«In questo articolo Sofia produce un'efficace e sintetica analisi di diritto comparato in grado di inquadrare l'istituto della prescrizione fornendo dati, commenti e spunti di riflessione che permettono, anche ai non-giuristi, di farsi un'idea sulle differenti componenti del problema da bilanciare. Vengono presi in esame diversi ordinamenti e le pronunce di organizzazioni internazionali: ne emerge che in Italia un problema intorno a questo istituto esiste e che questo ha una dimensione ed un impatto preoccupanti.
L'analisi fornita aiuta ad affrontare criticamente e con coerenti criteri di giudizio - giuridici ed economici - il dibattito politico intorno alla questione della prescrizione dei reati.»
Bazaar
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post di Sofia
1) La
prescrizione e le proposte di modifica normativa.
Senza entrare troppo in aspetti tecnici, (v. qui l’istituto
della prescrizione trattato in dettaglio nell’ambito dell’attività
parlamentare) la prescrizione del reato è la rinuncia dello Stato a far valere
la propria pretesa punitiva, in considerazione del tempo trascorso dalla
commissione del reato.
L'istituto è disciplinato dal codice penale (art. 157
e ss.) e trova fondamento nel fatto che, a distanza di molto tempo, si ritiene
che venga meno l'interesse dello Stato sia a punire un comportamento penalmente
rilevante, sia a tentare il reinserimento sociale del reo.
Nel nostro ordinamento, a partire dal 2005 (legge n.
251 del 2005, c.d. legge ex Cirielli) per calcolare il tempo necessario a
prescrivere un reato si fa riferimento alla pena massima prevista per il reato
stesso, con due limiti: nel caso di delitto, il tempo non può mai essere
inferiore ai 6 anni; nel caso di contravvenzione, non può mai essere inferiore
a 4 anni.
La lunghezza del nostro processo penale, articolato
fino a tre gradi di giudizio, fa sì che siano molti i reati per i quali scatta
la prescrizione, talvolta nonostante il riconoscimento della colpevolezza del
reo in più gradi di giudizio.
Le allarmanti statistiche degli ultimi anni hanno
segnato il dibattito parlamentare su questo tema ed hanno condotto in ad una
prima riforma nell’ambito della XVII legislatura, e all’attuale proposta di
modifica secondo la quale la prescrizione si interrompe una volta che il processo sia
giunto alla prima udienza del primo grado.
Contro questa proposta di modifica si sono levate
molte critiche tra cui, come noto, quella del ministro della Pubblica Amministrazione,
l’avvocato Giulia Bongiorno (Lega), secondo la quale lo stop alla
prescrizione sarebbe una bomba nucleare, perché in questo modo si arriverebbe al
caos e non si fisserebbero più i processi.
Bonafede,
anche in replica alle critiche, aggiunge che, ovviamente, lo stop alla prescrizione non è una
misura che va attuata da sola, ma che va garantito anche il “giusto processo” attraverso
assunzioni massicce di magistrati e personale ausiliario, allargando le piante
organiche dei tribunali, consapevole che non si potrebbe riformare la Giustizia
a costo zero.
Le opinioni che si alternano
nell’ambiente giudiziario non sono concordi: la classe forense è prevalentemente sfavorevole all’eliminazione della
prescrizione in quanto, a parere di molti avvocati penalisti, l’imputato rischierebbe
di rimanere tale a vita.
La magistratura, invece, è prevalentemente
a favore della riforma purché inserita in un contesto di altre riforme per
velocizzare i tempi della giustizia (v.
opinioni del Procuratore Aggiunto Francesco Puleio, del magistrato Nino Di Matteo dell’ex magistrato Gian Carlo Caselli, del
presidente dell’Associazione
Nazionale Magistrati Francesco Minisci, del magistrato Giuseppe
Ayala,) del presidente
della II sezione penale della Corte di Cassazione ed ex PM di Mani Pulite Piercamillo Davigo.
2) L’istituto
della prescrizione in Italia a confronto con altri Paesi.
Resta il fatto che la disciplina italiana della
prescrizione si distingue nettamente rispetto a quella adottata da altri paesi europei (come rilevato anche dall’Associazione Nazionale
Magistrati), ma anche rispetto a quella degli Stati Uniti.
Le
soluzioni accolte dai principali ordinamenti dell’Europa continentale nel disciplinare il rapporto tra termine
di estinzione del reato e tempi del processo vanno nella direzione che il
compimento di determinati atti processuali fa decorrere ex novo il
termine di prescrizione, senza limiti, oppure entro un limite complessivo molto
ampio, pari all’originario termine di prescrizione ovvero a un suo multiplo.
Ad esempio, il codice penale spagnolo stabilisce
che l’effetto estintivo non può maturare nel periodo impiegato dall’ordinamento
per l’esercizio della giurisdizione.
Precisamente, secondo l’art. 132 di tale testo
normativo, la prescrizione (articolata in varie fasce a seconda del livello
della pena astrattamente irrogabile per il reato) si interrompe quando il
procedimento si dirige contro il colpevole, e ricomincia a decorrere dal
momento in cui lo stesso procedimento si paralizza o si conclude con un esito
diverso dalla condanna.
Mentre nel sistema spagnolo la prescrizione è inclusa
tra le cause di estinzione della responsabilità penale, lo stesso istituto
assume una natura processuale nell’ordinamento francese, che colloca nel codice di rito la
disciplina della prescription de l’action publique; tale normativa
prevede l’estinzione dell’azione penale qualora questa non venga esercitata
entro un determinato tempo dalla consumazione del reato.
In ogni caso, nel sistema francese, il termine di
prescrizione dell’azione pubblica per i crimini, la cui durata è pari a dieci
anni, si interrompe con il compimento di qualsiasi atto di istruzione o di
indagine, e riprende a decorrere per un uguale periodo; le interruzioni,
inoltre, possono essere illimitate.
Nell’ordinamento tedesco, il § 78 StGB, che articola l’istituto
della prescrizione sulla base della gravità dei reati, disciplina anche
l’interruzione della prescrizione, prodotta non solo da atti compiuti dal
giudice ma anche da atti della polizia o della Procura della Repubblica, come
il primo interrogatorio dell’accusato. Dopo l’interruzione, il termine di
prescrizione riprende a decorrere ma non può superare il doppio della sua
durata originaria.
L’ordinamento del Regno Unito, com’è tipico della tradizione
giuridica di common law, non contempla l’istituto della prescrizione nella
forma nota ai Paesi di diritto continentale, ma un limite temporale riferito
all’estinzione dell’azione, e non del reato.
Oltrepassando i confini europei, invece, negli Stati Uniti, a differenza che in Italia, il periodo
di tempo necessario perché il reato si estingua deve essere decorso interamente
prima dell'inizio del processo al momento del deposito dell'accusa. Se il
processo viene iniziato la prescrizione non può verificarsi più, quale che sia
la durata del processo stesso.
3) Pronunce
della Corte di Strasburgo e della Corte di giustizia in merito all’istituto
della prescrizione in Italia.
Vi è, poi, un ulteriore aspetto del sistema italiano
di prescrizione, che è stato posto in luce da alcune recenti pronunce della
Corte di Strasburgo: precisamente, la sua incompatibilità con gli obblighi
scaturenti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo in tema di tutela di
determinati diritti fondamentali di particolare rilevanza.
La prima pronuncia ad affrontare la questione è stata
la sentenza emessa il 29 marzo 2011 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo
nel caso Alikaj contro Italia, che ha ravvisato una violazione dell’aspetto
procedurale del diritto alla vita, sancito dall’art. 2 della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo, quando la condanna di un agente dello Stato per
un omicidio illegale (anche se commesso per colpa, e non con dolo) sia impedita
dalla prescrizione, per effetto della durata del processo penale.
Tale sentenza ha fornito una precisa indicazione
sull’incoerenza del modello italiano di prescrizione con gli standard internazionali
di protezione dei diritti umani; essa ha individuato la vera anomalia del
sistema penale italiano non tanto nella lunghezza dei tempi del processo,
quanto nell’effetto estintivo che ne consegue in relazione a un comportamento
lesivo del diritto alla vita, posto in essere da un “agente dello Stato”.
In quest’ottica, la sentenza Alikaj è giunta a
includere la prescrizione nella categoria delle “misure” inammissibili in
quanto produttive dell’effetto di impedire una condanna nonostante
l’accertamento della responsabilità penale dell’accusato.
Il
problema è stato ulteriormente focalizzato dalla sentenza emessa il 1° luglio
2014 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Saba c. Italia, proprio
in relazione al divieto che discende dall’art. 3 della Convenzione. E dalla
sentenza Cestaro del 7 aprile 2015.
Con
le suddette pronunce, la Corte di Strasburgo ha fatto applicazione del
principio, già affermato con riguardo a varie ipotesi di comportamenti contrari
all’art. 2 o all’art. 3 della CEDU denunciati con ricorsi riguardanti altri
Stati, secondo cui i relativi procedimenti penali devono necessariamente
concludersi con una sentenza che accerti, nel merito, le eventuali
responsabilità dei funzionari pubblici coinvolti, e non con una sentenza
dichiarativa della prescrizione.
Il
principio è stato ribadito anche dalla recente sentenza della Corte di
giustizia del 5 dicembre 2017 nella causa C‑42/17.
Secondo queste pronunce, quindi, si sarebbe in
presenza di un vero e proprio deficit strutturale del sistema
italiano, che condiziona pesantemente l’efficacia della repressione penale dei
comportamenti contrari agli artt. 2 e 3 della CEDU.
Peraltro, solo a titolo informativo, con riferimento
alle indagini sui casi di corruzione internazionale, anche l’OCSE (già in un rapporto nel 2012) aveva manifestato le proprie perplessità
sull’istituto della prescrizione italiana
4) Alcuni dati
Le criticità rilevate dall’Associazione
nazionale magistrati sembrano confermate anche dai dati.
Per quanto riguarda il 2016, dalla
Relazione di inaugurazione dell'anno giudiziario del Primo Presidente della Corte di
cassazione si apprende che «negli uffici di merito si registra complessivamente
un apprezzabile aumento delle prescrizioni (139.488, +3,3%). Le prescrizioni
dichiarate dai Tribunali ordinari sono state 31.610 (+6,9 rispetto al periodo
2014-2015) e, per contro, sono diminuite quelle dichiarate dalle Corti di
appello (22.380, -6,6%). La maggior parte delle prescrizioni è dichiarata dagli
uffici GIP, nei procedimenti contro noti e contro ignoti, e negli uffici GUP
(complessivamente 82.923, 59,4%)».
Quanto alla Corte di cassazione, nel
2016 «I procedimenti definiti con dichiarazione di prescrizione del reato (1,3%
del totale delle definizioni) sono stati 767, con un incremento rispetto al
precedente anno di 90 unità».
Da notare, dai dati relativi alla prima
tabella, come il numero dei processi definiti per prescrizione è sempre
crescente, ad evidenziare la tendenza ad allungare i tempi del processo in
attesa (e nella speranza) che maturi la prescrizione.
Così come è da notare che la maggior
parte delle prescrizioni avviene nella fase delle indagini preliminari, il che
dovrebbe essere un dato significativo per comprendere dove e come dovrebbe
intervenire lo Stato, parallelamente all’eventuale riforma della prescrizione.
E da notare anche, nel secondo grafico,
come l’introduzione della prescrizione non abbia affatto diminuito il numero
dei processi come pareva essere nell’intenzione del legislatore.
Dalla disamina dei dati relativi ai
paesi in cui la prescrizione trova dei limiti negli eventi interruttivi
(diversi a seconda dei casi), si evince un aumentano dei patteggiamenti; a
voler significare che l’indagato/imputato, a fronte di prove che sa essere
concrete, e a fronte del fatto che non può contare sulla prescrizione,
preferisce patteggiare sia per ottenere uno sconto della pena, sia una
definizione più celere del giudizio.
In presenza dell’istituto della
prescrizione, invece, pare indubbio che non vi è alcun interesse a patteggiare
e a ridurre i tempi di definizione del giudizio, ma a proporre appelli
infondati o ad attaccandosi ai cavilli legali più svariati pur di allungare i
tempi.
Lo confermerebbero i dati Usa,
dove l’85
per cento degli imputati si dichiarano colpevoli e patteggiano
la
condanna ottenendo così degli sconti di pena. Ma anche quelli inglesi dove solo
il 10 per cento delle persone sotto inchiesta arriva al processo.
Nel nostro Paese invece la situazione è
capovolta: in pochi patteggiano o accedono al rito abbreviato che garantisce
uno sconto di un terzo sulla condanna.
L’applicazione della pena su richiesta,
il cosiddetto “patteggiamento”, è stata utilizzata principalmente nei casi che
hanno riguardato gli imputati per “corruzione” (10,9 per cento delle modalità
di inizio dell’azione penale per il delitto di corruzione) e gli imputati di
“associazione per delinquere” (9,6 per cento delle modalità di inizio
dell’azione penale per associazione per delinquere), ed in ogni caso (ma i dati
coprono solo alcuni anni, v. dati Istat.Tav. 6.13)
al patteggiamento si è arrivati solo nell’1,2% – 1,3% dei casi.
5)
La
riforma proposta.
Ovviamente non
si vogliono esprimere giudizi sull’attuale proposta di modifica normativa che attiene alla
prescrizione, né sull’accordo trovato tra Di Maio e Salvini, ma soltanto fornire un riepilogo delle diverse
posizioni, associate ad alcuni dati, perché ciascuno possa fare le proprie
valutazioni.
Certo è che gli interrogativi che la permanenza della
prescrizione nel nostro sistema penale lascerebbe irrisolti sono molti: in un
sistema davvero civile, sono giustificabili istituti come il patteggiamento
(dove un reo si dichiara colpevole solo al fine di ottenere uno sconto della
pena) o la prescrizione che si risolve in una forma di denegata giustizia per
le vittime dei reati? Si può davvero paragonare la perdita di interesse dello
Stato alla punibilità (posta a giustificazione dell’istituto della
prescrizione) con l’interesse ad ottenere giustizia delle vittime dei reati? Ha
davvero senso, in un epoca in cui vengono imposti tagli e risparmi, mantenere
in vita un istituto come la prescrizione che allunga i tempi della giustizia e
quindi anche i relativi costi? Ma che soprattutto dopo anni di indagini e
processi e impiego di risorse economiche (comprese quelle per gli avvocati nei
casi in cui gli indagati/imputati facciano ricorso al Gratuito patrocinio),
tutto si dissolva nel nulla della prescrizione?
Interrogativi a parte, la modifica parrebbe, comunque, più in
linea con il sistema di giustizia di altri paesi europei (che così spesso
vengono presi ad esempio su altri settori) e si conformerebbe alle pronunce
giurisprudenziali che sopra sono state richiamate.
Occorre anche tenere conto dell’art. 111 della Costituzione
italiana, nel testo novellato dalla legge costituzionale del 23 novembre 1999
n. 2, secondo il quale la giurisdizione si attua mediante il giusto processo
regolato dalla legge, ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti,
in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale e la legge ne
deve assicurare la ragionevole durata.
Il diritto alla ragionevole durata, pur già riconosciuto
dalla Convenzione Europea dei diritti umani del 1950 e dal Trattato di
Amsterdam, ha, con la riforma, acquistato una diversa e maggiore valenza. Ma
occorre fare attenzione quando si tenta di utilizzare l’art. 111 Cost per
giustificare l’introduzione della prescrizione.
Non è la prescrizione a garantire la ragionevole durata del
processo, ma l’efficienza del sistema giudiziario, garantito solo da effettivi
investimenti nell’assunzione di personale amministrativo e da un numero di
magistrati adeguato, nonché da sistemi informatici all’avanguardia.
Suscita, quindi, qualche perplessità l’opinione di chi ritiene che il problema dei processi penali
non è la prescrizione, ma la durata dei processi che deriverebbe dall’applicazione dell’art.
111 Cost., perchè pare evidente che i due aspetti sono strettamente collegati:
i processi penali aumentano perché la prescrizione è un’incentivazione
all’impugnazione, e i tempi processuali si allungano perché l’imputato cerca di
attaccarsi ad ogni cavillo affinchè il trascorrere del tempo possa risolversi
nella prescrizione.
Al contrario, se vi fosse la certezza di arrivare al
processo, l’imputato/indagato avrebbe interesse ad una sollecita definizione
del giudizio e/o a patteggiare (laddove sia al corrente della presenza di prove
forti in proprio danno).
Conseguentemente, tenuto conto che, come
si evince da più fonti, mancherebbero 1200
magistrati, le proteste per le carenze di persone sono sempre
in aumento e le denunce sulla necessità di assumere personale arrivano da parte
di ogni Tribunale d’Italia (v. qui,
qui,
qui,
qui,
qui,
qui
,
qui……),
la riforma Bonafede
non dovrebbe essere dissociata dalle “assunzioni record” di cui egli parla o comunque da maggiori
investimenti in personale, infrastrutture e rinnovo delle tecnologie.
A fronte di un minor carico per ogni singolo
giudice, meglio assistito da cancellieri e polizia giudiziaria, potrebbero
anche funzionare i riti alternativi ed essere smaltito più rapidamente ogni
processo. E gli indagati/imputati, laddove non possano confidare nella
prescrizione, saranno certamente più indotti a patteggiare subito, lasciando al
giudice il tempo per istruire altri processi.
Poichè la stragrande maggioranza dei processi si prescrive nella fase delle indagini preliminari (ove l'indagato è inerme rispetto ai tempi del procedimento, sistematicamente violati - anzi meglio dire impunemente -da PM e GIP) trovo davvero strabiliante affermare che la modifica della prescrizione si risolverebbe in un'accelerazione dei tempi della giustizia. Quanto all'impatto deflattivo sulle impugnazioni (innegabile) forse non sarebbe stato inutile accompagnare l'articolo con qualche dato sulla percetuale delle sentenze di primo grado ribaltate, in senso assolutorio, nei gradi successivi. Giusto per far comprendere se, al solito more italico, non stiamo correndo il rischio di gettare il bambino con l'acqua sporca. Per quel che attiene infine l'analisi comparata dell'istituto prescrizione con altri Paesi, anche qui forse per dare un quadro d'insieme più trasparente, sarebbe stato il caso di spendere qualche parola sullo smodato ricorso alla sanzione penale (di origine fascista e mai emendato anzi incrementato dall'Italia repubblicana) nel nostro ordinamento che ci distacca questo sì dagli altri Paesi cosidetti civili. Non a un caso che nella prima repubblica negli anni dal 1946 al 1990 si contarono circa una trentina di provvedimenti di clemanza generale (amnistia e indulto). Poi venne mani pulite che riformò l'art. 79 Cost. e prima o poi sono certo che arriverà anche questa ennesima riforma per uniformarci agli altri Paesi civili.
RispondiEliminaCiò che si constata è che in italia fare il penalista significa non fare il penalista.
EliminaOvvero significa trovare qualsiasi strategia che porti alle calende greche il processo, snaturandolo.
E questo - indipendentemente dalle garanzie verso gli imputati - è ingiusto.
E a noi non ci basta il diritto, ma pretendiamo la giustizia nel diritto.
Ripeto non faccio il penalista. Da colleghi che invece lo sono sento dire che il potere del difensore di tirarla per le lunghe è per usare il vostro felice lessico un fattoide. Se devo prendere a misura il processo civile del quale ho maggiore dimestichezza non posso che concordare con i miei conoscenti, in quanto da difensore non ho il potere di allungare ne di accorciare il tempo del giudizio di una sola ora. Posso al limite, qualora si tratti di diritti disponibili, spingere il mio assistito ad una transazione, ossia ad una parziale rinuncia, ma nulla più.
EliminaQuanto al pretendere la giustizia nel diritto la vorrei anch'io a cominciare dai GIP che invece di fare i passacarte recuperassero il loro ruolo di garanzia e di filtro. Ma mi dicono i miei cari colleghi penalisti che non è così.
Francesco Carnelutti affermava che in fondo una sentenza di assoluzione è la confessione di un errore giudiziario. E' un'affermazione che sembra paradossale. Ma a ben rifletterci non è così, perché per giungervisi devono aver preso la medesima cantonata la polizia giudiziaria, il Pubblico Ministero, il giudice delle indagini preliminari e quelle dell'udienza preliminare.
@ Guido
RispondiEliminaIn primo luogo mi domando se le sue osservazioni dipendono dalle sue esperienze professionali o meno: lei è un avvocato? Dalla terminologia utilizzata mi pare di no e frequentare le aule di giustizia, le cancellerie e gli uffici giudiziari in genere, da un quadro più realistico di quanto possono fare tanti opinionisti.
Potrà anche trovare strabiliante che la modifica della prescrizione si risolverebbe in un'accelerazione dei tempi della giustizia, io trovo trabiliante che lei la pensi diversamente, ma qusto non cambia le cose. Il fatto che la stragrande maggioranza dei "processi" si prescrive nella fase delle indagini preliminari (ma immagino che lei si riferisca ai "procedimenti" visto che i "processi" hanno inizio solo quando il P.M. formula l’imputazione ed esercita l’azione penale nei confronti dell’indagato che acquisisce lo status di imputato, quindi si tratta della fase successiva alle indagini preliminari) conferma la necessità di provvedere (se si vuole rendere efficace la modifica della precrizione) all'impiego di risorse e, quindi, a specifici investimenti. E' fatto notorio che le forze di polizia (così come la magistratura)sono in carenza di personale da anni, e non hanno neppure gli strumenti minimi indispensabili per effettuare la propria attività (benzina, autoveicoli, ricambi, materiale di cancelleria ecc.), a causa dei tagli che da anni vengono effettuati.
Quanto ai dati sulle percetuali disentenze di primo grado ribaltate nei gradi successivi, da un lato non comprendo perchè non li fornisce lei i dati come fanno tutti quelli che intervengono in questo blog e che sono animati dal desiderio di contribuire a dare informazioni corrette anzichè fare solo polemica non costruttiva (io ho inserito i dati che sono riuscita a trovare non senza spendere moltissimo tempo nella ricerca). Dall'altro non vedo quale sia l'attinenza con il tema della prescrizione ed anzi ne rafforzerebbe la necessità di eliminazione, visto che solo arrivando all'ultimo grado di giudizio si ha certezza di ottenere una sentenza definitiva probabilmente corretta, mentre con la prescrizione potrà anche essere garantita la ragionevole durata del processo, ma non certo la correttezza del giudizio. E credo che l'errore di fondo continui ad essere proprio questo, dare prevalenza alla ragionevole durata del processo rispetto all'esplicarsi du un procedimento/processo che faccia realmente giustizia, dimenticandosi che è possibile ottenere entrambi: il primo aumentando le risorse e comunque facendo investimenti e il secondo rivedendo l'istituto della prescrizione.
Lei dice, infine, che sarebbe stato il caso di spendere qualche parola sullo smodato ricorso alla sanzione penale. Ma che intende esattamente? ritiene che si debba ricorrere alla de-penalizzazione dei reati? quanto infine all'amnistia e indulto pure, non mi è chiaro il collegamento con il tema del post, nè la sua posizione al riguardo e comunque l'attuale Governo ha escluso (per quel che mi è dato sapere), al momento, il ricorso a siffatti istituti
In primo luogo una prima confessione. A dispetto della mia prosa sciatta, esercito, probabilmente indegnamente, la professione di avvocato da circa venti anni e frequento quindi le cancellerie prevalentemente civili da lungo tempo.
RispondiEliminaSulla necessità che il comparto giustizia necessiti di maggiori risorse mi trova ovviamente pienamente d’accordo. Grosso modo dagli anni 90 ogni riforma della Giustizia è stata sempre fatta senza incremento di spesa, anzi con successivi cospicui tagli di risorse, e di regola (parlo principalmente del processo civile) si è concretizzata nell’introduzione di complicazioni bizantine e nella compressione della facoltà delle parti. Negli ultimi anni si è assistito ad una evidente strozzatura dell’offerta di giustizia (aumento spropositato dei contributi unificati, introduzione di inutili filtri preliminari per accedere al Giudizio) che risponde – a mio modesto avviso – a quella concezione di Stato minimo di ottocentesca memoria, esplicitamente classista e basato sul censo, che pervicacemente si cerca di reintrodurre in Italia.
Non ho esperienza diretta nel campo penale ma dai tempi dell’università ricordo che si insegnava che il ricorso alla sanzione penale, in uno Stato democratico e rispettoso delle libertà individuali, dovrebbe essere un extrema ratio, situazione che in Italia è stata largamente disattesa, specialmente a partire dalla Seconda Repubblica.
Le mie pedestri obiezioni al suo post sulla riforma della prescrizione muovono certamente da un pregiudizio, che peraltro ammetto immediatamente: diffido di ogni riforma che comprima una facoltà, diritto, risorsa e financo scappatoia a favore dell’imputato, che per me resta sempre un presunto innocente e non un presunto colpevole. Anche riguardo al soggetto indagato e/o imputato confesso un ulteriore pregiudizio da vecchia cariatide: continuo a pensare che il protagonista del processo penale debba essere l’imputato (e non la vittima o la persona offesa) perché in quel precipizio, anche esistenziale, che è qualsiasi procedimento penale si misura il grado di libertà di cui concretamente godono i cittadini. Perché da un lato vi è lo Stato con tutti i suoi apparati dotati dei più penetranti poteri (oggi sempre più spesso corroborati anche dalla grancassa mediatica che anticipa il giudizio in spregio della lettera del codice e costituisce a mio avviso il più formidabile attacco all’indipendenza della magistratura giudicante) e dall’altro vi è il singolo cittadino assistito da un altro cittadino privato (l’avvocato) senza un grammo di potere.
Il fatto che la stragrande maggioranza dei procedimenti si prescriva in fase di indagine mi sembra significare che siano troppe le fattispecie penali, che ingolfano gli uffici di procura e impediscono di concentrasi sui delitti di autentico allarme sociale (e quindi auspico ovviamente un largo ricorso alla depenalizzazione) e dall’altro che all’avvocato e all’indagato questa falcidia di procedimenti non sia in alcun modo addebitabile.
Diffido sempre dalle riforme che copiano la disciplina del singolo istituto da altri Paesi perché l’analisi atomistica di un istituto, senza tenere conto del sistema complessivo in cui è inscritto, comporta di regola che il trapianto presto o tardi che darà luogo ad un rigetto. Qui il pensiero corre al filtro in appello introdotto nel processo civile, copiato pedissequamente dal processo tedesco, e che è ormai per fortuna diventato un istituto caduto in desuetudine. Ovviamente le sue prime applicazioni si sono volte a danno di litiganti che hanno avuto la sventura di esserne le prime cavie e dei cui diritti nessuno si è preoccupato.
In sintesi non vorrei che la sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado comporti una dilatazione della fase delle indagini preliminari, rendendo di fatto il cittadino un indagato a vita.
A proposito di prescrizione, mi sembra che siano rivelatori dei rapporti di forza capitale-lavoro anche i termini di prescrizione (o di decadenza) validi nelle cause di lavoro.
RispondiEliminaCi vogliono dieci anni (che non sono poi tanti) prima che si prescrivano il diritto al risarcimento del danno contrattuale e quello al risarcimento del danno derivante dall’omesso versamento dei contributi da parte del datore di lavoro.
La prescrizione per il diritto al TFR che il lavoratore percepisce per la cessazione del rapporto di lavoro è invece di soli cinque anni.
Si prescrivono pure in cinque anni i contributi dovuti alle gestioni pensionistiche obbligatorie, tranne nel caso di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti.
Per i crediti di lavoro che riguardano i singoli emolumenti retributivi periodici, poi, opera la concorrente prescrizione presuntiva, che è annuale per le retribuzioni corrisposte a periodi non superiori al mese e triennale per quelle corrisposte a periodi superiori al mese.
E che vogliamo dire ad esempio sul fatto che il licenziamento vada impugnato nel termine massimo di sessanta giorni da quello in cui è stato comunicato?
Curiosamente nel caso dei soli lavoratori a me pare che la decadenza rappresenta un modo generale di estinzione dei diritti...
Si dice infine che "si deve ritenere che quando il rapporto di lavoro non è dotato di stabilità (ovverosia quando non è soggetto a tutela reale contro i licenziamenti illegittimi), il termine di prescrizione dei crediti retributivi inizia a decorrere solo dopo che il rapporto di lavoro sia cessato".
Ma se non hai le decine di migliaia di euro per l'avvocato col cavolo che riesci a far valere i tuoi diritti (oppure a schivare le rappresaglie del datore di lavoro)!
Chiudo la parentesi e volto pagina con un ricordo personale.
Nel 1984 acquistai una casa di edilizia agevolata (appena costruita) con mia moglie.
Nel 1985 ci fu un alterco (innescato dalla presenza di un accampamento abusivo di nomadi vicino casa) tra un condomino (che ne chiedeva da tempo lo sgombero) ed un comandante dei vigili urbani (che fu accusato di non fare nulla) e volarono degli schiaffi.
Il comandante (quello che si dice prese gli schiaffi) cercò testimoni ma tutti i condomini presenti (io prestavo servizio militare) dissero di non aver visto volare nessuno schiaffo.
Nel 1987 furono recapitati a tutto il condominio quaranta decreti penali e mi scoprii condannato insieme a mia moglie per il fatto di abitare in un alloggio 'senza che fosse stata rilasciata la prescritta licenza di abitabilità'.
Dopo aver fatto opposizione (ed aver speso oltre due milioni) fui assolto nel 1987 e lo stesso fecero gli altri inquilini (le ultime assoluzioni furono nel 1992).
Insomma ci furono quaranta opposizioni ad altrettanti decreti penali (nel vero senso del cazzo!)con un esborso totale prossimo ai cento milioni (ci si poteva ricomprare un appartamento).
Intelligenti pauca.
Innanzi tutto grazie a Sofia per gli spunti di riflessione.
RispondiEliminaPer conto mio, partirei dalla Relazione al Codice Penale del 1930. L’allora Guardasigilli Alfredo Rocco così scriveva:
“174. Il rigido principio d'attuazione della giustizia, per cui al delitto dovrebbe seguire, in ogni caso, la pena, non tollererebbe idealmente ostacolo o deroga alcuna: tanto meno quella che si concreta nel solo decorso del tempo. Non può, quindi, non considerarsi come una eccezione ben grave al detto principio quella che permette al reo, sia pure dopo notevole decorso di anni, di sottrarsi alle conseguenze della sua responsabilità penale e gli consente, sotto gli occhi della vittima o degli eredi di questa, di godere della sua libertà e di trascorrere senza molestia alcuna la propria esistenza. Ciò spiega la riluttanza di sociologi e di giuristi a riconoscere la opportunità di una tale deroga.
Tuttavia IO NON HO CREDUTO DI ACCEDERE AD UNA CONCEZIONE COSÌ RIGIDA. L'azione del tempo influisce inevitabilmente su tutte le umane vicende, qualunque sia la valutazione che possa farsene dal punto di vista etico o razionale. Il tempo, anche se non riesca a cancellare il ricordo degli avvenimenti umani, lo attenua e lo fa impallidire; e se, di per sè, non può creare o modificare o distruggere i fatti umani, può ben peraltro, con la sua lenta e continua azione demolitrice, influire sulla vita dei rapporti giu-ridici che da quei fatti hanno origine. Sarebbe andar contro una legge ine-sorabile di natura disconoscere tale azione corroditrice del tempo; o anche considerare il rapporto giuridico-penale fra quelli, in verità rari, che l'ordinamento giuridico sottrae alla influenza estintiva del tempo.
Data la natura squisitamente pubblicistica di tale rapporto, il problema consiste nel non eccedere nella valutazione di questo elemento naturale e nel non largheggiare nell'ammissione di questa causa di estinzione. Come, cioè, sarebbe eccessivo escluderla del tutto, còsi sarebbe improvvido non limi-tarne e ridurne la efficacia, per quanto sia possibile, nei più ristretti confini. Ed è appunto questo il criterio direttivo, al quale, in tale materia, s'ispi-rano le riforme che il Progetto apporta al diritto vigente…” [Progetto definitivo di un nuovo Codice Penale con la Relazione del Guardasigilli On. Alfredo Rocco, Roma, 1929, 206, consultabile in integrale all’indirizzo https://omeka.unito.it/omeka/files/original/89a2e8151fe03dd5327a7b3f973d03ae.pdf].
Quale è la motiviazione razionale della prescrizione? Dalla Relazione emerge solo un “Io ho creduto…”, sulla considerazione che il tempo “attenua e fa impallidire” il ricordo degli avvenimenti umani. Ma era il 1930, ed oggi l’istituto deve armonizzarsi con l’art. 27, comma III, Cost.:
“… è indispensabile spendere qualche parola per riflettere sulla ratio della causa estintiva in esame…Il fondamento della prescrizione è meno limpido di quanto può sembrare a prima vista: o meglio, esso appare offuscato da una disciplina non pienamente coerente con l’impalcatura teorica che dovrebbe essere sottesa all’istituto… (segue)
Molto problematica appare la conciliabilità della prescrizione con la funzione rieducativa della pena, per tacere della finalità rieducativo-curativa della misura di sicurezza (pure essa travolta completamente dalla prescrizione del reato e largamente dalla prescrizione della pena). E’ indubbiamente esatto che, trascorso un dato lasso di tempo (a maggior ragione se particolarmente lungo) dal momento del commesso reato, la personalità del reo può essere cambiata; quindi verrebbe meno la ragionevolezza di una misura (anche) rieducativa in circostanze oggettive e soggettive diverse da quelle nelle quali quest'ultima sarebbe stata adeguata. Senonché a questa premessa teorica, accettabile in via generale, fa da contrappunto una disciplina concreta non del tutto coerente con l'ipotesi di partenza: cosa del resto comprensibile, in quanto la normativa vigente si è consolidata in un contesto storico nel quale l'istanza rieducativa svolgeva un ruolo meramente secondario ed eventuale.
RispondiEliminaIn particolare, l'applicabilità della prescrizione del reato è improntata al massimo di automaticità e si impernia su dati essenzialmente obiettivi: non soltanto, quindi, non vi è alcuno spazio per un esame caso per caso della personalità del reo, al fine di valutare il venir meno delle esigenze rieducative nei suoi confronti (o il venir meno delle necessità terapeutiche per soggetti affetti da infermità mentale), ma neppure viene in considerazione la circostanza - sicuramente significativa - della successiva commissione di nuovi reati da parte del soggetto.
L'irrilevanza di quest'ultimo fattore nel quadro della prescrizione del reato è probabilmente uno dei nodi più discutibili dell'attuale disciplina ed incrina il possibile collegamento dell'istituto con la funzionne rieducativa della pena sancita dalla Costituzione…” [P. PISA, Enciclopedia del diritto, vocePrescrizione (dir. pen.), Milano, 1986, 80]. Tale situazione peggiora, ovviamente, nel caso in cui la prescizione intervenga addirittura in sede di indagini preliminari. Di conseguenza, credo che l’istituto sia discutibile proprio sul piano costituzionale.
In uno Stato democratico di diritto, ritengo che il processo sia e debba essere sempre una garanzia, pur con tutti i naturali limiti presenti nel sistema, i quali esistono e che non vanno sottaciuti. E perché funzioni come garanzia, ha bisogno di essere finanziato. Questo è un problema. Ma quanti veramente pensano ancora che il processo sia una garanzia e quanti invece ritengono che lo Stato sia fondamentalmente un nemico da cui fuggire, anche con la prescrizione?
Insomma sembra quasi che il famigerato codice Rocco sia più liberale della Costituzione. È proprio vero che non si finisce mai di imparare.
RispondiEliminaMi permetto di intervenire, non sono un avvocato, ma solo un piccolo imprenditore che ha avuto a che fare una volta, dieci anni fa, con la giustizia penale e mi sono reso conto dello sfascio del nostro sistema giudiziario. Breve resoconto della vicenda. Un cliente, ditta individuale, non paga una serie di servizi, lascia un debito di circa 10.000,00 euro. Ingiungo attraverso un avvocato il pagamento, non lo effettua, iniziamo la solita trafila, decreto ingiuntivo, opposizione, udienza di convalida con respingimento dell'opposizione (asssolutamente dilatoria...) convalida del precetto esecutivo, richiesta di pignoramento, convalida, esecuzione sui conti correnti, (recuperati 1.500,00 euro) esecuzione sui beni del debitore. Teniamo conto che come piccolo imprenditore, il soggetto non poteva fallire. L'ufficiale giudiziario sequestra i beni del debitore e come prassi li affida allo stesso in custodia giudiziale. Dopo sessanta giorni, non facendosi vivo, chiediamo la procedura di vendita all'asta. L'ufficiale si reca dal debitore e trova tutto vuoto e il debitore sparito. Querelo il soggetto e si fissa l'udienza per il procedimento penale. Alla prima udienza il debitore non si fa vivo e il giudice nomina un difensore di ufficio, e rinvia l'udienza per audire i testimoni. Si va avanti per tre udienze(!!) alla fine il giudice assolve il debitore, perchè l'ufficiale giudiziario ha commesso un errore nella verbalizzazione del sequestro. Tutto questo nei tribunali di Vigevano e Gallarate. Ho assistito a due udienze , passando due mattinate nell'aula del tribunale, e a meno di non essere un avvocato, una persona di medio intelletto si rende conto che lo sfascio della giustizia ha superato tutti i limiti. Se vai a raccontare a un tedesco, ad uno spagnolo, a un francese, un vicenda del genere ti ridono in faccia. A parte la mia vicenda, grottesca per l'esito, ho assistito a processi burla, contro immigrati senza permesso che avevano rubato una bicicletta, uno aveva sporcato, una per ubriachezza molesta... e così via. Processi senza senso perchè imputati naturalmente latitanti, e persino identificati in maniera sommaria (Mohammed, o Amhed, o Muhammad, non si sa con certezza) ma tutti rigorosamente difesi da avvocati d'ufficio, giovani che naturalmente verranno pagati, magari tra due anni, ma pagati dalla fiscalità Generale. Naturalmente con rinvii di udienze successive per ascoltare i testimoni. Chi è interessato ad una giustizia come questa? I delinquenti. Fine di ogni discussione.
RispondiEliminaValerio Sargenti