono
popolari, importanti politici si sono vagamente espressi sulla loro
disponibilità a nuove forme costituzionali. Eppure gli stessi politici hanno
chiaramente evitato di presentare queste proposte al giudizio dei loro
elettori.
[…]
Cambiamenti costituzionali che limitino o
modifichino il potere democratico dei popoli sovrani dell’Europa occidentale
dev’essere sottoposto al giudizio di questi popoli. Nessun politico ha il diritto di sostenere tali
cambiamenti senza avere la sincerità e il coraggio di sottoporli al verdetto
del suo elettorato.”
Quanto alle difficoltà della
cooperazione tramite negoziati: “Laddove
i progressi sono stati deludenti, la causa non risiede in una qualche
inadeguatezza delle istituzioni esistenti, ma in reali conflitti di interessi che non possono semplicemente essere
ignorati o soppressi, ma devono essere pazientemente superati attraverso
reciproche libere concessioni.
...Ultimo periodo a parte (che
restituisce alla politica lo spazio che le è proprio), vale la pena riflettere
sul denunciato affacciarsi di un “costituzionalismo” europeo, certo in teoria
facilmente praticabile per un paese privo di costituzione rigida.
A ben guardare, sul piano storico,
di là di concessioni retoriche, impegni “costituzionali” i politici nazionali non hanno mai inteso sottoscriverne:
posto che avessero il potere di assumerne. Quelli italiani ovviamente ne erano
privi, a meno di passare dal procedimento di revisione, coi suoi relativi
limiti.
Karen Alter, per un libro
importante di cui ci sarà occasione di riparlare, ha compiuto parecchie
interviste (anonime…) ai protagonisti dei negoziati europei. Gli intervistati
le hanno riferito quanto segue:
“L’idea
che le corti nazionali applicassero il diritto comunitario contro il diritto
nazionale o lo disapplicassero non fu mai discussa dagli esperti legali nei
negoziati del Trattato di Roma, tantomeno dai politici” (K. Alter,
Establishing the Supremacy of European Law, Oxford University Press, N.Y.,
2001, pag. 9).
...
Per ricapitolare e chiarire il
paradosso che ci troviamo davanti: uno degli argomenti dei sostenitori
dell’esistenza di una “costituzione” europea (per esempio Pernice) è che “tale presunta
costituzione sia stata già legittimata dai cittadini europei. Il miracolo sarebbe avvenuto grazie al
fatto che i Trattati sono stati immessi negli ordinamenti degli Stati membri grazie a leggi, nelle quali si sarebbe
manifestata la volontà democratica dei cittadini”. (M. Luciani, "Legalità e legittimità nel processo di
integrazione europeo" in AAVV, Una Costituzione senza Stato, Il Mulino, Bologna,
2001, pag. 85).
...Anzitutto va segnalata
l’evidente inidoneità funzionale del procedimento di ratifica a fornire una
qualsiasi parvenza di copertura in termini di “costituzionalità” ai Trattati europei.
Cito in argomento un
autore insospettabile di antieuropeismo come Giuliano Amato (Costituzione
europea e parlamenti, Nomos, 2002, 1, pag. 15):
“Quando si ratificano i trattati
internazionali, in genere si ratificano quelli che disciplinano le relazioni
esterne. Quando si ratifica una modifica dei trattati comunitari non si
ratifica una decisione che attiene alle relazioni esterne, ma una decisione che
attiene al governo degli affari interni.
Il processo di ratifica così com'è è
congegnato è allora del tutto inadatto
ad assicurare ai parlamenti il ruolo che ad essi spetta rispetto agli affari
interni.
Il procedimento di ratifica è tarato sull’essere ed il poter
essere un potere intrinsecamente dei governi esercitato sotto il controllo dei
parlamenti. Tant’è vero che la legge di ratifica è una legge di approvazione e
non è una legge in senso formale.”
Ma il
vero clou del paradosso, dicevo, consiste nel fatto che “la
politica dei piccoli passi nel processo di integrazione comunitaria ha fatto sì
che mai nessuno abbia detto espressamente che, con i Trattati che si
andavano stipulando, si stava costruendo una nuova costituzione.” (Luciani, op. cit., pagg.
85-6).
...Non basta. Dopo il
fallimento del progetto di costituzione europea a seguito dei due referendum
francese e olandese, il 22 giugno del 2007 la Presidenza del Consiglio Europeo
se n’è uscito con questa
solenne dichiarazione:
“L’approccio
costituzionale, che consiste nell’abrogare tutti i Trattati e rimpiazzarli con
un singolo testo definito “Costituzione” è abbandonato. […] Il TUE e il TFUE non avranno un
carattere costituzionale.
La terminologia usata nei Trattati rifletterà
questo cambiamento: il termine “costituzione” non verrà usato […]. Con riguardo alla supremazia del diritto comunitario, la conferenza intergovernativa
adotterà una dichiarazione ricordando l’attuale
giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea”.
Tale dichiarazione è
diventata la numero 17 allegata all’atto finale della conferenza
intergovernativa che ha approvato il Trattato di Lisbona firmato il 13 dicembre
2007, ossia:
“La
conferenza ricorda che, per giurisprudenza costante della Corte di giustizia
dell'Unione europea, i trattati e il diritto adottato dall'Unione sulla base
dei trattati prevalgono sul diritto
degli Stati membri alle condizioni stabilite dalla summenzionata giurisprudenza.
Inoltre, la conferenza ha deciso di allegare al presente atto
finale il parere del Servizio giuridico del Consiglio sul primato, riportato
nel documento 11197/07 (JUR 260):
«Parere del Servizio
giuridico del Consiglio del 22 giugno 2007:
Dalla giurisprudenza della Corte di giustizia si evince che la preminenza
del diritto comunitario è un principio fondamentale del diritto comunitario
stesso. Secondo la Corte, tale principio è insito nella natura specifica della
Comunità europea. All'epoca della prima sentenza di questa giurisprudenza
consolidata (Costa contro ENEL, 15 luglio 1964, causa 6/64 […] non esisteva alcuna menzione di
preminenza nel trattato. La
situazione è a tutt'oggi immutata. Il fatto che il principio della
preminenza non sarà incluso nel futuro trattato non altera in alcun modo
l'esistenza del principio stesso e la giurisprudenza esistente della Corte di
giustizia.”
[NdQ.3] Col che, ne emerge un non sequitur piuttosto clamoroso e, al tempo stesso, una stranezza, sicuramente antitetica allo Stato di diritto democratico.
Il
diritto, - per di più posto al vertice di una gerarchia delle fonti
(volutamente) non precisata da alcuna clausola scritta-, sorge da una
corte che non è vincolata da norme preesistenti che ne stabiliscano seriamente non
solo l'indipendenza e l'imparzialità (rispetto ad un Esecutivo
particolaramente privo di legittimazione democratica come quello
€uropeo), ma anche la "soggezione alla legge": cioè non esiste una disciplina ascrivibile alla volontà espressa degli Stati circa il valore e i
limiti delle sue decisioni in un quadro legale predeterminato delle
norme applicabili (europee); un quadro legale posto, com'è teoricamente dovuto (in base
alla stessa lettera dei trattati!), esplicitamente in rapporto al problema del rispetto delle norme
costituzionali dei paesi-membri che, pure, ne costituiscono la vera
fonte legittimante e il limite (secondo gli stessi enunciati espressi
dei trattati: ma non di quelli "impliciti" e non approvati dagli Stati!).
...Il “miracolo” di
cui parla Luciani consisterebbe quindi in una “non costituzione” composta da un
insieme di trattati internazionali a cui nessuno, in sede politica – posto
avesse i poteri per farlo -, ha mai attribuito un carattere costituzionale,
rifiutato peraltro esplicitamente dagli stessi vertici istituzionali europei,
ma che, appunto, “miracolosamente” prevale su ogni costituzione degli Stati
brutti e cattivi grazie a un “principio di preminenza” “scoperto”, vedremo
come, dalla Corte di Giustizia, e che peraltro quasi nessuna giurisprudenza
costituzionale dei paesi membri ha accettato, almeno non con l’assolutezza
pretesa dai giudici europei.
A questa follia collettiva
siamo arrivati oggi in Europa.
Perché sia stato praticato un
simile stravolgimento di consolidate categorie giuridiche, mi pare abbastanza
ovvio: visto che la
costituzionalizzazione dell’ordine internazionale dei mercati da una qualsiasi
assemblea costituente eletta a suffragio universale non c’era verso di farla
saltar fuori, figuriamoci da quelle di tutti i paesi europei contemporaneamente,
non restava altra via che aggirare la
legittimazione democratica senza poterlo confessare apertamente.
...Sul piano ideologico, pare
difficile considerare casuale l’evidente consonanza col favore per il diritto
di matrice giurisprudenziale teorizzato dalla scuola austriaca, cioè per il
frutto di un ordinamento costruito a partire dalle “intuizioni” del giudice.
Come scrive Maria Chiara Pievatolo
("Rule of law e ordine spontaneo. La critica dello Stato di diritto
eurocontinentale", in "Bruno Leoni e Friedrich von Hayek in Costa, Zolo (a cura
di), Lo Stato di diritto", Feltrinelli, Milano, 2002, pp. 474 e 476): “L'appello di Hayek
all’intuizione del giudice, la tesi che è impossibile o deleterio vedere il
diritto come un complesso sistematico comprensibile da mente umana e la
precaria delimitazione del confine fra diritto e morale fanno capire che questa
concezione del rule of law può
funzionare, cioè riempirsi di contenuto, solo grazie all’apporto surrettizio, e
perciò criticamente incontrollabile, del governo degli uomini.”
“E perciò allontanare il diritto
dallo Stato può allontanarlo solo dal problema dello Stato, ma non dal generale problema del potere e della
sua controllabilità, che anzi si ripresenta tanto più drammaticamente quanto meno è reso pubblico e
formale, a meno che non si
facciano assunzioni naturalistiche sull'armonia della società e sull'omogeneità
degli interessi dei singoli.”
[NdQ4] E se c'è un ordinamento che non si preoccupa della "omogeneità degli interessi", ma anzi ne accentua la disomogeneità, attraverso il diktat della stabilità monetaria e della "economia sociale di mercato fortemente competitiva", è quello €uropeo: la "armonia della società", poi, in sede €uropea, è addirittura un disvalore,
laddove, senza che si comprenda su quali basi normative ciò avvenga, si
predicano continue "riforme strutturali" che si riducono alla
permanente precarizzazione e flessibilizzazione del mercato del lavoro e
allo smantellamento "inevitabile" del welfare di cui Prodi ci ha detto con estrema chiarezza.
#Nonsonientema - si parla sempre del dopo-uscita, ma nel rischio che un paese si ritrovi con saldo positivo non esigibile (se non dalla BCE come emissione), non sarebbe immediatamente invogliato a comprare il comprabile "prima"? In quel caso il saldo negativo sarebbe recuperato prima dell'eventuale uscita. Succederà? Non vedo ostacoli a operazioni di questo tipo. E 360 miliardi sono tanti. Perché questo saldo permane e non si cancella velocemente in questo modo? Forse perché ancora ci credono alla sopravvivenza dell'EZ?
RispondiEliminaCerto è che le menti raffinatissime che contraddistinguono le élite occidentali non si - appunto - 'smentiscono" mai.
RispondiEliminaDa una parte parlano con argomenti da psicolabili alla Hayek di "ordine spontaneo", da opporsi ad una pianificazione socialistico/keynesiana che non può ordinare un sistema così complesso come quello sociale, dall'altra cosa propongono?
Il parto del positivismo antiumano più becero: la tecnocrazia.
In pratica per aver un ordine "spontaneo", sarebbe necessario l'ordine totalitario dell'artificio tecnico.
Dei geni.
Moralismo monoteistico e pianificazione nazista.
Tra sovranità e stati d'eccezione, creazione di diritto internazionale dal nulla, teologia politica, burocrazia di celibi, Schmitt aveva già detto tutto. Mancava giusto Hayek con la sua teologia economico panteistica e il suo biologismo darwinista e malthusiano.
Uno splendido post che credo sia più utile agli economisti...
(comunque dovrebbero santificare Hegel ed i suoi lineamenti di filosofia del diritto: a leggere solo liberali ed elitisti in genere, sembra proprio che la razza umana sia posseduta dal maligno. ESSI vivono...)
A questa “follia collettiva” nel quale il nostro Paese si ostina ad avere un ruolo da protagonista, i crucchi, come sappiamo, si sono sottratti. Loro possono.
RispondiEliminaIl BVerfGE afferma che gli Stati membri sono e restano i “signori” dei trattati e, di conseguenza, quando parla del diritto (e degli istituti giuridici europei), ne parla sempre come diritto “derivato”, laddove una “costituzione” ha carattere necessariamente originario.
Non esiste alcuna fantomatica “costituzione europea”:
“33. A differenza del Trattato costituzionale e in conformità con il mandato della conferenza intergovernativa, il Trattato di Lisbona rinuncia esplicitamente al progetto costituzionaleche consisteva nell’abrogazione di tutti i trattati esistenti e nella loro sostituzione con un test unico denominato “Costituzione”” (documento del Consiglio n. 11218/07, allegato, par. 1). I trattati sono semplicemente modificati e la concettualità di fondo dei trattati modificati rispecchia la rinuncia al concetto di costituzione. Si abbandona la terminologia in uso a livello statale. Il termine “Costituzione” non viene utilizzato (diversamente invece Pernice, Der Vertrag von Lissabon – Das Ende des Verfassungsprozesses der EU?...)…
231 …La fonte del potere comunitario e della sua costituzione europea in senso funzionale sono i popoli europei democraticamente costituiti nei propri stati. La “costituzione dell’Europa”, cioè il diritto dei trattati internazionali ossia le fonti primarie, restano un ordinamento di base derivato. Essa fonda un’autonomia sovrastatuale di portata certamente ampia nella prassi politica quotidiana, ma pur sempre oggettivamente limitata. Per autonomia può essere inteso qui – come abitualmente nel diritto delle autonomie territoriali – solo un potere di imperio a sé stante, ma derivato, cioè concesso da altri soggetti giuridici. Viceversa la sovranità del diritto internazionale e del diritto statale pretende come base costituzionale propria l’indipendenza da ogni volontà estranea (cfr. Carlo Schmid, Generalbericht in der Zweiten Sitzung des Plenums des Parlamentarischen Rates am 8.
September 1948)…
298…Dopo il fallimento del progetto di costituzione europea…gli Stati membri restano i signori dei trattati… La Repubblica federale di Germania resta anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona uno Stato sovrano e quindi un soggetto giuridico del diritto internazionale. Il potere statale tedesco, incluso il potere costituente, è tutelato nella propria sostanza (aa), il territorio statale resta assegnato esclusivamente al soggetto giuridico della Repubblica federale di Germania (bb) ed è fuor di dubbio la continuità del popolo dello Stato tedesco (cc)…”. (segue)
E non c’è alcun primato del diritto comunitario:
RispondiElimina“331. Nella Dichiarazione sul primato, allegato n. 17 del Trattato di Lisbona, la Repubblica federale di Germania non riconosce un primato incondizionato in termini di validità (Geltungsvorrang) del diritto dell’Unione, che sarebbe di dubbia costituzionalità, ma conferma esclusivamente la situazione del diritto vigente nell’interpretazione finora praticata dal Bundesverfassungsgericht. Non è esatta l’affermazione del ricorrente sub III. secondo cui l’approvazione del Trattato di Lisbona si introdurrebbe nei trattati in sostanza, così come era stato progettato per il fallito Trattato costituzionale, il primato “illimitato” del diritto prodotto dagli organi dell’Unione nei confonti del diritto degli Stati membri e concederebbe in definitiva un inammissibile primato in termini di validità, come in uno Stato federale, fino a consentire la deroga a eventuali fonti costituzionali contrarie degli Stati membri…
339.Il primato di applicazione del diritto europeo resta quindi, anche in caso di entrata in vigore del Trattato di Lisbona, un istituto derivato, fondato su un trattato internazionale che solo in virtù dell’ordine di esecuzione della legge di approvazione produce effetti giuridici in Germania. Il fatto che l’istituto del primato di applicazione non sia esplicitamente previsto nei trattati, ma si sia formato, in via interpretativa, per opera della giurisprudenza della Corte di giustizia nella prima fase dell’integrazione europea, non cambia tale nesso di derivazione
340. La Legge fondamentale mira all’inserimento della Germania in una comunità giuridica tra Stati pacifici e liberi. Tuttavia non rinuncia alla sovranità, che è racchiusa nell’ultima parola della costituzione tedesca, come il diritto di un popolo di decidere in modo costitutivo sulle questioni fondamentali della propria identità…”.
E il primato del diritto comunitario è una “finzione giuridica” >impostasi di fatto: “…poiché non possono dirsi stricto sensu sovraordinate delle fonti che poggiano la propria legittimazione proprio su una delle fonti che dovrebbero esser loro gerarchicamente sottordinate”.
Noi nel frattempo aspettiamo Godot
Sì questo è proprio il Lissabon Urteil di cui s'è qui (e nei libri) a lungo parlato.
EliminaIl bello è che tale decisione della Corte costituzionale tedesca (Bundesverfassungsgericht, appunto), è ben nota e, anzi, studiata dalle stesse istituzioni UE, che la considerano un punto di riferimento POLITICO fondamentale della loro stessa legittimazione e proiezione "federativa".
Naturalmente c'è, sia nella posizione tedesca che in quella "pedissequa" delle istituzioni UE, una condizione non enunciata ma logicamente implicita:
La Germania mira all'inserimento in una comunità giuridica fra Stati pacifici e liberi, A CONDIZIONE CHE, NONOSTANTE L'AZIONE CHE LA GERMANIA SI RISERVA DI COMPIERE SUL PIANO NON COOPERATIVO MERCANTILISTICO, RIESCANO A RIMANERE LIBERI.
Per quanto riguarda l'Italia, tale condizione è altrettanto implicitamente un vero e proprio modello, almeno per il suo onnipresente Quarto Partito: o si rimane "liberi" tentando di imitare la Germania ad ogni costo (e perdendo la democrazia), o si viene sconfitti e si perde lo status di paese libero e...democratico.
Colonia, per le nostre elite, is better...
In ogni caso, cioè, il trattato deve includere i tedeschi affinchè la democrazia sia perduta; almeno nel senso previsto dalla nostra Costituzione (odiata dal Quarto Partito e da tutti i suoi mandatari, mediatici e politici).
Che ci vuoi fare?
L'€uropa perciò è considerata irrinunciabile qui in Italia: è la celebrazione perenne della vittoria sulla democrazia costituzionale con la restaurazione di ciò che Einaudi dovette rinunciare a imporre nella Costituente per via dei numeri (per una volta) sfavorevoli.
Ma niente paura, non saranno poche centinaia di cittadini che, all'epoca, pensarono che la democrazia fosse a portata di mano a fermare questo incessante vento di restaurazione.
ESSI vivono...
Se non ho capito male: ma se la BC è ormai SEBC e non Italia non è che ci fottono l'oro? (Che è della BC)
RispondiElimina