Questa seconda parte dell'articolo di Francesco sullo pseudo-concetto ("pseudo" sul piano della gerarchia e della corretta qualificazione delle fonti giuridiche) di "ordine pubblico europeo", entra nel vivo della questione centrale che si pone drammaticamente ai nostri giorni, in un crescendo che si manifesta in situazioni incomprensibili al senso comune e altrettanto dannose per l'ordine pubblico costituzionale.
La questione è come possa accadere che un'organizzazione associativa fra Stati (altrimenti) indipendenti, per di più di natura economico-liberoscambista e settoriale, possa arrivare a erodere, attraverso una serie di autoproclamazioni enfatiche, di esplicita vaghezza precettiva, la parte essenziale della sovranità popolare di singoli Stati-membri, fino al punto da dissolverla (qui, p.2) al di là di qualsiasi giustificabilità di "limitazioni alla sovranità" conformi all'art.11 Cost.
Rammentiamo che deve trattarsi di (mere) limitazioni che mai possono compromettere i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione del 1948 e che, anche laddove questi non siano illecitamente sacrificati (eventualità ormai da escludere sistematicamente alla luce delle applicazioni dei trattati oggettivamente registratesi), devono necessariamente essere rivolte al perseguimento della pace e della giustizia tra le nazioni, in CONDIZIONI DI PARITA' tra gli Stati aderenti a qualsiasi "organizzazione internazionale".
La non configurabilità come fonte di livello costituzionale dei trattati europei è in realtà propria della loro natura di meri trattati economici; il loro legittimo debordare in una pretesa, quanto mai realizzata e realizzabile "Unificazione politica" di tali Stati, è negato dai principali aderenti (v. pp. 1-3).
E, d'altra parte, non potrebbe essere diversamente: la natura derivata e oggettivamente economica dell'ordinamento europeo lo dovrebbe, in linea di diritto, collocare sia al di fuori delle organizzazioni internazionali volte alla pace e alla giustizia tra le nazioni, - e quindi fuori dall'ombrello dell'art.11 Cost. correttamente inteso- sia, di conseguenza, da un rango politico-costituzionale che, risulta essere solo una forzatura imposta dalla autoreferenziale giurisprudenza della Corte europea (qui, in specie, pp. 5-6.2).
Aspetti di cui sono consapevoli le stesse istituzioni europee sulla scorta delle prese di posizione degli Stati "dominanti" che, appunto come emerge in questi giorni rispetto alla Francia, o come già visto rispetto alla Germania, sfruttano abilmente, su temi come gli investimenti di Stati-membri nel loro territorio, o la ripartizione dell'onere dell'immigrazione in funzione deflattiva del costo del lavoro, una visione che è apertamente non cooperativa.
Ed è questo carattere ormai conclamato di non cooperatività, che si rivela nel suo vero volto di asimmetria impositiva rispetto agli Stati divenuti soggetti alla condizionalità imposta dalle nazioni dominanti all'interno dell'Unione; e questa realtà genetica dei trattati sta travolgendo il consenso dei governi degli Stati che hanno prestato unilaterale acquiescenza alla loro inconfigurabile "costituzionalizzazione", gettando i rispettivi popoli nell'incertezza dei più elementari diritti e nel malessere economico permanente di una crescente colonizzazione dei relativi sistemi economici.
L’araba fenice dell’“ordine pubblico”
comunitario
9. Se si è compreso quanto esposto
nella Prima Parte, il confronto tra la categoria di “o.p. costituzionale”
(o interno) ed un presunto “o.p. comunitario” (che pure circola come
concetto nelle aule universitarie italiane) appare quantomeno singolare, se non
proprio azzardato, sotto almeno tre punti di vista.
9.1. In
primo luogo, converrà prima o poi che si comprenda anche nel nostro
Paese – diversamente da quanto accade ormai da trent’anni in
Germania grazie all’opera interpretativa della Corte Costituzionale
tedesca – che il moloch costituito dai Trattati non
può essere assimilato ad una Costituzione come storicamente intesa, sia se
messo a confronto con il costituzionalismo liberale classico sia, a maggior
ragione, se accostato a quello democratico del secondo dopoguerra.
L’Unione Europea, infatti, “è una mera organizzazione di Stati altrimenti
indipendenti…cioè una Staatenverbund, una mera associazione tra Stati priva di
sovranità originaria, cioè che non sia derivata dalla volontà
(intergovernativa) di questi ultimi” che sono e
rimangono ancora i “signori dei Trattati”.
Come sostenuto da M. LUCIANI, quindi,
“… la stessa dinamica autoriproduttiva del diritto
europeo, che la Corte di giustizia sembra asseverare con la sua giurisprudenza,
non può far confondere la condizione
dell’ordinamento eurounitario con quella di un ordinamento statale e far
postulare la sua raggiunta indipendenza e autonomia dagli Stati membri: è
infatti “inconcepibile l’idea che da esso si sviluppi un processo di
autoaffermazione che tenda ad affrancarlo dall’ordinamento interno” [23]
9.2. In
secondo luogo - ed in stretta correlazione a quanto detto al punto precedente – tutti i trattati europei non realizzano e non tutelano diritti fondamentali
sociali.
Se infatti, come si è evidenziato in altre occasioni (v., per
esempio, p. 7.1), i tratti caratteristici del
costituzionalismo democratico del secondo dopoguerra si identificano nella ridislocazione
del potere in capo al popolo (sovranità) e nella funzionalizzazione dello
stesso in vista della piena realizzazione (precettiva ed obbligatoria, mediante
strumentazione pubblicistica ad hoc) proprio
di quei diritti, è semplice constatare come le previsioni dei
trattati in materia non vadano al di là di semplici e ridondanti enunciazioni prive di concreto valore precettivo.
Sotto questo
angolo prospettico, deve essere chiaro che “l'ordine pubblico presenta sempre due aspetti complementari: come nozione
fondamentale si rivela in quanto imperium;
come nozione funzionale coincide invece con un vero instrumentum. Ma in entrambi i casi la nozione rivela la sua stretta CONNESSIONE CON LA TUTELA DI DIRITTI
FONDAMENTALI, posto che è sempre sull'espressione di questi ultimi che
incide ogni manifestazione della nozione in parola” (F. ANGELINI) [24].
9.3. Non
bisogna farsi ingannare, a tal proposito, dalle previsioni del Trattato di Nizza
(denominato retoricamente “Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione Europea”) le quali, se accostate alle
fondamentali disposizioni della democrazia economico-sociale disegnata nella
Costituzione italiana (“uguaglianza
sostanziale” ex art. 3,
comma II e “diritto al lavoro”
ex art. 4 Cost.), si dimostrano
in tutta la loro lapalissiana vetustà.
Ed infatti,
l’art. 20 del Trattato di Nizza si limita a prevedere che “Tutte le persone sono uguali davanti alla
legge”, sancendo perciò una uguaglianza meramente “formale”, implicito
rimando al proto costituzionalismo borghese dell’800.
L’art. 15,
par. 1, prevede a sua volta che “Ogni
individuo ha il diritto di lavorare e di esercitare una professione …”,
e ciò sul presupposto che quell’”individuo” possieda già un lavoro, nessun
obbligo essendo invece posto in capo alle istituzioni europee di promuovere le
condizioni per rendere effettivo tale diritto.
9.4 Quanto
detto è altresì confermato in generale dal fatto che le norme della Carta – secondo
il c.d. principio di attribuzione - restano applicabili entro i
limiti del diritto dell'Unione Europea, ed essa “non introduce competenze
nuove o compiti nuovi per l'Unione” così come non modifica “le competenze e i compiti definiti nei
Trattati” (art. 51, par. 2).
In sintesi, la realizzazione e la tutela
di tutti i diritti fondamentali rimangono
affidate esclusivamente alla competenza degli Stati membri, ai quali la
normativa eurounitaria ha però sottratto progressivamente potere decisionale
(sovranità), dando così vita ad un perverso circolo dall’andamento “uroborico” in forza del quale i diritti fondamentali sociali sono stati intenzionalmente
esclusi.
E ciò ad onta di un’altra corrispondente narrazione euroliberista della
“tutela multivello” approntata per
quegli stessi diritti, e che dovrebbe essere affidata (non si sa come) ad un
improbabile “dialogo” tra diversi plessi giurisdizionali (Corte di Giustizia,
Corte Costituzionale degli Stati membri, CEDU).
9.5. Costituisce
fedele riproduzione di una tale impostura giuridica la giurisprudenza della
Corte di Giustizia, che non pare
essersi mai avviata verso una tutela dei diritti in parola e di cui vanno
segnalati alcuni casi clamorosi (in realtà del tutto normali, alla luce delle
previsioni dei Trattati) di “bilanciamento ineguale”, cioè con prevalenza incondizionata delle libertà economiche rispetto a
diritti riconducibili latu sensu alla
dimensione sociale (si vedano, in particolare, CGE 11 dicembre 2007,
C-438/05, c.d. Viking; 18 dicembre 2007,
C-341/05, Laval; 3 aprile 2008,
C-346/06, Rüffert; 19 giugno 2008,
C-319/06, Commissione/Lussemburgo; e CGE 15 luglio 2010, C-271/08,
Commissione/Germania).
Tanto che rimane attuale la conclusione
manzoniana formulata da D. BIFULCO per cui, raffrontando la disciplina dei
diritti sociali di matrice costituzionale a quella risultante dal diritto
dell'UE, sorge la “stessa perplessità di
Don Abbondio di fronte a Carneade”.
9.6. In
terzo luogo, che non esista alcun o.p.
comunitario autonomo si ricava proprio dall’esame delle disposizioni dei
Trattati.
Le norme comunitarie che pure contengono l’espressione “ordine
pubblico”, infatti, si limitano ad
utilizzare il rinvio a tale nozione come cause di eccezione e di limite – espressamente
previste – all’applicazione
della disciplina comunitaria in favore di norme nazionali.
E così l’art. 36 del TFUE (già
art. 30 del TCE) prevede che il divieto posto agli Stati membri di
stabilire restrizioni quantitative alle importazioni ed esportazioni lascia “impregiudicati i divieti o restrizioni
all'importazione, all'esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine
pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita
delle persone… Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un
mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al
commercio tra gli Stati membri”.
L’art. 45 (già
art. 39 del TCE), in materia di libera circolazione dei lavoratori
comunitari all’interno dell’Unione, al par. 3, ammette limitazioni “giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e
sanità pubblica”, mentre l’art. 52 (già art. 46 TCE), in materia
di diritto di stabilimento di cittadini stranieri negli Stati membri, lascia
impregiudicata “l'applicabilità delle
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che prevedano un
regime particolare… e che siano giustificate da motivi di ordine pubblico,
di pubblica sicurezza e di sanità pubblica”.
Ed ancora, in materia di
divieto di limitazione ai movimenti di capitali tra Stati membri,
l’art. 65 (già art. 58 del TCE), al par. 1, lett. b),
prevede tra le cause di eccezione che gli Stati membri possono applicare al
principio della libera circolazione le “misure
giustificate da ordine pubblico o di pubblica sicurezza”.
Dovrebbe
risultare chiaro che, in tutti i casi esaminati, pur trattandosi di fonti di
diritto comunitario, il concetto di
ordine pubblico fatto valere è riferito esclusivamente agli Stati membri in
favore dei quali sono esclusivamente ammesse le eccezioni richiamate.
10. Dall'insieme
di queste considerazioni pare dunque necessario trarre la conclusione che soltanto di ordini pubblici nazionali sovranamente fondati può parlarsi
(Cfr. M.C. BOUTARD LABARDE) [25], essendo le eccezioni
limitative per motivi di o.p. riconosciute a livello comunitario un’espressa remissione
delle norme pattizie a favore delle norme nazionali, a garanzia e tutela, si
ripete, di principi e interessi
fondamentali dell’ordinamento interno.
Tale è almeno l’interpretazione
che è stata elaborata nella giurisprudenza della Corte di Giustizia in alcune
pronunce degli anni ’70 e con le quali la stessa, lungi però dal fornire una
definizione di o.p. comunitario, si è piuttosto
premurata di adottare sin da subito una interpretazione restrittiva del
concetto, con l’ovvio scopo di limitare
il potere discrezionale (sovrano) degli Stati membri, cioè “in modo che la sua portata non [potesse]
essere determinata unilateralmente da
ciascun Stato membro senza il controllo delle istituzioni comunitarie” [26].
I giudici comunitari avevano però bisogno di spingersi ben oltre.
10.1. La Corte di Giustizia, infatti, in modo categorico ha escluso soprattutto
che la tutela dell'ordine pubblico potesse essere invocata dagli Stati membri
per proteggere interessi di natura economica [27], non ammettendo quindi antinomie fra
ordine pubblico nazionale (=principi e
diritti fondamentali) e normativa comunitaria. E’ proprio in tale contesto
che si è iniziato a vagheggiare, in maniera insensata, un “ordine pubblico
comunitario” identificato in toto,
però, con quello meramente “economico”.
10.2 Quanto detto si ricava dalle conclusioni dell'Avvocato generale Mayras,
nella sentenza del 4 dicembre 1974, causa 41/74 Yvonne van Duyn c. Home Office,
allorché lo stesso affermava che:
“… se esiste un «ordine pubblico comunitario»
nei settori in cui il trattato ha per oggetto o per effetto di trasferire
direttamente alle istituzioni comunitarie poteri una volta esercitati dagli
Stati membri, può trattarsi solo di un
ordine pubblico economico, relativo, a mo' d'esempio, alle organizzazioni
comuni del mercato agricolo, agli scambi commerciali, alla tariffa doganale
comune o al regime della concorrenza”.
In sostanza, ed in modo del tutto autoreferenziale,
l’€uropa cominciava a gettare le basi per la disattivazione sistematica della
“costituzione economica” italiana e, di conseguenza, di tutti i diritti ed i principi
fondamentali.
Ora, se una siffatta interpretazione
desovranizzante risulta plausibile in quanto elaborata dagli organi comunitari
(che per tale specifico scopo sono stati istituiti), risulta francamente incredibile
che alla stessa si siano potuti accodare giuristi ed economisti nonché la stessa
Consulta la quale – come affetta da prosopagnosia giuridica - proprio
in quegli anni, si badi, pure elaborava la citata “teoria dei controlimiti”.
Non può quindi biasimarsi
Umberto Romagnoli se già nel ’75 sosteneva che
“… il silenzio ipocrita del ceto giuridico … non è più colpevole della distrazione del ceto degli economisti. In ogni caso, la complicità di entrambi ha reso possibile che le sole alternative conosciute e praticabili al modo di produzione capitalistico…fossero inghiottite dai ritorni privatistici della costituzione economica materiale”.
11. Dal momento che, per tutte le ragioni spiegate, non esiste e non è mai esistita in senso proprio alcuna
“costituzione europea” (e un corrispondente “ordine pubblico
comunitario”) se non come posticcio Rule of Law
(p. 6.4), non può nemmeno parlarsi di “costituzione economica comunitaria” (o
europea) né, come riflesso di quest’ultima, di un “o.p. economico comunitario”.
Si ribadisce, con le parole di N. IRTI,
che la “decisione di sistema” europea
è “non
costituzionale”, “perché non adottata nell’esercizio di potere
costituente, ma nella veste ordinaria della legge di esecuzione” [28]; decisione di sistema “convenuta nei Trattati e svolta nel diritto
comunitario secondario, ma alla quale non
può darsi né nome né rango di costituzione economica…” [29].
11.1. Tutti i trattati europei delineano, in definitiva, un
“ordinamento” derivato e settoriale con finalità esclusivamente economiche e di
libero scambio in cui il mercato è l’indiscusso protagonista,
un corpus di norme generali di
settore che rappresentano “le strutture
fondamentali e le regole essenziali in materia economica” (G.U. RESCIGNO)
[30], il quale si ispira ad una originaria
e dichiarata fede ordoliberista del tutto divergente
dall'impostazione sociale e solidarista della Carta costituzionale italiana. Il
processo di integrazione europeo - rispondente alle esclusive esigenze
economiche dei grandi gruppi di imprese sovranazionali - deve così essere
inserito nel contesto contrassegnato dal fenomeno della globalizzazione dell'economia.
11.2. Ma se il complesso di norme contenute in tutti i Trattati €conomici
rappresenta di fatto un katéchon invertito, ovvero un insieme giuridico omogeneo avente
funzione conservatrice del mercato a scapito dei diritti fondamentali
dei cittadini, allora di esso – nella sua veste di diritto internazionale privatizzato – deve
parlarsi, semmai, solo in termini di ordine
privato comunitario.
Tale “ordine privato comunitario” ha la funzione di
condurre “… alla trasformazione delle leggi e delle norme, e di ogni
funzione fondamentale di governo, in mera esecuzione dell'assetto che, fin
dall'inizio, i soggetti multinazionali economicamente dominanti volevano
sostituire alle democrazie”.
11.3. Per ciò, ed al di là della cornice nominalistica-cosmetica di
definizioni accettate dai giuspubblicisti, G.U. RESCIGNO ha lucidamente fatto
notare che“… enucleare la
costituzione economica europea [ed il pedissequo concetto di “o.p. economico comunitario”,
N.d.R.] serve o per
sostituire alle disposizioni scritte della nostra Costituzione,
che appaiono o sembrano incompatibili con l’Unione Europea, le disposizioni dei trattati, oppure per
interpretare o reinterpretare le disposizioni della Costituzione italiana, che
restano in tal modo formalmente vigenti, ma solo in quanto e perché conformi ai trattati europei: “COSTITUZIONE ECONOMICA EUROPEA” DIVENTA
COSÌ IL NOME DI QUESTA OPERAZIONE…”
[31].
Basta entrare nel sito della BCE per verificare che la sovversione della Costituzione Repubblicana viene dichiarata 'apertis verbis' nel sito istituzionale.
RispondiEliminahttps://europa.eu/european-union/about-eu/institutions-bodies/european-central-bank_it
"La Banca centrale europea (BCE) gestisce l'euro e definisce e attua la politica economica e monetaria dell'UE."
Con una non piccola contraddizione in termini di aperta illegittimità secondo il diritto europeo, dato che la CGUE esclude che BCE abbia competenze sulla politica economica, in base a un opaco e arzigogolato concetto di politica monetaria, che, a sua volta, contraddice le premesse monetariste che la stessa CGUE enuncia!
EliminaImperdibile l'aporia interna della sentenza sui "meccanismi di trasmissione della moneta" (sono la casa delle "libertà"...persino sulle loro stesse teorie):
http://orizzonte48.blogspot.it/2015/06/la-sentenza-della-corte-uropea-sullomt.html