sabato 29 aprile 2017

ONG: CHI LE FINANZIA VERAMENTE? E PERCHE' HANNO QUESTE E PROPRIO QUESTE PRIORITA'?


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1. Nessuno si interroga su quanto costi esattamente armare delle navi - che magari in precedenza erano addette al trasporto di merci ricavandone un corrispettivo- e dunque, rinunciando ai precedenti noli commerciali, per tenerle continuamente in navigazione, pagando i  relativi carburanti, il personale di bordo delle varie qualifiche e quello di terra per il supporto logistico/tecnologico e per il disbrigo delle pratiche portuali di ormeggio e rifornimento. 
Allo Stato, a cui non si perdona nessuno spreco, - che poi consiste nel fatto stesso che non affida al mercato privato ogni suo possibile compito-, costa(va) tanto: la "versione" Mare Nostrum, delle operazioni di salvataggio (previo pattugliamento), costava allo Stato italiano 9,5 milioni al mese; quella Frontex, e Triton, in apparenza notevolmente di meno, cioè circa 2,9 milioni al mese.

Almeno stando al livello di finanziamento apprestato dall'UE: ma dato il "volume" incrementale di sbarchi in Italia, nel corso degli ultimi anni, questo finanziamento UE deve necessariamente essere pro-quota e quindi non sufficiente a coprire gli interi costi dell'operazione: e ciò, includendo, appunto, l'attuale apporto di navi mercantili, cioè di armatori privati (che dovrebbero essere prescelte dall'UE in base a criteri che si devono presumere trasparenti e conseguenti ad accertamenti sui requisiti finanziari e di capacità tecnica degli armatori interessati). 

2. Poiché il volume di "salvataggi" si è addirittura incrementato rispetto alla fase Mare Nostrum, se ne deve dedurre che il costo differenziale che sostiene l'iniziativa privata, rigorosamente no-profit, sia quantomeno, per approssimazione, superiore ai 6,5 milioni al mese
Questo intervento al Senato dell'onorevole Arrigoni, precisa le ipotesi appena fatte, supportandole coi dati ufficiali resi disponibili dal governo e delineando lo scenario complessivo, di tenuta del sistema finanziario pubblico e del tessuto sociale, che ne consegue:
"Vorrei descrivere il fenomeno in Italia. 
Nel triennio 2014-2016 gli ingressi e gli sbarchi sono stati 505.000, ma - attenzione - solo via mare. A questi dovrebbero aggiungersi le migliaia di persone che entrano via terra, dall'Austria e dalla Slovenia in particolare, cioè da Paesi dell'area Schengen, dove noi non imponiamo il diritto di Paese di primo ingresso.
Dall'inizio dell'anno al 20 marzo 2017 sono già entrate via mare più di 18.000 persone, pari a oltre il 32 per cento (in più) rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Perché do i dati dell'ultimo triennio? 
Dalla fine del 2013, anno in cui si sono registrati 42.330 ingressi, c'è stata un'impennata degli sbarchi grazie - lo sottolineo - alle operazioni Mare nostrum (introdotta dopo la strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013) e, poi, Triton. 
Negli obiettivi, quelle missioni internazionali avrebbero dovuto costituire un deterrente per gli scafisti e diminuire le morti in mare
Come i dati dimostrano, i risultati hanno invece visto un aumento esponenziale degli ingressi, a maggior ragione dopo l'attività delle navi delle organizzazioni non governative da settembre dello scorso anno.
In secondo luogo, si sono incrementate - e di molto - le morti in mare
Do alcuni dati forniti dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni. Dal 1990 al 2012 (ossia in un arco di ventitré anni) sono state registrate 2.711 morti nel Mediterraneo. Nel 2013 il numero è stato pari a 477 (comprese le 388 morti nella strage di Lampedusa del 3 ottobre). Dopo l'operazione Mare nostrum il numero delle morti si è innalzato: nel 2014 è stato pari a 3.270, nel 2015 a 3.771 e lo scorso anno a oltre 5.000. Nei primi due mesi del corrente anno i morti sono già oltre 500.

Veniamo alle organizzazioni non governative, di cui questa mattina ha parlato il procuratore della Repubblica di Catania Zuccaro in sede di Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen. 
Dal settembre 2016 appartenenti a una decina di organizzazioni non governative non italiane, la metà con sede in Germania, spuntate come funghi - come dice Frontex, non collaborano con le attività di polizia e di intelligence - dispongono di 13 navi battenti bandiera di Paesi poco collaborativi con le nostre magistrature che stazionano stabilmente - h24 - al limite delle acque libiche e si fanno notare da facilitatori scafisti, che così inviano verso di loro gommoni precari, di produzione cinese, carichi di immigrati che vengono salvati e trasportati in Italia.
Nel complessivo anno 2016, queste organizzazioni non governative hanno compiuto, da sole, il 30 per cento dei soccorsi in mare nelle aree di ricerche e soccorso. Nei primi due mesi del 2017, operando a pieno regime, hanno svolto il 50 per cento dei soccorsi e, in barba a quanto previsto dalla Convenzione dell'ONU sul diritto del mare, se ne guardano bene dal portare i migranti salvati nel porto più vicino e sicuro, di Zarzis, in Tunisia, ma si dirigono direttamente in Italia.
Queste navi, super equipaggiate e dotate di droni sofisticati, hanno dei costi di navigazione elevatissimi, stimati in circa 10.000 euro al giorno cadauna
Chi finanzia tutto questo? 
È questa un'invasione pianificata a tavolino?... È inaccettabile che dei privati si sostituiscano allo Stato per realizzare, di fatto, un corridoio umanitario verso il nostro Paese. Ci domandiamo se queste organizzazioni non governative favoriscono l'immigrazione clandestina in Italia. 
Esse dovrebbero essere indagate non solo ai sensi del cosiddetto articolo 12 della legge Bossi-Fini, per favoreggiamento del reato di immigrazione clandestina, ma anche per omicidio colposo.
Anche la procura di Catania correla le attività di queste ONG con l'aumento delle morti, visto che le organizzazioni criminali ricorrono a gommoni sempre più inadeguati (gommoni cinesi dove si muore persino per schiacciamento) mettendo alla guida non scafisti, che si sono fatti furbi, ma gli stessi migranti, dotandoli semplicemente di bussola e cellulare, per i quali non è nemmeno configurabile il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.

Dopo gli ingressi, veniamo al numero delle richieste di asilo nell'ultimo triennio: sono state "solo" 300.000 contro i 500.000 ingressi. 
Dove sono andati i 200.000 che non hanno fatto richiesta di asilo? Nel triennio, di questi 300.000 richiedenti, solo 220.000 sono state le richieste esaminate dalle Commissioni territoriali. Nel 2016 le richieste di asilo sono state 123.600 (il 50 per cento in più rispetto al 2015) e nelle prime settimane del 2017 registriamo un aumento del 60 per cento rispetto al pari periodo del 2016. Sempre lo scorso anno sono state "solo" 91.100 le richieste esaminate, e di queste il 60 per cento sono state respinte. Dunque, nonostante l'aumento delle commissioni territoriali (che da diciotto mesi sono state elevate a 48) cresce costantemente la coda delle persone in attesa di esame della richiesta di asilo: al 10 marzo - lo dice il presidente della Commissione nazionale per il diritto d'asilo, il prefetto Trovato - le pendenze in ordine alle richieste di asilo sono 120.000.

Analizzando tali richieste si scoprono, poi, cose davvero interessanti. 
Le nazionalità più numerose che chiedono protezione internazionale in Italia non sono quelle che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale (soglia che la UE stabilisce nel 75 per cento). 
La prima nazionalità a fare richiesta d'asilo è la Nigeria con l'otto per cento di riconoscimento di protezione; la seconda è il Pakistan con il 23 per cento; la terza il Gambia con il cinque per cento; la quarta il Senegal con il quattro per cento; la quinta la Costa d'Avorio con l'otto per cento; la sesta l'Eritrea con il 74 per cento (di richieste accolte). 
Insomma, per quantità di richieste di asilo bisogna arrivare al sesto posto per trovare gli eritrei e addirittura all'undicesimo per trovare gli afghani, entrambe nazionalità che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale, ma che registrano numeri bassi.
Prime riflessioni. Questo spiega perché negli ultimi due anni la percentuale di rifugiati media è del cinque per cento, mentre quella di coloro che ottengono protezione sussidiaria è del 14 per cento; cioè a meno del 20 per cento (uno su cinque) degli esami delle richieste di asilo si riconoscerà la protezione internazionale. I dati dimostrano, dunque, che la gran parte di coloro che chiedono asilo sono migranti economici, dunque irregolari, clandestini... Questi sono messi nel sistema di accoglienza per anni.
Tra le nazionalità di migranti in ingresso balzano all'occhio i pakistani, che ottengono il tre per cento di stato di rifugiato e il cinque per cento della protezione sussidiaria, e che dunque sono prevalentemente migranti economici, dunque clandestini. I numeri ci dicono che i pakistani sbarcati nel 2016 sono molti meno (il 20 per cento) rispetto a quelli che hanno chiesto asilo: 2.770 sono sbarcati, 13.510 hanno richiesto asilo nel 2016. Sono forse stati paracadutati nel nostro Paese? No. Qual è allora la motivazione? Percorrendo la rotta dei Balcani - che quindi non è totalmente interrotta, nonostante noi Europa, noi Italia, diamo sei miliardi al sultano Erdogan per bloccarla  - i pachistani e altri migranti, venendo dal Medio Oriente, passano attraverso i confini terrestri, soprattutto austriaco e sloveno, che sono Paesi di area Schengen, che dunque non sono controllati.
Dove emerge con tutta forza il lato più significativo dell'emergenza? 
È nel sistema di accoglienza, che registra una situazione che diventa ogni giorno sempre più esplosiva. Elevati ingressi più foto segnalamenti a tappeto che ci ha imposto l'Europa , hanno determinato un'esplosione dei numeri che sta facendo collassare il sistema di accoglienza dove vengono assistiti i sedicenti profughi. 
Alla fine del 2013 erano 22.000 nel sistema di accoglienza; a fine 2014 erano 66.000, a fine 2015 erano 104.000, alla fine dello scorso anno 176.000, con spese enormi a carico del nostro Paese; spese passate da 1,6 miliardi del 2013, con un contributo dell'Unione europea di soli 100 milioni di euro, a 4 miliardi del 2016, con soli 112 milioni di contributo dell'Unione europea: un contributo che non si avvicina neanche a meno del 3 per cento del costo complessivo. 
L'impatto fiscale dell'emergenza migranti tocca quasi lo 0,3 per cento del nostro PIL; oltre il 60 per cento di questi 4 miliardi è speso per l'accoglienza: un esborso con spreco enorme di risorse. È una follia. 
Assistiamo al fatto che per un periodo medio di due o tre anni (a volte anche quattro) ci sono molte persone che per l'80 per cento non hanno diritto alla protezione internazionale, con l'automatica conseguenza che l'80 per cento dei posti nel sistema di accoglienza (quasi 140.000) è dato da strutture temporanee, case private o condomini, alberghi, resort gestiti da cooperative in odore di affari o da albergatori falliti, spesso individuati dai prefetti che scavalcano i sindaci. Tutto ciò avviene con costi economici e sociali enormi, incombenze enormi per i Comuni".

3. Insomma: nella "filiera" industrializzata della importazione di immigrati, che all'80% compiono accessi illegali nel nostro territorio, i costi, sono altissimi: certamente nella fase di trasporto via mare, che viene generosamente privatizzata da organizzazioni che prescelgono la destinazione-Italia, a prescindere dai presupposti effettivi e dalla corretta applicazione dello sbandierato "diritto del mare".
Se mi muovo su segnalazione di chi si è posto in navigazione, entro le acque sovrane libiche, già sapendo che non sarà in grado di navigare fino alla (unica) destinazione prescelta, l'Italia, si tratta visibilmente di un espediente. 
Non è salvataggio, ma l'utilizzazione programmatica di più vettori, in oggettivo coordinamento tra loro, per una destinazione predeterminata e avulsa dalle regole del diritto del mare: le mete portuali più prossime, Tunisia e Malta, paiono infatti ignorate dai "salvatori-secondo-il-diritto-del-mare"che navigano allo scopo esclusivo, e dichiarato, di andare a raccogliere chi si mette in mare solo per finire in pericolo e essere "salvato"!
E questo meccanismo, dunque, nulla ha a che fare coi criteri di accidentalità del soccorso da apprestare in mare, e tantomeno coi criteri di prossimità in cui si sviluppa normalmente il soccorso "accidentale" e non predisposto; è, cioè, un "soccorso" apprestato da parte di chi abbia, come privato, un'unica ragione per navigare: quella di stazionare nei pressi delle acque territoriali libiche per completare la tratta illegalmente intrapresa e segnalata dagli scafisti o, per essi, dai passeggeri "addestrati" dei gommoni! 

3.1. Ma il fatto saliente, al di là della totale anomalia del meccanismo di trasporto di massa chiamato forzatamente salvataggio (se si ha riguardo alle invocate regole dei "diritto del mare"), è che, solo per il segmento della fase di entrata-trasporto entro il territorio nazionale, dal mare, dei soggetti privati sostengono costi altissimi. 
E quindi, posto che il finanziamento ufficiale UE copre, a malapena, meno di un terzo dei costi complessivi, e che ragionevolmente appare esclusivamente un (limitato) cofinanziamento della spesa sostenuta dal nostro Stato, chi li finanzia?
E' credibile che, in un'€uropa afflitta dalla disoccupazione strutturale più alta dalla fine della seconda guerra mondiale e dalla deflazione salariale che l'accompagna in termini di calo dei salari e della capacità di spesa della maggior parte della popolazione, questi finanziamenti siano attinti da spontanee, costanti e ragguardevoli microdonazioni di cittadini privati?

4. E poi: non è strano che, registrandosi all'interno dell'€uropa, un un crescendo preoccupante di povertà assoluta, i cittadini comuni, pur impoveriti (tranne una fascia di elite sempre più ristretta e ricca), sentano la spinta umanitaria soltanto per coloro che risiedono in altri paesi e considerino con indifferenza la povertà di chi gli sta accanto e condivide, con loro, l'appartenenza alla stessa comunità sociale e territoriale?
Ma se non appare verosimile che siano le spontanee e straordinariamente costanti donazioni dei cittadini privati a garantire l'altissimo livello di finanziamento delle operazioni navali delle ONG, almeno finchè non sia compiuta un'operazione di oggettiva e doverosa trasparenza sui loro bilanci, la domanda è non tanto "chi veramente le finanzi", ma "perché le finanzi".

5. Se la finalità delle ONG nord-europee,  come per lo più risultano essere, fosse umanitaria, cioè di sollievo della condizione di povertà, anche considerata in chiave internazionale, avrebbero come logico e immediato scenario quello di soccorrere la massa crescente dei poveri assoluti che si sta inarrestabilmente stabilizzando in €uropa, (e proprio in paesi (€uropei) diversi da quelli in cui hanno sede le ONG, le ONLUS e le associazioni internazionaliste della "solidarietà"). 
Magari, se queste attivissime protagoniste del tanto vagheggiato "terzo settore", avessero pure un'etica incline all'analisi veritiera dei fatti, non farebbero solo azioni assistenziali sugli effetti della povertà, ma si attiverebbero per rimuoverne le cause; cioè, denunziando l'austerità fiscale che disattiva il welfare pubblico, mediante la riduzione dei deficit pubblici e della relativa spesa, considerata, dalle istituzioni UE e dai governi ad esse obbedienti, improduttiva; una riduzione che è alla base di questa stessa dilagante povertà.

6. Ma né questa azione assistenziale riguardante i cittadini poveri €uropei, né questa denunzia delle sue cause notorie ed oggettive, appaiono minimamente interessare l'azione delle ONG "umanitarie".
Forse i diritti umani, prima di tutti quelli all'esistenza libera dalla miseria che, un tempo, in €uropa si connetteva alla dignità del lavoro, non pertengono anche ai disoccupati degli Stati mediterranei coinvolti nell'eurozona e ai loro figli (ammesso che non ci si debba curare delle cause, altrettanto chiare, per chi vuole spiegarsele, della crisi demografica €uropea, v. p.2, dopo 30 anni di feroci politiche deflazioniste e di liberalizzazione del mercato del lavoro)?

6.1. Eppure la situazione della povertà assoluta, in €uropa, non può non essere definita allarmante, per chi avesse qualche minima razionale preoccupazione per le popolazioni che gli vivono accanto:

"L’Europa delle povertà

Uno dei misuratori indiretti della crisi in corso e delle diseguaglianze in crescita da decenni è senz’altro quello delle povertà.
Guardando agli ultimi dati Istat, in Italia balza agli occhi il livello raggiunto dalla povertà assoluta. Che è poi quella povertà più radicale, perché se quella relativa si misura sul reddito medio, quella assoluta ha a che fare con i beni essenziali per la vita e la sopravvivenza. 
Negli ultimi dieci anni mai si era registrato un dato simile in relazione ai singoli individui: nel 2015 sono 4.598.000, il 7,6% della popolazione, erano il 6,8% nel 2014. Sotto il profilo della povertà relativa, la cui soglia nel 2015 è attestata su 1.050,95 euro per due persone, i dati non sono più confortanti: anche qui crescono proporzionalmente di più i singoli delle famiglie, rispettivamente 8.307.000 (il 13,7% del totale, era il 12,9% nel 2014) e 2.678.000 famiglie, il 10,4% (era il 10,3%).
Una disamina approfondita delle povertà in Europa e in Italia è contenuta nel nuovo Rapporto sui diritti globali.
Il Rapporto sui diritti globali, realizzato dalla associazione Società INformazione e dalla sua redazione, promosso dalla CGIL, nel suo ultimo volume, il 14°, giunto da poco in libreria, contiene come sempre un capitolo dedicato al tema delle politiche sociali, curato da Susanna Ronconi. Il Focus del capitolo quest’anno è dedicato alle diseguaglianze nella salute.
Proponiamo qui un estratto dalla sezione del capitolo Il Contesto.
Qui scaricabili l’indice generale del volume, la prefazione di Susanna Camusso e l’introduzione di Sergio Segio.
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L’economia non decolla, il welfare non tutela
Con buona pace per l’obiettivo di lotta alla povertà della strategia comunitaria Europe 2020 – ridurre di 20 milioni il numero degli europei a rischio povertà ed esclusione entro lo scadere del 2020 – il trend è sostanzialmente stabile, il minimo decremento medio dello 0,1% registrato nel 2014 rispetto all’anno precedente viene infatti dopo la netta e costante crescita nel periodo 2009-2013, e non riesce a recuperare i valori pre-crisi: nell’Unione Europea con 28 Paesi membri (UE28) è povero (in relazione a tutti e tre gli indicatori AROPE, rischio povertà, deprivazione materiale e bassa intensità lavorativa) il 24,4%, 122 milioni di persone, nel 2008 era 23,8%.
I dati più negativi sono in Romania (40,2%), Bulgaria (40,1%) e Grecia (36%), tuttavia mentre i primi due Paesi hanno un tasso elevato ma in calo rispetto al 2013, la Grecia – sottoposta come noto al Memorandum della Troika – registra un incremento anche nell’ultimo anno, dopo un trend in impressionate escalation tra il 2008 e il 2014: +7,9%. 
I Paesi con meno poveri sono Repubblica Ceca (14,8%), Svezia (16,9%), Olanda (17,1%), Finlandia (17,3%) e Danimarca (17,8%). L’Italia si colloca in posizione critica, con il 28,3%, 4 punti sopra la media UE28, ed è uno dei Paesi, insieme a Grecia, Spagna, Cipro, Malta e Ungheria, che dall’anno della crisi ha registrato un costante aumento delle povertà, con +2,8%. Segno non solo di una economia che non decolla, ma anche di un sistema di welfare che non tutela e non bilancia gli effetti sociali della crisi.
Secondo un trend ormai purtroppo consolidato, sono bambini e ragazzi under18 a essere maggiormente penalizzati: sono poveri nel 27,8% dei casi, oltre 3 punti in più del dato medio, con gli usuali picchi di Romania e Bulgaria (51% e 45%), ma anche con i dati di Ungheria (41,4%), Grecia (36,7%), Spagna (35,8%). I fattori che più espongono i minori alla povertà sono la posizione occupazionale dei genitori, il loro livello di istruzione, la numerosità del nucleo famigliare e l’accesso a misure di sostegno e servizi; in maggiore svantaggio anche i figli di immigrati".

7. Questo la mappa EUROSTAT sul rischio povertà nel continente europeo:


Questa, oltrettutto, è una situazione che, proprio per i cittadini europei, è senza futuro: il futuro, cioè i bambini di oggi, appare sempre più compromesso dalla emarginazione, dalla miseria materiale e culturale, a cui sono esposti come destino esistenziale immutabile, in numeri che risultano sempre più spaventosi:
http://www.secondowelfare.it/edt/image/Figura_1.png

7.1. Notare che, se per paesi come quelli dell'Europa orientale, questa situazione di diffusa povertà assoluta è notoriamente "derivata" dal passaggio ormai ultraventennale all'economia di mercato - il che fa già dubitare della sua efficacia nel determinare l'innalzamento costante del benessere e dell'equità sociale- per il meridione italiano, quello spagnolo e per la Grecia, si tratta di una condizione obiettivamente indotta dalla moneta unica, e precisamente dalle politiche fiscali considerate TINA per il suo mantenimento
Dunque, una condizione non solo auspicata e ritenuta tecnicamente e eticamente giusta dalle istituzioni UEM, ma anche destinata a strutturarsi e, viste le ulteriori raccomandazioni fiscali che vengono date ai paesi appartenenti all'eurozona, ad aggravarsi
Certamente, e in modo sensibile, non appena si manifestasse una qualche crisi esogena (o endogena) di tipo finanziario, come già nel 2008, alla quale si risponderebbe, per vincolo normativo supremo scolpito nella pietra dei (vari) trattati €uropei, con dosi aggiuntive di austerità fiscale.

8. Dunque, queste ONG internazionaliste non sentono alcuna esigenza prioritaria di rivolgere le loro attenzioni umanitarie ai poveri greci, spagnoli o italiani (o almeno bulgari e rumeni)? 
Non si rendono conto che entrare pesantemente nella catena di montaggio dell'importazione massificata di ulteriori poveri, da insediare proprio nei territori di paesi così provati dall'austerità fiscale e dalle infinite riforme strutturali impoverenti, aggrava la situazione di una parte così consistente dei loro "concittadini" europei e rende sempre più disperata la situazione di bambini (bambini!) europei in povertà assoluta, giunti, nell'area emergenziale del mediterraneo, - proprio quella in cui operano per immettere i nuovi disperati, la cui presenza aggrava la situazione di impotenza fiscale degli Stati ad intervenire-, a percentuali di oltre un terzo della popolazione infantile?

8.1. Non sarebbe il caso, anzitutto, di soccorrere queste fasce di popolazione autoctona, stabilizzare il benessere sociale nei paesi europei, proprio per poi consentire, anche agli immigrati dall'Africa e dalla zone più povere dell'Asia, di avere in €uropa, tutti insieme e in una condizione di effettiva sostenibilità sociale, un futuro che non sia di scontro permanente tra masse di miserabili in inevitabile attrito fra loro?
Non si rendono conto che ammassare poveri in zone dove disoccupati e poveri "autoctoni" sono già un problema drammatico e, nel paradigma istituzionale €uropeo, irrisolvibile, non significa "salvare vite umane" - e già i numeri dei morti in mare danno torto a questo fine salvifico e ricattatorio contro ogni buon senso-, ma innescare la situazione esplosiva di una miseria a livelli ottocenteschi che pareva sconfitta in €uropa? 
E fu sconfitta per buone ragioni, completamente dimenticate dalle ONG e dalle istituzioni UE: dopo la seconda guerra mondiale, per l'affermarsi delle democrazie sociali in cui l'intervento dello Stato, garantiva lo sviluppo armonico del capitalismo, coniungandolo con la priorità dell'occupazione e della tutela pubblica, cioè democratica e legalmente prevista, dei più deboli (che sono i lavoratori e le loro famiglie).

9. Evidentemente non sono interessate a rendersene conto: la cultura delle ONG è improntata, rispetto a questo tragico scenario, che in Europa non ha mai condotto a nulla di buono, alla più totale indifferenza.
E se c'è questa programmatica, anzi, organizzata, indifferenza, rimane il pesante interrogativo: perché le ONG, e cioè i misteriosi finanziatori privati che le istituiscono, e che inevitabilmente appaiono essere soggetti economicamente molto forti (non certamente identificabili con i cittadini medi impoveriti, il cui contributo non pare obiettivamente sufficiente a giustificarne gli imponenti strumenti di azione organizzata) operano in questo modo?
Perché i sottostanti finanziatori, che normalmente si muovono secondo la logica dell'investimento rapportato al rendimento finanziario più profittevole, compiono, in definitiva, questo tipo di "investimenti" nella miseria e nella destabilizzazione sociale di un intero continente?

giovedì 27 aprile 2017

CAPITALISMO & FASCISMO: TRA LA MARCIA SU ROMA, IL SUD AMERICA E LA GLOBALIZZAZIONE IRENICA

http://www.daparte.it/sito/wp-content/uploads/2014/06/ascismocapitalismo.jpg
Il mondo capital-pop è "a life in technicolor". Cambiano le forme (tecnologiche) ma non la sostanza:
https://image.slidesharecdn.com/litaliafascista-140219135626-phpapp02/95/litalia-fascista-24-638.jpg?cb=1392818255
E la sostanza rimane questa:


1. Questo post dovrebbe servire (se mai fosse possibile, a questo punto de " lo svuotamento dell’intorno della coscienza umana") a chiarire il punto sulla questione della destra, o del fascismo, come connotazioni attribuibili all'attuale posizione politica di Marie Le Pen.
Il punto non è affatto secondario, perché, con tutta evidenza, si riflette sulla comprensione e sull'orientamento politico dell'opinione, pubblica e di massa, italiana, sospesa (approssimativamente, perché la casistica, si limita a presupporre un certo livello di buona fede e di conoscenze...schematiche: quelle che spiegano, molto bene, "Perché ESSI VIVONO"), tra: 
a) persone che credono che la sinistra sia ormai estranea alla risoluzione del conflitto distributivo scatenato dal capitalismo, senza ormai (voler) conoscere le più importanti circostanze storiche che diedero vita al fascismo istituzionale (cioè al governo, a dettare le leggi), e 
b) persone che credono che queste circostanze non debbano più essere prese in considerazione, perché ora il capitalismo sarebbe "diverso". Senza saper collegare la natura della "globalizzazione" con il modo di essere costante e immutabile del capitalismo stesso.

2. E perché poi dovrebbe cambiare questo modo di essere, se lo stesso meccanismo di dominio, mediante impadronimento dello Stato pluriclasse e di diritto (in precedenza), funziona sempre, sia come dittatura emergenziale sia come desovranizzazione statuale in nome della "pace"? Anzi, il meccanismo è stato perfezionato nella sua estrema versione "pop", e mai come oggi incontra resistenze poco organizzate e neutralizzabili mediaticamente con un'abile cosmesi.
Non a caso, rispetto alla neo-versione del capitalismo sfrenato, che prende la via del tecnicismo pop, parlammo di autoinganno e collaborazionismo involontario (nella migliore delle ipotesi...). Formule che in quella versione ulteriormente perfezionata del tecnicismo-pop, cioè sfrenato ma cosmetizzato al massimo grado, che è L€uropa, si concretizzano nella proiezione identificativa degli oppressi negli interessi degli oppressori
Un fenomeno reso possibile da una vasta censura "sul punto zero" che si impernia sulla solidificazione dell'odio verso lo Stato in sé, e si allarga nell'aggravarsi sempre più drammatico della funzione censoria svolta dalla "questione mediatica".

3. Ma veniamo al tema in questione. Francesco Maimone ci ha meritoriamente riportato una ricostruzione storico-economica di Lelio Basso che ci appare esaustiva e sufficientemente chiara per confutare ogni forma attuale di "antifascismo su Marte", una sindrome autolesionista che misura la tendenza collettiva attuale al "suicidio della democrazia". Ve la riporto nella sua sequenza:

Fascismi vecchi:
… non avrebbe vinto il fascismo se non ci fosse stato, in ultimo, un ulteriore intervento delle forze sociali, in suo aiuto, e fu la Confindustria l’elemento decisivo che determinò la vittoria del fascismo. 
Fu che a un certo momento questo fenomeno, che prima era il fenomeno dei grandi agrari della Valle Padana, diventò anche il fenomeno, il movimento che interessava i grandi industriali, la grande finanza, il gran capitale
Questo accadde appunto…dopo la crisi del ‘21 che fu una crisi conseguente alla guerra, che si verificò in tutti i paesi, ma che ebbe un aspetto più evidente in Italia perché l’Italia, fra i paesi che si consideravano avanzati, era il meno avanzato, industrialmente il meno progredito…

Ci fu in Italia - e in tutti i paesi - una certa difficoltà nel trasformare le industrie di guerra in industrie di pace. Prendete una fabbrica che ha fabbricato per anni cannoni, munizioni, e dite: “Adesso vi mettete a fabbricare aratri, automobili, camion”. Non è facile questa riconversione dell’industria di guerra in industria di pace. 
In un grande paese industriale la cosa era più facile, in un paese più ricco dove il mercato di consumo interno era più munito di possibilità, il fenomeno era più facile. In un paese più povero... Vi dovete immaginare l’Italia di allora: forse metà almeno della popolazione italiana non comprava niente sul mercato, era fatta di contadini che consumavano i prodotti della loro terra, che si facevano in casa il tessuto e i vestiti, che forse avran comprato qualche strumento di lavoro, una zappa... non so, qualche cosa del genere, ma non c’era un mercato corrispondente all’ampiezza della popolazione. In un paese di questo genere riconvertire l’industria di guerra in industria di pace diventò molto più difficile e creò delle crisi estremamente gravi. 
Le industrie che si erano lanciate nella produzione bellica si erano gonfiate durante la guerra per aumentare (come è normale che avvenga nella industria capitalistica) i propri profitti, si trovarono di colpo a non sapere che cosa vendere. I cannoni non li potevano più vendere e non erano in grado di sostenere la concorrenza straniera per esportare qualche altra cosa.

Avrebbero avuto bisogno di uno stato che ordinasse locomotive invece che cannoni, vagoni ferroviari, rotaie. Le acciaierie, le industrie siderurgiche, meccaniche, si trovarono in condizioni gravissime. 
E in modo particolare avvenne che due tra le più grandi industrie italiane, la Ansaldo di Genova e l’Ilva di Livorno, si trovarono di colpo ridotte in condizioni di fallimento. La seconda delle grandi banche italiane, la Banca Italiana di Sconto” che era legata alla Ansaldo di Genova, si trovò anch’essa in gravissima crisi perché aveva finanziato questa industria e non era più in grado di rimborsare i capitali
E fino ad allora “la borghesia italiana - per usare l’espressione di uno storico della borghesia italiana che non era un uomo di sinistra, anzi fu un fascista, Nello Quirici - "l’industria italiana aveva sempre vissuto nel bagnomaria delle protezioni statali”.
Come viveva? Viveva perché lo Stato assicurava le commesse. Già allora c’erano gli scandali, (adesso sono molto più numerosi, quasi normali gli scandali delle forniture alle stato). Ci fu soprattutto lo scandalo delle acciaierie di Terni: risultò che il Ministro della Marina era in combutta con le acciaierie Terni per ordinare le corazze delle navi…

Ma allora lo Stato si trovò tra i piedi questa situazione di crisi grave, con grandi industrie che stavano crollando, la seconda delle grandi Banche - la prima era la Banca Commerciale Italiana - che stava crollando, e che chiedevano allo Stato di intervenire con enormi somme per aiutarle. Il vecchio liberalismo italiano non concepiva questa funzione dello Stato. (Oggi il capitalismo non vive senza il continuo intervento dello Stato in suo aiuto, ma allora non esisteva questa forma).

Giolitti rifiutò questo aiuto, come aveva rifiutato di intervenire quando gli operai nel ‘20 avevano occupato le fabbriche. Anche allora gli industriali avevano chiesto allo Stato di intervenire con la polizia per scacciare gli operai dalle fabbriche, e Giolitti aveva dato la risposta del buon senso, aveva detto: “Ma guardate che finché gli operai stanno nelle fabbriche non fanno la rivoluzione, la rivoluzione si fa quando si esce dalle fabbriche, quando ci si chiude nelle fabbriche non si fa nessuna rivoluzione, lasciateli stare, un certo giorno se ne andranno”. E così fu. L’occupazione delle fabbriche si sgonfiò da sé, però anche questo per gli industriali è stato un affronto, è stato un affronto alla santità della proprietà, la cosa più sacra che esista per il borghese, per il capitalista, la proprietà privata.

Che gli operai avessero occupato le fabbriche nel ‘20 era già stato un affronto, ma che lo Stato nel ‘21, quando ci fu la crisi, rifiutasse di intervenire, tirar fuori quattrini, darli alle banche, alle industrie, questo fu un elemento decisivo.

LA CONFINDUSTRIA…
Fu a questo punto, verso la fine del ‘21, che si costituì la Confindustria: la confederazione degli industriali, che non esisteva ancora in Italia. Essa decise che il modo di uscire da questa situazione era che la Confindustria stessa, si impadronisse dello Stato e potesse governare, direttamente o per interposta persona obbediente, lo Stato.

...E IL FASCISMO DI MUSSOLINI
E pensò che il fascismo di Mussolini potesse essere l’occasione buona. Le vostre generazioni, e in fondo anche noi, siamo abituati a pensare al Mussolini dittatore per vent’anni, ma allora Mussolini era un giornalistucolo ex-socialista che aveva inventato da poco questo fascismo, non era un personaggio. Era un personaggio che si era venduto alla Francia per diventare interventista, un personaggio che si comprava e che si pagava. Gli industriali si illusero, ma in realtà non si illusero veramente perché Mussolini, a parte alcune apparenze, servì gli industriali italiani come volevano, anche se ne mandò di quando in quando qualcuno al confino per dimostrare che il padrone era lui: ma la classe degli industriali la servì sempre.

Gli industriali pensarono che se avessero appoggiato il fascismo e lo avessero mandato alla conquista dello Stato, avrebbero avuto finalmente a capo del Governo non un liberale di antico stampo come il Giolitti, che credeva in una certa funzione delle Stato, in certi diritti dello Stato, che non credeva che lo Stato dovesse obbedire al primo Agnelli che arrivava a dargli un ordine, ma un servitore obbediente. Come praticamente ebbero nel fascismo. 
È quando la Confindustria si decise a gettare il peso della sua forza economica, sociale, la sua stampa, i suoi giornali, a passare dalla parte del fascismo, è da allora, dalla fine del ‘21, che il fascismo vince definitivamente la sua battaglia. Prenderà il potere poi nell’Ottobre del ‘22. Ma l’elemento che decide la vittoria del fascismo è il passaggio della Confindustria da quella parte.

Infatti, Mussolini, quando arrivò al potere, fece immediatamente una serie di provvedimenti legislativi a vantaggio del grande capitale italiano
Ecco cos’è stata l’origine del fascismo, ecco perché ho detto che ci fu un fenomeno congiunturale: la crisi (se non ci fosse stata quella crisi probabilmente non avremmo avuto il fascismo; e ci fu un fenomeno strutturale, cioè la struttura dell’industria e dell’economia italiana) era tale che il capitalismo non era più capace, come era stato in passato, di superare da se stesso la crisi. Perché crisi economiche molto più gravi del ‘21 ce ne erano state in precedenza: c’era stata la crisi degli anni 1845-46-47, da cui era nata la grande rivoluzione del ‘48 che noi conosciamo anche in Italia. La crisi era nata allora da una malattia delle patate, in Irlanda; ma poi si era estesa in Europa poco a poco e da quella crisi tutta l’Europa subbuglia (‘48-49), però il capitalismo l’aveva superato da sé. C’era stata la crisi del 1857, gravissima, con fallimenti su larga scala, che venivano già superati. C’era stata quella che si chiama la “lunga depressione” che durò dal luglio 1873 fino al 1891-92, vent’anni di crisi, ma il capitalismo l’aveva superata. Ce n’era, stata ancora al principio del secolo, e il capitalismo l’aveva superata. Il fatto nuovo che determina il fascismo è che di fronte ad una crisi che non era certamente fra le più gravi, il capitalismo non ha più in sé la forza di superare la crisi e deve allora cominciare ad utilizzare lo Stato.

SIMBIOSI TRA ECONOMIA E POLITICA
In questo senso il fascismo italiano anticipa un processo che poi si generalizzerà: cioè la simbiosi tra Stato e capitalismo, fra economia e politica. A un certo momento... - in quel caso per rimettere in movimento il meccanismo del profitto che si era fermato, e oggi viceversa per mantenere costantemente in movimento il meccanismo del profitto - è necessario che ci sia questa simbiosi fra Capitale e Stato. Lo Stato diventa l’ausiliario quotidiano del capitalismo. Ormai il capitalismo non vive senza un intervento continuo dello Stato....

Il fascismo creò l’IRI. Di fronte alla grande crisi del ‘29, quando minacciavano di crollare tutte le industrie italiane, l’Istituto della Ricostruzione Industriale, fu una specie di ospedale delle industrie, per risanarle, per aiutarle. 
Oggi tutti sanno che l’economia americana non vivrebbe più di sei mesi se non ci fosse questa simbiosi tra lo Stato e l’economia. 
Il fascismo italiano in questo senso fu un anticipatore, perché l’Italia era un paese a economia più debole e quindi questo aiuto era più necessario. Allora fu necessario perché c’era una crisi e lo stesso fenomeno si ripeté in Germania dopo la grande crisi del ‘29-31. Quella fu sì una crisi enorme, la più grande che il capitalismo abbia mai conosciuto, che lasciò milioni e milioni di disoccupati. Questi, ridotti a sottoproletariato, si rivolsero a Hitler, si rivolsero ai fascisti con una sola speranza, perché i partiti tradizionali e lo Stato tradizionale non erano in grado di dare una soluzione ai loro problemi di disoccupazione e di miseria.

Quindi ANCHE IL NAZISMO TEDESCO NASCE DA QUESTA DOPPIA COINCIDENZA: UN FATTO CONGIUNTURALE - cioè una crisi economica, quella del grave ‘32 - E UN FATTO STRUTTURALE, la incapacità del capitalismo tedesco, che pur era il più potente tra il capitalismo dell’Europa continentale, di uscire dalla crisi senza impadronirsi dello Stato. Se voi andate a vedere e a studiare le origini del nazismo, vedete fenomeni analoghi, vedete ad un certo momento la confederazione degli industriali tedeschi decisi ad appoggiare Hitler, che sono allora i Krupp, ci sono gli Hintless, tutti grandi industriali della Germania che danno a Hitler i mezzi per armare le squadre, per fare quello che fece il fascismo italiano. Hitler fece tutto in scala molto più larga
” (segue)

E n€o-fascismi irenici e neo-colonizzanti:
il capitalismo deve essere padrone dello Stato. Questo è oggi il vero pericolo che minaccia il mondo e che ha dato luogo alle dittature militari dell’America. 
Perché noi abbiamo oggi un continente intero in cui sono aboliti i diritti dell’uomo, in cui gli operai non hanno il diritto di scioperare..., perché il grande capitale mondiale ha bisogno di avere queste forme di colonia che sono gli stati dipendenti dove si vanno a stabilite certe fabbriche
Un ingenuo, forse magari non ingenuo, dirigente di una grande fabbrica italiana, che è andato a stabilire una succursale di una grande fabbrica in Brasile a Belo Horizonte, in un’intervista a un giornale ha detto: 
“beh, abbiamo trovato nel Brasile un paese dove gli operai non possono scioperare, dove i sindacati sono fatti dallo Stato e non possono assicurare contratti di lavoro, dove non ci sono elezioni libere e quindi non si corre neanche quel terribile pericolo che è il centro-sinistra, neanche quello! E questo è il paradiso per una società multinazionale. Noi veniamo qui”.
È chiaro che nella misura in cui queste grandi multinazionali, come oggi si chiamano, possono andare a stabilire fabbriche in questi paesi dove pagano poco la mano d’opera, pochissimo, perché gli operai non hanno mezzi di difesa, indeboliscono la classe operaia del loro paese per mettervi le grandi multinazionali americane o anglo-olandesi: la Shell, la Philips, la GM, la ITT, la IBM. Che forza ha la classe operaia e impiegatizia che lavora nella IBM italiana o nella GM tedesca? 
Può scioperare... Quando ha scioperato quelli chiudono la succursale italiana o tedesca, ma hanno nel mondo altre 15 o 20 fabbriche che lavorano, e se ne infischiano! Se ne infischiano perché quelli continuano a produrre e a vendere. Cioè l’esistenza delle multinazionali e l’esistenza di paesi sottoposti a queste forme di dittatura e di oppressione, indebolisce anche la classe operaia dei paesi più sviluppati…

A mio parere oggi vedere il pericolo del fascismo più che nelle dittature che si devono combattere per carità, dobbiamo combattere le battaglie di ogni giorno contro i tentativi fascisti vecchio stile, le forme nostalgiche, dobbiamo combattere le aggressioni, tutte queste forme, le minacce di colpi di stato di generali golpisti, ecc. 
Ma C’È UN PERICOLO PIÙ NASCOSTO E, A MIO GIUDIZIO, PIÙ GRAVE CHE CI MINACCIA: LA TENDENZA DEL GRANDE CAPITALE MONDIALE A CONCENTRARE IL POTERE IN POCHISSIME MANI
Secondo gli economisti, prima della fine del secolo, le grandi compagnie, le grandi società multinazionali che domineranno il mondo non saranno più di cinquanta. 
Non saranno più di 50 i manager, i padroni, che nel chiuso dei loro uffici a New York oppure a Londra o a Francoforte o ad Amsterdam decideranno del destino vostro perche io probabilmente che ho 72 anni, non ci sarò più, ma voi ci sarete.  
Ognuno dovrà accettare di essere una rotella impercettibile di un meccanismo messo in essere da forze lontane ed ignote per produrre il profitto del grande capitale
Per permettere a questi 50 manager di aumentare in ricchezza e in potenza l’umanità dovrà subire la schiavitù più umiliante e più degradante che non è soltanto la schiavitù dello sfruttamento economico, ma è questa forma di schiavitù ancora maggiore che è lo svuotamento dell’intorno della coscienza umana. Gli uomini devono essere schiavi ed essere contenti di essere schiavi, ringraziare i loro padroni.

C’è stato uno storico americano che ha scritto per spiegare la differenza di trattamento che negli USA hanno avuto i negri rispetto agli indiani, i cosiddetti “pellirosse” e ha detto: “I pellirosse non hanno capito che dovevano accettare di essere schiavi, i negri hanno capito. Se anche i pellirosse avessero accettato di fare gli schiavi avrebbero trovato dei padroni benevoli che li avrebbero trattati bene, paternalisticamente. Voi sapete quali padroni buoni e paternalisti hanno trovato i negri, come sono stati trattati, come sono trattati tuttora. Invece hanno voluto essere liberi e non c’era altro che sterminarli, che ammazzarli perché l’economia americana doveva andare avanti: o schiavi eliminati o complici di questo regime…” 
[L. BASSO, Le origini del fascismo, Savona, Centro giovanile, cicl., 10-45].
Posto quanto sopra, i visionari del fascismo patafisico dovrebbero spiegare in quale punto del programma della Le Pen si avallerebbe la simbiosi strutturale tra capitalismo (globalizzato) e Stato".

4. Per finire: la dialettica tra fascismo e capitalismo sfrenato, cioè il liberismo, in passato era stata ben riassunta (e ne abbiamo straparlato) da uno dei più illustri teorici del primo, confermando appieno la ricostruzione di Lelio Basso:
"...riproduco qui, per ordine, il passo di Ludwig von Mises recentemente riportato:
«Non si può negare che fascismo e movimenti simili, finalizzati ad imporre delle dittature, siano pieni delle migliori intenzioni e che il loro intervento abbia, per il momento, salvato la civiltà europea. Il merito che il fascismo ha così ottenuto per sé, continuerà a vivere in eterno nella storia. Ma se la sua politica ha portato la salvezza, per il momento, non è della specie che potrebbe promettere di continuare ad avere successo. Il fascismo è stato un ripiego d'emergenza. Vederlo come qualcosa di più sarebbe un errore fatale.»    
Ed anche, con riferimento alla fase instaurativa dello stesso fascismo, sempre Mises:
Il supporto iniziale di Giretti al movimento fascista è altamente illuminante.  Sono più che convinto che senza la libertà economica, il liberalismo sia un'astrazione vuota di reale contenuto, quando non una mera ipocrisia e astrazione elettorale.. Se Mussolini con la sua dittatura ci darà un regime di maggior libertà economica rispetto a quello che abbiamo avuto dalle mafie parlamentari dominanti nell'ultimo secolo, la somma di bene che ne deriverà per il paese da un tale governo, sorpasserà di gran lunga ogni suo male. 
In tal modo,  in questa fase iniziale, Giretti, come gli altri "liberisti", condivise l'interpretazione del fascismo che uno studioso ha attribuito a Luigi Albertini, editore dell'influente Corriere della Sera: esso era "un movimento al tempo stesso anti-bolscevico (nel nome dell'autorità dello Stato) ed economicamente liberale, capace, cioè, di dare nuovo vigore all'idea liberale in Italia."
5. L'omogeneità dei meccanismi illustrati da Basso, nelle varie proiezioni di luogo e di tempo, della dialettica tra capitalismo liberista e fascismi (ovvero, fenomenologicamente, autoritarismi della destra economica), trova poi una spiegazione nella concezione unificante "dell'ordine internazionale del mercato". Questo è appunto il meccanismo ad applicazione unitaria, adattabile sia in funzione dei punti di partenza sociali e istituzionali che di volta in volta fronteggiano la sua applicazione, sia degli strumenti considerati idonei a rendere tale applicazione più efficace.  
"La differenza con l'epoca fascista, a mio modo di vedere, più che in qualità personali di Mussolini (che pure hanno certamente avuto un peso) sta in un fondamentale fattore strutturale e cioè che all'epoca il garante di quello che Polanyi, la cui interpretazione di fondo del fascismo secondo me rimane la più fondata, chiamava "l'ordine internazionale del mercato" (che per lui consisteva in tre pilastri: gold standard, free trade e flessibilità del mercato del lavoro) era lo Stato nazionale, purché ovviamente non democratico (naturalmente per quei paesi che avevano la forza necessaria per non farsi colonizzare). 
La stessa libertà degli interessi capitalistici locali non li spingeva però necessariamente verso la complicità con quella soluzione. 
Emblematico di questo punto di vista un manifesto dell'aprile del '19, pubblicato durante la discussione che avrebbe portato all'approvazione della legge elettorale proporzionale, sottoscritto tra gli altri da Volpe, Gentile e...Einaudi, che caldeggiava un rafforzamento dello Stato contro le "minacce bolsceviche" e le "manovre finanziarie" (traggo le notizie da G. Turi, Giovanni Gentile, Torino, UTET, 2006, pag. 302), da attuarsi tramite un rafforzamento della monarchia e una riduzione della rappresentanza politica a una funzione puramente consultiva
Tradotto in parole povere: si trattava di bloccare quegli elementi di democratizzazione della vita pubblica che rendevano più difficile, e meno credibile agli occhi dei mercati finanziari, attuare le manovre di aggiustamento i cui principali danneggiati erano i lavoratori (ricordate Eichengreen (qui, p.17.1)?).  
Nel rispetto di questi binari, per garantire i quali il fascismo andò al potere, poteva senz'altro esprimersi una cultura tecnocratica anche di alto livello, di cui una dittatura, ancor più libera dopo l'allentamento prima e il crollo di quell'ordine dopo, poteva avvalersi efficacemente.

5.2. Questo però non cambia quelli che erano gli equilibri sociali su cui il regime si reggeva, come non è difficile intuire.
Non solo perché l'Italia all'ordine internazionale del mercato restò abbarbicata fino all'ultimo (le deroghe ad esso, come l'autarchia, ebbero origine nell'esigenza di restare agganciati a quello che ne era l'elemento più importante, cioè il gold standard), o perché lo stesso intervento pubblico fu sollecitato dai grandi interessi economici (l'avevo già ricordato citando Sarti), ma perché più specificamente, come dicono bene Paggi e D'Angelillo (pagg. 73-74):
"...la politica di deflazione inaugurata da Mussolini con il discorso di Pesaro non conosce interruzione anche negli anni della grande crisi. 
Anzi, quando nel 1931 la sterlina sarà costretta ad abbandonare definitivamente il rapporto con l'oro, la lira subirà un'ulteriore rivalutazione.
E' dentro questa cornice di politica monetaria che si realizzano negli anni '30 tutte le grandi operazioni di intervento statale nella struttura bancaria e industriale del paese".
...Per quanto riguarda l'Italia, anche dopo l'abbandono delle vecchie tesi stagnazioniste, rimane indiscutibile il fatto che i grandi processi di ristrutturazione e di modernizzazione verticale che il capitalismo italiano conosce negli anni del fascismo non si tradurranno mai in una espansione orizzontale dell'attività economica".

5.3. Quella di una presunta rottura con il grande capitale è sostanzialmente un'autoapologia dei protagonisti dell'epoca, di cui è bene diffidare profondamente: la storiografia (De Felice in primis, ma poi Petri, Ceva, Zunino, Pavone, eccetera) ha efficacemente mostrato che, di là di frizioni anche di un certo peso (la famosa "porcata", per usare le parole di Agnelli, costituita dall'imposta speciale del 10% sui capitali delle società anonime adottata dal governo nel 1937), i vertici economici del paese non negarono il proprio convinto appoggio al fascismo, che non fece mai mancare loro lauti profitti e disciplina del lavoro, fino nemmeno alla guerra ma al momento in cui l'Italia risultò chiaramente perdente
Così come un certo livello di consenso popolare- in una situazione di perenne stagnazione salariale e provvidenze che comunque non cambiavano una situazione materiale assai modesta (come dimostrano i magri progressi degli indici dei consumi)- non ebbe origine in un particolare miglioramento delle condizioni di vita, quanto in un insieme di manipolazione e mancanza di alternative, a cui pure non mancarono momenti di autentico entusiasmo quali la conquista dell'impero e soprattutto Monaco (anche qui, bibliografia a richiesta :-)).
 

5.4. Il mio pensiero è che oggi le costituzioni socialdemocratiche impediscono di fondare la restaurazione dell'ordine internazionale "nello Stato", che deve quindi in prima battuta essere neutralizzato: gli effetti di una tale assalto possono forse risultare perfino più distruttivi di un blocco posto a un'evoluzione democratica in una fase precedente. 
Quando voglio deprimermi, mi domando se con una Costituzione come la nostra non abbiamo osato troppo, se l'ondata distruttiva non sarebbe stata più contenuta se ci fossimo accontentati di qualcosa in meno".

6. Potrei ancora citare altre fonti a conferma di questa interpretazione (ma rinvio a questo quadro riassuntivo di Bazaar). Ciò che importa è comprendere l'applicazione del meccanismo dell'ordine internazionale del mercato (free-trade, gold standard o euro, flessibilizzazione del lavoro-merce) ottenuta tramite i trattati €uropei: questi, dovremmo ormai saperlo, furono promossi e sospinti dall'interesse degli USA che, infatti, sul fascismo, a loro tempo, ebbero questa posizione (sempre grazie ad Arturo e a Francesco; v. addendum):
"Qui, da Francesco Maimone, la definizione data al fascismo da Lelio Basso, estremamente utile per riconoscere il fenomeno nelle sue forme attuali al di là di nominalismi che non sono più indicativi della sua sostanza nel contesto storico dell'€uropeismo:
“Sotto il nome “fascismo” si intendono spesso cose diverse. 
A me sembra che il significato essenziale di esso possa individuarsi in un regime che voglia GARANTIRE IL POTERE ASSOLUTO DI FATTO (non importa se rivestito di apparenze democratiche) AL GRANDE CAPITALE ALLEATO CON IL CAPITALISMO DI STATO e con il personale politico dirigente, e che si sforzi di ottenere per questo suo regime l’adesione popolare, grazie alla diseducazione, al conformismo, al qualunquismo, alla depoliticizzazione, ecc. Vi sono dunque nel fascismo due facce, due momenti: quello dell’autorità, del potere assoluto, della forza, e quello della supina acquiescenza, del conformismo, della abdicazione popolare.

Questa abdicazione, questa acquiescenza si possono ottenere in vari modi: di solito partendo da una crisi di sfiducia e di qualunquismo (dovuta alle conseguenze di una guerra o di una crisi economica) … ricorrendo ALLA SISTEMATICA DISEDUCAZIONE DELLE COSCIENZE GRAZIE ALLA PAURA, ALLA RETORICA, alla propaganda, alle “human relations” magari alla soddisfazione materiale, infine FORGIANDO ATTRAVERSO LA SCUOLA E I MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA UN TIPO DI UOMO STANDARD educato a credere ed a ubbidire, un uomo dallo spirito gregario …[L. BASSO, Dialogo fra generazioni di italiani nell’inchiesta sugli anni difficili, in Il Paradosso, aprile-giugno 1960, n. 22, 38-40]."
Capite: il fascismo, come fenomeno di regime instaurato dall'oligarchia capitalista, è sempre, si dice organicamente, un fenomeno proprio di chi controlla i mezzi di comunicazione di massa e la "scuola", al fine di creare un uomo "standard", educato a credere e perciò a ubbidire...

7. Questi sono invece dei chiarimenti storici fornitici da Arturo ed attinenti alla connessione del fascismo con il paradigma socio-politico dominante negli stessi USA: questi potevano essere assunti, già allora, come l'epicentro del potere economico-finanziario mondiale, almeno quanto all'approccio ideologico dominante prima della crisi del 1929 (riproposto nell'idea del federalismo europeo come suo principale strumento di restaurazione):
"Bersani ha anche detto che bisogna garantire la fine della legislatura “all’Europa e ai mercati” (pure, buoni ultimi, “agli italiani”, a cui forse sarebbe invece il caso di garantire il rispetto della Costituzione).
Se ci si deve meritare la sospirata “fiducia” dei mercati effettivamente le elezioni possono diventare un impaccio.
Lo illustra chiaramente la stabilizzazione degli anni Venti (mirata, com'è noto, al ripristino della società censitaria del gold standard e, quindi, pienamente assimilabile a quella conseguente all'adozione dell'euro), su cui merita forse spendere ancora qualche parola, usando, per esempio, un memorandum riservato del 26 dicembre 1927 compilato da Benjamin Strong, all’epoca governatore della FED

Anche mettendo in conto questi punti particolari [le discussioni sul livello della stabilizzazione, che è poi svalutazione salariale mediante disoccupazione diffusa], non ho mai partecipato a una trattativa importante che fosse condotta in maniera così soddisfacente come questa. La ragione veramente sta nel fatto che l’Italia adottò le varie misure preliminari necessarie alle trattative e le eseguì con grande vigore e successo prima di arrivare alla decisione. La maggior parte degli altri paesi che hanno stabilizzato, con la sola eccezione dell’Inghilterra [sic!], non sono riusciti a raggiungere lo stesso risultato in anticipo, e devo dire che vi sono prove di grande autocontrollo e capacità di sacrificio, tali da consentire di realizzare questo programma, secondo i connotati lineari che ha assunto, senza tanti “se” e “ma” e riserve.” (G. G. Migone, Gli Stati Uniti e il fascismo, Feltrinelli, Milano, 1980, pag. 197).
Eh, quando c’era Lui, caro Bersani…
 

8. Non fosse chiaro il discorso, così lo spiega Migone alla pagina successiva:
E’ interessante rilevare come l’autocontrollo ammirato da Strong non consisteva che nei poteri autocratici di cui disponeva Mussolini e che già i partners della Banca Morgan aveva confrontato favorevolmente alle più complesse ed incerte procedure delle democrazia parlamentari europee
Analogamente, lo spirito di autosacrificio a cui egli fa riferimento consiste in realtà nei sacrifici imposti a quelle classi e quelle categorie che erano state colpite dal processo di disinflazione, oltre che dalla repressione dello stato fascista.
Si può, dunque, concludere che il disegno dei banchieri privati americani viene condotto a buon fine dai rappresentati delle principali banche centrali sotto la leadership di Strong – che non manca di compiacersi per il fatto che la stabilizzazione avviene “letteralmente ed esattamente” secondo le indicazioni che egli aveva offerto a Mussolini e a Volpi, in occasione della sua visita a Roma, 18 mesi prima – e malgrado qualche inconcludente tentativo di opposizione di Montague Norman. 

I prestiti concessi all’Italia nei mesi precedenti sono garantiti dal consolidamento della lira italiana, ma soprattutto dal processo di stabilizzazione del regime e del rapporto di forza fra le classi sociali su cui esso poggia, secondo il disegno di ricostruzione e restaurazione che la finanza americana portava avanti con coerenza in tutta l’Europa”.