venerdì 5 gennaio 2024

LA NUOVA GOVERNANCE ECONOMICA EUROPEA: IL RITORNO DELL'AUSTERITA' ESPANSIVA TRA TRILOGHI E CRESCENTE DE-COSTITUZIONALIZZAZIONE DEL PROCESSO LEGISLATIVO NAZIONALE.

 

1. Dalla mail di EIR- Strategic Alert n.1/2024, del 4 gennaio 2024, riceviamo il sotto riportato commento alla nuova governance dell'Unione europea, a buon punto di adozione dopo il Consiglio del 20 dicembre 2023; lo riproduciamo ponendovi delle ulteriori note a illustrazione più approfondita del complesso insieme di fonti che compone tale riforma del Patto di Stabilità e Crescita. 

Avvertiamo che, sulla scorta della premessa che andremo brevemente ora a svolgere (è breve rispetto alla portata dell'argomento sul piano giuridico-costituzionale), non entreremo nel merito della complicatissima serie di previsioni transitorie di cui tutt'ora si discute nei "triloghi". 

2. Quello che ora interessa evidenziare è la sostanza "a regime" della nuova disciplina e come, ancora una volta, ci troviamo a subire, - senza alcuna possibilità concreta di influire sulla sua sostanza regolatoria, della massima importanza nelle nostre vite quotidiane e, in proiezione collettiva, della nostra esistenza democratica -, una disciplina inesorabile e distruttiva, sia dal punto di vista occupazionale, quantitativo e qualitativo, che della nostra capacità industriale, e delle connesse prospettive demografiche, SENZA AVERLA MAI CONCEPITA ALL'INTERNO DI UN DIBATTITO CONFORME AI PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA NOSTRA COSTITUZIONE ED A QUALSIASI ESPRESSIONE DELLA VOLONTA' POPOLARE RILEVABILE NELLE ELEZIONI POLITICHE. 

I triloghi - e vi facciamo breve cenno per una miglior comprensione di tutti i cittadini, per lo più totalmente ignari del fatto che i loro destini vengono decisi con tali modalità -, sono definiti un metodo "informale" di negoziato sugli atti normativi dell'UE, peraltro non previsto e disciplinato nei Trattati, che intercorre tra Commissione, Parlamento europeo e rappresentanti del Consiglio; tale metodo porta alla definitiva adozione di un testo con delibera consiliare, a sua volta soggetta a varie regole di maggioranza o, come nel caso, di unanimità; l'evoluzione emendativa, cioè la possibilità stessa di influire sul suo contenuto, normalmente prefissato "dall'alto" dalla Commissione e dai suoi apparati tecnocratici, è variamente ed informalmente (se non debolmente) seguita dai singoli governi, (chiamati in ultima analisi ad approvare norme poi obbligatorie al loro interno), per lo più tramite le rappresentanze diplomatiche permanenti a Bruxelles. 

3. Questa metodologia verticistico-informale dei triloghi riveste una particolare rilevanza; ma opera de facto, praeter legem sia europea che costituzionale nazionale - dato che: 

a) i trattati appunto non ne parlano, né, in verità, parrebbero consentire una tale prevalenza, autoreferenziale e burocraticamente internalizzata, del processo legislativo europeo sugli interessi sociali e sulla volontà popolare elettorale rilevabili nei singoli Stati, (quantomeno se l'art.4, paragrafi 1 e 2, del TUE avesse un senso non semplicemente...cosmetico): il momento co-decisionale è, e rimane, sempre di più, risolto verticisticamente tutto all'interno delle istituzioni UE, ben "al riparo dal processo elettorale" che si svolge nei vari Stati, sebbene i destinatari delle norme siano, tuttavia, appunto, i singoli cittadini dei singoli Stati aderenti (vecchio problema, si dirà, ma che si acutizza in un modo sempre più drammatico); 

b) la nostra Costituzione, quanto all'adozione e alla formazione democratico-parlamentare di atti aventi valore di legge, non contempla alcuna clausola che sia compatibile con l'efficacia costitutiva della volontà legislativa attribuita a tale metodologia, con tutta evidenza completamente "al riparo dal processo elettorale".  

c) Da aggiungere poi che le norme previste dal Protocollo 1 allegato ai trattati, sulla partecipazione dei parlamenti nazionali, attuato in modo piuttosto confuso, restrittivo, ed incoerente con lo stesso Protocollo, dalla legge n.234 del 2012, non servono in alcun modo a temperare la sostanziale "incontrollabilità" democratica, cioè rappresentativa di una cosciente volontà popolare, del processo di formazione della legislazione UE: tant'è che quando questa viene sottoposta, nei singoli Stati, ad un referendum, normalmente viene respinta dai corpi elettorali. A condizione che, ovviamente, questi siano ben informati sulla portata reale di norme che vengono deliberatamente scritte in modo da risultare incomprensibili ai comuni elettori (cosa che venne affermata, senza molta reticenza, dai maggiori protagonisti del negoziato per il Trattato di Lisbona).

4. Ma, si dice, ed anzi così si insegna agli studenti, questo modo di legiferare va accettato, senza alcuna riserva in ordine al rispetto dello Stato di diritto costituzionale, nelle singole Nazioni, "proprio in grazia alla natura costituzionale dell’Unione"

In pratica, il breve cenno dell'art.117 Cost., comma 1, alla circostanza che la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni è esercitata nel rispetto della Costituzione (e vorrei pure vedere...la previsione che lo dice è nella stessa Costituzione) e dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, sarebbe sufficiente a esporre, per un tempo illimitato, in eterno, i cittadini italiani (nel caso), a modalità di adozione e contenuti delle norme che nulla hanno a che vedere con l'indirizzo politico espresso dal corpo elettorale nelle elezioni e, sempre più evidentemente, neppure lontanamente posti nei programmi elettorali dei partiti e, ancor meno, nei programmi del governo che ha ottenuto la fiducia dal parlamento.

4.1. Che l'Italia si adegui agli obblighi derivanti dai trattati europei è insito nella relativa legge di autorizzazione alla ratifica, e non c'era certo bisogno di ribadirlo in Costituzione. Poiché ribadire l'ovvio, il "già contemplato" in altre e più eminenti e chiare previsioni preesistenti, indebolisce, anziché rafforzare, il precetto che si intenderebbe enunciare, ponendo il dubbio che, proprio per i trattati europei, l'art.10 Cost. e l'art.80 Cost. soffrissero di un'operatività non autosufficiente, ovvero non fornissero una copertura sufficiente all'adesione incondizionata ad una organizzazione internazionale che assorbisse il principio lavoristico posto nell'art.1 Cost., abrogasse l'obbligo di intervento della Repubblica per la giustizia sociale (art. 3, comma 2, Cost.) e per la regolazione dell'attività economica (art. 41 Cost.) finalizzata ad evitarne il contrasto con l'utilità sociale (cioè generale, del popolo detentore della sovranità: a cui interessa trovare un'occupazione, - e non vedersela precarizzata in nome della stabilità dei prezzi e della presunta stabilità finanziaria -, un'occupazione con una retribuzione che gli consenta un'esistenza libera e dignitosa per sé e la propria famiglia, art. 36 Cost.).

4.2. ...Il dubbio (qui, p. 6.1.) sulla sufficienza di una legge di ratifica e del pacta sunt servanda a riformare radicalmente l'ordinamento legale-costituzionale, e dunque, a maggior ragione, sulla possibile costituzionalizzazione di tale organizzazione per via di un mero e ripetitivo reiterare, nell'art.117 Cost., quanto già meglio espresso negli artt. 10 e 80 Cost., in realtà sarebbe stato (ed è stato, v. pp. 6 e seguenti) pure legittimamente formulabile: per un attento giurista che si accorgesse, - senza " radicali errori" di lettura ermeneutica, che poi sono un'altrettanto radicale "incomprensione" -, che proprio per tali trattati si poneva il problema di un palese contrasto con le condizioni che l'art.11 Cost. aveva posto al Legislatore in sede di ratifica di trattati concernenti le "organizzazioni internazionali". 

4.3. E cioè non "qualsiasi" organizzazione internazionale, in quanto tale, - come si ritiene oggi persino nella giuspubblicistica nazionale accademica -, può essere oggetto di acritica adesione da parte della Repubblica italiana. Almeno non senza un'attenta e continua verifica del rispetto, da parte di tale organizzazione, dell'effettivo perseguimento delle finalità che l'art.11 pone come condizioni imprescindibili, e non soggette neppure a revisione costituzionale, per l'adesione. Il che, tra l'altro, ci dice che solo disapplicandone, illecitamente, il contenuto, ovvero ignorandolo per farne un richiamo assolutamente generico (e in essenza, "magicamente" limitato al fatto riduzionistico della menzione, nel più vasto testo, dell'adesione ad organizzazioni internazionali), i Trattati europei e tutto quel che ne è derivato, possono trovare una copertura nell'art. 11 Cost.

E quanto detto finora, a maggior ragione vale in quanto l'art.10 della Costituzione già dice che il nostro ordinamento si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, - le quali, in sè, rimangono oggetto di un acceso e crescente (in questi ultimissimi anni) dibattito circa la loro "rilevazione" e portata -, ma che, con un'unica certezza plurisecolare, includono il principio fondamentale del "pacta sunt servanda"

Sicché alla luce delle leggi di ratifica, cioè dell'art. 80 Cost., e dell'art.10 Cost. (che ne è la premessa sostanziale), la dicitura dell'art.117 Cost., - novella inserita con la riforma costituzionale del Titolo V e come tale diritto costituzionale derivato e di rango inferiore agli artt.10, 80 e 11 della stessa Costituzione -, risulta del tutto pleonastica e confusamente dichiarativa di quanto già espresso in altre, e superiori, norme costituzionali, senza poter neppure lontanamente implicare la modifica di queste, che, essendo principi fondamentalissimi di tutela della democrazia costituzionale, tra l'altro, non potrebbero neppure essere soggette al meccanismo di revisione costituzionale ex art. 138 e 139 Cost. (argomenti di cui abbiamo qui lungamente parlato). 

5. Se dunque, in nessun ordine di considerazioni logico-giuridiche, dall'art.117 Cost, può dedursi la "natura costituzionale dell'Unione", salvo forzature (almeno finora) estranee alla prevalente dottrina costituzionalistica, ne discende che i triloghi hanno una rilevanza interna all'applicazione dei trattati, ma di certo, col loro metodo autoreferenziale e internalizzato, non possono imporsi come deroghe legittime all'adozione di norme legislative che non solo risultino estranee all'indirizzo politico e programmatico di ciascun governo, ma, a maggior ragione, siano estranee alla continuità rappresentativa del consenso popolare che caratterizza, pur già tra molte difficoltà, il procedimento legislativo nazionale quale previsto dalla nostra Costituzione a presidio della democrazia: fondata sull'appartenenza popolare della sovranità e sul principio lavoristico...che, esigerebbe il perseguimento della piena occupazione e non quella della competitività e della stabilità dei prezzi, a cui invece sono improntate, secondo teorie agli antipodi della volontà popolare espressa nell'Assemblea Costituente, le norme fondamentali dei trattati e, dunque, anche e specialmente, ma pure contraddittoriamente, quelle sul nuovo Patto di Stabilità.

6. Sulle norme transitorie per così dire, del nuovo Patto (correzione dell'avanzo primario dello 0,25% del PIL annualmente per 4 o 7 anni iniziali, in, parrebbe, transitoria sospensione della regola della discesa della ratio del debito dell'1% all'anno), - gettate come sono in questa sorta di roulette che risultano essere gli interna corporis (certamente praeter constitutionem) costituiti dai triloghi, in questa sede, dunque non ci dilungheremo: facciamo solo rilevare che 5 miliardi, costantemente aggiuntivi, di consolidamento fiscale (che prelude poi ad un successivo obbligo di consolidamento di oltre 12 miliardi all'anno, mentre inizieranno le crescentemente onerose restituzioni del PNRR), - in una situazione come quella attuale, in cui dalla crisi energetica, innescata essenzialmente dalla transizione verde, sta manifestandosi una deindustrializzazione suicida di tutto l'area euro -, non risultano semplicemente pro-ciclici ma distruttivamente pro-ciclici. Di più, questo presunto livello moderato e transitorio di consolidamento fiscale è già in sé impeditivo, ed in modo esiziale, di quelle politiche industriali pubbliche che per l'Italia sono indispensabili, vitali, per la sua stessa sopravvivenza.

Tutta l'idea che la diminuzione della ratio del debito rispetto al PIL sia perseguibile SOLO ed esclusivamente col combinato di una riduzione del disavanzo del settore pubblico e con politiche deflattive, a maggior ragione nelle attuali condizioni economiche e sociali, risulta disastrosa e produrrà effetti esattamente contrari. Si sta incautamente perseguendo, anche nel protrarsi improvvido degli alti tassi inutilmente inaspriti dalla BCE, la crescita del rischio bancario sistemico da insolvenze e di conseguente default dei titoli del debito pubblico. Siamo alle soglie di un'era, ancora più accanita di quella posteriore al 2010, di instabilità finanziaria perseguita ostinatamente in nome della...stabilità finanziaria  

7. Riportiamo dunque il riassunto appunto fatto da EIR con alcuni brevi commenti additivi (in blu).

Il nuovo anno riporta in auge le regole sul debito dell'Unione Europea, che erano state sospese a causa della pandemia di Covid. Le regole riformate del Patto di stabilità e crescita, decise dal Consiglio europeo il 20 dicembre, sono un revival dell'austerità pre-Covid alla Brüning (il cancelliere tedesco che contribuì a spianare la strada a Hitler) e della politica di riarmo di Hjalmar Schacht, banchiere centrale di Hitler.

Le nuove regole sul debito e sul deficit possono essere così sintetizzate: i Paesi membri dell'UE possono scegliere come distruggere la propria economia: con tagli diretti al bilancio o con una più rapida attuazione delle politiche di "transizione climatica".

Le nuove regole, infatti, mantengono gli stessi vecchi parametri per il debito massimo (60%) e il deficit (3%), ma li rendono ancora più severi introducendo un obiettivo intermedio di "salvaguardia" dell'1,5% per il deficit, al fine di consentire un cuscinetto di spesa per gli imprevisti, e introducendo uno scadenzario di 4-7 anni per i Paesi ad alto debito per centrare l'obiettivo. Poi la fregatura finale: i Paesi membri dovranno presentare alla Commissione dei piani su come intendono raggiungere l'obiettivo. La Commissione può offrire più o meno flessibilità, a seconda della "sostenibilità" della spesa prevista, dal punto di vista della "transizione climatica" e delle politiche di difesa della Commissione. Traduzione: se si fa debito per la "transizione climatica" e il riarmo, il Paese ottiene un lasciapassare.

Ma c'è di peggio. Dal momento che gli investimenti climatici e i carri armati non creeranno crescita, (ndr; e questo, anzitutto, perché il green è sostanzialmente rivolto alle importazioni e alla dipendenza tecnologica dalla Cina, mentre il settore difesa implica il prevalere delle forniture e delle tecnologie standard importate dall'estero e un limitato valore aggiunto di componentistica e fasi di assemblaggio in sede nazionale; se poi il prodotto industriale della difesa viene utilizzato per essere "consumato" all'estero, o comunque utilizzato in scenari di guerra, esso ha sul PIL gli stessi effetti di un costosissimo turismo all'estero) il rapporto debito/PIL peggiorerà necessariamente, richiedendo quindi ulteriori tagli, che freneranno la crescita e peggioreranno il rapporto debito/PIL, richiedendo ulteriori tagli ecc.

L'economista italiano Gustavo Piga, che insegna economia politica all'Università di Roma Tor Vergata, ha affermato che le nuove regole sul debito aumenteranno il divario in Europa e sono una condanna a morte per la democrazia.

"Dall'accordo (...) esce quindi sconfitta la democrazia europea, perché ha ceduto all'attore tecnocratico chiamato Commissione europea, che avrà più poteri. È bene ricordare che in nessun'altra parte del mondo c'è un organismo tecnocratico che stabilisce cosa debbano fare singoli Paesi sovrani." https://www.ilsussidiario.net/news/nuovo-patto-di-stabilita-ue-ancora-piu-lontana-dagli-usa-litalia-senza-carte-anti-crisi/2638304/.

L'aspetto più inquietante delle nuove regole, tuttavia, è la decisione di escludere le spese militari dal calcolo del deficit, seguendo di fatto lo stesso schema adottato da Hjalmar Schacht per riarmare la Germania di Hitler. Schacht finanziò l'intero riarmo della Germania nazista fuori bilancio, facendo emettere ad una società privata, la Metallurgische Forschungsgesellschaft (MeFo), delle cambiali che venivano poi scontate dalla banca centrale (Reichsbank) di Schacht. In questo modo, il riarmo del Terzo Reich avvenne senza aumentare formalmente il debito pubblico (ndr; il punto è che i MeFO erano volti a finanziare, in regime di gold standard, mantenuto dalla Germania nazista pur dopo la crisi del 1929, le importazioni di materie prime e di generi alimentari necessari al riarmo, e ciò dando diritto, ai "prenditori" esteri ad essere pagati, in un momento futuro, esclusivamente mediante beni prodotti dall'industria tedesca. Si arrivò comunque, istituendo tra l'altro un beffardo meccanismo di clearing, ad un enorme indebitamento estero tedesco, in oro; che però non fuoriuscì mai dalla Germania, non essendo mai stata intenzione del governo nazista di tenere fino in fondo fede alle "cambiali" verso i paesi fornitori, per lo più nell'Europa orientale. In sostanza, la Germania truffò la maggior parte dei paesi creditori, occupandoli poi militarmente...grazie al debito contratto con essi; poi appropriandosi delle loro riserve d'oro e di valuta pregiata. Al danno si aggiunse la tragica beffa...)

Il nuovo Patto di stabilità dell'UE ha istituito anche un "conto di controllo" centrale per verificare la deviazione dalle politiche fiscali, prevedendo l'apertura di una procedura per debito eccessivo nei confronti dei Paesi che si discostano dal percorso di spesa, con alcune eccezioni: "I recenti aumenti di spesa per la difesa saranno presi in considerazione favorevolmente, il che pone la difesa in una priorità di spesa leggermente avvantaggiata rispetto ad altre priorità dell'UE come la transizione verde e digitale o gli obiettivi sociali", ha scritto correttamente il portale filo-UE Euractiv.

Ecco, quindi, che le spese per la difesa non saranno conteggiate nel bilancio. L'UE vuole che i Paesi membri raggiungano l'obiettivo NATO di almeno il 2% del PIL per le spese militari. Non sembra impressionante, ma per Paesi come l'Italia significa raddoppiare il bilancio militare dagli attuali quasi 20 miliardi di dollari a 40 miliardi (ndr; a regime, ciò significa che si aumenteranno le importazioni nel settore della difesa, più che proporzionalmente all'aumento del valore prodotto in Italia, e, trattandosi di spesa pubblica, con un aumento del ricorso al mercato, - a prescindere dagli effetti sulle procedure di infrazione -, mentre si procederà ad un feroce consolidamento fiscale su tutto il resto della spesa, sia per investimenti sia corrente; cioè su sanità, pensioni, assetto del territorio, manutenzione delle infrastrutture, e livelli del pubblico impiego in questi settori nevralgici per "il livello di civiltà"). Anche per la Germania significa raddoppiare il bilancio, che passa dai circa 40 miliardi del 2021 a più di 80 miliardi di dollari. Probabilmente gli aumenti di spesa non si fermeranno qui, se "l'Europa" prevede una guerra con la Russia tra dieci anni, come ha dichiarato il Cancelliere tedesco Scholz.

5 commenti:

  1. L'egemone ha stabilito la traiettoria dell'Italia.
    Reddito pro capite al più stagnante, riduzione costante del numero dei nativi, numero dei residenti in calo.
    Il numero dei nativi in calo comporterebbe una relativa concentrazione di ricchezza per via ereditaria ma a questo provvedono i numerosi meccanismi di esproprio del risparmio escogitati.
    Cadremo con l'egemone, poi si vedrà.
    Per fortuna per meri motivi anagrafici non vedrò il peggio.
    SO che più che aiutare i miei figli (e nipoti quando arriveranno) non potrò fare.

    RispondiElimina
  2. A "Euro, mercati e democrazia 2021" Carlo Galli accennava a quanto sarebbe stata ben più dolorosa la "restituzione di quanto speso durante la pandemia rispetto alla "punturina".Dovremmo forse appoggiare di più gli Usa vs la Germania per avere un maggiore spazio di manovra nell' Ue ,come fanno i polacchi ,oppure anche questo espediente è precluso dal pregiudizio razzista verso noi "latini",prevalente in Usa ,paese che ha una componente di origine germanica maggioritaria

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Interessante ragionamento il tuo (un pochettino off-topic...).
      Interessante perché va al nocciolo di un dilemma che è spesso agitato in una sorta di opinione pubblica, diciamo, "(semi)cosciente" (per distinguerla da quella, mediatico-maggioritaria, che legge gli editoriali dei giornaloni e si inebria di diritto €uropeo immaginario...senza conoscere ciò che, con grande chiarezza, avevano detto Rosa Luxemburg e Lenin sull'idea degli Stati Uniti d'Europa).
      Rispondo con due ordini di considerazioni:

      a) Galli (Carlo) pare non riuscire a vedere il tratto unificante di "quanto speso durante la pandemia" con "la punturina". Eppure, nella prospettiva del conflitto distributivo, a esito precostituito allorché sia restaurato l'ordine internazionale del mercato (ora "sovranazionale", cioè molto più istituzionale che in passato), che siano due facce della stessa medaglia appare evidente. Il capitalismo free-trade invoca il mercato perché sa di avere in mano le istituzioni che gli consentono di manipolarlo. La manipolazione istituzionalizzata del mercato per assicurarsi la certezza dei profitti (in rendita) è l'essenza del capitalismo "di mercato". Nulla ci deve stupire assumendo questa ottica: contrapporre i due fenomeni citati è irragionevole.

      b) detto questo, il capitalismo anglosassone è il generatore delle teorie razziste (qui se ne è parlato ampiamente) e non certo per la sua componente tedesca (il principale privilegio dei tedeschi negli Usa è quello di avere la più alta attitudine alla anglo-conformation capitalista liberale, più degli irlandesi, per dire; ma mai quanto le nostre elite a cavallo tra 800 e 900, peraltro; v. Pareto, Einaudi e tanti altri anglo-ortodossi che hanno approfittato, in pieno, della compatibilità tra dottrina sociale della Chiesa, dell'epoca, e nascita del concetto di mercato all'interno della chiesa cattolica; su questi punti, qui ampiamente trattati, Arturo e Bazaar, se sono in ascolto, potranno ragguagliarti).
      Dunque, in realtà il bias anti-latino è...uno dei tanti (Chang in Bad Samaritans ci illustra brillantemente come sia stato applicato anche a tedeschi ottocenteschi, giapponesi e coreani). Per superarlo, basta non avere auto-razzismo organicamente infuso nelle nostre classi dirigenti "reali".
      E superato l'autorazzismo, a mio modesto avviso, MAI come ora le condizioni si sono storicamente manifestato di un negoziato per noi utile.
      Certo, tutto si riduce allora alla qualità della nostra classe dirigente.
      Ma questo, alla fine, ci rinvia al famoso "problema mediatico" ed alla preponderanza degli "agenti di influenzamento" di cui così chiaramente ha parlato Gramsci).

      Elimina
  3. Oltre al ben ritrovato a tutti, volevo fare una piccola osservazione sul novellato art. 117.
    Come spesso capita ai più realisti del re, il risultato è ben poco felice anche rispetto al diritto comunitario, come è riconosciuto pure da dottrina insospettabile di antieuropeismo. In effetti, se la Corte Costituzionale annullasse norme statali per contrasto col diritto comunitario, e quindi indiretta violazione dell’art. 117, si ritornerebbe alla giurisprudenza costituzionale pre-Granital (sent. 170-1984), in cui la Corte interpretava lei stessa le norme comunitarie per valutare la compatibilità con esse di quelle italiane potenzialmente contrastanti, incorrendo però nei fulmini della Corte di Giustizia. Come dice Pagotto (La disapplicazione della legge, Giuffè, 2008, pagg. 231-2): “Se, infatti, nell’ambito del sindacato sull’osservanza di atti di diritto internazionale pattizio “classico” vi è, di norma, la frapposizione delle disposizioni di autorizzazione alla ratifica del singolo atto, e dunque un ampio spazio per le pronunce della Corte costituzionale, nel caso del diritto comunitario è assente un atto che autorizza l’ingresso delle nuove norme nell’ordinamento nazionale (salvo la legge di ratifica del Trattato di Roma) ed è del tutto inibito alla Consulta effettuare operazioni interpretative, anche al solo fine di dirimere le antinomie.” Il risultato è che si può immaginare un’applicabilità dell’art. 117 solo ai giudizi in via principale, in cui manca un giudice a quo: “Questa soluzione, ineccepibile nei ricorsi in via diretta, non potrebbe — a nostro giudizio — essere applicata in modo analogo ai casi di questione incidentale di costituzionalità, poiché il potere di disapplicazione del giudice rimettente non può ritenersi assorbito dal solo contrasto con l’art. 117 della Costituzione. Riteniamo, quindi, che l’annullamento per incostituzionalità, sub specie di contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., debba limitarsi ai giudizi in via principale, dovendosi altrimenti optare per la manifesta inammissibilità di questione incidentale che il giudice ha tutti gli strumenti per risolvere in proprio tramite la disapplicazione della legge.” (Ivi, pag. 236).

    In pratica, nella maggioranza dei casi, se la Corte Costituzionale volesse assicurare il rispetto del diritto comunitario, che è la ratio dell’art. 117,...dovrebbe violarlo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ben tornato!
      In pratica la Corte, (ponendosi ormai tra l'altro come giudice rimettente alla CGUE) non ha comunque mai avuto bisogno di applicare principaliter l'art.117 Cost..
      Ma ciò in forza dell'ostentata, quanto recente, dichiarazione della equi-ordinazione di tutte le norme costituzionali (e se no, un "diritto diventa tiranno sugli altri").
      Ciò in quanto, dilagando da plurime pronunce su giudizi incidentali (specie sui diritti di prestazione e sugli effetti restitutori non più automatici), si è consolidata l'affermazione (qui più volte analizzata su varie pronunce) che rispetto "agli obblighi derivanti dall'adesione all'Ue", sia ormai rinvenibile una previsione costituzionale intrinsecamente complementare a TUTTE le altre, e comunque equiparata a qualunque altra (inclusi gli artt. 1, 3 e 4); simultaneamente è diventato inoltre pacifico, per la Corte, che i limiti di bilancio e la teoria della "scarsità delle risorse" NON INTACCHINO MAI EX SE i "diritti della persona" (catalogo che peraltro riguarda, anch'esso ormai, SOLO i diritti sezionali delle minoranze...in quanto euro-tipizzate...dallo "Stato di diritto" €uropeo e per tutelare i quali, - che ce vo'? -, basta rimodulare i capitoli di bilancio, a stanziamenti invariati).

      MI divertono i costituzionalisti: vedono tanti problemi di un ricco diritto processuale costituzionale (creato in stratificazioni dalla stessa Corte, per non decidere nel merito allorquando non riesca ad avere facile gioco con la "discrezionalità del legislatore"), cioè di condizioni dell'azione, perché sul diritto costituzionale sostanziale, in ossequio al "costituzionalismo" derivato dalla Corte Suprema americana, ormai non c'è più molto da dire.
      Se non altro perché si "aspetta", rispettosamente, di capire quale altra parola d'ordine woke possa venire da Bruxelles, o da oltreoceano, per non fare, nel frattempo, brutta figura a porre, anche soio tangenzialmente, in ossequioso dubbio, la legittimità costituzionale di qualche elemento fondamentale delle "riforme strutturali" imposte dall'€uropa, riprendendo timidamente qualche "bislacco" ragionamento della Costituente ("orrore!") o di Mortati o Crisafulli (chi li conosce più?)

      Elimina