1. Sappiamo già quale sia l'effetto immancabile e programmatico dell'immissione di forza lavoro proveniente da altri Stati, che risulti sistematica, costante e praticamente illimitata nella durata; questo tipo di immigrazione, corrisponde all'idea (già enaudiana, e, a sua volta, esponenziale "standard" dell'ideologia liberista "free-trade", legata al gold standard, degli inizi del '900) del mercato del lavoro reso illimitatamente flessibile, verso il basso, vanificando ogni possibilità di tutela del lavoro a livello nazionale e in conformità alle fondamentali previsioni costituzionali e internazionali mirate a tutelarle: il paradosso massimo sta nella definizione (sempre einaudiana), nell'ottica neo-liberista e free-trade, di questa tutela della dignità umana come "protezionismo operaio" (!) e persino "guerrafondaio" (!!).
Impostasi questa ideologia, delle elites "cosmopolite" (qui, p.2), determinativa dell'assetto globalizzato del mercato del lavoro e delle retribuzioni "competitive", - totalmente contraria agli artt.1, 4 e 36 della Costituzione nonché, particolare oggi del tutto censurato, all'art.23 della dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo delle NU (qui, p.6)-, nell'unità di tempo (cioè in quella sua frazione convenzionale, mese o anno, statisticamente considerabile), si può constatare come residui solo un limite fisico nella capacità di trasporto di tale massa di forza lavoro.
Si considera cioè auspicabile, in questo frame politico-economico mainstream, un trasporto su scala industriale intercontinentale, posto in essere da organizzazioni apposite, composte però da soggetti che, secondo la legge internazionale, andrebbero definiti come "trafficanti di esseri umani".
Questi, come tali, teoricamente, andrebbero contrastati e sottoposti a processo penale: soprassiediamo sull'evidente "non" effettività di una disciplina come quella linkata, anche solo assumendo il punto di vista delle limitate possibilità nazionali; per l'Italia si tratta, immancabilmente, di una disciplina recettiva di un direttiva UE su "repressione e prevenzione", che di tutto si occupa fuorché di predisporre strumenti realmente concreti ed efficaci a tali fini.
2. Diamo inoltre per scontato che il protocollo addizionale della convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria, firmata a Palermo, Italia, nel dicembre 2000, - nell'ambito della più ampia Convenzione contro la criminalità organizzata- sia sostanzialmente inefficace. Anzitutto, perché ce lo dicono gli effetti concreti della difficoltosa e scarsa applicazione del protocollo stesso (tra l'altro ormai "invecchiato" di fronte all'attuale evoluzione del fenomeno), a fronte di un fenomeno in crescita esponenziale; in secondo luogo, perché tale disciplina lascia sostanzialmente agli Stati, singolarmente e unilateralmente, una repressione che può operare solo a delitto consumato e circoscrivendo le possibili indagini solo sugli effetti, e su limitati livelli di esecutori e organizzatori, e in nessun modo imperniata sulle fasi organizzative "prime" poste in essere dai vertici che dirigono e coordinano effettivamente il fenomeno.
La disciplina del protocollo, d'altra parte, risulta del tutto vaga e facoltativa per gli Stati di partenza, e quindi di effettiva organizzazione operativa di tale crimine, non ponendo alcun obbligo sanzionabile di inesecuzione del protocollo a carico di tali Stati (ammesso che vi abbiano aderito ratificandolo) e lasciando agli stessi una facoltatività che risulta completamente irrealistica: una considerazione che dovrebbe ormai risultare ovvia, ma non lo è, a fronte dei rapporti di forza che, nell'ordine internazionale, privilegiano la ben più efficace ricattabilità di tali Stati da parte di quelli politicamente ed economicamente dominanti (v. infra), con riguardo all'imposizione delle "condizionalità" che inducono le condizioni di mancato sviluppo economico, diffuso ed equilibrato, e la disoccupazione che generano la materia prima del traffico stesso.
3. Repressione e prevenzione, di un delitto della massima gravità, quindi, allo stato, sono solo enunciate in modo del tutto enfatico e generico, e la disciplina dettata è principalmente volta a tutelare (una parte de) le vittime e soltanto ex post, a delitto avvenuto e consumato, ma non ad impedire realmente che il delitto si compia: tale disciplina, in effetti, al di là di intitolazioni ad effetto, muove oggettivamente dall'idea, - che mediaticamente si vuole rendere indiscutibile-, che sia impossibile una reale prevenzione, trattandosi di un presunto fenomeno spontaneo "epocale".
E, dunque, sostanzialmente ci si disinteressa di prevedere qualsiasi obbligo attuale, sia delle organizzazioni internazionali che presiedono alla governance economica mondiale che degli Stati, mirato, nel ben noto quadro internazionale dell'azione di questa criminalità super-organizzata, a prevenire realmente che le vittime ci siano.
E stiamo parlando solo delle vittime dirette, ancorché, come considera lo stesso Protocollo, "consensuali", cioè aderenti volontariamente al contratto di trasporto illecito, cioè degli immediati, e certamente coartati, fruitori dello specifico comportamento delittuosto che consiste, appunto, nel trasporto organizzato da criminali, in tutto il suo articolato percorso via terra e via mare, attraverso svariati confini di molteplici Stati e continenti.
4. Ma bisogna fare una doverosa precisazione circa l'oggettivo concetto di vittime di un tale reato; consistendo questo, per definizione, in un comportamento attivo transnazionale, il reato risulta essere socialmente a interesse plurioffensivo strutturale, cioè coinvolge necessariamente esseri umani "danneggiati" anche nel paese d'arrivo, stanti gli effetti oggettivi di destabilizzazione del mercato del lavoro, e quindi sociale, dei paesi riceventi.
In particolare, tale categoria (negletta) di vittime emerge prepotentemente laddove sia subentrata, in una situazione altrettanto notoria ed evidente, una vasta disoccupazione, specie se consapevolmente indotta a livello strutturale, aspetto di cui, nel 2000, il Protocollo non aveva certo tenuto conto.
Il concetto di "vittima" del reato andrebbe quindi logicamente rapportato anche a chi subisce, quale residente (non importa se avente la cittadinanza di tale Stato o meno, v. pp. 3-4) nel paese di destinazione, gli effetti sociali deteriori, oggettivi e manifesti, del delitto, e che sono inevitabilmente conseguenti alla sua commissione.
4.1. Tale concetto esauriente di "vittime", conforme alla indubbia natura economico-sociale del delitto di traffico di esseri umani quale ormai definito dal diritto internazionale, è addirittura ignorato: una tecnica legislativa quantomeno curiosa, dato che equivale al caso in cui si considerino vittime di una rapina solo i passanti presi in ostaggio dai rapinatori nella fuga, ma non i soggetti rapinati e privati dei loro beni, specie se la diminuzione patrimoniale subita li portasse letteralmente sul lastrico.
Infatti, secondo gli economisti dello sviluppo più credibili, gli effetti della immigrazione per motivi di lavoro si risolvono un sistema di controllo del livello retributivo nel paese di destinazione, un controllo (pp.8-8.1) instaurato nell'interesse oggettivo del capitale liberoscambista e che si accompagna intenzionalmente a disoccupazione aggiuntiva con effetti di impoverimento sociale irreversibili, ove il delitto sia, come attualmente si verifica, protratto sistematicamente nel tempo fino a divenire un fenomeno di massa.
5. Ignorare gli effetti complessivi del delitto di "tratta degli esseri umani" e anzi selezionarli arbitrariamente, e contro l'oggettiva realtà del fenomeno, in modo da individuare delle vittime da tutelare e delle vittime i cui interessi necessariamente coinvolti non sono invece considerati meritevoli di tutela, significa varie cose:
5a) che l'organizzazione dei trafficanti viene miopemente circoscritta ai soli vettori ed esecutori materiali del trasporto: un ruolo del tutto simile a quello dei corrieri della droga, non prevedendosi, al di là di enunciati assolutamente generici e non operativi sul piano dell'azione di contrasto, la repressione dei livelli di ideazione, direzione e, soprattutto, finanziamento genetico, dell'attività criminosa;
5b) che il deliberato sacrificio, determinato dall'omissione di ogni previsione e possibilità di tutela effettiva, degli interessi delle ulteriori vittime, consistenti nelle (maggioritarie) fasce economicamente più deboli della comunità sociale che subisce gli effetti dell'immissione della forza lavoro aggiuntiva (oltretutto aggiuntiva a quella già disoccupata entro tale comunità), non può che corrispondere, simmetricamente, alla realizzazione dell'oggettivo interesse di coloro che hanno (anche solo culturalmente) propugnato, e quindi ideato, l'immigrazione di massa della forza lavoro transcontinentale, e che dunque sono gli oggettivi beneficiari degli effetti strutturali del fenomeno delittuoso: questo interesse elitario viene dunque, per converso, considerato necessariamente meritevole di tutela!
5c) esistono forse dei rimedi possibili a questa inammissibile falla relativa all'effettiva prevenzione e neutralizzazione degli effetti concomitanti, se non principali, dell'attività criminale organizzata. Allo stato della disciplina attuale (recepita dall'Italia), le vittime dirette, selettivamente considerate dalle norme, sono oggetto di tutela, abbiamo visto, ex post, mediante le provvidenze economiche ampiamente riconosciute dalla disciplina in questione, e ottengono comunque un beneficio nella permanenza de facto nello Stato di arrivo.
5d) Ma il principale rimedio dovrebbe essere ovviamente quello di considerare prioritaria, anzitutto, come già nei delitti di mafia, l'identificazione e punizione, senza limiti territoriali, dei finanziatori in apice, ad ogni livello, e degli organizzatori primi del traffico umano.
Questi soggetti di vertice, infatti, ben possono non figurare mai come responsabili in base alle attuali possibilità di indagine e limitarsi a concertare "dall'alto", a livello planetario, attività di istigazione e finanziamento, in loco, di reclutatori, persuasori/induttori all'emigrazione, di vettori, dediti, già a livello esecutivo, ad un'attività indubbiamente coordinata via terra e via mare, e via dicendo.
La struttura organizzatrice di vertice, oggi a contrasto praticamente impossibile (in base a quanto sopra evidenziato), compie un'attività fondamentale e, visti gli effetti attuali, da presumere altresì immancabile, evidentemente pianificata; per agire nella vastità di scenario e di numeri oggi evidente, essa presuppone una forte centralizzazione (prova ne è la sua simultaneità e accelerazione), una ghost institution che soprassiede all'intero fenomeno delittuoso e senza la quale esso sarebbe irrealizzabile nelle attuali modalità e dimensioni.
5e) Sarebbe opportuno, a tal fine, prevedere che le Nazioni Unite, preso atto del fenomeno nelle sue reali modalità globali, stabiliscano un sistema di adeguati incentivi e di sanzioni effettive, a tutti gli Stati dai quali già risulta in essere un imponente flusso in uscita di popolazione, che sia inevitabilmente coinvolta in questo traffico organizzato e criminale, al fine di imporgli l'adozione di una disciplina che stabilisca come grave reato l'attività, univocamente preparatoria del traffico umano, di persuasione e induzione all'emigrazione, identificando ed arrestando, non solo gli operatori locali che si dedicano a queste attività di innesco dell'esecuzione del crimine, ma anche identificando, attraverso meccanismi premiali di attenuazione delle pene, coloro che li hanno dall'esterno finanziati e, comunque, riforniti di informazioni e tecniche comunicative diffuse di reclutamento degli aspiranti immigrati, nonché di strumenti concreti autorganizzazione coordinata;
5f) un secondo genere di rimedi, da adottare in concomitanza con quello appena indicato, è più politico-generale, ma risulta sempre affidabile alle previsioni operative delle Nazioni Unite, in applicazione concreta ed attualizzata (come sempre dovrebbe essere per previsioni di ius cogens di diritto internazionale generale), delle previsioni della dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo, nonché dell'art.55 della Carta (v. p.9). Secondo tali previsioni, teoricamente supreme nei principi comuni alle "nazioni civili", la dignità del lavoro, svolto naturalmente presso la comunità sociale da cui si proviene, assume un valore primario ed inderogabile.
Ora, un fenomeno organizzato e concertato di traffico di esseri umani di queste dimensioni, sfrutta necessariamente condizioni globalmente diffuse di profondo disagio sociale che, di per sè, agevolano, per il capitalismo free-trade globalizzato, l'azione centralizzata e concertata di "prima organizzazione" del traffico sistematico di esseri umani.
5g) Per capirsi, basta fare l'opposto di quanto oggi prospettano le organizzazioni economiche internazionali e gli Stati dominanti, che prevedono presunti "aiuti" finanziari a paesi in fase di sviluppo, ma accompagnati dalle consuete "condizionalità" che incidono solo sul mercato del lavoro e sul welfare di tali popolazioni. Questo intero sistema oggi prevalente si fonda sull'idea free-trade della libera circolazione dei capitali e, quindi, sull'esclusivo obiettivo di rendere appetibile a investitori esteri l'ambiente socio-istituzionale di questi paesi, vietando qualsiasi forma di autoprotezione democratica che consenta lo sviluppo, controllato da Stati effettivamente agenti nell'interesse delle proprie comunità, di un "infant capitalism".
5h) Per definire il modello "in negativo" di cosa fare, basta avere riguardo alle condizionalità imposte dal FMI (qui, sempre p.9 e qui, pp.2-3) e dalla World Bank, (pp-2-3) e, di recente, non casualmente, dalla stessa Merkel (qui, p.2):
Nel tentativo di dare nuovo slancio a questa
presenza, tra le misure proposte per incentivare investimenti privati in
Africa vi sono garanzie di credito all'esportazione per le aziende
tedesche e, al contempo, risorse finanziarie a sostegno dei governi
africani che introducono riforme, soprattutto nel quadro normativo
economico, incluso quello della tassazione, e agiscono con
responsabilità, trasparenza e impegno".
6. Svolte queste premesse, vi riproduco più sotto (p.14), la giustificazione-preambolo che accompagna il regolamento UE del 2014 ( il link vale anche per il testo integrale che vale la pena di leggere) che è alla base delle attuali convenzioni Triton e Sophia, su cui il governo italiano tanto si affanna a cercare delle modifiche per ricondurre "a equità" rispetto agli effetti sul territorio nazionale dell'azione svolta dalle organizzazioni internazionali criminali che si dedicao al "traffico di esseri umani".
Le considerazioni che seguono, integrate con quelle che precedono, dovrebbero consentire a qualsiasi lettore di decifrare la portata fondamentale e le falle della "giustificazione" del preambolo e, successivamente, delle singole disposizioni che compongono il regolamento stesso.
7. La "riconduzione ad equità" delle convenzioni applicative, nei riguardi dell'Italia, del regolamento UE in questione, (una rivendicazione equitativa che è in sè proiezione del principio fondamentale del "rebus sic stantibus" che consente anche il recesso dal trattato, in base all'art.62 della convenzione di Vienna sul diritto dei trattati), si collega proprio a quegli effetti sulle vittime non considerate dalla disciplina penale italiana ed europea nonché dal "protocollo" ONU sopra citato, e, al contempo, fa emergere il simmetrico ed opposto interesse "tutelato" del capitalismo free-trade, vero beneficiario di tali effetti criminali.
Si tratta, per ora, tuttavia, di una rivendicazione equitativa "di fatto", meramente politica (e di portata ed efficacia molto limitate): cioè non dettatta dalla consapevolezza del quadro giuridico qui analizzato, quanto dalla sopravvenuta consapevolezza della perdita di consenso legata alla situazione sociale gravissima scaturita dall'applicazione della Convenzione Triton e dalla più generale adesione acritica alle policies esplicitamente persguite dall'UE.
8. Va perciò considerato riguardo alla sotto-riportata giustificazione dettagliata del regolamento, che l'oggetto e lo scopo (v. regola di interpretazione principale dei trattati, cui il regolamento è pienamente assimilabile, di cui all'art.31 della convenzione di Vienna) del regolamento dovrebbero essere definiti con esattezza e rigore, nel loro fondamento giuridico e nel loro sviluppo regolatorio, proprio in questo genere di preamboli. La dettagliata disciplina che viene poi adottata dovrebbe risultare strettamente consequenziale a tali premesse e comunque doverosamente interpretabile in coerenza con esse.
Ogni dubbio che la susseguente, ed invero pletorica e opaca disciplina, dovesse porre, dovrebbe essere risolto privilegiando il senso obiettivo intendibile secondo buona fede, di tali premesse.
9. Queste, tuttavia, a loro volta, andrebbero intese secondo la norma del trattato da esse fin dall'inizio richiamata: come potete constatare, si tratta dell'art.77 par.2, lettera d) del TFUE.
Si tratta dunque ab initio di una giustificazione che, già nell'ambito della disciplina del superiore trattato che dovrebbe legittimare il regolamento come sua attuazione di buona fede, è esplicitamente circoscritta definendo una ben specifica area di legittimità e coerenza logica delle norme che vengono poi dettate. Questo è il testo del paragrafo 2; la lettera d) è evidenziata:
Articolo 77
(ex articolo 62 del TCE)
1. L'Unione sviluppa una politica volta a:
a) garantire l'assenza di qualsiasi controllo sulle persone, a prescindere dalla nazionalità, all'atto dell'attraversamento delle frontiere interne;
b) garantire il controllo delle persone e la sorveglianza efficace dell'attraversamento delle frontiere esterne;
c) instaurare progressivamente un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne.
9.2. Controllo delle persone e sorveglianza efficace dell'attraversamento delle frontiere esterne, dunque, non possono che essere la finalità essenziale della disciplina del "sistema integrato" e questa previsione deve poter caratterizzare in modo assolutamente vincolante, quale fonte superiore inderogabile, sia il preambolo che il testo del regolamento che, a valle, le convenzioni stipulate in base ad esso. Tutto ciò che, appunto, è a valle, se si pone in contrasto, sia pure in modo dissimulato in base a pletoriche e contraddittorie enunciazioni del regolamento e delle convenzioni, con la norma-obiettivo logicamente prioritaria posta dal trattato, dovrebbe essere ritenuto inefficace e non vincolante, in quanto contrario a una norma elementare dello ius cogens: una fonte pattizia applicativa, è sprovvista di legittimo fondamento se non trova riscontro nel contenuto della norma superiore che conferisce il potere di adottare tale fonte secondaria. I contenuti contrastanti la norma superiore sono cioè da ritenere emanati in "carenza di potere" e privi di effetto giuridico.
10. Come accade, allora, che già leggendo questo preambolo, e a maggior ragione le norme che sono poi poste nel regolamento, si giunga, nel loro combinato disposto, a privilegiare in modo assoluto due finalità antitetiche a questa "sorveglianza efficace dell'attraversamento"?
Le palesi finalità antitetiche sono tali perché compromettono ogni efficacia nella sorveglianza dell'attraversamento delle frontiere esterne UE, ma anche nazionali italiane, in sè considerate come oggetto di una tutela che l'art.79 TFUE lascia alla competenza degli Stati, senza che possa perciò operare, nella radicale carenza di una competenza europea, una legittima sussidiarietà ascendente.
Tali finalità e previsioni regolamentari antitetiche sono principalmente due: l'una riguardante il principio di "non respingimento", contenuto nel trattato, e l'altra concernente l'attraversamento delle frontiere esterne (e italiane), in quanto divenuto, de facto, incondizionatamente ammesso, per chi sia "salvato" in operazioni programmaticamente previste come "ricerca e salvataggio". E ciò, si badi bene, del tutto a prescindere persino dal riconoscimento dei presupposti della protezione umanitaria sussidiaria.
Il fatto compiuto euro-indotto domina: lo stato di cose esplosivo determinato dall'applicazione del regolamento, cioè la presenza in crescita esponenziale di "naufraghi", comunque obbligatoriamente sbarcati in Italia, rende quasi ridicola l'enunciazione di una finalità di "sorveglianza" delle frontiere esterne: indicando che comunque occorre salvare chi sia in condizioni di navigazione pericolose, vietando di accompagnarlo non solo fuori dalle acque che delimitano la missione ma anche oltre (a condizioni enunciate in modo assolutamente generico), si suggerisce di necessità ai trafficanti, naturalmente ben informati sulla regolazione europea, di affidarsi solo a imbarcazioni non in grado di navigare e di creare sistematicamente la situazione di "naufragio". Sarebbero improvvidi se non lo facessero e dovessero perdere imbarcazioni e profitti facendosi intercettare con un'imbarcazione in decenti condizioni di navigazione!
10.1. Diviene così intrinseca al sistema così "imbeccato", nelle sue prevedibilissime modalità, la condizione di minorazione dei naufraghi (prevista dal regolamento come evenienza complementare della principale finalità di "sorveglianza"). Questi naufraghi potranno accampare le aspettative derivanti da una situazione di rischio, scientemente provocato dai trafficanti, per poter eludere ogni finalità di "sorveglianza", e si pongono simultaneamente in una situazione in cui, per la forza dei numeri scaturita dalla rinuncia forzata alla sorveglianza, dovrà riconoscersi senza guardare troppo per il sottile, la "protezione sussidiaria" (sussidiaria rispetto a quella prevista per i veri e propri rifugiati): l'alternativa di rimpatri sistematici viene infatti vanificata da problemi di identificazione e dalla mancanza "tradizionale" di trattati coi paesi di provenienza (diversi da quelli in cui effettivamente sussista la condizione di guerra e persecuzione che giustifica l'applicazione della convenzione sui rifugiati).
Ma, soprattutto, viene vanificata dalla legge dei numeri e del "pareggio di bilancio": elusa in sede applicativa la sorveglianza, e divenuti tutti naufraghi preordinati da menti criminali che sfruttano l'input fin troppo evidente dato dalla disciplina €uropea, il rimpatrio di questa moltitudine sbarcabile solo in Italia, diviene un costo semplicemente insostenibile. E ciò, specie se inevitabilmente cumulato, in base alla stessa disciplina del regolamento, con il permanere dei costi dovuti alla prima ospitalità, identificazione, istruttoria e conseguente permanenza, della moltitudine di naufraghi inevitabilmente "preordinati". Ecco che la "protezione sussidiaria" il "non respingimento" tendono a configurarsi non come clausole complementari ed episodiche di sussidio in via eccezionale alla disciplina sui rifugiati, ma come nuove modalità di attraversamento delle frontiere del tutto alternative alla sorveglianza.
10.2. Queste ultime previsioni (cfr; art.78 par.1 del TFUE), dunque, al di là della loro originaria ed obiettiva ratio ben circoscritta, creano ormai, senza alcuna procedura formale di modifica del trattato UE, una diversa clausola imposta de facto, che dilata in modo smisurato il "non respingimento" rispetto alla convenzione sui "rifugiati" in senso stretto (rispetto a cui doveva appunto porsi come previsione residuale e complementare per casi eccezionali e transitori), e con un'intepretazione del tutto arbitraria sui presupposti stabiliti dal diritto del mare relativamente al soccorso in acque internazionali: le relative "convenzioni" generali non prevedono affatto salvatori in navigazione intrapresa programmaticamente al di fuori di qualsiasi altra finalità e giustificazione che non sia il salvataggio stesso.
Non prevedono, e né potevano legittimamente prevedere (in svuotamento della sovranità territoriale degli Stati, che deve ritenersi indisponibile da parte dei governi), l'ipotesi di sistematica erogazione di un servizio di trasporto, illecito, di esseri umani, organizzato mediante imbarcazioni deliberatamente volte al naufragio, il cui verificarsi il prima possibile diviene l'oggettiva ragion stessa della partenza di natanti. La navigazione illecita, scontando la disciplina €uropea, non ha altro scopo che quello di essere salvati, portando con successo a compimento la consegna del loro carico umano da traffico illecito, v. qui, p.3.
11. L'accoglimento praticamente illimitato di naufraghi e salvati, quindi, scaturisce direttamente dalla disciplina del regolamento, che richiama in modo enfatico e simbolico la difesa delle frontiere esterne, nonché nazionali del paese "ospitante" la missione, ma contiene poi un insieme sistematico di previsioni dettagliate e assolutamente estranee al suo presupposto normativo interno al TFUE: queste previsioni, come si può constatare ad una semplice lettura, condizionano ogni tentativo di sorveglianza, di contrasto e di sbarco al di fuori del "paese ospitante" al vago accertamento futuro di condizioni applicative concrete, relative appunto alla gravità delle dimensioni conclamate e pluriennali del traffico di esseri umani nel Mediterraneo centrale ed alle condizioni dei paesi "terzi "costieri estranei all'UE, su cui sorge la presunzione, praticamente insuperabile all'interno della disciplina regolamentare, della loro inidoneità come porto di destinazione dei naufraghi.
Ma queste condizioni e situazioni, di fatto e politiche, invece, erano ben note e comunque doverosamente conoscibili A PRIORI, cioè occorreva definirne il preciso quadro in base a una ricognizione che avrebbe dovuto costituire il naturale presupposto indispensabile della successiva regolazione €uropea: le clausole che rinviano a vaghi e complessi accertamenti e accordi ulteriori, in assenza dei quali, tutti vanno sbarcati nel "paese ospitante", svuotano di ogni significato normativo e operativo il senso stesso di tale sorveglianza e difesa delle frontiere.
11.1. Basta leggersi i primi, e dunque fondamentalmente caratterizzanti, articoli del regolamento per capire che, in totale spregio dell'art.77, par.2, lett. d), cioè della disposizione del trattato legittimante l'adozione del regolamento stesso, esso si occupa principalmente di estendere il "principio di non respingimento" e di definire una serie di limiti al respingimento stesso che lo "Stato membro ospitante" troverà per sempre inaggirabili.
Già la struttura, oltre che, naturalmente ancor di più, la lettera del regolamento, deragliano dalla giustificazione normativa e dalla defnizione di scopo e oggetto offerte dal preambolo; questo, a sua volta, com'è agevole rilevare dalla sua lettura, è incoerente con l'art.77, par.2, lettera d) e, ancor peggio, con la lettera b) del suo paragrafo 1.
Una grottesca pantomima regolatoria volta in effetti a svuotare di qualunque senso applicativo i superiori principi del trattato, che viene, più che violato, modificato radicalmente senza seguire alcuna procedura legittima da esso prevista.
E ora ci vengono a dire che le convenzioni applicative di tale regolamento non sono modificabili senza il consenso degli Stati compartecipanti!
11.2. In realtà, il problema vero, che pare sfuggire a governi e opinioni pubbliche, sta nella stessa invalidità e inefficacia, del concepimento e dei contenuti di tale disciplina, alla stregua di elementari norme del diritto dei trattati: si vedano, come principi generali disciplinanti siffatte ipotesi di violazioni plateali, e necessariamente riconoscibili ab initio, di norme fondamentali dello ius cogens e delle norme fondamentali del diritto interno gli artt. 53 e 46 della stessa Convenzione di Vienna.
Certo per questi ultimi "Stati membri partecipanti", le convenzioni Triton e in concreto anche Sofia, tutelano fin troppo bene le relative frontiere sia interne, rispetto all'UE, sia esterne, come nel caso di Francia e Spagna, ed evidenziano lo scopo effettivo, incontrovertibile, quanto parimenti contrario a ogni elementare giustificazione in trattati (astrattamente) cooperativi come quelli UE, del regolamento e delle pedisseque convenzioni attuative: scaricare sull'Italia, come "ospitante", peraltro geograficamente inevitabile, - specialmente dopo che la stessa UE si è adoperata a chiudere la concomitante via dei Balcani, pagando, con il contributo italiano (!), profumatamente la Turchia-, ogni rischio e onere di accoglienza.
12. Riassumendo: lo scenario fattuale e applicativo sopra esposto, risulta l'effetto inesorabile del combinato disposto della disciplina in questione, ipocritamente e labilmente collegata alle ben diverse previsioni iniziali del trattato e del diritto del mare: un effetto perseguito estendendo simultaneamente il principio di "non respingimento" oltre ogni logica normativa originaria (degli stessi trattati) e oltre ogni traccia di spirito cooperativo solidale.
Per gli Stati non ospitanti, in danno dell'Itala, si privilegia l'auto-tacitazione cosmetica delle coscienze, col concetto reso generico e tautologico, di "salvataggio" e di paese costiero "terzo" (praticamente mai coinvolgibile negli sbarchi dei "naufraghi" sostanzialmente incentivati) il quale, proprio in virtù delle previsioni del regolamento, e in coordinazione con la sistematica inerzia (italiana ed €uropea) a concludere accordi ai sensi dell'art.79 TFUE (v infra), non può praticamente mai essere destinazione dello sbarco dei salvataggi .
Si tratta, con ogni evidenza, di un patto in cui una parte, lo Stato italiano, in base a non chiare, ma evidentemente sussistenti, condizioni di minorazione della sua capacità di negoziare e di esprimere il proprio libero consenso, assume tutti gli oneri e i costi del perseguimento di un interesse molto concretamente comune, mentre le altre parti non solo apportano contributi meramente simbolici, ma lo fanno nel senso di blindare l'esclusività dell'onere riversato sul territorio nazionale italiano, in modo da perseguire l'interesse nazionale alla difesa delle proprie frontiere, privando però, in aggiunta, l'Italia della propria prerogativa di analoga difesa, che pure il trattato le riconoscerebbe.
13. Le violazioni del trattato, sotto questo profilo, si cumulano e sono destinate ad amplificarsi, rendendo le convenzioni attualmente in contestazione, degli accordi talmente diseguali da risolversi nella sostanziale privazione discriminatoria a carico della sola Italia, di un contenuto essenziale, ed ancora permanente, della sua sovranità NON legittimamente limitabile da alcuna previsione dei trattati: infatti, una volta appurato il contenuto dell'art.77 del TFUE sopra visto, la "prevalenza" oggettiva, - rispetto al principio di "non respingimento"-, della prerogativa giuridica alla difesa delle proprie frontiere, emerge con chiarezza con riguardo a ciascun Stato membro dell'UE, dai successivi artt. 78 e 79. Ne abbiamo già parlato:
2. Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le misure riguardanti:9.1. Lo scopo primario di questo "sistema integrato di gestione delle frontiere esterne" previsto al par.2, lettera d), in base ad un'ovvia (almeno per l'interprete in buona fede) interpretazione sistematica, peraltro, non può che essere quello conforme al dettato della norma primaria posta dal trattato al par.1 dello stesso articolo, in particolare alla lettera b) (evidenziata):
a) la politica comune dei visti e di altri titoli di soggiorno di breve durata;
b) i controlli ai quali sono sottoposte le persone che attraversano le frontiere esterne;
c) le condizioni alle quali i cittadini dei paesi terzi possono circolare liberamente nell'Unione per un breve periodo;
d) qualsiasi misura necessaria per l'istituzione progressiva di un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne;
e) l'assenza di qualsiasi controllo sulle persone, a prescindere dalla nazionalità, all'atto dell'attraversamento delle frontiere interne.
Articolo 77
(ex articolo 62 del TCE)
1. L'Unione sviluppa una politica volta a:
a) garantire l'assenza di qualsiasi controllo sulle persone, a prescindere dalla nazionalità, all'atto dell'attraversamento delle frontiere interne;
b) garantire il controllo delle persone e la sorveglianza efficace dell'attraversamento delle frontiere esterne;
c) instaurare progressivamente un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne.
9.2. Controllo delle persone e sorveglianza efficace dell'attraversamento delle frontiere esterne, dunque, non possono che essere la finalità essenziale della disciplina del "sistema integrato" e questa previsione deve poter caratterizzare in modo assolutamente vincolante, quale fonte superiore inderogabile, sia il preambolo che il testo del regolamento che, a valle, le convenzioni stipulate in base ad esso. Tutto ciò che, appunto, è a valle, se si pone in contrasto, sia pure in modo dissimulato in base a pletoriche e contraddittorie enunciazioni del regolamento e delle convenzioni, con la norma-obiettivo logicamente prioritaria posta dal trattato, dovrebbe essere ritenuto inefficace e non vincolante, in quanto contrario a una norma elementare dello ius cogens: una fonte pattizia applicativa, è sprovvista di legittimo fondamento se non trova riscontro nel contenuto della norma superiore che conferisce il potere di adottare tale fonte secondaria. I contenuti contrastanti la norma superiore sono cioè da ritenere emanati in "carenza di potere" e privi di effetto giuridico.
10. Come accade, allora, che già leggendo questo preambolo, e a maggior ragione le norme che sono poi poste nel regolamento, si giunga, nel loro combinato disposto, a privilegiare in modo assoluto due finalità antitetiche a questa "sorveglianza efficace dell'attraversamento"?
Le palesi finalità antitetiche sono tali perché compromettono ogni efficacia nella sorveglianza dell'attraversamento delle frontiere esterne UE, ma anche nazionali italiane, in sè considerate come oggetto di una tutela che l'art.79 TFUE lascia alla competenza degli Stati, senza che possa perciò operare, nella radicale carenza di una competenza europea, una legittima sussidiarietà ascendente.
Tali finalità e previsioni regolamentari antitetiche sono principalmente due: l'una riguardante il principio di "non respingimento", contenuto nel trattato, e l'altra concernente l'attraversamento delle frontiere esterne (e italiane), in quanto divenuto, de facto, incondizionatamente ammesso, per chi sia "salvato" in operazioni programmaticamente previste come "ricerca e salvataggio". E ciò, si badi bene, del tutto a prescindere persino dal riconoscimento dei presupposti della protezione umanitaria sussidiaria.
Il fatto compiuto euro-indotto domina: lo stato di cose esplosivo determinato dall'applicazione del regolamento, cioè la presenza in crescita esponenziale di "naufraghi", comunque obbligatoriamente sbarcati in Italia, rende quasi ridicola l'enunciazione di una finalità di "sorveglianza" delle frontiere esterne: indicando che comunque occorre salvare chi sia in condizioni di navigazione pericolose, vietando di accompagnarlo non solo fuori dalle acque che delimitano la missione ma anche oltre (a condizioni enunciate in modo assolutamente generico), si suggerisce di necessità ai trafficanti, naturalmente ben informati sulla regolazione europea, di affidarsi solo a imbarcazioni non in grado di navigare e di creare sistematicamente la situazione di "naufragio". Sarebbero improvvidi se non lo facessero e dovessero perdere imbarcazioni e profitti facendosi intercettare con un'imbarcazione in decenti condizioni di navigazione!
10.1. Diviene così intrinseca al sistema così "imbeccato", nelle sue prevedibilissime modalità, la condizione di minorazione dei naufraghi (prevista dal regolamento come evenienza complementare della principale finalità di "sorveglianza"). Questi naufraghi potranno accampare le aspettative derivanti da una situazione di rischio, scientemente provocato dai trafficanti, per poter eludere ogni finalità di "sorveglianza", e si pongono simultaneamente in una situazione in cui, per la forza dei numeri scaturita dalla rinuncia forzata alla sorveglianza, dovrà riconoscersi senza guardare troppo per il sottile, la "protezione sussidiaria" (sussidiaria rispetto a quella prevista per i veri e propri rifugiati): l'alternativa di rimpatri sistematici viene infatti vanificata da problemi di identificazione e dalla mancanza "tradizionale" di trattati coi paesi di provenienza (diversi da quelli in cui effettivamente sussista la condizione di guerra e persecuzione che giustifica l'applicazione della convenzione sui rifugiati).
Ma, soprattutto, viene vanificata dalla legge dei numeri e del "pareggio di bilancio": elusa in sede applicativa la sorveglianza, e divenuti tutti naufraghi preordinati da menti criminali che sfruttano l'input fin troppo evidente dato dalla disciplina €uropea, il rimpatrio di questa moltitudine sbarcabile solo in Italia, diviene un costo semplicemente insostenibile. E ciò, specie se inevitabilmente cumulato, in base alla stessa disciplina del regolamento, con il permanere dei costi dovuti alla prima ospitalità, identificazione, istruttoria e conseguente permanenza, della moltitudine di naufraghi inevitabilmente "preordinati". Ecco che la "protezione sussidiaria" il "non respingimento" tendono a configurarsi non come clausole complementari ed episodiche di sussidio in via eccezionale alla disciplina sui rifugiati, ma come nuove modalità di attraversamento delle frontiere del tutto alternative alla sorveglianza.
10.2. Queste ultime previsioni (cfr; art.78 par.1 del TFUE), dunque, al di là della loro originaria ed obiettiva ratio ben circoscritta, creano ormai, senza alcuna procedura formale di modifica del trattato UE, una diversa clausola imposta de facto, che dilata in modo smisurato il "non respingimento" rispetto alla convenzione sui "rifugiati" in senso stretto (rispetto a cui doveva appunto porsi come previsione residuale e complementare per casi eccezionali e transitori), e con un'intepretazione del tutto arbitraria sui presupposti stabiliti dal diritto del mare relativamente al soccorso in acque internazionali: le relative "convenzioni" generali non prevedono affatto salvatori in navigazione intrapresa programmaticamente al di fuori di qualsiasi altra finalità e giustificazione che non sia il salvataggio stesso.
Non prevedono, e né potevano legittimamente prevedere (in svuotamento della sovranità territoriale degli Stati, che deve ritenersi indisponibile da parte dei governi), l'ipotesi di sistematica erogazione di un servizio di trasporto, illecito, di esseri umani, organizzato mediante imbarcazioni deliberatamente volte al naufragio, il cui verificarsi il prima possibile diviene l'oggettiva ragion stessa della partenza di natanti. La navigazione illecita, scontando la disciplina €uropea, non ha altro scopo che quello di essere salvati, portando con successo a compimento la consegna del loro carico umano da traffico illecito, v. qui, p.3.
11. L'accoglimento praticamente illimitato di naufraghi e salvati, quindi, scaturisce direttamente dalla disciplina del regolamento, che richiama in modo enfatico e simbolico la difesa delle frontiere esterne, nonché nazionali del paese "ospitante" la missione, ma contiene poi un insieme sistematico di previsioni dettagliate e assolutamente estranee al suo presupposto normativo interno al TFUE: queste previsioni, come si può constatare ad una semplice lettura, condizionano ogni tentativo di sorveglianza, di contrasto e di sbarco al di fuori del "paese ospitante" al vago accertamento futuro di condizioni applicative concrete, relative appunto alla gravità delle dimensioni conclamate e pluriennali del traffico di esseri umani nel Mediterraneo centrale ed alle condizioni dei paesi "terzi "costieri estranei all'UE, su cui sorge la presunzione, praticamente insuperabile all'interno della disciplina regolamentare, della loro inidoneità come porto di destinazione dei naufraghi.
Ma queste condizioni e situazioni, di fatto e politiche, invece, erano ben note e comunque doverosamente conoscibili A PRIORI, cioè occorreva definirne il preciso quadro in base a una ricognizione che avrebbe dovuto costituire il naturale presupposto indispensabile della successiva regolazione €uropea: le clausole che rinviano a vaghi e complessi accertamenti e accordi ulteriori, in assenza dei quali, tutti vanno sbarcati nel "paese ospitante", svuotano di ogni significato normativo e operativo il senso stesso di tale sorveglianza e difesa delle frontiere.
11.1. Basta leggersi i primi, e dunque fondamentalmente caratterizzanti, articoli del regolamento per capire che, in totale spregio dell'art.77, par.2, lett. d), cioè della disposizione del trattato legittimante l'adozione del regolamento stesso, esso si occupa principalmente di estendere il "principio di non respingimento" e di definire una serie di limiti al respingimento stesso che lo "Stato membro ospitante" troverà per sempre inaggirabili.
Già la struttura, oltre che, naturalmente ancor di più, la lettera del regolamento, deragliano dalla giustificazione normativa e dalla defnizione di scopo e oggetto offerte dal preambolo; questo, a sua volta, com'è agevole rilevare dalla sua lettura, è incoerente con l'art.77, par.2, lettera d) e, ancor peggio, con la lettera b) del suo paragrafo 1.
Una grottesca pantomima regolatoria volta in effetti a svuotare di qualunque senso applicativo i superiori principi del trattato, che viene, più che violato, modificato radicalmente senza seguire alcuna procedura legittima da esso prevista.
E ora ci vengono a dire che le convenzioni applicative di tale regolamento non sono modificabili senza il consenso degli Stati compartecipanti!
11.2. In realtà, il problema vero, che pare sfuggire a governi e opinioni pubbliche, sta nella stessa invalidità e inefficacia, del concepimento e dei contenuti di tale disciplina, alla stregua di elementari norme del diritto dei trattati: si vedano, come principi generali disciplinanti siffatte ipotesi di violazioni plateali, e necessariamente riconoscibili ab initio, di norme fondamentali dello ius cogens e delle norme fondamentali del diritto interno gli artt. 53 e 46 della stessa Convenzione di Vienna.
Certo per questi ultimi "Stati membri partecipanti", le convenzioni Triton e in concreto anche Sofia, tutelano fin troppo bene le relative frontiere sia interne, rispetto all'UE, sia esterne, come nel caso di Francia e Spagna, ed evidenziano lo scopo effettivo, incontrovertibile, quanto parimenti contrario a ogni elementare giustificazione in trattati (astrattamente) cooperativi come quelli UE, del regolamento e delle pedisseque convenzioni attuative: scaricare sull'Italia, come "ospitante", peraltro geograficamente inevitabile, - specialmente dopo che la stessa UE si è adoperata a chiudere la concomitante via dei Balcani, pagando, con il contributo italiano (!), profumatamente la Turchia-, ogni rischio e onere di accoglienza.
12. Riassumendo: lo scenario fattuale e applicativo sopra esposto, risulta l'effetto inesorabile del combinato disposto della disciplina in questione, ipocritamente e labilmente collegata alle ben diverse previsioni iniziali del trattato e del diritto del mare: un effetto perseguito estendendo simultaneamente il principio di "non respingimento" oltre ogni logica normativa originaria (degli stessi trattati) e oltre ogni traccia di spirito cooperativo solidale.
Per gli Stati non ospitanti, in danno dell'Itala, si privilegia l'auto-tacitazione cosmetica delle coscienze, col concetto reso generico e tautologico, di "salvataggio" e di paese costiero "terzo" (praticamente mai coinvolgibile negli sbarchi dei "naufraghi" sostanzialmente incentivati) il quale, proprio in virtù delle previsioni del regolamento, e in coordinazione con la sistematica inerzia (italiana ed €uropea) a concludere accordi ai sensi dell'art.79 TFUE (v infra), non può praticamente mai essere destinazione dello sbarco dei salvataggi .
Si tratta, con ogni evidenza, di un patto in cui una parte, lo Stato italiano, in base a non chiare, ma evidentemente sussistenti, condizioni di minorazione della sua capacità di negoziare e di esprimere il proprio libero consenso, assume tutti gli oneri e i costi del perseguimento di un interesse molto concretamente comune, mentre le altre parti non solo apportano contributi meramente simbolici, ma lo fanno nel senso di blindare l'esclusività dell'onere riversato sul territorio nazionale italiano, in modo da perseguire l'interesse nazionale alla difesa delle proprie frontiere, privando però, in aggiunta, l'Italia della propria prerogativa di analoga difesa, che pure il trattato le riconoscerebbe.
13. Le violazioni del trattato, sotto questo profilo, si cumulano e sono destinate ad amplificarsi, rendendo le convenzioni attualmente in contestazione, degli accordi talmente diseguali da risolversi nella sostanziale privazione discriminatoria a carico della sola Italia, di un contenuto essenziale, ed ancora permanente, della sua sovranità NON legittimamente limitabile da alcuna previsione dei trattati: infatti, una volta appurato il contenuto dell'art.77 del TFUE sopra visto, la "prevalenza" oggettiva, - rispetto al principio di "non respingimento"-, della prerogativa giuridica alla difesa delle proprie frontiere, emerge con chiarezza con riguardo a ciascun Stato membro dell'UE, dai successivi artt. 78 e 79. Ne abbiamo già parlato:
"Va infatti ricordato che l'art.78 TFUE sopra citato, se letto in buona fede, si riferisce chiaramente a flussi peculiari, cioè determinati da eccezionali e imprevedibili eventi circoscritti a uno "Stato terzo" manifestamente in stato emergenziale, e non coinvolgenti in modo stabile e prolungato, data l'evidente ratio di eccezionalità della normativa, intere aree continentali o addirittura interi continenti.
Ce lo conferma lo stesso trattato: al successivo art.79, infatti, l'Unione nel configurare una "politica comune" di gestione dei flussi migratori:
a) si pone, al par.1, l'obiettivo prioritario del "contrasto rafforzato alla immigrazione illegale e alla tratta degli esseri umani".
E dov'è tale azione comune di contrasto rafforzato,
che è evidentemente diversa dal principio del "non respingimento" e
della protezione sussidiaria e dei rifugiati, che riguarda situazioni
eccezionali e imprevedibili?;
b) enuncia il seguente fondamentale principio (par.5): "Il presente articolo non incide sul diritto degli Stati membri di determinare il volume di ingresso nel territorio dei cittadini di paesi terzi, provenienti da paesi terzi, allo scopo di cercarvi un lavoro indipendente o autonomo";
c)
infine, volendo attribuire alla normativa europea una certa previdenza
sugli esiti emergenziali dei principi dell'art.78, lo stesso art.79, al
par.3, mostra come la degenerazione, fuori dai suoi presupposti giustificativi nel trattato, di una fase emergenziale non si risolva con la permamente apertura delle frontiere che, anzi, fuori
dalle condizioni di imprevedibiltà, origine circoscritta ed
eccezionalità, (caratteri che la dimensione e la durata attuale del
fenomeno ormai smentiscono), deve considerarsi non consentita e da correggere senza indugio.
Ed infatti, il par.3 così prevede:
E dove sono, dopo anni e anni di incremento vertiginoso del fenomeno della immigrazione illegale (ce lo dicono le statistiche) questi accordi, coi ben identificabili paesi terzi, per il rimpatrio di coloro che non soddisfano ora e poi le condizioni di ingresso in €uropa?""L'Unione può concludere con i paesi terzi accordi ai fini della riammissione, nei paesi di origine o di provenienza, di cittadini di paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni per l'ingresso, la presenza o il soggiorno nel territorio di uno degli Stati membri".
14. Da ultimo, poi, va detto, se pure ce ne fosse bisogno, che una legittimità di questo ribaltamento delle previsioni fondamentali del trattato ad opera del contenuto e degli effetti perseguiti col regolamento in questione - e quindi con le pedisseque "convenzioni" che ora ci si accorge pesare insostenibilmente sulla comunità sociale italiana-, non potrebbe certamente fondarsi sul piano costituzionale v. p.7:
Ecco dunque il testo della "giustificazione-preambolo" del regolamento UE, sul quale mi auguro di aver fornito sufficienti elementi interpretativi per comprendere le gravi problematiche che esso comporta e le auspicabili soluzioni ad esse che possano ripristinare un minimo di legittimità costituzionale e di rispetto del diritto internazionale generale, nella situazione attuale attraversata dall'Italia:
REGOLAMENTO (UE) N. 656/2014 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO
del 15 maggio 2014
recante norme per la sorveglianza delle frontiere
marittime esterne nel contesto della cooperazione operativa coordinata
dall’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle
frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea
IL PARLAMENTO EUROPEO E IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA,
visto il trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in particolare l’articolo 77, paragrafo 2, lettera d),
vista la proposta della Commissione europea,
previa trasmissione del progetto di atto legislativo ai parlamenti nazionali,
deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria (1),
considerando quanto segue:
(1)
|
L’obiettivo della politica dell’Unione
nel settore delle sue frontiere esterne è garantire l’efficiente
controllo dell’attraversamento delle frontiere esterne, anche attraverso
la sorveglianza di frontiera, contribuendo nel contempo a proteggere e
salvare vite. La sorveglianza di frontiera serve a impedire
l’attraversamento non autorizzato delle frontiere, contrastare la
criminalità transfrontaliera e fermare le persone entrate illegalmente o
ad adottare altre misure nei loro confronti. Tale sorveglianza dovrebbe
essere svolta efficacemente in modo da impedire alle persone di eludere
le verifiche ai valichi di frontiera e da dissuaderle dal farlo. Per
questo la sorveglianza di frontiera non si limita alla localizzazione
dei tentativi di attraversamento non autorizzati delle frontiere, ma
comprende anche iniziative quali l’intercettazione di natanti sospettati
di voler entrare nell’Unione senza sottomettersi alle verifiche di
frontiera, così come le modalità d’applicazione volte ad affrontare le
situazioni, come le ricerche e il soccorso, che possono verificarsi
durante un’operazione marittima di sorveglianza di frontiera, nonché
quelle volte a portare a buon fine tale operazione.
|
(2)
|
Le politiche dell’Unione nella gestione
delle frontiere, dell’asilo e dell’immigrazione e la loro attuazione
dovrebbero essere governate dal principio di solidarietà e di equa
ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri ai sensi
dell’articolo 80 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea
(TFUE). Ogniqualvolta necessario, gli atti dell’Unione adottati
nell’ambito di tali politiche devono contenere misure appropriate ai
fini dell’applicazione di tale principio e promuovere la ripartizione
degli oneri anche attraverso il trasferimento, su base volontaria, dei
beneficiari di protezione internazionale.
|
(3)
|
L’ambito di applicazione del presente
regolamento dovrebbe essere limitato alle operazioni di sorveglianza di
frontiera condotte dagli Stati membri alle loro frontiere marittime
esterne nel contesto della cooperazione operativa coordinata
dall’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle
frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea (l’«Agenzia»),
istituita dal regolamento (CE) n. 2007/2004 del Consiglio (2).
Le misure investigative e repressive sono disciplinate dal diritto
penale nazionale e dai vigenti strumenti di assistenza giudiziaria nel
settore della cooperazione giudiziaria in materia penale nell’Unione.
|
(4)
|
L’Agenzia è incaricata del
coordinamento della cooperazione operativa tra Stati membri nel settore
della gestione delle frontiere esterne, inclusa la sorveglianza di
frontiera. L’Agenzia è altresì incaricata di assistere gli Stati membri
in circostanze che richiedono una maggiore assistenza tecnica alle
frontiere esterne, tenuto conto del fatto che alcune situazioni possono
comportare emergenze umanitarie e il soccorso in mare. Nel contesto
della cooperazione operativa coordinata dall’Agenzia e per il suo
ulteriore potenziamento sono necessarie norme specifiche con riferimento
alle attività di sorveglianza delle frontiere svolte dalle unità
marittime, terrestri e aeree di uno Stato membro alla frontiera
marittima di altri Stati membri o in alto mare.
|
(5)
|
La cooperazione con i paesi terzi
limitrofi è essenziale per impedire l’attraversamento non autorizzato
delle frontiere, contrastare la criminalità transfrontaliera ed evitare
la perdita di vite umane in mare. Conformemente al regolamento (CE)
n. 2007/2004 e purché sia garantito il pieno rispetto dei diritti
fondamentali dei migranti, l’Agenzia può cooperare con le autorità
competenti di paesi terzi, in particolare per quanto riguarda l’analisi
del rischio e la formazione, e dovrebbe agevolare la cooperazione
operativa tra Stati membri e paesi terzi. Quando la cooperazione con i
paesi terzi avviene nel territorio o nelle acque territoriali di tali
paesi, gli Stati membri e l’Agenzia dovrebbero osservare norme e
standard almeno equivalenti a quelli stabiliti dal diritto dell’Unione.
|
(6)
|
Il sistema europeo di sorveglianza
delle frontiere (EUROSUR), istituito dal regolamento (UE) n. 1052/2013
del Parlamento europeo e del Consiglio (3),
è inteso a rafforzare lo scambio d’informazioni e la cooperazione
operativa tra gli Stati membri e con l’Agenzia. Ciò deve garantire che
la conoscenza della situazione e la capacità di reazione degli Stati
membri migliorino sensibilmente, anche grazie al supporto dell’Agenzia,
ai fini della localizzazione, della prevenzione e del contrasto
all’immigrazione illegale e alla criminalità transfrontaliera e per
contribuire ad assicurare la protezione e il salvataggio delle vite dei
migranti alle loro frontiere esterne. È opportuno che l’Agenzia, nel
coordinare le operazioni di sorveglianza di frontiera, fornisca agli
Stati membri le informazioni e le analisi che riguardano tali operazioni
a norma di detto regolamento.
|
(7)
|
Il presente regolamento sostituisce la decisione 2010/252/UE del Consiglio (4)
che è stata annullata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (la
«Corte») con la sentenza del 5 settembre 2012 nella causa C-355/10. In
tale sentenza la Corte ha disposto il mantenimento degli effetti della
decisione 2010/252/UE fino all’entrata in vigore di una nuova normativa.
Pertanto, a decorrere dal giorno di entrata in vigore del presente
regolamento, tale decisione cessa di produrre effetti.
|
(8)
|
Durante operazioni di sorveglianza di
frontiera in mare, gli Stati membri dovrebbero rispettare i rispettivi
obblighi loro incombenti ai sensi del diritto internazionale, in
particolare della convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare,
della convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in
mare, della convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio
marittimo, della convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità
organizzata transnazionale e del suo protocollo per combattere il
traffico di migranti via terra, via mare e via aria, della convenzione
delle Nazioni Unite relativa allo status dei rifugiati, della
convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali, del patto internazionale relativo ai diritti
civili e politici, della convenzione delle Nazioni Unite contro la
tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, della
convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo e di altri
strumenti internazionali pertinenti.
|
(9)
|
Nel coordinare le operazioni di
sorveglianza di frontiera in mare, l’Agenzia dovrebbe espletare le sue
funzioni nel pieno rispetto del pertinente diritto dell’Unione, compresa
la carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (la «Carta»), e
del pertinente diritto internazionale, in particolare quello di cui al
considerando 8.
|
(10)
|
Conformemente al regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio (5)
e ai principi generali del diritto dell’Unione, le misure adottate
nell’ambito di un’operazione di sorveglianza dovrebbero essere
proporzionate agli obiettivi perseguiti, non discriminatorie e
dovrebbero rispettare pienamente la dignità umana, i diritti
fondamentali e i diritti dei rifugiati e dei richiedenti asilo, in
particolare il principio di non respingimento (non-refoulement).
Gli Stati membri e l’Agenzia sono vincolati dalle disposizioni
dell’acquis in materia di asilo, in particolare dalla direttiva
2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (6)
per quanto riguarda le domande di protezione internazionale presentate
nel territorio, anche alla frontiera, nelle acque territoriali o nelle
zone di transito degli Stati membri.
|
(11)
|
L’applicazione del presente regolamento
dovrebbe lasciare impregiudicata la direttiva 2011/36/UE del Parlamento
europeo e del Consiglio (7), in particolare per quanto riguarda l’assistenza da fornire alle vittime della tratta di esseri umani.
|
(12)
|
Il presente regolamento dovrebbe essere
applicato nel pieno rispetto del principio di non respingimento quale
definito nella Carta e quale interpretato dalla giurisprudenza della
Corte e della Corte europea dei diritti dell’uomo. Conformemente a tale
principio, nessuno dovrebbe essere sbarcato, costretto a entrare,
condotto o altrimenti consegnato alle autorità di un paese in cui
esista, tra l’altro, un rischio grave di essere sottoposto alla pena di
morte, alla tortura, alla persecuzione o ad altre pene o trattamenti
inumani o degradanti, o in cui la vita o la libertà dell’interessato
sarebbero minacciate a causa della razza, della religione, della
cittadinanza, dell’orientamento sessuale, dell’appartenenza a un
particolare gruppo sociale o delle opinioni politiche dell’interessato
stesso, o nel quale sussista un rischio di espulsione, rimpatrio o
estradizione verso un altro paese in violazione del principio di non
respingimento.
|
(13)
|
L’eventuale esistenza di un accordo tra
uno Stato membro e un paese terzo non esime gli Stati membri dai loro
obblighi derivanti dal diritto dell’Unione e internazionale, in
particolare per quanto riguarda l’osservanza del principio di non
respingimento, quando gli stessi Stati sono a conoscenza, o dovrebbero
esserlo, del fatto che lacune sistemiche nella procedura di asilo e
nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in quel paese
terzo equivalgono a sostanziali motivi per ritenere che il richiedente
asilo rischi concretamente di subire trattamenti inumani o degradanti, o
quando tali Stati sanno o dovrebbero sapere che quel paese terzo mette
in atto comportamenti in violazione del principio di non respingimento.
|
(14)
|
Durante un’operazione di sorveglianza
di frontiera in mare, si può verificare una situazione in cui si rende
necessario prestare assistenza alle persone in pericolo. Ai sensi del
diritto internazionale, ogni Stato deve esigere che il comandante di un
natante battente la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile
adempiere senza mettere a repentaglio il natante, l’equipaggio o i
passeggeri, presti soccorso senza indugio a chiunque sia trovato in mare
in condizioni di pericolo e proceda quanto più velocemente possibile al
soccorso delle persone in pericolo. Tale assistenza dovrebbe essere
prestata indipendentemente dalla cittadinanza o dalla situazione
giuridica delle persone da soccorrere o delle circostanze in cui si
trovano. Il comandante e l’equipaggio non dovrebbero essere passibili di
sanzioni penali per il solo motivo di aver soccorso persone in pericolo
in mare e averle portate in un luogo sicuro.
|
(15)
|
Gli Stati membri dovrebbero ottemperare
all’obbligo di prestare assistenza alle persone in pericolo
conformemente alle pertinenti disposizioni degli strumenti
internazionali che disciplinano le situazioni di ricerca e soccorso e ai
requisiti relativi al rispetto dei diritti fondamentali. Il presente
regolamento non dovrebbe pregiudicare gli obblighi delle autorità
preposte alla ricerca e al soccorso, compreso quello di assicurare che
il coordinamento e la cooperazione siano effettuati secondo modalità che
consentono alle persone tratte in salvo di essere trasferite in un
luogo sicuro.
|
(16)
|
Quando la zona operativa di
un’operazione marittima comprende la regione di ricerca e soccorso di un
paese terzo, è opportuno che all’atto della pianificazione
dell’operazione marittima si cerchi di stabilire canali di comunicazione
con le autorità di tale paese terzo preposte alla ricerca e al
soccorso, assicurando in tal modo che queste ultime saranno in grado di
rispondere a situazioni di ricerca e soccorso che si dovessero
verificare all’interno della loro regione di ricerca e soccorso.
|
(17)
|
Ai sensi del regolamento (CE)
n. 2007/2004, le operazioni di sorveglianza di frontiera coordinate
dall’Agenzia sono condotte conformemente a un piano operativo. Pertanto,
per quanto riguarda le operazioni marittime, il piano operativo
dovrebbe includere informazioni specifiche sull’applicazione della
pertinente giurisdizione e legislazione nell’area geografica in cui
l’operazione congiunta, il progetto pilota o l’intervento rapido hanno
luogo, compresi i riferimenti al diritto dell’Unione e internazionale
sull’intercettazione, il soccorso in mare e lo sbarco. Il piano
operativo dovrebbe essere elaborato conformemente alle disposizioni del
presente regolamento che disciplinano l’intercettazione, il soccorso in
mare e lo sbarco nell’ambito di operazioni di sorveglianza di frontiere
marittime coordinate dall’Agenzia e tenendo conto delle particolari
circostanze dell’operazione interessata. Il piano operativo dovrebbe
comprendere procedure volte ad assicurare che le persone bisognose di
protezione internazionale, le vittime della tratta degli esseri umani, i
minori non accompagnati e altre persone vulnerabili siano identificati e
ricevano un’assistenza adeguata, compreso l’accesso alla protezione
internazionale.
|
(18)
|
Nell’ambito del regolamento (CE)
n. 2007/2004 la prassi è che per ciascuna operazione marittima sia
istituita una struttura di coordinamento nello Stato membro ospitante,
composta da funzionari dello Stato membro ospitante, agenti invitati e
rappresentanti dell’Agenzia, compreso l’agente di coordinamento di
quest’ultima. Tale struttura di coordinamento, generalmente indicata
come centro internazionale di coordinamento, dovrebbe essere usata come
canale di comunicazione tra gli agenti coinvolti nell’operazione
marittima e le autorità interessate.
|
(19)
|
Il presente regolamento rispetta i
diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti dagli articoli 2 e
6 del trattato sull’Unione europea (TUE) e dalla Carta, in particolare
il rispetto della dignità umana, il diritto alla vita, la proibizione
della tortura e di pene o trattamenti inumani o degradanti, la
proibizione della tratta di esseri umani, il diritto alla libertà e alla
sicurezza, il diritto alla protezione dei dati personali, il diritto
all’asilo e alla protezione in caso di allontanamento ed espulsione, i
principi di non respingimento e di non discriminazione, il diritto a un
ricorso effettivo e i diritti del minore. Gli Stati membri e l’Agenzia
dovrebbero applicare il presente regolamento nel rispetto di tali
diritti e principi.
|
(20)
|
Poiché l’obiettivo del presente
regolamento, vale a dire adottare norme specifiche per la sorveglianza
delle frontiere marittime da parte delle guardie di frontiera nelle
operazioni coordinate dall’Agenzia, non può essere conseguito in misura
sufficiente dagli Stati membri a ragione delle loro differenti normative
e prassi ma, a motivo del carattere multinazionale delle operazioni,
può essere conseguito meglio a livello di Unione, quest’ultima può
intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5
TUE. Il presente regolamento si limita a quanto è necessario per
conseguire tale obiettivo in ottemperanza al principio di
proporzionalità enunciato nello stesso articolo.
|
(21)
|
A norma degli articoli 1 e 2 del
protocollo n. 22 sulla posizione della Danimarca, allegato al TUE e al
TFUE, la Danimarca non partecipa all’adozione del presente regolamento,
non è da esso vincolata, né è soggetta alla sua applicazione. Dato che
il presente regolamento si basa sull’acquis di Schengen, la Danimarca
decide, ai sensi dell’articolo 4 di tale protocollo, entro un periodo di
sei mesi dalla decisione del Consiglio sul presente regolamento, se
intende recepirlo nel proprio diritto interno.
|
(22)
|
Per quanto riguarda l’Islanda e la
Norvegia, il presente regolamento costituisce uno sviluppo delle
disposizioni dell’acquis di Schengen ai sensi dell’accordo concluso dal
Consiglio dell’Unione europea con la Repubblica d’Islanda e il Regno di
Norvegia sulla loro associazione all’attuazione, all’applicazione e allo
sviluppo dell’acquis di Schengen (8) che rientrano nel settore di cui all’articolo 1, lettera A, della decisione 1999/437/CE del Consiglio (9).
|
(23)
|
Per quanto riguarda la Svizzera, il
presente regolamento costituisce uno sviluppo delle disposizioni
dell’acquis di Schengen ai sensi dell’accordo tra l’Unione europea, la
Comunità europea e la Confederazione svizzera riguardante l’associazione
della Confederazione svizzera all’attuazione, all’applicazione e allo
sviluppo dell’acquis di Schengen (10)
che rientrano nel settore di cui all’articolo 1, lettera A, della
decisione 1999/437/CE, in combinato disposto con l’articolo 3 della
decisione 2008/146/CE del Consiglio (11).
|
(24)
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Per quanto riguarda il Liechtenstein,
il presente regolamento costituisce uno sviluppo delle disposizioni
dell’acquis di Schengen ai sensi del protocollo tra l’Unione europea, la
Comunità europea, la Confederazione svizzera e il Principato del
Liechtenstein sull’adesione del Principato del Liechtenstein all’accordo
tra l’Unione europea, la Comunità europea e la Confederazione svizzera
riguardante l’associazione della Confederazione svizzera all’attuazione,
all’applicazione e allo sviluppo dell’acquis di Schengen (12),
che rientrano nel settore di cui all’articolo 1, lettera A, della
decisione 1999/437/CE in combinato disposto con l’articolo 3 della
decisione 2011/350/UE del Consiglio (13).
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(25)
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Il presente regolamento costituisce uno
sviluppo delle disposizioni dell’acquis di Schengen a cui il Regno
Unito non partecipa, a norma della decisione 2000/365/CE del Consiglio (14). Il Regno Unito non partecipa pertanto alla sua adozione, non è da esso vincolato, né è soggetto alla sua applicazione.
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(26)
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Il presente regolamento costituisce uno
sviluppo delle disposizioni dell’acquis di Schengen a cui l’Irlanda non
partecipa, a norma della decisione 2002/192/CE del Consiglio (15). L’Irlanda non partecipa pertanto alla sua adozione, non è da esso vincolata, né è soggetta alla sua applicazione
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Grazie Professore.
RispondiEliminaQuanto esposto conferma che il Governo avrebbe tutti gli strumenti forniti dalle leggi ordinarie e dal diritto internazionale per ristabilire il controllo delle frontiere ed implementare tutte le azioni di respingimento del caso.
Non fa nulla di serio semplicemente perché non vuole fare nulla e se manca la volontà politica c'è poco da fare fino alle elezioni...
Li "avrebbe" gli strumenti per ristabilire la legalità: ma consideriamo che finora non risulta che il governo italiano, e tantomeno la Corte costituzionale, abbiano mai ritenuto un regolamento UE, o una convenzione di esso applicativa, contrari al diritto internazionale dei trattati (in specie allo ius cogens) o, come sono inclini a fare i tedeschi (senza alcuna remora), alla Costituzione.
EliminaLa stessa idea che la sovranità fondamentale "minima", cioè la difesa delle frontiere territoriali rispetto al loro "attraversamento", che pure il trattato lascia alla competenza esclusiva dei singoli Stati (per i cittadini extra-UE), debba essere negoziata con la Commissione, corrisponde a quella sistematica deresponsabilizzazione su scelte politiche altrimenti "vincolate" che denota la letterale dissoluzione della sovranità democratica italiana.
In coerenza con ciò, è già iniziata sul mainstream mediatico la campagna di delegittimazione dello ius sanguinis, in quanto legge di origine nazionale, dimenticando che i discendenti sudamericani che vogliono ORA la cittadinanza, fuggono non dalla guerra e dalla fame, ma dalla disoccupazione provocata dalla violenta restaturazione neo-liberista in Argentina e Brasile
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/non-bastavano-migranti-dall-rsquo-africa-sudamerica-rsquo-boom-152319.htm
Temono che questi italiani di ritorno non siano funzionali al disegno di neo-colonizzazione, in quanto saprebbero immediatamente riconoscere la "musica" di repertorio che viene ora suonata in Italia. Per ora si limitano a opporre la dissuasione della lentezza burocratica che avrebbe ben poco senso se fosse vero, come dice Boeri, che gli immigrati "ci pagano le pensioni" a fronte di una crisi demografica.
Gli aventi diritto di "sangue" italiano, nel mondo, sono circa 80 milioni: ma solo per loro, curiosamente, si affaccia l'idea che non potremmo accoglierli tutti (e neanche qualche centinaio di migliaia all'anno), pur essendo legittimati dalla legge attuale.
Ma insomma, la crisi demografica c'è o non c'è?
E se sì, perchè vi si può porre rimedia solo con africani islamici?
Non diró nulla di nuovo ma vogliate perdonarmi qualche considerazione di carattere generale (e superficiale?) che val la pena di tenere in vista, se ritenute valide.
RispondiEliminaGià da tempo sul sito dell'ONU si parla esplicitamente di <>, rendendo chiaro l'aspetto kalergico del fenomeno delle migrazioni sia ai meno "complottisti" che ai più "moralisti".
L'ormai poco opinabile stato di guerra asimmetrica alla quale l'Italia sembra essere assoggettata sta evolvendo dalle iniziali sequenze di una strategia di colonialismo mercantilista, quindi puramente mossa sul piano economico, a quelle odierne, che sembrano muovere le proprie offensive direttamente sul piano sociale.
Credo, infatti, che non ostante i dettami della pratica neoliberista auspichino una deflazione salariale "competitiva" posta in essere dalla presenza di un'elevata disoccupazione strutturale e, a tal fine, pilotino i fenomeni nazionali delle immigrazioni (come sostenuto da Chang), esista un suo limite fisiologico di tolleranza, oltre il quale il vantaggio sul piano economico apportato dalla presenza di un "esercito industriale di riserva", verrebbe compromesso dai suoi effetti negativi sul piano della stabilità sociale (verrebbe da chiedersi, infatti, se i paesi UE che hanno recentemente chiuso le proprie frontiere ai migranti non intendano più godere dei vantaggi delle politiche deflazioniste che hanno perseguito per tutti questi anni...).
Lo/gli stati "aggressori" che avranno raggiunto tale limite dovranno, quindi, porre necessariamente un freno all'apertura delle proprie frontiere per mentenere la/le proprie egemonie nei confronti degli stati da loro posti sotto attacco.
Credo che un importante sintomo del passaggio alla fase sociale della strategia del conflitto asimmetrico di cui l'Italia è uno dei paesi vittima, sia rappresentata dal fenomeno - reale o comunque mediatico e quindi reso tale - dello sviluppo di movimenti di stampo neofascista, storicamente noti per sorgere da forti squilibri sociali e malcontenti popolari sia nelle classi lavoratrici che negli ambiti borghesi (imprenditoriali).
Penso si possa dire che questo "conflitto" (che, se tale è, puó riuscire abilmente ad aggirare le strutture normative che possano ostacolarlo - da cui il post in oggetto -) stia versando all'alba di una nuova fase strategica ed utilizza "bombe" talmente "intelligenti" da renderle visibili soltanto a seguito dei loro effetti sulla stabilità sociale.
La bilancia dei pagamenti italiana non soffre nell’eden €uropeo della massiccia importazione di clandestini . Dopo Auschwitz la deportazione nel nostro paese diventa finalmente lecita . Il campo di concentramento sarà l'efficiente e virtuoso modello urbano prossimo futuro delle nostre città.
RispondiEliminaNella settima riga del mio commento, tra i simboli andava un "replacement migration". Chiedo scusa.
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