martedì 23 gennaio 2024

LA STAGIONE MONTI-FORNERO NON SAREBBE MAI FINITA, SE...

  1. Dagospia 22 novembre 2017

La stagione Monti-Fornero non sarebbe mai finita se "la politica" non avesse maturato la convinzione che si può, abbastanza "tranquillamente", proseguire sullo stesso cammino del consolidamento fiscale accompagnato da "riforme" - (in particolare sulla spesa pubblica REALE per sanità, pensioni, territorio e servizi essenziali) -, semplicemente facendosi "costringere" dalle raccomandazioni Ue, dai PNRR, dai vecchi e nuovi patti di stabilità, e dalle relative minacce di procedura di infrazion€.

https://www.cortecostituzionale.it/documenti/comunicatistampa/CC_CS_20240122135855.pdf
Riforme

Spesa pubblica pensionistica (8,61% su Pil, se omogeneamente conteggiata, come negli altri paesi, al netto di prestazioni assistenziali non previdenziali, contributi affluenti allo Stato, e ritenute dell'imposta sul reddito effettuate sui trattamenti pensionistici).

Perché, quindi, farsi detronizzare da qualsiasi contingente "stato di eccezione" in cui €SSI, o ESSI, ci trascinano, quando, con cosmesi comunicative piuttosto agevoli, riconducibili alla fondamentale categoria della "illusione finanziaria", si possono proseguire le stesse politiche, facendo elargizioni insignificanti (che creano attriti da copione con l'€uropa, ma superabili senza significativo aumento degli spread)?

L'unico palcoscenico rimasto, (approssimativamente), che non sia strettamente funzionale alla DIRETTA realizzazione delle linee-guida di €SSI&ESSI, è quello dell'antifascismo in assenza di fascismo e dell'anticomunismo in assenza di comunismo: che, in definitiva, è una sorta di show in progress di rafforzamento di tutti gli attori politici mass-mediatizzati, entro la comune cornice del liberalismo pro-economia "di mercato", consentendo i distinguo più roboanti, all'interno di politiche invariate e invariabili.

Se poi anche la situazione internazionale, la "geobolitiga", sono condotte, da €SSI&ESSI, ravvivando abilmente queste due categorie - (e dissimulando la sostanza, economica e giuridica, dei conflitti nello scenario della globalizzazione mondialista) -, il sistema si trova in equilibrio dinamico tra i suoi vari livelli, sovranazionale e nazionale.
In particolare, a seconda delle contingenze del ciclo "politico" mondialista, lo spread, da strumento discrezionale in mano alla BCE, per costringerti a "fare la cosa giusta", diventa atteggiamento statico, non ostile, de imercati, SE e finché FAI la cosa giusta....

Questa è la natura attuale del capitalismo liberal€ sovranazional€.



domenica 7 gennaio 2024

LA TRAPPOLA DELL'ODIO DEGLI "AGENTI DI INFLUENZA". LA MANOVRA DELL'ANTISOVRANO - (Storia e fondamenti della restaurazione del capitalismo liberale - 1)


Ripubblico il post del 28 agosto 2017 per un motivo di "non secondaria importanza": la situazione nel frattempo è ulteriormente degenerata. Perché? 
Ma perché ogni parvenza di soluzione individuata circa 7 anni fa, non è stata tentata, nei fatti, dalla comunità nazionale: vicende sopravvenute ci mostrano che nessuna comunità nazionale, nel mondo occidentale, ha realmente tentato. Il caro, vecchio, paradigma malthusiano di "pestilenze, guerre e carestie" sembra piuttosto in pieno dispiegamento mediante una poderosa "novazione" con l'uso e l'abuso di nuove tecnologie inscindibili, ormai, dalla pressione "finale" della restaurazione liberale...
Quel filo che poteva essere seguito, come "reazione immunitaria" del corpo sociale, diremmo dell'Umanità, di fronte alla minaccia della sua incombente, per quanto lenta, ma inesorabile distruzione (per bollitura...), non è stato mai realmente afferrato. Forse neppure è stato mai possibile. 
Mancano, perché sono state meticolosamente distrutte con pazienza e spietate accelerazioni (e che accelerazioni!) troppe "risorse culturali" collettive; c'è un eccessivo e crescente gap tra consapevolezza intuitiva e razionale che dovrebbe essere normalmente espressa dal corpo sociale minacciato e dis-umanizzato, da un lato, e "capacità di assedio" delle forze dell'elite cosmopolita che guida la restaurazione del capitalismo liberale e del suo ordine internazionale del mercato, dall'altro. 
Stiamo assistendo, per dirla sempre con le parole di Polanyi, alla Grande Ri-Trasformazione, tanto innaturale e neo-antropologica, da configurarsi, sempre più come totalitarismo
Per questo riproporremo una serie di post che comporranno, quantomeno nelle intenzioni, un percorso che possa, comunque, nell'attualità sempre più drammatica, e anche nel crescente sfavore dei rapporti di forza all'interno del conflitto sociale, essere "disponibile", qualora la resistenza al neo-totalitarismo liberale (non è affatto un ossimoro, ma anzi una definizione tra quelle più accuratamente censurate, nelle neo-scienze sociali che albergano nel motore pulsante delle "centrali" di ri-plasmatura dell'essere umano che caratterizzano, appunto, il totalitarismo) inizi a manifestarsi ed a prendere finalmente vigore.
Le parti in corsivo sono aggiunte che ho apportato per anticipare ed attualizzare l'ampiezza necessaria di ogni discorso di riscatto dello Spirito dell'Uomo, mai come oggi profondamente minacciato.

1. C'è un concetto "base" che torna prepotentemente alla ribalta in questi giorni, di fronte al dilagare della sovraesposizione mediatica di accadimenti come gli sgomberi di immobili, occupati commettendo illeciti penali non "giustificabili" secondo alcuna interpretazione costituzionalmente (cioè democraticamente) orientata, ovvero come la violenza sessuale di gruppo posta in essere da stranieri, probabilmente a loro volta illecitamente presenti sul territorio nazionale (e, nel caso, oltretutto, in danno di altri stranieri che invece erano più che lecitamente entrati come turisti, categoria di consumatori di cui si esalta l'oggettiva utilità in termini di saldo attivo delle partite correnti dei conti con l'estero, salvo poi contraddire questa auspicata propensione produttiva del territorio italiano attraverso destrutturazione e degrado permanenti perseguiti con l'austerità fiscale che incide su ogni livello di gestione del territorio. Fenomeno che è il naturale corollario degli obiettivi intermedi di pareggio strutturale di bilancio - ovvero di riduzione pro-ciclica del deficit all'1,5% ma a tappe forzate più vincolanti -e della privazione della sovranità monetaria imposti dall'appartenenza alla moneta unica).

E non vuole la democrazia (a meno che questa non assuma la forma "liberale", cioè ridotta a mero processo elettorale idraulico che azzera ogni reale possibilità di scelta popolare dell'indirizzo politico da seguire), perché (come dice Barroso, una volta per tutte, richiamando il ruolo imperituro de L€uropa nelle nostre vite quotidiane) la considera inefficiente dal punto di vista allocativo.
E ciò in quanto, appunto, le risorse (monetarie) sono limitate, corrispondono ad un dato ammontare di terra-oro come fattori primi di ogni possibile attività economica, e la titolarità, preesistente e prestabilita, della proprietà di questi fattori precede ogni calcolo economico: cioè legittima un equilibrio allocativo che riflette una Legge naturale a cui asservire ogni attività normativa e amministrativa dello Stato, e rende un diritto incomprimibile il ritrarre un profitto da questa titolarità incontestabile, anche a scapito dell'interesse di ogni soggetto umano che non sia (già) proprietario di questi fattori della produzione.
Il merito che si auto-attribuisce il capitalismo è quello di attivare una capacità di trasformazione delle risorse (limitate) per moltiplicare i beni suscettibili di essere acquisiti in proprietà (questo sarebbe il dispiegarsi dell'ordine del mercato, fin dai tempi della teorizzazione ecclesiastica), essenzialmente oggetto di consumo, e di permettere, nel corso di tale processo, l'impiego lavorativo di moltitudini di esseri umani che, in tal modo, sarebbero in grado automaticamente di procurarsi i mezzi di sostentamento.

2. Di conseguenza, come trapela anche da autori (neo)neo-classici (cioè neo-liberisti) del nostro tempo, (eloquente in tal senso è "La nascita dell'economia europea" di Barry Eichengreen, che ho avuto modo di rileggere questa estate, non senza un certo disagio sulla disumana dissonanza cognitiva che ne emerge), il profitto è l'unico motore possibile della società e della sopravvivenza della specie.
Pertanto, i governi debbono esclusivamente preoccuparsi di garantirne la continuità (e ce ne accorgeremo presto, ancora una volta, quando si dovranno "fare gli investimenti" per risolvere la "crisi" dell'acqua), assicurando, nell'unica dialettica considerata razionalmente ammissibile, l'esistenza istituzionale di un mercato del lavoro che vincoli, a qualsiasi prezzo sociale, la massa dei lavoratori non-proprietari a condizioni di mera sussistenza.

3. La moneta gold standard, o qualsiasi soluzione similare, ed anche più rigida, come l'euro, che rendono le politiche di stabilità monetaria indipendenti da ogni altro obiettivo politico (qui, p.17.1.), sono perciò un totem irrinunciabile innalzato sull'altare dell'unico diritto possibile e legittimo, essendo tutti gli altri diritti degli odiosi privilegi clientelari frutto di clientelismo e corruzione, (come ci illustrano con alti lai indignati contro la "giustizia sociale", intesa come "corruzione legalizzata", Spinelli, Hayek e Einaudi).
E l'unico diritto legittimo è, naturalmente, quello al profitto derivante dalla "data" allocazione delle risorse limitate in capo ai pochi grandi proprietari; i quali, in termini di equilibrio allocativo ideale, dovrebbero anche essere gli unici proprietari.
Qualsiasi alterazione di questo equilibrio è considerata razionalmente intollerabile e pone in pericolo l'equilibrio allocativo efficiente che, dunque, è prima di tutto un assetto di potere politico.
Lo Stato che abbia deviato da questo assetto, ponendo in essere divergenti condizioni di redistribuzione di tali risorse, ex ante (o ex post: ma queste ultime sono dotate di un'ambiguità che le rende asservibili anche ad obiettivi del tutto opposti a quelli della tutela del lavoro, come ci insegnano Pikketty, qui, p.8, e l'Unione bancaria), deve "ricostruire", anche con ampi e notevoli interventi, prolungati per tutto il tempo necessario, la razionalità indiscutibile di questa Legge sovrastatuale e perenne.

4. Come si ricollega tutto questo agli episodi di reato (e di loro difficoltosa repressione) posti in essere da "immigrati" a vario titolo nel territorio nazionale?
In modo alquanto coerente con il funzionamento progressivo del sistema di ripristino, accelerato dall'€uropa, dell'assetto allocativo efficiente.
L'euro costringe alla svalutazione del tasso di cambio reale e consente che ciò si realizzi unicamente attraverso la riforma incessante del mercato del lavoro-merce (come spiega benissimo Eichengreen parlando del gold standard), cioè al fine di porre in condizioni di progressiva "mera sussistenza", l'insieme dei soggetti non proprietari estranei al controllo dell'oligopolio concentrato e finanziarizzato (una condizione di "classe" che eccede di gran lunga quella del solo lavoratore dipendente, qui, p.4).

5. Il costo politico di tale continuo aggiustamento, in costanza di suffragio universale (condizione mantenuta obtorto collo e in vista di una sua definitiva e formale abolizione), può essere sopportato solo "sostituendo" le classi sociali impoverite, e in precedenza titolari delle aspettative di tutela sociale apprestate, (formalmente ancora oggi), dalla Costituzione, con un adeguato contingente di soggetti "importati", se e in quanto siano sradicati, per inconciliabile tradizione culturale, e divergenti radici storico-politiche, da questo precedente assetto sociale democratico.
Questi nuovi "insediati" sono dunque preferibilmente (cioè intenzionalmente) prescelti in quanto inclini a considerare la comunità di insediamento come un'organizzazione aliena, i cui precetti normativi fondamentali debbano, al più presto, cedere di fronte alla pressione numerica dei nuovi arrivati e delle loro esigenze primarie (rivendicate esplicitamente come le uniche da considerare, a detrimento di ogni situazione di crescente povertà degli autoctoni, che si lasciano governati dalla condanna a un senso di colpa inemendabile).
L'intera operazione di reinsediamento demografico è pianificata e incentivata attraverso organizzazioni - private ed espressione del perseguimento degli interessi dei grandi gruppi economici che dominano il diritto internazionale privatizzato- che inoculano e rafforzano, nei gruppi etnici reinsediati, questa idea di ordinamento giuridico arrendevole e di aspettativa incondizionata alla redistribuzione ex post di risorse in danno delle classi più povere e deboli in precedenza viventi sul territorio da "trasformare".

6. "Agenti di influenza" (NB: la fonte linkata è ufficiale tratta dal glossario della Sicurezza nazionale-governo.it), appositamente predisposti sia all'interno del sistema mediatico dello Stato nazionale di "accoglienza", che operanti nell'organizzazione, reclutamento e agevolazione del reinsediamento, si preoccupano essenzialmente di rafforzare e rendere irreversibile l'idea che le leggi statali nazionali che vietano comportamenti incompatibili con l'ordine pubblico e l'interesse generale della comunità "ricevente", e da trasformare a tappe forzate, siano sostanzialmente immorali o troppo difficili da applicare e perciò necessariamente da fare oggetto di urgenti riforme (ad es; il cosiddetto ius soli), o, ancor meglio, di desuetudine: cioè di accettazione diffusa della loro inapplicabilità in nome di un prevalente "stato di necessità" che si fonda sull'inevitabile "scarsità di risorse".

7. Senso di colpa indotto in via propagandistica dagli "agenti di influenza" e scarsità di risorse, come parametro ormai meta-normativo e sovra-costituzionale, costituiscono un combinato tale che si ottiene anche l'effetto più ambito, come evidenziava Rodrik, da parte delle elites timocratiche che guidano l'operazione: lo scatenarsi del conflitto sezionale tra poveri importati, cittadini esteri, e cittadini impoveriti soggetti all'accoglienza in funzione di fissazione deflattiva dei livelli retributivi. 
Ovviamente, e lo rammentiamo ai più attenti lettori, ma in realtà dovrebbe essere chiaro a chiunque avesse a cuore, ormai, la propria sopravvivenza, il conflitto sezionale può porsi, all'interno della comunità politica, tra l'intero substrato popolare costituente uno Stato e qualsiasi minoranza che, venga eletta, persino dalle "corti", come portatrice di un'esigenza di tutela che prevale, - per apodittica affermazione di urgenza assoluta, dichiarata dal sistema mediatico controllato dalle elites -, su qualsiasi concetto e principio, al vertice delle previsioni costituzionali, e cioè sugli interessi lavoristici tutelati prioritariamente dalla Costituzione stessa

Il porre i vari pezzi di non-elite uno contro l'altro, scardina ogni senso di reazione alla manovra aggressiva di classe condotta dalle oligarchie cosmopolite, e alla sottrazione della sovranità democratica, che, appunto, (così Luciani, p.7) si caratterizzava (in un passato recente, ma abbastanza lontano da non essere più centrale nella formazione delle generazioni di cittadini nati grosso modo dopo il 1980) su una "concezione ascendente", cioè per la sua titolarità "di popolo", e sull'idea di Nazione; l'unica storicamente tale da individuare in senso coesivo e solidale una comunità sociale sufficientemente univoca per determinare gli interessi comuni che la sovranità persegue per sua natura (qui p.11.3 e, prima ancora, come rammentava Lord Beveridge, cfr; p.5 infine).

7.1. L'attitudine distraente del conflitto sezionale, - ma anche la sua immensa forza conformativa della cultura e della psicologia di massa, in quanto compiuta con martellante sforzo multi-mediatico, date le "forze materiali sterminate" (Gramsci, qui, p.6) di cui dispongono le elites cosmopolite -, si manifesta, per la verità in tutto il mondo occidentale, in modo da amplificare il potere degli agenti di influenza delle elites; queste hanno buon gioco nello stigmatizzare quell'odio che hanno accuratamente infuso e alimentato nel corpo sociale delle non-elites. Il meccanismo comunicativo-pedagogico viene portato fino al punto da delegittimare ed inibire, - nei fatti narrati in modo da forzare etichette di condanna ipocritamente "etica" -, quelle che sono esattamente le reazioni naturali, quasi meccanicistiche, che avevano inteso deliberatamente suscitare
Il senso di colpa, in precedenza diffuso a livello di preparazione mediatico-culturale dell'operazione, può quindi essere addebitato al corpo sociale aggredito, o, oggi più che mai, al "genere" - (maschile, bianco ed "etero", epitome di ogni male contro cui riversare ogni possibile frustrazione determinata, invece, dal sistema capitalista liberale sulle masse dei lavoratori e delle lavoratrici, scientemente deprivati del sostegno di ogni struttura sociale antropologica e politica, dalla famiglia alla effettività della loro partecipazione politica) -, in base a "fatti" che corrispondono anch'essi alla meccanica calcolata dell'intolleranza che si intendeva evocare.

8. Il cerchio si sta chiudendo, dunque.
L'unica risposta rimasta è la consapevolezza. E la consapevolezza ci riporta alla rivendicazione della effettiva legalità costituzionale. Oltre di essa c'è solo il territorio di nessuno dello stadio pre-giuridico dei puri rapporti di forza, come ci avvertiva Calamandrei, rapporti imposti dall'ordine internazionale dei mercati.
Il conflitto sezionale che questo ordine mira a portare alle sue conseguenze estreme non deve essere l'inganno finale con cui si autodistrugge la sovranità democratica, in una trappola innescata da odiatori dell'umanità, tanto apparentemente astuti quanto, in sostanza, rozzi e primordiali.

8.1. Basterebbe rammentare due semplici passaggi. Il primo, già citato, è di Rodrik (qui, p.4):
"...riportiamo un significativo brano di Dani Rodrik che, sebbene riferito alle dinamiche dei paesi in via di sviluppo, per le condizioni create dal liberoscambismo sanzionato dal vincolo esterno "valutario", ci appare eloquente anche per la Grecia e, di riflesso (mutatis mutandis, in una sostanza però omogenea), per tutti i paesi coinvolti nell'area euro.
Da rilevare che questa spiegazione ci dà ben conto dei sub-conflitti "sezionali" (p.11.1.), in funzione destabilizzatrice della democrazia, che fanno capo ai "diritti cosmetici" e alle identità etnico-religiose-localistiche, conflitti che sono una vera manna per le elites:
"Le conseguenze politiche di una prematura deindustrializzazione sono più sottili, ma possono essere più significative.
I partiti politici di massa sono stati tradizionalmente un sotto-prodotto dell'industrializzazione. La politica risulta molto diversa quando la produzione urbana è organizzata in larga parte  intorno all'informalità, una serie diffusa di piccole imprese e servizi trascurabili. 
Gli interessi condivisi all'interno della non-elite sono più ardui da definire, l'organizzazione politica fronteggia ostacoli maggiori, e le identità personalistiche ed etniche dominano a scapito della solidarietà di classe.
Le elites non hanno di fronte attori politici che possano reclamare di rappresentare le non-elites e perciò assumere impegni vincolanti per conto di esse.
Inoltre, le elites possono ben preferire - e ne hanno l'attitudine- di dividere e comandare, perseguendo populismo e politiche clientelari, giocando a porre un segmento di non elite contro l'altro.
Senza la disciplina e il coordinamento che fornisce una forza di lavoro organizzata, il negoziato tra l'elite e la non elite, necessario per la transizione e il consolidamento democratico, ha meno probabilità di verificarsi.
In tal modo la deindustrializzazione può rendere la democratizzazione meno probabile e più fragile."
9. Il secondo è di Chang (qui, pp.8- 8.1.):
"I salari nei paesi più ricchi sono determinati più dal controllo dell'immigrazione che da qualsiasi altro fattore, inclusa la determinazione legislativa del salario minimo.
Come si determina il massimo della immigrazione? 
Non in base al mercato del lavoro ‘free’ (ndr; cioè globalizzato) che, se lasciato al suo sviluppo incontrastato, finirebbe per rimpiazzare l'80-90 per cento dei lavoratori nativi (ndr; oggi è trendy dire "autoctoni"), con i più "economici", e spesso più produttivi, immigranti. L'immigrazione è ampiamente determinata da scelte politiche. Così, se si hanno ancora residui dubbi sul decisivo ruolo che svolge il governo rispetto all'economia di libero mercato, per poi fermarsi a riflettere sul fatto che tutte le nostre retribuzioni, sono, alla radice, politicamente determinate."
...
I vari Paesi hanno il diritto di decidere quanti immigranti possano accettare e in quali settori del mercato del lavoro (ndr; aspetto quest'ultimo, che i tedeschi, ad es; tengono in grande considerazione).
Tutte le società hanno limitate capacità di assorbire l'immigrazione, che spesso proviene da retroterra culturali molto differenti, e sarebbe sbagliato che un Paese vada oltre questi limiti.
Un afflusso troppo rapido di immigrati condurrebbe non soltanto ad un'accresciuta competizione tra lavoratori per la conquista di un'occupazione limitata, ma porrebbe sotto stress anche le infrastrutture fisiche e sociali, come quelle relative agli alloggi, all'assistenza sanitaria, e creerebbe tensioni con la popolazione residente.
Altrettanto importante, se non agevolmente quantificabile, è la questione dell'identità nazionale.
Costituisce un mito - un mito necessario ma nondimeno un mito (ndr; rammentiamo che lo dice un emigrato)- che le nazioni abbiano delle identità nazionali immutabili che non possono, e non dovrebbero essere, cambiate. Comunque, se si fanno affluire troppi immigrati contemporaneamente, la società che li riceve avrà problemi nel creare una nuova identità nazionale, senza la quale sarà difficilissimo mantenere la coesione sociale. E ciò significa che la velocità e l'ampiezza dell'immigrazione hanno bisogno di essere controllate".
Stupri e occupazioni di immobili sono qualcosa che, dunque, corrisponde ad un effetto ben prevedibile dell'operazione che si sta ponendo in essere: l'obiettivo è proprio quello di "porre sotto stress le instrastrutture fisiche e sociali" della comunità statale "attaccata", per distruggerne ogni "identità nazionale" per mezzo di una ben preparata condanna mediatico-moralistica e, attraverso di essa, ogni "coesione sociale"
E' questo valore, infatti, il principale ostacolo al pieno ripristino dell'ordine internazionale dei mercati (cioè dell'assetto allocativo efficiente che predica il solo diritto al profitto di pochi proprietari).

10. Riforme in stato di eccezione permanente, accoglienza illimitata, distruzione definitiva della legalità costituzionale sono tutt'uno, dunque, con la cinicamente calcolata visibilità mediatica dei reati commessi dagli immigrati. E ciò, quand'anche "per contrappunto", cioè con ben calcolata forzatura "woke", si tentasse di non menzionare, in modo sistematico, la cittadinanza dell'autore, in modo da suscitare, con una facilmente squarciabile censura di facciata, un maggior richiamo "suggestivo" sul fatto in sé
E questa enfatizzazione - diretta o indiretta - della cronaca nera (la distinzione tra "destra" e "sinistra" può praticamente ridursi a questo aspetto squisitamente mediatico), risulta intenzionalmente evocativa dell'odio che intendono addebitarci, per poi reprimerlo anche con la forza delle armi. Armi di ogni tipo: il primo sono gli agenti di influenza che, secondo la teorizzazione che ne fa la stessa intelligence, sono destinati a influenzare e controllare l'azione dei governi presso cui tali agenti operano, rispondendo a interessi e direttive ostili alla Nazione infiltrata.
Non ci cascate.
Difendete la Costituzione democratica: con tutti i mezzi che essa offre. Il primo, però, e il più importante, è dentro di voi.

venerdì 5 gennaio 2024

LA NUOVA GOVERNANCE ECONOMICA EUROPEA: IL RITORNO DELL'AUSTERITA' ESPANSIVA TRA TRILOGHI E CRESCENTE DE-COSTITUZIONALIZZAZIONE DEL PROCESSO LEGISLATIVO NAZIONALE.

 

1. Dalla mail di EIR- Strategic Alert n.1/2024, del 4 gennaio 2024, riceviamo il sotto riportato commento alla nuova governance dell'Unione europea, a buon punto di adozione dopo il Consiglio del 20 dicembre 2023; lo riproduciamo ponendovi delle ulteriori note a illustrazione più approfondita del complesso insieme di fonti che compone tale riforma del Patto di Stabilità e Crescita. 

Avvertiamo che, sulla scorta della premessa che andremo brevemente ora a svolgere (è breve rispetto alla portata dell'argomento sul piano giuridico-costituzionale), non entreremo nel merito della complicatissima serie di previsioni transitorie di cui tutt'ora si discute nei "triloghi". 

2. Quello che ora interessa evidenziare è la sostanza "a regime" della nuova disciplina e come, ancora una volta, ci troviamo a subire, - senza alcuna possibilità concreta di influire sulla sua sostanza regolatoria, della massima importanza nelle nostre vite quotidiane e, in proiezione collettiva, della nostra esistenza democratica -, una disciplina inesorabile e distruttiva, sia dal punto di vista occupazionale, quantitativo e qualitativo, che della nostra capacità industriale, e delle connesse prospettive demografiche, SENZA AVERLA MAI CONCEPITA ALL'INTERNO DI UN DIBATTITO CONFORME AI PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA NOSTRA COSTITUZIONE ED A QUALSIASI ESPRESSIONE DELLA VOLONTA' POPOLARE RILEVABILE NELLE ELEZIONI POLITICHE. 

I triloghi - e vi facciamo breve cenno per una miglior comprensione di tutti i cittadini, per lo più totalmente ignari del fatto che i loro destini vengono decisi con tali modalità -, sono definiti un metodo "informale" di negoziato sugli atti normativi dell'UE, peraltro non previsto e disciplinato nei Trattati, che intercorre tra Commissione, Parlamento europeo e rappresentanti del Consiglio; tale metodo porta alla definitiva adozione di un testo con delibera consiliare, a sua volta soggetta a varie regole di maggioranza o, come nel caso, di unanimità; l'evoluzione emendativa, cioè la possibilità stessa di influire sul suo contenuto, normalmente prefissato "dall'alto" dalla Commissione e dai suoi apparati tecnocratici, è variamente ed informalmente (se non debolmente) seguita dai singoli governi, (chiamati in ultima analisi ad approvare norme poi obbligatorie al loro interno), per lo più tramite le rappresentanze diplomatiche permanenti a Bruxelles. 

3. Questa metodologia verticistico-informale dei triloghi riveste una particolare rilevanza; ma opera de facto, praeter legem sia europea che costituzionale nazionale - dato che: 

a) i trattati appunto non ne parlano, né, in verità, parrebbero consentire una tale prevalenza, autoreferenziale e burocraticamente internalizzata, del processo legislativo europeo sugli interessi sociali e sulla volontà popolare elettorale rilevabili nei singoli Stati, (quantomeno se l'art.4, paragrafi 1 e 2, del TUE avesse un senso non semplicemente...cosmetico): il momento co-decisionale è, e rimane, sempre di più, risolto verticisticamente tutto all'interno delle istituzioni UE, ben "al riparo dal processo elettorale" che si svolge nei vari Stati, sebbene i destinatari delle norme siano, tuttavia, appunto, i singoli cittadini dei singoli Stati aderenti (vecchio problema, si dirà, ma che si acutizza in un modo sempre più drammatico); 

b) la nostra Costituzione, quanto all'adozione e alla formazione democratico-parlamentare di atti aventi valore di legge, non contempla alcuna clausola che sia compatibile con l'efficacia costitutiva della volontà legislativa attribuita a tale metodologia, con tutta evidenza completamente "al riparo dal processo elettorale".  

c) Da aggiungere poi che le norme previste dal Protocollo 1 allegato ai trattati, sulla partecipazione dei parlamenti nazionali, attuato in modo piuttosto confuso, restrittivo, ed incoerente con lo stesso Protocollo, dalla legge n.234 del 2012, non servono in alcun modo a temperare la sostanziale "incontrollabilità" democratica, cioè rappresentativa di una cosciente volontà popolare, del processo di formazione della legislazione UE: tant'è che quando questa viene sottoposta, nei singoli Stati, ad un referendum, normalmente viene respinta dai corpi elettorali. A condizione che, ovviamente, questi siano ben informati sulla portata reale di norme che vengono deliberatamente scritte in modo da risultare incomprensibili ai comuni elettori (cosa che venne affermata, senza molta reticenza, dai maggiori protagonisti del negoziato per il Trattato di Lisbona).

4. Ma, si dice, ed anzi così si insegna agli studenti, questo modo di legiferare va accettato, senza alcuna riserva in ordine al rispetto dello Stato di diritto costituzionale, nelle singole Nazioni, "proprio in grazia alla natura costituzionale dell’Unione"

In pratica, il breve cenno dell'art.117 Cost., comma 1, alla circostanza che la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni è esercitata nel rispetto della Costituzione (e vorrei pure vedere...la previsione che lo dice è nella stessa Costituzione) e dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, sarebbe sufficiente a esporre, per un tempo illimitato, in eterno, i cittadini italiani (nel caso), a modalità di adozione e contenuti delle norme che nulla hanno a che vedere con l'indirizzo politico espresso dal corpo elettorale nelle elezioni e, sempre più evidentemente, neppure lontanamente posti nei programmi elettorali dei partiti e, ancor meno, nei programmi del governo che ha ottenuto la fiducia dal parlamento.

4.1. Che l'Italia si adegui agli obblighi derivanti dai trattati europei è insito nella relativa legge di autorizzazione alla ratifica, e non c'era certo bisogno di ribadirlo in Costituzione. Poiché ribadire l'ovvio, il "già contemplato" in altre e più eminenti e chiare previsioni preesistenti, indebolisce, anziché rafforzare, il precetto che si intenderebbe enunciare, ponendo il dubbio che, proprio per i trattati europei, l'art.10 Cost. e l'art.80 Cost. soffrissero di un'operatività non autosufficiente, ovvero non fornissero una copertura sufficiente all'adesione incondizionata ad una organizzazione internazionale che assorbisse il principio lavoristico posto nell'art.1 Cost., abrogasse l'obbligo di intervento della Repubblica per la giustizia sociale (art. 3, comma 2, Cost.) e per la regolazione dell'attività economica (art. 41 Cost.) finalizzata ad evitarne il contrasto con l'utilità sociale (cioè generale, del popolo detentore della sovranità: a cui interessa trovare un'occupazione, - e non vedersela precarizzata in nome della stabilità dei prezzi e della presunta stabilità finanziaria -, un'occupazione con una retribuzione che gli consenta un'esistenza libera e dignitosa per sé e la propria famiglia, art. 36 Cost.).

4.2. ...Il dubbio (qui, p. 6.1.) sulla sufficienza di una legge di ratifica e del pacta sunt servanda a riformare radicalmente l'ordinamento legale-costituzionale, e dunque, a maggior ragione, sulla possibile costituzionalizzazione di tale organizzazione per via di un mero e ripetitivo reiterare, nell'art.117 Cost., quanto già meglio espresso negli artt. 10 e 80 Cost., in realtà sarebbe stato (ed è stato, v. pp. 6 e seguenti) pure legittimamente formulabile: per un attento giurista che si accorgesse, - senza " radicali errori" di lettura ermeneutica, che poi sono un'altrettanto radicale "incomprensione" -, che proprio per tali trattati si poneva il problema di un palese contrasto con le condizioni che l'art.11 Cost. aveva posto al Legislatore in sede di ratifica di trattati concernenti le "organizzazioni internazionali". 

4.3. E cioè non "qualsiasi" organizzazione internazionale, in quanto tale, - come si ritiene oggi persino nella giuspubblicistica nazionale accademica -, può essere oggetto di acritica adesione da parte della Repubblica italiana. Almeno non senza un'attenta e continua verifica del rispetto, da parte di tale organizzazione, dell'effettivo perseguimento delle finalità che l'art.11 pone come condizioni imprescindibili, e non soggette neppure a revisione costituzionale, per l'adesione. Il che, tra l'altro, ci dice che solo disapplicandone, illecitamente, il contenuto, ovvero ignorandolo per farne un richiamo assolutamente generico (e in essenza, "magicamente" limitato al fatto riduzionistico della menzione, nel più vasto testo, dell'adesione ad organizzazioni internazionali), i Trattati europei e tutto quel che ne è derivato, possono trovare una copertura nell'art. 11 Cost.

E quanto detto finora, a maggior ragione vale in quanto l'art.10 della Costituzione già dice che il nostro ordinamento si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, - le quali, in sè, rimangono oggetto di un acceso e crescente (in questi ultimissimi anni) dibattito circa la loro "rilevazione" e portata -, ma che, con un'unica certezza plurisecolare, includono il principio fondamentale del "pacta sunt servanda"

Sicché alla luce delle leggi di ratifica, cioè dell'art. 80 Cost., e dell'art.10 Cost. (che ne è la premessa sostanziale), la dicitura dell'art.117 Cost., - novella inserita con la riforma costituzionale del Titolo V e come tale diritto costituzionale derivato e di rango inferiore agli artt.10, 80 e 11 della stessa Costituzione -, risulta del tutto pleonastica e confusamente dichiarativa di quanto già espresso in altre, e superiori, norme costituzionali, senza poter neppure lontanamente implicare la modifica di queste, che, essendo principi fondamentalissimi di tutela della democrazia costituzionale, tra l'altro, non potrebbero neppure essere soggette al meccanismo di revisione costituzionale ex art. 138 e 139 Cost. (argomenti di cui abbiamo qui lungamente parlato). 

5. Se dunque, in nessun ordine di considerazioni logico-giuridiche, dall'art.117 Cost, può dedursi la "natura costituzionale dell'Unione", salvo forzature (almeno finora) estranee alla prevalente dottrina costituzionalistica, ne discende che i triloghi hanno una rilevanza interna all'applicazione dei trattati, ma di certo, col loro metodo autoreferenziale e internalizzato, non possono imporsi come deroghe legittime all'adozione di norme legislative che non solo risultino estranee all'indirizzo politico e programmatico di ciascun governo, ma, a maggior ragione, siano estranee alla continuità rappresentativa del consenso popolare che caratterizza, pur già tra molte difficoltà, il procedimento legislativo nazionale quale previsto dalla nostra Costituzione a presidio della democrazia: fondata sull'appartenenza popolare della sovranità e sul principio lavoristico...che, esigerebbe il perseguimento della piena occupazione e non quella della competitività e della stabilità dei prezzi, a cui invece sono improntate, secondo teorie agli antipodi della volontà popolare espressa nell'Assemblea Costituente, le norme fondamentali dei trattati e, dunque, anche e specialmente, ma pure contraddittoriamente, quelle sul nuovo Patto di Stabilità.

6. Sulle norme transitorie per così dire, del nuovo Patto (correzione dell'avanzo primario dello 0,25% del PIL annualmente per 4 o 7 anni iniziali, in, parrebbe, transitoria sospensione della regola della discesa della ratio del debito dell'1% all'anno), - gettate come sono in questa sorta di roulette che risultano essere gli interna corporis (certamente praeter constitutionem) costituiti dai triloghi, in questa sede, dunque non ci dilungheremo: facciamo solo rilevare che 5 miliardi, costantemente aggiuntivi, di consolidamento fiscale (che prelude poi ad un successivo obbligo di consolidamento di oltre 12 miliardi all'anno, mentre inizieranno le crescentemente onerose restituzioni del PNRR), - in una situazione come quella attuale, in cui dalla crisi energetica, innescata essenzialmente dalla transizione verde, sta manifestandosi una deindustrializzazione suicida di tutto l'area euro -, non risultano semplicemente pro-ciclici ma distruttivamente pro-ciclici. Di più, questo presunto livello moderato e transitorio di consolidamento fiscale è già in sé impeditivo, ed in modo esiziale, di quelle politiche industriali pubbliche che per l'Italia sono indispensabili, vitali, per la sua stessa sopravvivenza.

Tutta l'idea che la diminuzione della ratio del debito rispetto al PIL sia perseguibile SOLO ed esclusivamente col combinato di una riduzione del disavanzo del settore pubblico e con politiche deflattive, a maggior ragione nelle attuali condizioni economiche e sociali, risulta disastrosa e produrrà effetti esattamente contrari. Si sta incautamente perseguendo, anche nel protrarsi improvvido degli alti tassi inutilmente inaspriti dalla BCE, la crescita del rischio bancario sistemico da insolvenze e di conseguente default dei titoli del debito pubblico. Siamo alle soglie di un'era, ancora più accanita di quella posteriore al 2010, di instabilità finanziaria perseguita ostinatamente in nome della...stabilità finanziaria  

7. Riportiamo dunque il riassunto appunto fatto da EIR con alcuni brevi commenti additivi (in blu).

Il nuovo anno riporta in auge le regole sul debito dell'Unione Europea, che erano state sospese a causa della pandemia di Covid. Le regole riformate del Patto di stabilità e crescita, decise dal Consiglio europeo il 20 dicembre, sono un revival dell'austerità pre-Covid alla Brüning (il cancelliere tedesco che contribuì a spianare la strada a Hitler) e della politica di riarmo di Hjalmar Schacht, banchiere centrale di Hitler.

Le nuove regole sul debito e sul deficit possono essere così sintetizzate: i Paesi membri dell'UE possono scegliere come distruggere la propria economia: con tagli diretti al bilancio o con una più rapida attuazione delle politiche di "transizione climatica".

Le nuove regole, infatti, mantengono gli stessi vecchi parametri per il debito massimo (60%) e il deficit (3%), ma li rendono ancora più severi introducendo un obiettivo intermedio di "salvaguardia" dell'1,5% per il deficit, al fine di consentire un cuscinetto di spesa per gli imprevisti, e introducendo uno scadenzario di 4-7 anni per i Paesi ad alto debito per centrare l'obiettivo. Poi la fregatura finale: i Paesi membri dovranno presentare alla Commissione dei piani su come intendono raggiungere l'obiettivo. La Commissione può offrire più o meno flessibilità, a seconda della "sostenibilità" della spesa prevista, dal punto di vista della "transizione climatica" e delle politiche di difesa della Commissione. Traduzione: se si fa debito per la "transizione climatica" e il riarmo, il Paese ottiene un lasciapassare.

Ma c'è di peggio. Dal momento che gli investimenti climatici e i carri armati non creeranno crescita, (ndr; e questo, anzitutto, perché il green è sostanzialmente rivolto alle importazioni e alla dipendenza tecnologica dalla Cina, mentre il settore difesa implica il prevalere delle forniture e delle tecnologie standard importate dall'estero e un limitato valore aggiunto di componentistica e fasi di assemblaggio in sede nazionale; se poi il prodotto industriale della difesa viene utilizzato per essere "consumato" all'estero, o comunque utilizzato in scenari di guerra, esso ha sul PIL gli stessi effetti di un costosissimo turismo all'estero) il rapporto debito/PIL peggiorerà necessariamente, richiedendo quindi ulteriori tagli, che freneranno la crescita e peggioreranno il rapporto debito/PIL, richiedendo ulteriori tagli ecc.

L'economista italiano Gustavo Piga, che insegna economia politica all'Università di Roma Tor Vergata, ha affermato che le nuove regole sul debito aumenteranno il divario in Europa e sono una condanna a morte per la democrazia.

"Dall'accordo (...) esce quindi sconfitta la democrazia europea, perché ha ceduto all'attore tecnocratico chiamato Commissione europea, che avrà più poteri. È bene ricordare che in nessun'altra parte del mondo c'è un organismo tecnocratico che stabilisce cosa debbano fare singoli Paesi sovrani." https://www.ilsussidiario.net/news/nuovo-patto-di-stabilita-ue-ancora-piu-lontana-dagli-usa-litalia-senza-carte-anti-crisi/2638304/.

L'aspetto più inquietante delle nuove regole, tuttavia, è la decisione di escludere le spese militari dal calcolo del deficit, seguendo di fatto lo stesso schema adottato da Hjalmar Schacht per riarmare la Germania di Hitler. Schacht finanziò l'intero riarmo della Germania nazista fuori bilancio, facendo emettere ad una società privata, la Metallurgische Forschungsgesellschaft (MeFo), delle cambiali che venivano poi scontate dalla banca centrale (Reichsbank) di Schacht. In questo modo, il riarmo del Terzo Reich avvenne senza aumentare formalmente il debito pubblico (ndr; il punto è che i MeFO erano volti a finanziare, in regime di gold standard, mantenuto dalla Germania nazista pur dopo la crisi del 1929, le importazioni di materie prime e di generi alimentari necessari al riarmo, e ciò dando diritto, ai "prenditori" esteri ad essere pagati, in un momento futuro, esclusivamente mediante beni prodotti dall'industria tedesca. Si arrivò comunque, istituendo tra l'altro un beffardo meccanismo di clearing, ad un enorme indebitamento estero tedesco, in oro; che però non fuoriuscì mai dalla Germania, non essendo mai stata intenzione del governo nazista di tenere fino in fondo fede alle "cambiali" verso i paesi fornitori, per lo più nell'Europa orientale. In sostanza, la Germania truffò la maggior parte dei paesi creditori, occupandoli poi militarmente...grazie al debito contratto con essi; poi appropriandosi delle loro riserve d'oro e di valuta pregiata. Al danno si aggiunse la tragica beffa...)

Il nuovo Patto di stabilità dell'UE ha istituito anche un "conto di controllo" centrale per verificare la deviazione dalle politiche fiscali, prevedendo l'apertura di una procedura per debito eccessivo nei confronti dei Paesi che si discostano dal percorso di spesa, con alcune eccezioni: "I recenti aumenti di spesa per la difesa saranno presi in considerazione favorevolmente, il che pone la difesa in una priorità di spesa leggermente avvantaggiata rispetto ad altre priorità dell'UE come la transizione verde e digitale o gli obiettivi sociali", ha scritto correttamente il portale filo-UE Euractiv.

Ecco, quindi, che le spese per la difesa non saranno conteggiate nel bilancio. L'UE vuole che i Paesi membri raggiungano l'obiettivo NATO di almeno il 2% del PIL per le spese militari. Non sembra impressionante, ma per Paesi come l'Italia significa raddoppiare il bilancio militare dagli attuali quasi 20 miliardi di dollari a 40 miliardi (ndr; a regime, ciò significa che si aumenteranno le importazioni nel settore della difesa, più che proporzionalmente all'aumento del valore prodotto in Italia, e, trattandosi di spesa pubblica, con un aumento del ricorso al mercato, - a prescindere dagli effetti sulle procedure di infrazione -, mentre si procederà ad un feroce consolidamento fiscale su tutto il resto della spesa, sia per investimenti sia corrente; cioè su sanità, pensioni, assetto del territorio, manutenzione delle infrastrutture, e livelli del pubblico impiego in questi settori nevralgici per "il livello di civiltà"). Anche per la Germania significa raddoppiare il bilancio, che passa dai circa 40 miliardi del 2021 a più di 80 miliardi di dollari. Probabilmente gli aumenti di spesa non si fermeranno qui, se "l'Europa" prevede una guerra con la Russia tra dieci anni, come ha dichiarato il Cancelliere tedesco Scholz.