Poi l'Italia brucia e i viadotti crollano? Accettate virilmente...
1. Un "memorandum" per Pasquetta; una ricorrenza che trascorre, non dico placidamente (dipende dal grado di autonomia di pensiero del singolo rispetto alle ossessive manipolazioni del mainstream mediatico-istituzionale) ma perlomeno in uno stato di quiete.
Esaminiamo perciò, in quieto raccoglimento, alcuni dei dati sull'economia italiana "in breve" offerti dal più recente studio di tale serie compiuto dalla Banca d'Italia: per alcuni potrà risultare una lettura rilassante, in quanto pienamente confermativa delle priorità che un prossimo governo dovrà tentare di affrontare, con auspicabili cambiamenti intelligenti di politiche economico-fiscali.
2. Sceglierò, perciò, pochi dati indicativi, perché eloquenti nel senso appena auspicato.
Anzitutto, cominciamo dall'andamento del PIL scomposto nelle principali componenti della domanda (e già questo rammenta che la domanda - che include la spesa pubblica- è l'aggregato che rappresenta il reddito, ovverosia la capacità di spesa effettuata, prodotto nel Paese):
3. Si può immediatamente notare come la famosa ripresa (fattoide ormai abbandonato in fase post-elettorale, in favore del rinverdito allarme per la tenuta dei conti fiscali e per il debito pubblico-fatepr€sto!) abbia appena riportato il livello dei consumi delle famiglie non a quello del 2007, cioè pre-crisi, ma appena a quello dell'inizio del 2012.
Cioè relativo all'epoca in cui il combinato delle manovre di Tremonti (iniziate peraltro già nell'estate del 2010 sul versante della spesa pubblica strutturale), insieme con quelle di Monti (legge Fornero e patrimoniale sulle prime case incluse), aveva riportato l'Italia in una recessione dalla quale era già uscita nel 2010.
Per consumi e investimenti, ma anche per le esportazioni, quell'iniziale fragile ripresa del PIL (e dell'occupazione) si può riconoscere nel tracciato soprastante: mancava però, appunto, la drastica contrazione indotta delle importazioni che, come ci dice pure Draghi parlando dell'aggiustamento dentro l'eurozona, si può ottenere solo, come disse Monti, con la sua più brutale schiettezza, "distruggendo la domanda interna" (qui, p.10). Cioè, piombando nella caduta verticale che emerge chiaramente dal grafico, sia i consumi - che inizieranno una lenta e ondivaga ripresa solo nella seconda parte del 2014, che, soprattutto, gli investimenti.
L'andamento di questi ultimi, si noti bene (a prescindere dal concomitante calo forzoso delle "importazioni") scende mentre, sempre nello stesso periodo che va dall'inizio 2012 alla seconda parte del 2014, le esportazioni salgono (non in modo spettacolare, inizialmente, ma prendendo l'abbrivio nel corso del 2013).
4. Cosa stava accadendo? L'aggiustamento stava funzionando nel suo modo peculiare, tanto amato dai sostenitori post-litteram (keynesiana e, soprattutto, costituzionale) del gold standard.
E ha funzionato contraendo repentinamente la struttura stessa del capitale; diminuisce la produzione industriale ad un tale livello che fallimenti e disoccupazione vengono acutizzati, in modo del tutto pro-ciclico, sacrificando il benessere e le speranze di lavoro dignitoso di intere generazioni di italiani.
Ora, questo aggiustamento pro-ciclico, svolto nella selezione schumpeteriana degli alberi nella foresta, non è evidentemente piaciuto alla massa degli elettori, in quanto lavoratori che perdono il lavoro o se lo vedono precarizzare, mentre si tagliano pensioni e sanità pubbliche, e neppure alla grande maggioranza dei piccoli e medi imprenditori, sostanzialmente falcidiati dalla corsa alla sopravvivenza export-led - popolo italiano, o tedesco che sia, "esporta o muori!"-, ma certamente è piaciuto alla grande impresa "internazionalizzata" che, nel frattempo, sempre più, passava nel controllo azionario di mani straniere. Il che costituisce un debole richiamo al consenso elettorale...
(Rammentiamo che la parallela esortazione di Hitler al popolo tedesco si accompagnò al fatto che il nazismo non rinunciò mai al gold-standard, esattamente come l'Italia mussoliniana).
5. E lo si può vedere dal sottostante ulteriore grafico Bankitalia. dove la "fiducia" che porta a una certa ripresa degli investimenti lordi non implica una corrispondente crescita complessiva della produzione industriale.
Si badi bene: s'è trattato, evidentemente, di una propensione alla mera ricostituzione di capitale fisico da sostituire, in vista del mantenimento della produzione (solo) esportativa, in luogo della chiusura (darwinistica) che continuava a incombere su tutti gli altri. Una "fiducia" che anticipa, già nel 2013, la vera e propria ripresa (ma sempre moderata) di investimenti e consumi (del 2014).
L'andamento della produzione industriale che ne consegue, perciò, non registra certo un incremento spettacolare, anzi; a malapena, ad oggi, siamo ai livelli del "fatidico" inizio del 2012; segno che la riduzione della capacità industriale si struttura sulla nuova linea della compressione della domanda interna, mentre la fiducia cresce in divergenza dalla stessa produzione industriale, segno che i soggetti che esprimono questa fiducia coincidono con i sopravvissuti nella foresta e non con la platea complessiva degli imprenditori che, prima della crisi, potevano credere di appartenere ad...un'unitaria categoria contrassegnata da interessi omogenei:
5.1. Da rimarcare ancora e a conferma: la produzione industriale, allo stato attuale, è appena tornata ai livelli dell'inizio 2012, segno che, dopo circa 6 anni, la deindustrializzazione ha lasciato il suo retaggio strutturale esattamente come voluto. Sull'aumento delle esportazioni lasciamo la parola (e che parola! Come vedremo...) al Country Report appena sfornato dalla Commissione...
6. Molti altri dati, possono essere considerati, con un minimo di ragionevolezza, e conoscendo i caposaldi della dottrina politico-filosofica del neo-liberismo imposto ai paesi dell'eurozona, nel perfetto schema dell'ordine internazionale del mercato.
E questi dati, specie sull'andamento della spesa pubblica in termini reali, nei settori più nevralgici per la qualità di vita dei cittadini-elettori, li trovate, oltre che nello studio di Bankitalia, anche in questo del Senato, che tiene conto dell'ultima nota di aggiornamento al Def: alcuni dati sono impressionanti, per un lettore dotato di normale senso comune e ordinarie competenze economiche, circa la correlazione tra prolungata contrazione della spesa pubblica, in termini reali e anche nominali, e salute o tenuta del territorio nelle sue più fondamentali infrastrutture di prevalente interesse generale. Come quelli che trovate nella figura 15 dello studio da ultimo linkato, e che dipingono icasticamente (sempre per chi è dotato di buon senso) il futuro di tante categorie di cittadini e lavoratori, come, esemplificando, i pendolari - sempre più precarizzati- che dovranno usare ferrovie e viabilità pubblica senza rischiare la vita...
7. Un addendum conclusivo, però, merita di essere compiuto: Bankitalia ci fornisce l'andamento della posizione patrimoniale netta sull'estero e delle partite correnti della bilancia dei pagamenti:
Nota a margine dell'andamento delle partite correnti: la deflazione salariale da aggiustamento fiscale "giova" alle esportazioni (di merci); ma, naturalmente, non al volume complessivo della coeva produzione industriale, come abbiamo visto e, appunto, dimostra uno stato di salute industriale vitale solo nelle esportazioni.
Il QE di Draghi, a sua volta, ha giovato un pochino al saldo della partita dei "redditi primari" (rimesse dei lavoratori italiani all'estero e compensi dal capitale nazionale investito sempre all'estero; v. poi Country Report della Commissione Ue per il 2018) mentre rimane in deficit e quasi invariata la voce dei "redditi secondari": puri trasferimenti senza contropartita: pensioni dello Stato italiano erogate a non residenti, aiuti internazionali vari - tra cui anche le missioni militari e navali all'estero, di ogni tipo-, e, last but not least, il sistematico trasferimento di risorse all'Ue, in qualità di contributori netti al suo bilancio.
8. La PNE, per suo conto, risulta, allo stato, inferiore al 10% su PIL; e persino l'ultimo Country Report della Commissione Ue, sull'Italia, dà atto che sia solo "lievemente negativa": e ci mancherebbe.
In questo recente paper, infatti, Eurostat, prende atto (senza fare stranamente un classifica) che l'Italia, entro l'eurozona, sta messa certamente meglio di quasi tutti gli altri paesi-membri (...virtuosi? Si vedano, in primis, l'Irlanda, ma anche la Spagna-facciamocome e il Portogallo...), inclusa la Francia (che, pure, può effettuare sistematicamente IDE a credito bancario nazionale politicamente illimitato), e con la sola (ovvia) eccezione di Germania-Olanda-Lussemburgo-Austria e di qualche altro paradiso fiscale societario...
9. Ed è utile rammentare che, in linea di logica economico-finanziaria, lo spread (sui prezzi di collocamento del debito pubblico) dipende in modo preponderante dalla posizione netta sull'estero.
Empiricamente: una forte posizione debitoria patrimoniale corrisponde anche ad una costante ricattabilità di un'economia nazionale, e delle sue istituzioni formalmente democratiche, da parte degli investitori esteri che possono ritirare i capitali se insoddisfatti delle condizioni istituzionali da loro auspicate, e imporre una forte austerità fiscale deflattiva a loro conveniente, che conduce, a sua volta, all'aumento di salvataggi bancari pubblici da insolvenze diffuse nonché all'aumento parallelo della spesa pubblica per varie forme di stabilizzatori automatici per la disoccupazione-precarizzazione, funzionali al costo del lavoro ritenuto "competitivo".
E questo dà luogo ad aumento dei deficit pubblici del paese in posizione negativa, simultaneo al drenaggio di liquidità, con conseguente ricorso crescente, e a tassi sempre più alti, del collocamento del debito pubblico sui "mercati".
10. Il Country Report (pag. 10), peraltro, sottolinea una prospettiva curiosa e quasi sorprendente (almeno per la linea tenuta dall'Italia dal 2011 in esecuzione dell'euro-aggiustamento deindustrializzante e esterocontrollato, quanto alle politiche di crescita "export-led only").
Ve lo riporto perché suscita un certo stupore (sia pure dovendo essere contestualizzato):
11. Tra l'ultima frase ("l'avanzo delle partite correnti rimane superiore al livello suggerito dai fondamentali (+ 0.5% del PIL), il che è in contrasto con un disavanzo dello 0,2% che sarebbe sufficiente per mantenere stabile la posizione patrimoniale sull'estero dell'Italia") e la nota 8 ("il saldo delle partite correnti corretto per il ciclo (o saldo sottostante) in percentuale del PIL è il saldo delle partite correnti che prevarrebbe se l'economia nazionale i suoi maggiori 42 partner commerciali si trovassero al loro PIL potenziale..."), si assiste all'€spressione di un ossimoro ideologico.
Ma allora, visto che il vincolo esterno può anche essere visto in modo Kaldoriano, alla Germania e all'Olanda cosa dovrebbe essere detto? Anzi: prescritto (e sanzionato veramente)?
L'effetto di un invito a essere meno export-led mentre, (nello stesso Report!), si predica il pareggio di bilancio (cfr; pagg. 20 e ss, dove i tagli strutturali della spesa pubblica sono giustificati per il...bene della "produttività") per rispettare la "regola del debito" pubblico, risulta quasi comico, se non fosse tragico: cioè cornuti e mazziati. Ad personam, però...
“… La concezione di uno sviluppo mondiale trainato dalle esportazioni appare anacronistica, in quanto la squilibrata situazione internazionale sembra trovare un correttivo coerente soltanto in un dosaggio opportuno di spinte originate dall’esterno e di una valorizzazione adeguata della domanda interna. E su questo sfondo che altri inascoltati monologhi hanno sottolineato la pericolosità dell’enfasi eccessiva attribuita, in settori autorevoli della letteratura economica, al vincolo della bilancia dei pagamenti. La pericolosità appare duplice.
RispondiEliminaDa un lato, la condanna aprioristica di quel tanto di protezionistico che una politica valorizzatrice della domanda interna inevitabilmente comporta, induce a sorvolare sull’intenso protezionismo praticato dai paesi che occupano una posizione egemone nella economia mondiale…In secondo luogo, divenuta dominante la politica del “vincolo”, il contenimento della crescita del reddito al di sotto del livello potenziale, diventa un fatto di normale accettazione, anziché il risultato di di un attento confronto tra costi e opportunità.
Il pericolo maggiore, comunque, consiste nell’equivoco che l’essere competitivi sul piano internazionale consista soltanto in problemi in senso lato esterni e non anche in problemi che investano l’assetto interno dell’economia.
Affermazioni come quella che “l’allentamento dei vincoli esterni non può che derivare DALL’INCREMENTO DELLE ESPORTAZIONI” rivelano una apoditticità non soltanto in contrasto con l’ovvia interdipendenza che esiste in ogni sistema economico; ma altresì contraddittoria con la contestuale affermazione che “importare di più per produrre e vendere di più rende più vulnerabile il sistema economico” .
Ora, risulta in qualche possibile significato giustificata l’inerzia nei confronti di questa crescente vulnerabilità? Non ne discende l’esigenza di cercare di attenuarla non soltanto con il tramite di essere maggiormente competitivi verso l’esterno, ma altresì con lo sforzo di essere più efficientemente organizzati all’interno?
L’accrescere il valore delle esportazioni, il far dipendere l’andamento economico dalla occasionalità di una ripresa esterna implicano in qualche modo disattenzione di fronte allo SPERPERO DI FORZE DI LAVORO GIOVANILI, al DEGRADO GEOLOGICO, alla dissipazione DEL PATRIMONIO ARCHIEOLOGICO-CULTURALE, alle esigenze del risanamento urbanistico? Si tratta di aspetti tutti, ovviamente non esaurienti, di una politica orientata verso la valorizzazione delle risorse interne che va perseguita in modo coerente, organico, svincolato dalle occasionalità esterne. E, s’intende, anche con l’impiego di strumenti della politica economica adeguati agli obiettivi che si intendono realizzare sul piano interno…” [F. CAFFE’, Vecchio e nuovo protezionismo nel quadro del conflitto tra gli strumenti della politica economica, in In difesa del Welfare State, Torino, 1986, 97-98].
Ad €SSI non interessa nulla delle condizioni interne dei Paesi. Il monologo di cui ci riferisce Caffè lo conosciamo:
“…Un secondo monologo è quello che il Fondo monetario internazionale, con le dichiarazioni del suo massimo esponente operativo, rivolge ad un uditorio mondiale per sostenere L’INEVITABILITÀ DELLE POLITICHE RESTRIZIONISTE cui i paesi deficitari debbono assoggettarsi…Il Fondo, in altri termini, assicura una sua intermediazione sollecitatrice, posto che i paesi interessati si adattino a un processo di aggiustamento concepito in funzione univocamente restrizionista. (segue)
I responsabili della condotta del Fondo sono ormai consapevoli che il tipo di aggiustamento da esso imposto “viene considerato come sinonimo di riduzione della crescita e di regresso economico” . Non contestano che le misure prospettate siano severe, in termini di drastiche contrazioni nelle politiche monetarie e fiscali. Si chiedono, tuttavia, quali sarebbero le alternative aperte ai paesi deficitari in caso di mancato aggiustamento…Più specificamente, il Fondo giustifica ufficialmente il suo operato facendo appello a criteri in senso lato di efficienza, lasciando ai singoli governi di farsi carico del modo in cui i connessi oneri vadano ripartiti tra le varie parti sociali.
RispondiEliminaAnche in tal caso, l’indicazione testuale è esplicita. “Le azioni suggerite (dal Fondo) COMPORTANO COSTI SOCIALI, ma non spetta al Fondo decidere il modo in cui questi costi vadano ripartiti all’interno della collettività considerata, in quanto si tratta di questioni di scelte politiche la cui soluzione spetta ai singoli governi”.
In termini ancora più chiari, il Fondo contesta che rientri tra i suoi compiti quello di associare all’indicazione delle misure restrittive monetarie e fiscali ritenute indispensabili il suggerimento ai governi di priorità da osservare affinché le misure di austerità da adottare vengano rese compatibili con la protezione delle categorie sociali più disagiate.
“Una istituzione internazionale come il Fondo – viene obiettato – NON PUÒ ASSUMERSI IL COMPITO DI DETTARE OBIETTIVI POLITICI E SOCIALI A POTERI SOVRANI. La posizione del Fondo è di dire: in considerazione delle risorse finanziarie esterne di cui il paese può disporre, l’obiettivo di ripristinare una posizione migliorata nella bilancia dei pagamenti in un periodo di tempo ragionevole implica che il paese limiti il consumo interno, accresca il risparmio, ESPANDA LE ESPORTAZIONI. Se il paese è disposto ad assumere misure idonee a raggiungere tali obiettivi, il Fondo concederà il suo aiuto: spetta poi al paese interessato di stabilire le priorità sociali e politiche…” [F. CAFFE’, In difesa del Welfare State, cit., 95-96]. Il vecchio TINA declinato in salsa pseudo-democratica.
Memento icastico di F. Caffè: “… Per esportare di più ci vogliono due condizioni: prima, che si consumi di meno all’interno, seconda che le imprese siano indotte a esportare di più. Per fare questo bisogna fare una politica restrittiva… BISOGNA DARE LE STANGATE FISCALI, quindi tutto il contrario di una politica che porta al rialzo del reddito.
Restringendo il reddito, restringendo la base produttiva ci saranno meno importazioni e metterete in equilibrio la bilancia dei pagamenti. Quando si fa una politica di questo genere si danno delle stangate tali per cui mentre sarebbe stato sufficiente per l’Italia avere il pareggio della bilancia dei pagamenti, adesso…abbiamo un avanzo …; quindi si è passati da una situazione all’altra…” [F. CAFFE’, Keynes, i keynesiani e lo Stato capitalistico moderno, Relazione di Federico Caffè al corso di politica economica del 12 marzo-19 maggio 1979 presso la scuola di formazione sindacale di Ariccia della Cgil. Relazione tenuta il 21 marzo].
Cornuti e stangati
Ovviamente Caffè si riferiva al modo in cui, non casualmente, aveva preso ad agire il FMI (non necessariamente in corretta osservanza di Bretton Woods e dello pseudo-mandato ONU), servendo da modello ad un potenziato trattato europeo che fin dall'inizio doveva imperniarsi sul mercantilismo della Germania ordoliberista.
EliminaMandataria degli USA.
Segnalo ai commentatori che, per cause misteriose, la funzione "commenti" sulla piattaforma del blog risulta...impraticabile. I sistemi di risoluzione del prblema suggeriti non sono stati in grado di risolverlo.
RispondiEliminaI vostri commenti saranno pubblicati non appena possibile...Sperem