martedì 30 gennaio 2018

AL NETTO DELLE ELEZIONI ITALIANE, L'€UROPA NON HA MAI PERSO E NON POTRA' MAI PERDERE LA SUA IDENTITA' (DI ASSEDIANTE)


http://www.lastampa.it/rf/image_lowres/Pub/p4/2017/05/15/Esteri/Foto/RitagliWeb/109d3126f381fd072b03db06cebfcac9-kSJB-U11002798579925cQC-1024x576%40LaStampa.it.jpg

http://www.newspedia.it/wp-content/uploads/2016/04/referendum-trivelle-ciaone.png

1. La prima proposizione che deve essere chiara per non perdere la bussola nel corso di questo estenuante periodo di campagna elettorale, è che ogni cosa che verrà comunicata dal sistema dei big-media, - a partire dal lunare dibattito sulle coperture delle misure fiscali proposte dai vari partiti, e definite sprezzantemente elargitive (dire espansive sarebbe concedergli una chiarezza che non hanno), fino alla telenovela sempre più grottesca delle candidature-, serve a distrarre dalle future certezze e prospettive vincolanti del post-elezioni.
Sappiamo infatti che, a vincolo esterno immutato, l'indirizzo politico (cioè economico, fiscale, industriale, occupazionale, e ovviamente di politica monetaria) è predeterminato a prescindere da qualsiasi esito delle elezioni e da qualsiasi conseguente composizione del parlamento
Anche se, in questa particolare tornata, si ha un non paradossale interesse, delle elites, come deve ammettere Wolf, alla conservazione della crescita astensionistica che caratterizza l'avvenuta instaurazione di un sistema ordoliberale e sovranazionale "al riparo dal processo elettorale" (pur con qualche rimedio possibile de iure condendo ma anche de iure condito).

1.1. Tentiamo quindi, senza poter avere la pretesa di essere esaurienti o sistematici (l'€-fantasia teratologica e mimeticamente multiforme ha risorse comunicativo-cosmetiche che fanno impallidire qualsiasi "ragionevole aspettativa"), di elencare riassuntivamente queste certezze e queste prospettive vincolanti. 
Vedremo che, nel loro insieme, delineano un quadro coerente che prefigura i propri sviluppi secondo una logica inesorabile e costante dai suoi inizi (negli anni '50) fino all'imminente futuro:

1.2. Manovra correttiva primaverile 
(sentite come suona soave questo appuntamento così puntuale che sconta la de-sovranizzazione normativa persino dell'approvazione del Def, nella sostanza vistato prima dalla Commissione e solo poi "ratificato", militarmente e immancabilmente, dal parlamento; come ci spiega Aldo Barba, qui, pp.117-119?).
Come dovremmo ormai sapere, in base alla rewiev e alle conseguenti prescrizioni correttive della Commissione relativa alla manovra approvata annualmente dai parlamenti nazionali, entro febbraio, il Consiglio dei ministri Ue, formula le "linee guida" (v. sempre allo studio sopra citato) che vengono rielaborate in un Country Report contenente i pressanti "consigli", stimolati anche dal capo dell'eurogruppo con un battage di dichiarazioni "persuasive" ai media di tutta €uropa.
Quest'anno, Moscovici ha già iniziato a rammentarci, in piena campagna elettorale e anzi proprio per questo (!) che la regola del deficit pubblico, per l'Italia, è in realtà vincolata al superiore principio della riduzione del debito (qui, p.3, infine). 
Già lo scorso anno (e in ogni anno che l'ha preceduto, per la verità), questo punto era stato chiarito e, infatti, si ebbe la manovra correttiva di Padoan  di aprile.
Ma di questo imminente futuro così regolarmente incalzante e correzionale abbiamo già parlato a...ottobre (cioè ancor prima che Moscovici seguisse il suo copione): di fronte a correzioni stimabili, a norma di fiscal compact, in 0,5-0,6, ci verrà probabilmente fatta una richiesta di correzione dei soliti 0,3 punti di PIL: ma solo se ci va bene e se l'esito elettorale non indurrà "i mercati" alla immediata offensiva degli spread.
La nuova correzione, tagli e tasse per 6-7 miliardi, verrà probabilmente affidata al credibile governo Gentiloni, considerato ancora in carica, in attesa che lunghe trattative conducano alla eventuale fiducia a un nuovo governo (di probabili larghe, se non insospettabili, intese).

1.3. Addendum BCE sui crediti in sofferenza (NPE e/o NPL) appostati nei bilanci del (solo) sistema bancario italiano
Dei curiosi effetti sistemici di questa disciplina sulle banche - che ignora il problema dei derivati tossici e mark to fantasy nei bilanci delle banche franco-tedesche- e, più che altro, sui risparmi degli italiani, abbiamo ampiamente parlato. Riassumiamo la ratio oggettiva e innegabile dell'Addendum (qui p.11.4): 
- con l'addendum si arriva, prima di tutto, a porre uno standard di ricapitalizzazione insostenibile (nella situazione relativa dell'economia italiana e anche in assoluto).
Da ciò si innesca una corsa verso 3 esiti vincolati (nel senso di concretamente inevitabili):
a) il bail-in per sostanziale conclamata insolvenza della banca incapace di ricostituire il suo capitale a fronte delle svalutazioni in bilancio dei suoi attivi e delle garanzie;
b) la riuscita della ricapitalizzazione, laddove, per ragioni forse casuali, i crediti erogati, e garantiti, negli ultimi 7 anni presentassero un (anomalo) basso grado di "incagli" (se non fossero garantiti l'anzianità per attualizzare l'obbligo di accantonamenti al 100% sarebbe di 2 anni); comunque in tal caso, il capitale utilizzato verrebbe, inevitabilmente, da soggetti finanziari esteri che assumerebbero il controllo della banca "fortunella";
c) un burden sharing con successivo intervento di ricapitalizzazione pubblica: e qui, però, di fronte al volume di capitale aggiuntivo imposto da accantonamenti al 100% (unito alle svalutazioni delle garanzie), - diciamo una cinquantina di miliardi - lo Stato italiano si troverebbe in condizioni critiche e con la probabile opposizione delle autorità UE bancarie e sulla "concorrenza".
ERGO: dopo inenarrabili drammi altamente mediatizzati, si tornerebbe all'ipotesi a) (che comunque, tra l'altro, conduce poi a delle new-banks acquisite da investitori esteri, cioè all'esito dell'ipotesi b).

La novità starebbe nel fatto che la presidenta della vigilanza BCE, Nouy, ha (alquanto cripticamente) dichiarato che: "potremmo cambiare la data di applicazione dell'Addendum" (cioè entrerebbe in vigore ad aprile); e che "ci stiamo coordinando con la Commissione europea sulla sua proposta per un livello minimo di accantonamento prudenziale in base al Pillar 1".
Dal che si desumerebbe, con un certo wishful thinking, che poichè nella sua ultima dichiarazione, la Nouy non farebbe riferimento espresso agli stock, "le nuove misure saranno applicate ai crediti futuri che diventeranno deteriorati" (traggo da un articolo di giornale, ex multis, di qualche giorno fa).. 
Sebbene, invece, la Nouy abbia pure detto: "il mio primo messaggio alle banche: fare troppo poco e troppo tardi non è un'opzione percorribile", affermazione "esortativa/imperativa" non avrebbe senso logico se riferito solo ai "crediti futuri che diventeranno deteriorati"!
Considerati gli stress test che coinvolgono anche 4 istituti italiani, di imminente pubblicazione (scenari divulgati il "31 gennaio alle ore 17"), tutta questa rassicurazione sulla non estensione retroattiva ai NPE-NPL che già abbiano manifestato la loro condizione (riclassificabile ex post coi criteri dell'Addendum e quindi determinante un immediato obbligo di ricapitalizzazione) francamente non la vediamo.

1.4. (Last but absolutely not least) La riforma dei trattati in senso "post-solidaristico", la cui impostazione, come già in passato rispetto al six-packs e all'incluso fiscal compact, è lasciata alle elaborazioni espertologiche franco-tedesche, da imporre come TINA e, per l'Italia, come oggetto di entusiastica adesione preventiva (un'altra vittoria dell'altra €uropa!...Altra?). 
Un "piano" così schematizzabile:
a) limite di possesso (bancario nazionale) del debito di qualsiasi paese della zona euro a un terzo del capitale di una banca. Attualmente, questo rapporto raggiunge il 120% in Italia, il 68% in Germania e il 45% in Francia; poche nazioni europee sono al di sotto della soglia del 33%;

b) creare “un’area euro di asset finanziari sicuri” (ndQ: cioè in pratica, indicizzazione dei titoli del debito pubblico riclassificati come "risk weighted assets": e...indovinate dove sarà classificato il debito italiano, comunque obbligato, in base al punto a), ad essere oggetto di un'ondata di massicce vendite sul mercato secondario? E indovinate con quali conseguenze di deprezzamento repentino e verticale e inevitabili obblighi ulteriori di ricapitalizzazione, sotto minaccia di bail-in, per le nostre residue banche?) che secondo quanto esplicitamente dichiarato non siano delle obbligazioni garantite congiuntamente;
Piuttosto, si tratterebbe di titoli garantiti da un portafoglio standard di obbligazioni sovrane. Sarebbero emessi in tranche di diversa seniority (con gradi diversi di garanzia di rimborso);

c) fondo di riassicurazione per i momenti di crisi, al quale parteciperebbero tutti i paesi dell’area dell’euro con lo 0,1 % del loro prodotto complessivo, il che equivale a dire, in base agli ultimi dati, con un importo pari a 11 miliardi di euro all’anno se partecipasse l’intera area euro. Ma non sarebbe scontato: solo i paesi con sane politiche fiscali potrebbero partecipare. Il fondo effettuerebbe trasferimenti una tantum ai paesi che possano dimostrare di aver tentato senza riuscirci di superare una grave crisi da soli. La gravità della crisi sarebbe misurata dal tasso di disoccupazione. Più risulta volatile il tasso di disoccupazione di un paese – il che significa che il paese è più soggetto a crisi – tanto più dovrebbe contribuire al fondo in rapporto alla dimensione della sua economia. E i pagamenti cesserebbero se il livello di disoccupazione non diminuisse;

d) rimpiazzare il vincolo del deficit con una regola che renda certo che la spesa pubblica non cresca più della produzione e inflazione messe insieme – e che cresca ancor meno nei paesi che necessitano di abbattere il debito, diciamo, al 60 percento del PIL. Questa regola, tuttavia, non dovrebbe essere scolpita nella pietra: dovrebbero esserci delle eccezioni per i paesi che “intraprendono riforme per il miglioramento della solvibilità o importanti riforme che possano aumentare il potenziale di crescita”.

e) Come meccanismo di applicazione, gli economisti suggeriscono che i governi finanzino gli eccessi di spesa con obbligazioni subordinate – le prime ad essere soggette a bail-in in caso di crisi – che non godrebbero dei benefici di legge previsti oggi per il debito sovrano. I tassi di interesse su questo genere di debito saranno probabilmente alti, scoraggiandone l’emissione.

2. Naturalmente, esistono anche altre proposte più "ufficiali" di riforma dei trattati, ma sempre determinanti l'inasprimento delle condizionalità a carico degli Stati, con labili meccanismi che, lungi dall'essere solidali, sono piuttosto assicurativi e onerosi per gli Stati dell'eurozona, contribuenti a titolo di "premio" ma con condizioni vessatorie, come spesso capita, per poter fruire, forse, della presunta (e comunque insufficiente) controprestazione "assicurativa". Presunta, perché erogata in forma di prestito onerato da interessi e garantito dal patrimonio pubblico del debitore "salvato" dalla crisi, a sua volta provocata dalle stesse regole €uropee che creano il "rischio" oggetto della vessatoria assicurazione.
E ciò, in aggiunta ulteriore all'obbligo di contribuzione al bilancio Ue (ed alle connesse condizionalità già operanti), dove l'Italia già si segnala come contribuente netto, e con enormi difficoltà di co-finanziamento a causa dei forti vincoli fiscali...che la proposta franco-tedesca, e comunque l'obbligo di contribuzione aggiuntiva all'eurozona, aumenterebbero a dismisura. 

3. Invitando all'approfondimento diretto sulle fonti linkate, cerco di fornire il succo delle riforme allo stato istituzionalmente sul tappeto e che risultano, peraltro, perfettamente compatibili con la più dettagliata specificazione degli espertologi franco-tedeschi:

3.1. Mi fermo qui: questo è solo un quadro riassuntivo. Sicuramente mi sono sfuggiti vari aspetti e implicazioni della inarrestabile volontà di andare avanti col "progetto €uropeo"; l'ital-tacchino è una pietanza gustosa e tante sono le ricette per cucinarlo se ci affidiamo agli "eccelsi" chef francesi e tedeschi. Ma mi pare anche che una cosa sia certa: ci stanno oliando e il forno è comunque già acceso. 

domenica 28 gennaio 2018

LIBERALISMO E ANOMIA. DISINTOSSICARSI DAL RELATIVISMO

Questo post di Bazaar, nelle circostanze correnti, va considerato (come egli stesso suggerisce), un'occasione per "staccare un po'...". In apparenza può risultare impegnativo: ma, almeno per il lettore "seriale" del blog, molto probabilmente non sarà così.
Ve ne fornisco un abstract utilizzando quello fornito dallo stesso Bazaar:
"In realtà, dietro alla riflessione che allego, c'è il tentativo di creare consapevolezza sulla necessità di fondare fenomenologicamente le scienze sociali... anche solo come processo di "disintossicazione cognitiva".
Quindi cerco di dare qualche "stimolo enciclopedico" per capire il senso (e l'importanza) dell'epistemologia nel formare coscienza critica.
Gli assunti e la tesi sono semplici: 

1- la fondazione delle scienze sociali è legata "ad un atteggiamento etico" e ad una Weltanschauung. (la Costituzione è in questo senso chiarificatrice).  
2- per via riduzionistica possiamo individuare due grandi "atteggiamenti etici" e due grandi "paradigmi": quello "naturalista" (che porta all'alienazione e alla tecnocrazia) e quello "storicista" (che porta al Politico della tradizione umanitarista) 

3- il paradigma nelle scienze svolge quello che nel giornalismo è il "framework" 

4- I due grandi atteggiamenti morali sono: 

 (I)  "tutti gli uomini sono uguali nella sostanza" quindi il classismo è una stortura inumana (la vita umana non ha prezzo ed è inalienabile)
(II) "Tutti gli uomini sono uguali nella forma ma nella sostanza sono diversi": queste persone sono diverse per "natura", quindi l'ordine sociale deve "conservare" la sua essenza "naturale" (a qualsiasi costo)

5 - poiché i due grandi paradigmi difendono quelli che sono anche interessi materiali in dialettica, gli obiettivi per cui questi sono strumentali sono opposti e, quindi, le stesse proposizioni logiche fondamentali sono generalmente invertite: queste creano continuamente "relativismo" a tutti i livelli del pensiero umano.

6 - questo "relativismo" è un fatto sociale che porta al nichilismo e, in ultimo, come ci portano ad indurre sociologici moderatamente conservatori, porta al suicidio e all'annichilimento  

7 - Questa assenza di una precisa "normazione" che regola l'intersoggettività a tutti i livelli, si manifesta come dissonanza cognitiva (e disturbi psicologici di varia natura): si propone che l'agente primo di questo disturbo che diventa un fatto sociale sta proprio nel "paradigma", "nel framework" che è padre di qualsiasi "precomprensione" e distorsione cognitiva dell'attualità (e del mondo della vita in genere, creando le premesse per qualsiasi descrizione del mondo)

8 - in pratica questa "anomia" porta all'incomunicabilità tra individui atomizzati, irrelati e non rapportabili a causa della mancanza di un vero linguaggio comune: la solitudine esistenziale si manifesta come fatto antropologico e strutturale. Ossia una malattia dell'umanità stessa che trova nella "natura" la sua "alienazione" e, in definitiva, la morte".
Liberalismo ed anomia: riflessioni intorno al suicidio.
«Il presupposto di razionalità ha in materia economica un preciso significato. 
Secondo la teoria neoclassica, in particolare, un agente è razionale se, dopo aver considerato tutte le informazioni a sua disposizione, agisce in modo tale da massimizzare la propria funzione obiettivo
Si tratta di una razionalità di tipo strumentale: l'individuo definisce l'obiettivo da raggiungere e opera le proprie scelte per ottenerlo senza trascurare di utilizzare tutte le informazioni e le risorse disponibili.» [De hominibus oeconomicis...]

«Ma cosa era del sole? Quale giorno portava sopra i latrati del buio? Ella ne conosceva le dimensioni e l’intrinseco, la distanza dalla terra, dai rimanenti pianeti tutti: e il loro andare e rivolvere; molte cose aveva imparato e insegnato: e i matemi e le quadrature di Keplero che perseguono nella vacuità degli spazî senza senso[1] l’ellisse del nostro disperato dolore »

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« Ebbene sì.
Sono colpevole.
Non assomiglio per nulla all'agente razionale. »
« Sono colpevole perché non sono efficiente.
Sono colpevole perché ho sprecato le mie opportunità.
Sono un debole. Un perdente. Un fallito »

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FENOMENOLOGIA DEL SUICIDIO COME FATTO SOCIALE
« […] la teoria diviene una forza materiale non appena si impadronisce delle masse », Karl Marx, “Per la critica della filosofia del diritto di Hegel”

1 – Uno scarto esistenziale
Secondo il fenomenologo marxista Cesare Luporini, la base coscienziale del socialismo – inteso nel  senso proprio di “pensiero volto alla realizzazione sostanziale della democrazia” – è individuabile in uno «scarto esistenziale», ossia in un «non completo identificarsi dell’individuo sociale nel ruolo o nella funzione sociale che lo definisce, gli imprime il suo carattere, ma unilateralmente lo limita», «potenzialmente acuto in quanto vissuto dagli oppressi e dagli sfruttati, ma che si riflette o retroagisce sui dominanti e sul loro produrre ideologia». Ovvero, «o si raccoglie in un qualche sforzo collettivo di ribellione» o «si disperde individualisticamente»

La mancanza di un qualsiasi partito di massa o di un’organizzazione strutturata che abbia una missione politica o sindacale di carattere socialista, e la pachidermica stazza, finanziaria e sociale, dell’industria dell’evasione e dell’intrattenimento che propina globalmente la sua cucina sedativa ai moderni lotofagi (come li chiamava Adorno) polverizza metodologicamente questo disagio, fatto di solitudine, inadeguatezza ed insicurezza.

Il liberale individuo astratto, l'agente razionale che microfonda gran parte del paradigma economico egemone, è tornato a sostituire la concezione umanistica propria del materialismo socialista, che identifica la concreta persona umana come centro di rapporti sociali.
E il rapporto sociale fondamentale, per motivi materiali e spirituali legati indissolubilmente all'antropologia stessa, è quello che si sviluppa nella forma del lavoro.
« Tutte quelle pellicole hollywoodiane... quelle promesse... i soldi, il successo, una casa spaziosa ammobiliata con raffinatezza borghese... una bella moglie... i bambini felici che corrono in giardino... le vacanze da sogno... la macchina, la carriera... il prestigio.

Exclusive
...
L'escluso sono io: comincio ad essere brizzolato e, da sempre, non ho una casa, non ho soldi per poter neanche portar a bere un aperitivo una donna... non ho la macchina... ho sempre lavorato a tempo determinato e non mi sono fatto una professione... i lavori più umili sono sempre più occupati da immigrati... ho recentemente provato a fare il lavapiatti, ma bengalesi per 25 euro al giorno soddisfavano ampiamente la domanda dei ristoratori... non posso avere una famiglia... avere una prole.

Mi è stata tolta pure la dignità di essere chiamato proletario.

Ora mi umiliano invitandomi a mangiar insetti e cibo scaduto...

Non mi sento di parlarne con nessuno. Mi vergogno. Sono solo »

2 – Definizione di anomia e alcuni spunti di riflessione
Il termine (etimologicamente “mancanza di norme”) « è stato introdotto nel linguaggio sociologico dal funzionalista É. Durkheim, il quale, nell’opera La division du travail social (1893), definì anomiche quelle società fondate sulla divisione del lavoro in cui non si dia solidarietà sociale. 
Per Durkheim una situazione di anomia è del tutto abnorme, potendosi produrre solo in periodi di grave crisi, ovvero di boom economico («crises heureuses»), durante i quali la rapidità del mutamento sociale non consente alle norme societarie di tenere il passo con le molteplici sollecitazioni e istanze emergenti nel sistema sociale, che lascia così senza direzione normativa i propri componenti o buona parte di essi ».[2]
In pratica, la mancata integrazione o l'impossibilità di dare un senso al proprio lavoro parcellizzato nell'ineffabile logica dei processi produttivi, lasciano l'individuo senza quei riferimenti morali della società, atomizzata ed incapace di indirizzare gli individui solidaristicamente e predisporne un atteggiamento volto all’inclusività, con la conseguenza di portare i lavoratori a seguire le proprie pulsioni senza freni inibitori: aumentano così devianza, agitazioni sociali, infelicità e stress.

Tutto ciò diventa estremo nel caso, ad esempio, di crisi economica, dove, secondo questa analisi dalla prospettiva funzionalista, l'inerzia ad adattarsi delle istituzioni non riesce a produrre un adeguato sistema valoriale che aiuti l'individuo ad adattarsi alla situazione sopraggiunta, tenendendo conto che – secondo questa prospettiva – non sono le istituzioni che devono fare in modo di adeguare la struttura sociale al lavoratore, ma è l’individuo che deve essere indirizzato affinché si adatti alla struttura sociale.[3]
Quanto appena descritto rimane comunque una situazione generalizzabile a qualsiasi grande cambiamento, durante il quale, anche in epoca o situazione di abbondanza, quest'abbruttimento tende a manifestarsi: «Più uno ha, più uno vuole, poiché le soddisfazioni ricevute semplicemente stimolano invece di soddisfare i bisogni» (Durkheim [1897] 1951, 248)

«Quando non c'è altro scopo se non superare costantemente il punto in cui si è arrivati, quanto è doloroso essere respinti! […] Poiché l'immaginazione è affamata di novità, e non governata, brancola a casaccio»(257).
«I desideri illimitati sono insaziabili per definizione e l'insaziabilità è giustamente considerata un segno di morbosità. Essendo illimitati, costantemente e infinitamente superano i mezzi sotto loro controllo; non possono essere estinti. La sete inestinguibile e costantemente rinnovata, tortura»(247).

«Nella misura in cui l'individuo è lasciato a se stesso e liberato da ogni costrizione sociale, è libero anche da tutti i vincoli morali»
L'anomia porterebbe alti tassi di comportamento egocentrico, di violazione delle norme e conseguente delegittimazione e sfiducia nei confronti dell'autorità. Secondo Durkheim, i desideri e gli interessi personali degli esseri umani possono essere tenuti sotto controllo solo da forze che hanno origine al di fuori dell'individuo.[4]


2.1 Prime riflessioni
Il significato di una condizione anomica è il medesimo per qualsiasi classe sociale?
Il rampollo di buona famiglia, che inizia la sua giovanissima carriera in qualche società di consulenza anglosassone in cui vige l'egomania metodologica, è sottoposto al medesimo smarrimento del precario, del sottoccupato o del disoccupato?
(La risposta è dentro ognuno di noi ed è probabilmente ovvia: meno a moralisti o a buddisti che producono saggezze del tipo « i sentimenti che vive il barbone scalzo, nel vedere il vicino con un paio di scarpe consunte, provocano il medesimo malessere che vive il finanziere che attracca in un porto di fianco ad uno yacht più bello e grande del suo » ...ecc...ecc... e via, con microfondazioni di rivoluzioni interiori e amenità varie)

Ora: dato poi il riferimento a queste necessitate “forze esterne” che dovrebbero raddrizzare, con la forza o meno, il comportamento considerato sregolato e deviante, la prospettiva paternalistica e, di conseguenza, intrinsecamente classista, emerge con tutte le sue potenziali conseguenze: la risposta a questo male sociale sarà tendenzialmente di carattere autoritario e punitivo.[5] Eventualmente con l'aggravante di un appesantimento di pubblica condanna morale, magari sospinta dalla motivazione per cui l’autorità intenderebbe colmare questa carenza di guida morale; guida morale a cui la società moderna, alle prese coi suoi ritmi frenetici, non riuscirebbe a rimediare.

Moralismo, colpevolizzazione e repressione possono diventare importanti strumenti di controllo sociale, di fatto funzionali al mantenimento dello status quo.
Questa è effettivamente stata prassi storica dello Stato liberale: quell’ordine sociale che è tornato prepotentemente con l'europeismo ed il globalismo finanziario e che, storicamente, ha condotto ai regimi fascisti.
Ciò può aiutare, quindi, ad intuire da quale paradigma di pensiero possa aver trovato supporto quell'oppressione fisica e morale che, tramite istituzioni e organizzazioni, è stata esercitata con violenza nei regimi totalitari.
(Non tendete con naturalezza alla funzione a cui siete stati predestinati? Lo Stato minimo, ossia lo Stato apparato, ci penserà lui a mettervi in riga, a rimettervi a posto: con tanto di omelia clericale, religiosa o secolare)

3 – Funzionalismo sociologico: Durkheim e Merton
«Un posto per ogni cosa, ogni cosa al suo posto »[6]
Se per  Durkheim la devianza è il prodotto  di questa incapacità delle complesse società moderne di fornire indicazioni etiche adatte alla realizzazione e all'inclusione dell'individuo, focalizzandosi invece sugli obiettivi mal formulati nella cultura di una società industriale, il funzionalista Robert Merton  modifica il concetto di anomia ponendo l'accento sull'incoerenza tra indicazioni etiche[7], mezzi materiali ed obiettivi.
Questa incoerenza, che porterebbe ad un diffuso “deragliamento morale”, tende nella fase descrittiva ad assomigliare di più a quello scarto esistenziale vissuto dalla persona umana che, a livello soggettivo, i teorici del conflitto[8] imputano all'alienazione dovuta allo sfruttamento classista. 

I mezzi istituzionalizzati per raggiungere gli obiettivi proposti da quella che, ricordando Guy Debord, possiamo definire la società dello spettacolo, sono il duro lavoro e la sudata istruzione. Di conseguenza è largamente accettato che, coloro i quali non ce la fanno, sono intrinsecamente pigri o in qualche modo inetti.[9]

Se le cattive condizioni sociali patite dai ceti meno abbienti diventano un fattore rilevante, i comportamenti devianti sono “necessari” (inevitabili) in quanto “funzionali” e, di conseguenza, diventa necessaria e funzionale la repressione poliziesca. (Una risposta che viene data da questa scuola di pensiero consiste nel suggerire il rafforzamento delle istituzioni “non economiche” come le chiese o la scuola pubblica; in definitiva per motivi di “indottrinamento”).

A causa del fatto che il successo economico e lo status sono gli obiettivi fissati dalla coscienza collettiva, come direbbe Durkheim, il sistema di giustizia penale (già nei regimi liberali) ha cominciato a cercare nell'ambiente sociale iniquo ciò che causa questa anomia, mettendo conseguentemente pressione affinché le autorità bilancino i mezzi attraverso i quali il “successo” sia effettivamente raggiungibile.  (“Deriva otto-novecentesca” verso il liberalismo sociale contro il quale i liberali classici, dalla rivoluzione marginalista in avanti, si sono scagliati con grande dispendio di mezzi).

4 – Premesse di carattere epistemologico
« […] in ogni campo i fatti osservati e rilevati acquisiscono un significato soltanto se organizzati e ordinati secondo un paradigma teorico » Carlo Cipolla, 1988

In questa riflessione non ci interessano quindi – in se stessi – il paradigma[10] e la relativa interpretazione di  Durkheim del fenomeno anomico, proprio in quanto sociologo “funzionalista” e, di conseguenza, epistemologicamente da relazionarsi all'organicismo naturalista del liberalismo respinto in Costituzione[11]. Ci interessa il suo lavoro in relazione al paradigma conflittualista accolto de facto nella Carta del ‘48, ci interessa la sua descrizione positiva, basata su una ricerca empirica del fenomeno dei suicidi, mentre, a livello teorico-coscienziale, ci interessano le categorie che possono essere aggiornate per comprendere il framework concettuale dell'attuale ruling class neoliberale.

Poiché nell'organicismo del funzionalismo sociologico, dato l'arbitrario atteggiamento[12] epistemologico, la devianza non è da imputarsi alla struttura sociale classista che genera oppressione, sfruttamento e conflittualità, ma è la conflittualità stessa ad essere una devianza, un “malfunzionamento” (della gestione politica?) di un ordine sociale che sarebbe naturalmente corretto e “giusto”, il problema da affrontare, quindi, secondo una logica di questo paradigma, non è la disfunzionalità ab origine[13] dell'ordine sociale esistente rispetto ai fini generali pubblicamente propagandati, ma è quello dei comportamenti devianti di gruppi sociologici che non riescono ad adattarsi accettando il loro posto ed il loro ruolo nella comunità.

In brevissimo: nelle scienze sociali che formano il paradigma “conservatore” – che trova fondamento nella morale elitista e nel naturalismo positivistala dialettica politica, tendendo a modificare in senso progressivo la società, è ritenuta una devianza da un presunto “ordine naturale”, da ciò che  Hayek chiama  kosmos.
Poiché l'attuale ordine è contraddistinto da una suddivisione concettuale che struttura la società in due grandi classi con interessi diametralmente opposti – quella dei proprietari dei mezzi di produzione in posizione di oligopolio e quella di coloro che esercitano qualsiasi attività o funzione per vivere – qualsiasi iniziativa politica volta a eliminare condizioni di svantaggio sociale, politico ed economico per nascita, è considerata innaturale, deviante.
Quest'ordine sociale, come per qualsiasi oggetto indagato dalle scienze naturali, non deve essere interpretato e significato, ma semplicemente descritto.
Poiché l'ordine sociale è dato – ovverosia non forgiato dall'Uomo che con la potenza del suo ingegno porta la Storia – dovranno essere le discipline che lo descrivono ad essere “interpretabili”, ribaltando soggetto con oggetto, il fine con lo strumento per raggiungerlo, la causa con l’effetto, significato con significante[14], portando nell'esperienza a risultati grotteschi dove il “positivo” stesso viene vilipeso insieme alla logica aristotelica, tanto che l'economia mainstream, ad esempio, viene diffusamente considerata una pseudoscienza.[15]
Poiché l’obiettivo ultimo della naturalizzazione dell’economico e del sociopolitico è gettare falsa coscienza intorno all’oppressione e allo sfruttamento, è consequenziale che lo stesso processo divulgativo e mediatico abbatta l’unico vero tabù di una comunità scientifica che si possa definire tale: il rispetto del dato empirico.

Quindi, poiché la Weltanschauung elitista porta ad organizzare il pensiero fondamentale in modo “tolemaico”, la dissociazione cognitiva sarà tendenzialmente pervasiva in relazione alla percezione di tutti i grandi temi sociali che trovano fondamento fenomenologico nell'Etica[16], rendendo strutturale l'anomia[17]. Poiché l'anomia stessa risulta essere funzionale, l'autorità potrà “intervenire sul problema”, a discrezione, sulla falsa riga del principio di sussidiarietà[18].

Che di questo scarto esistenziale la classe egemone ne sia assolutamente cosciente, e lo strumentalizzi e lo alimenti, lo dimostrano le analisi sulla struttura della propaganda sviluppate da Goffman, secondo il quale l'attualità viene mostrata dagli organi di informazione tramite framework[19]naturali” che identificano gli eventi come fenomeni fisici che letteralmente si verificano in modo naturale e a cui non viene associata la responsabilità di forze sociali nella loro causazione.

Dalla prospettiva funzionalista, segnatamente nella sua microfondazione liberale, tutto ciò che interviene, come lo Stato, a modificare (progressivamente) la norme sociali esistenti, è deviante, patologico, da contrastare; non ci sono norme “ingiuste” da cambiare, semplicemente queste non sono abbastanza impresse nella coscienza individuale.
Risulta così utile, quindi, inserire un altro concetto sociologico, riscontrabile nella teoria del controllo[20], per cui la devianza viene considerata il risultato di un'ampia esposizione a determinate situazioni sociali per cui gli individui si lascerebbero andare a comportamenti non conformi alle norme sociali. I legami sociali sarebbero usati – nella teoria del controllo – per aiutare le persone a non cedere a questi comportamenti devianti. (A non cedere alla “tentazione”...)

(Prestare sempre attenzione alla questione etico-epistemologica: se l'agente primo del malessere sociale non è da ascriversi allo sfruttamento di un ceto sugli altri, gli sforzi politici sono volti a sedare moralisticamente, religiosamente, mediaticamente, ipnoticamente, farmacologicamente gli sfruttati (v. Huxley); oppure a reprimerli poliziescamente (v. Orwell) – sfruttati che, al limite, possono essere riciclati per far lavori “sporchi”... non necessariamente in campi di lavoro forzato)
In questo esempio di tipicamente liberale funzionalismo sociologico, non vi è alcuna particolare considerazione che si articoli negli interessi contrapposti tra classi, viene semplicemente descritta una situazione in cui il legame tra anonimi individui e la generica società sono labili, non esiste un'attiva partecipazione istituzionale e i vincoli morali che trattengono l'individuo dall'agire in senso antisociale sono deboli. [21]

Tutto ciò che non è funzionale all'ordine naturale – il residuum umano – e che non si adegua tramite i sistemi di coercizione, viene gestito con le regole di ciò che l'epistemologia – in riferimento alla fondazione morale elitista e al positivismo organicista – può mostrare come scienza sociale parte del paradigma reazionario: la demografia di ispirazione malthusiana.
(Un anello di collegamento immediato per comprendere il legame paradigmatico di queste tre scienze sociali è, ad esempio, Herbert Spencer, (i) liberale  tra i padri fondatori della (ii) sociologia funzionalista che dai lavori di (iii) Malthus e Darwin diffonde il concetto di “darwinismo sociale”)[22]
La domanda fondamentale che da queste premesse si pone il sociologo funzionalista, risulta essere: cosa permette agli individui di conformarsi?[23]

4.1 Un diagramma e brevi riflessioni

Si noti come nel funzionalismo sociologico della teoria del controllo si dia per scontato che il mercato si autoregoli tramite il sistemi dei prezzi, la concorrenza e la quota di mercato sia, in definitiva, assegnata per legge naturale.
Il mercato si autoregolerebbe in modo provvidenziale grazie alla decentralizzata generosità (v. self-command) dei virtuosi agenti razionali del mercato. Lo Stato sociale può solo perturbare quest'ordine naturale. (Gli oligopoli privati non sono tipicamente contemplati per fede)[24]

Si noti anche come il clan control e il controllo burocratico siano applicabili sostanzialmente alle organizzazioni private, che, anch'esse, si dovrebbero autoregolare.
«Il programma del liberalismo […] se sintetizzato in un'unica parola, sarebbe da leggere: proprietà, che significa il diritto alla proprietà privata dei mezzi di produzione […]. Ogni altra istanza del liberalismo deriva da questa istanza fondamentale », Ludwig Von Mises [25]
E chi non è proprietario dei mezzi di produzione? È forse per nascita in un contesto più anomico che altri? L’unica socialità sarebbe da ricercare nell’appartenenza a organizzazioni private?

5 –  Durkheim: il suicidio come fatto sociale
Non è nostra intenzione studiare la correlazione in sé tra crisi economica e suicidi: questa è studiata dalle prime pietre miliari della sociologia moderna e, per la silenziosa brutalità del tema, si può presentare un percorso di crescita tanto a livello cognitivo, quanto umano, per l’estrema sensibilità che occorre raffinare per equilibrare quelli che sono i risultati di un’analisi essenzialista, scientifica e adatta a produrre una descrizione oggettiva, con ciò che ne è la sua interpretazione soggettiva.

L'obiettivo, per un umanista ed un democratico, rimane sempre e solo socializzare la coscienza critica.
Ci focalizziamo sul lavoro di Émile Durkheim perché propone la categoria di anomia in correlazione al suicidio come fatto sociale.

Egli raggruppa quattro diverse categorie: suicidio per anomia, per egoismo, per altruismo e per fatalismo.
Le quattro categorie possono essere anche utili nell'ambito della prospettiva del conflitto in quanto, come risulterà da subito evidente, queste non sono immediatamente applicabili a qualsiasi classe sociale, ma sono tendenzialmente funzionali – nella società nel suo complesso – a descrivere le dinamiche di quelle subordinate.
(Si noti il rilievo che si dà all'aspetto morale come pure avverrà nella prospettiva del conflitto weberiana: viene rimossa la centralità del conflitto distributivo in quanto motore materiale del divenire politico, e si pone staticamente, evidenziando con enfasi, ciò che nella teoria del conflitto marxiana si limita ad essere una “sovrastruttura” dei rapporti di forza originari dovuti alla struttura sociale: l'ideologia morale e religiosa)

5.1 – Il suicidio anomico riflette la confusione morale di un individuo e la mancanza di direzione sociale, che è collegata a drammatici sconvolgimenti sociali ed economici.
È il prodotto della deregolamentazione morale e della mancanza di definizione di aspirazioni legittime attraverso un'etica sociale vincolante, che potrebbe dare significato e ordine alla coscienza individuale. Questo è sintomatico di un fallimento dello sviluppo economico e della divisione del lavoro nel produrre la solidarietà “organica” (necessaria nelle società industriali, contrapposta a quella “meccanica” delle comunità sociali semplicemente strutturate), come definita da Durkheim. Le persone non sanno come inserirsi nelle loro comunità sociale. Durkheim spiega che questo è uno stato di disordine morale in cui le persone non conoscono i limiti dei loro desideri e vivono costantemente in uno stato di delusione. Questo può accadere quando le persone attraversano cambiamenti estremi nei livelli di ricchezza; sicuramente questi riguardano tanto lo scenario di rovina economica, quanto quello in cui sorgono grandi guadagni imprevisti - in entrambi i casi, le precedenti aspettative della vita vengono spazzate via e sono necessarie nuove aspettative prima che possa essere valutata la nuova situazione in rapporto ai nuovi limiti.

5.2 Il suicidio egoistico riflette un prolungato senso di non appartenenza, di mancanza di integrazione in una comunità. Deriva dal senso di suicidio per cui l'individuo non ha legami. Quest'assenza può causare insensatezza, apatia, malinconia e depressione.  Durkheim definisce tale distacco “eccessiva individuazione”. Quegli individui che non sono sufficientemente legati a gruppi sociali (e quindi a valori ben definiti, tradizioni, norme ed obiettivi), saranno lasciati con un limitato supporto e riferimento sociale, e saranno quindi più propensi a suicidarsi.  Durkheim ha inferito che il suicidio si verifica più spesso tra le persone non sposate, in particolare tra gli uomini non sposati,  relativamente ai quali ha concluso avessero meno legami e collegamenti a norme ed obiettivi sociali.[26]

5.3 – Il suicidio altruistico è caratterizzato dal senso di essere sopraffatti dagli obiettivi e dalle convinzioni di un gruppo. Succede nelle società in cui l'integrazione è molto alta, dove i bisogni individuali vengono considerati meno importanti dei bisogni della società nel suo insieme, ossia la situazione opposta in cui si produce il suicidio “egoistico”. Poiché l'interesse individuale non sarebbe considerato importante, Durkheim affermò che in una società “altruistica” ci sarebbero poche ragioni che incentivino il suicidio.

5.4 – Il suicidio fatalistico si verifica quando una persona è eccessivamente regolamentata, quando il suo futuro è impietosamente bloccato e le passioni violentemente soffocate da una disciplina oppressiva. È l'opposto del suicidio “anomico” e si verifica in società così oppressive che i loro abitanti preferirebbero morire piuttosto che vivere. Ad esempio, alcuni prigionieri in un campo di di lavoro potrebbero scegliere la morte piuttosto che vivere soggetti a costante vessazione e ad eccessiva regolamentazione.[27]


6 – Conclusioni (fondazione fenomenologica del Test di Orwell)

Il liberalismo – come pure l’anarchismo – influenzando la descrizione del mondo, la coscienza, in modo da far percepire il potere istituzionale e delle collettività organizzate (arché) come tendenzialmente  ingiusta limitazione di una presunta libertà naturale[28], e vedendo quindi nella regolazione un fattore non accentuativo ma limitativo delle libertà, produce anomia. Chiaramente, poiché anche la mancanza di una direzione morale è essa stessa già una forma di direttiva, rimane libero da ogni intralcio il potere sociostrutturale –  il kratos – espressione dei puri rapporti di forza derivanti dalla classe di appartenenza. Appartenenza che è tale per nascita o al limite per cooptazione.

6.1 – La legge di Hume
«In ogni sistema di morale con cui ho avuto finora a che fare [...] all’improvviso mi sorprendo a scoprire che, invece di trovare delle proposizioni rette come di consueto dai verbi è e non è, non incontro che proposizioni connesse con dovrebbe e non dovrebbe.
Questo mutamento è impercettibile, ma è della massima importanza. Poiché questi
dovrebbe e non dovrebbe esprimono una relazione o affermazione nuova, è necessario che […] si adduca una ragione di ciò che sembra del tutto inconcepibile, cioè del modo in cui questa nuova relazione può essere dedotta dalle altre, che sono totalmente diverse da essa » David Hume, A treatise of human nature, da cui la omonima Legge di Hume: «è logicamente impossibile passare dall'essere al dover essere, dedurre prescrizioni da descrizioni, valori da fatti».

Insomma, il giusnaturalismo liberale (e cattolico) sono, nella loro fondazione epistemologica, in pieno contrasto con la legge di Hume.
L'anomia può essere quindi considerata un portato stesso del naturalismo applicato alle scienze sociali. Non solo delle relative teorie che propongono l'individualismo metodologico alla Menger, Weber, Hayek o Popper: ma anche di chi, per quanto portatore di una visione olistica, analizza dalla prospettiva funzionalista come studiosi del calibro di Durkheim o Merton
In pratica la concezione naturalistica della società paluda con il positivismo un paradigma che, in realtà, si propone di normare l'organizzazione umana.

Questo capovolgimento di ciò che è dell'Uomo (dello Spirito), con ciò che è alieno all'Uomo (appartenente alla Natura)[29], ossia trattando ciò che è artificiale come se fosse naturale, porta ad una inversione dei rapporti causali dei fenomeni sociali e – dal punto di vista epistemologico – porta all'inversione degli enunciati nomologici.[30]

L'anomia può essere considerata una malattia sociale, una malattia del pensiero che conduce, in ultimo, a quella che è la sintomatologia della sociopatia; questa trova genesi negli squilibri generati dai rapporti di produzione, e i suoi vettori di diffusione – in quanto sovrastrutture di questi rapporti sociali che i ceti privilegiati lottano per  conservare – sono tanto le comunità scientifiche, quanto i mezzi di comunicazione di massa che permettono, non solo di divulgare acriticamente i differenti paradigmi relativizzando i punti di vista in base alle differenti teorie che concorrono a formare il dibattito scientifico, ma permettono di manipolare e relativizzare i dati stessi. 
Gli effetti sulla comunità sociale sono totalitaristicamente nichilistici, in quanto, oltre a paludare la violenza dell’oppressione e dello sfruttamento, destrutturano psicologicamente le persone aggredite, in perenne stato di stress psicologico e dissociazione cognitiva. Quindi l’anomia viene alimentata dal ribaltamento della verità fattuale, dal ribaltamento del gusto estetico proprio dell'arte e, in definitiva, dal ribaltamento dell'etica sociale secondo un'assiologia “luciferina”.

Il relativismo morale del liberalismo di cui il disagio anomico è espressione, può trovare per definizione unico limite nella sovranità dello Stato etico della tradizione democratica e sociale, non a caso sotto attacco dalla tecnocrazia economicistica, cosmopolita e globalista.
La spoliticizzazione e le relative liberalizzazioni e privatizzazioni, sono l’espressione del consolidamento di egemonie tiranniche che, per perpetuarsi con sicurezza[31], hanno bisogno di infliggere dolore psicologico, di cui il fatto anomico è la manifestazione più eclatante in contesti di radicali trasformazioni e ingegnerizzazioni sociali.

Fatto sociale che, considerato nel suo distopico parossismo, diventa fatto antropologico che porta con sé gravi ricadute deontolologiche, teleologiche e, in definitiva, dal punto di vista della storia universale, propriamente escatologiche.

Da questa riflessione emerge come l’emancipazione dei gruppi sociali in posizione subalterna, non sia semplicemente emancipazione di classe, ma – riconosciuta nel suo profondo intimo la dinamica storica – questa risulta essere emancipazione della specie umana nel suo complesso.
Lo stesso assunto elitista per cui esisterebbe un gruppo umano razzialmente superiore e destinato al godimento esclusivo del prodotto del lavoro, è un infondato atto di fede (tanto assolutamente, quanto banalmente,  interessato; per miopia, avidità e vigliaccheria).

Insomma, l'anomia può essere considerata il portato ultimo dell'elitismo che si materializza come suicidio dell'Uomo stesso.



[1]     « Destituiti di apparato sensorio e quindi di sensitiva. » [ C.E. Gadda, “La cognizione del dolore” ]
[3]     È immediato intuire che, se la struttura è naturalisticamente data, il darwinismo sociale (v. Spencer) trova il proprio senso nel momento in cui la partecipazione alla distribuzione del valore prodotto dipende dall’adattabilità dell’individuo alla società, non viceversa.  (Chiaramente, se al posto del liberale individuo astratto, si considera la persona umana come eguale nella sostanza a tutti i componenti della società umana, è evidente che ci sarà coscienza affinché sia la società ad adattarsi politicamente alla persona umana, in quanto la società ne risulterebbe lo specchio, il riflesso. Un riflesso che non sia la falsa coscienza del , ma la reale identità che si forma in un contesto intersoggettivo).
[4]     http://www.faculty.rsu.edu/users/f/felwell/www/Theorists/Essays/Durkheim1.htm: si noti come si ritenga l'individuo incapace di qualsiasi autocontrollo senza i limiti morali imposti dalla società. L'intervento dell'autorità non sarà quindi volto a eliminare le condizioni sociali che portano, ad esempio, a violare la legge; questa si impegnerà ad aumentare il condizionamento della propaganda e ad aggravare le sanzioni associate alle norme giuridiche.  Sarebbe quindi necessario un “SuperIo” istituzionalizzato? Un Leviatano? Un Grande Fratello che scruti impudentemente e giudichi l'adesione alla Legge come una divinità? La risposta totalitaria pare essere sempre l'inevitabile esito finale di questo approccio ai fatti sociali.
[5]     http://criminology.wikia.com/wiki/Durkheim%27s_Anomie_Theory: si noti in questo link segnalato come dagli albori della sociologia moderna venga riconosciuta una correlazione diretta tra grande immigrazione e insanabili conseguenze di carattere criminogeno.
[6]     « A place for everything, everything in its place » – Benjamin Franklin
[7]     Ovvero, non è che semplicemente non ci siano norme volte ad un maggiore benessere materiale e spirituale: queste ci sono ma sono controproducenti.
[8]     Il padre della sociologia secondo la prospettiva conflittualista è Karl Marx.
[9]     Nell'ideologia liberale va da sé che, se nell'esistenza individuale l'etica sociale non permette di raggiungere gli obiettivi posti in funzione dalla classe di appartenenza, Ha-Joon Chang ha chiarito pure come, analogamente, a livello internazionale, i ceti dominanti delle potenze egemoni « calcino via la scala » con cui si sono arrampicati in posizione di vantaggio: l'economista coreano spiega bene la dinamica a proposito del mantra liberoscambista con cui paesi colonialisti impongono i trattati free trade. Si può sostenere, quindi, che il liberalismo sia un'ideologia moralistica imposta come etica sociale dai ceti egemoni a quelli subalterni o da subordinare (come nei mercati coloniali). Ideologia che impone leggi morali valide solo per chi vive del proprio lavoro; ovvero  falsa coscienza che impedisce agli oppressi tanto di difendersi – inibendo la lotta per le rivendicazioni di classe – quanto di prendere proprio la consapevolezza stessa di essere sfruttati; il carnefice si presenta come “Natura”, come “Gaia”, come mano invisibile di Dio, incolpando moralisticamente le vittime:  se l'organizzazione umana non funziona naturalmente, allora sono le persone umane a non adattarsi a causa di comportamenti viziosi ed immorali. (Accidia, ozio, lussuria e riproduzione bestiale, irresponsabilità nel loro inquinare e riscaldare il pianeta, ecc.). Vizi di persone che non sanno stare al loro posto sotto la sedicente élite.  Il relativismo morale che si traduce nella tirannia dei valori dell'oppressore, è quindi tipico del capitalismo liberale che è anomico per definizione. L'unica legge è la Legge dell'impersonale Mercato. Quindi, secondo la logica predatoria e sfruttatrice, non è la Legge per l'Uomo, ma l'Uomo per la Legge. Il lavoro non è una vocazione della persona umana frustrata dal classismo, ma una chiamata della naturalistica struttura sociale ad essere responsabili. Ovverosia, ad esercitare una particolare funzione. (Nell’ermeneutica del codice di comunicazione “liberale”, responsabilità significa “accettazione totale dell’individuo all’impietosa irregimentazione in funzioni alienanti di subalternità”). Funzione che può essere anche quella di arruolarsi nell'esercito industriale di riserva o, semplicemente, come nel pensiero malthusiano, sparire dal mondo della vita se non “esiste un posto” funzionale all'efficientamento della società organizzata in classi.
[10]   Secondo Kuhn i paradigmi sono "strutture concettuali" che, condizionando il modo in cui gli scienziati guardano al mondo, non sono tra loro confrontabili in quanto privi di un comune dominio di problemi, soluzioni, entità ammesse, “fatti”, osservazioni e tecniche sperimentali.  Questi possono non avere “alcun termine teorico comune”, cosicché le rispettive comunità scientifiche avrebbero preclusa ogni possibilità di comunicare. Quine, con la tesi della cosiddetta "sottodeterminazione" (underdetermination) empirica delle teorie per cui, non essendo le teorie completamente determinate dai dati osservativi, teorie fra loro logicamente incompatibili e basate su assunti ontologici diversi possono spiegare il medesimo insieme di fenomeni e avere lo stesso importo predittivo (conseguenze osservative). Nota: balzando dal contesto scientifico per via analogica a quello psicosociale, Kuhn spiega, in pratica, anche il motivo per cui lo “spirito di scissione” comporta poi, a livello relazionale, un progressivo isolamento dal proprio gruppo sociale di riferimento della persona che acquisisce coscienza, descrivendo questa il mondo con un “paradigma” – e un linguaggio – del tutto diverso. Quine chiarisce invece come in economia – nonostante il paradigma di economia politica post-keynesiana e socialista sia, per gli interessi che di fatto difende, in contrapposizione con quello neoclassico e liberale – è possibile una discussione formale tra tutti gli studiosi, formando un’unica comunità scientifica internazionale, indipendentemente dal paradigma abbracciato (fenomenologicamente, il primo è un paradigma che de facto difende gli interesse del fattore capitale, mentre il secondo difende gli  antitetici interessi  materiali del fattore lavoro).   
[11]   Notare che un “conservatore” come Durkheim  fa emergere dai suoi lavori una sensibilità ed un atteggiamento verso i problemi sociali piuttosto diversi da sociologici della prospettiva funzionalista quali Spencer o Pareto: si noti che la sociologia funzionalista, basata sul positivismo, nasce comunque con una spinta intellettualmente più progressiva, in contrapposizione all’individualismo del liberalismo classico, con la concezione olistica ed altruistica di Auguste Comte.
[12]   L’atteggiamento, fondamento della morale individuale, è arbitrario per definizione. L’arbitrio viene considerato “libero” o meno rispettivamente in funzione della Weltanschauung “umanista e storicista” –  da cui l’impero della Politica – o “naturalista e determinista” (da cui l’impero della Tecnica).
[13]   Nella sociologia conflittualista di genesi marxiana, l'origine – l'agente primo – dei peggiori disagi sociali è da ricercarsi nei rapporti di proprietà e di produzione che provocano esclusione sociale; ciò avviene a causa, tanto della divisione del lavoro, quanto della rigida divisione della società in classi, in cui chi vive del proprio lavoro è in una condizione di totale subordinazione di chi è proprietario dei mezzi della produzione e controlla la vita economica.
[14]   A livello ontologico viene invertito il rapporto tra forma e sostanza.
[15]   L'inversione “Spirito/Natura” viene in questo lavoro proposta come fondazione fenomenologica dell'elitismo (per classe, religione o razza). (Come spunto di riflessione, si può pensare ad un capovolgimento simile nella storia della dottrina cristiana che, con la sua “clericalizzazione”, muove dalla ricerca del divino nell'evangelico “Gesù Figlio dell'Uomo”, a quello più prettamente medievale “Natura idest Deus”) .
[16]   Chiaramente il positivismo, per definizione, si disinteressa della propria fondazione in quanto si dichiara avalutativo e impegnato al mero “spiegare” i fenomeni sociali per via analogica a quelli naturali, senza un tentativo ermeneutico e critico come proprio dello storicismo (dove la Storia è fenomenologia dello Spirito e, ad essere relativizzati, non sono i principi assiologici, ma la concreta personalità storica che in via dialettica ci si confronta) . Inoltre, la microfondazione delle scienze sociali basate sull'individualismo metodologico porta, come fondamento dell'indagine sociologica, la psicologia. Notare che Pareto, per difendere questo atteggiamento epistemologico che si svincola da qualsiasi filosofia morale, deve ricorrere ad argomentazioni di filosofia morale, prendendo comunque una posizione di carattere etico (« anche per affermare che non è necessario fare filosofia è necessario fare filosofia », cfr. Aristotele). Come d'altronde lo stesso Nietzsche, che si definiva “filosofo immorale”, prescriveva la strasvalutazione di tutti i valori o, al limite, la loro soggettività, che, in definitiva, diventa la soggettività del più forte: il tiranno dei valori (cfr. Schmitt).  L'amoralità o l'avalutatività, nascondono sempre una valutazione ed un atteggiamento morale ed interessato. (cfr. Husserl riguardo al metodo scientifico)
[17]   Il liberalismo è apologia dell'anomia.
[18]   Si pensi al significato di sussidiarietà nell'economia sociale di mercato dell'Unione Europea, al textbook Keynesiasism o alla dottrina sociale della Chiesa. Il principio di sussidiarietà si può generalizzare come principio per il quale un determinato disagio sociale vuole essere coscientemente controllato ma non debellato. I fini della promozione del principio di sussidiarietà sono quindi strutturalmente classisti.
[19]   Si ricorda che i frame sono schemi di interpretazione all'interno dei quali i media inquadrano le notizie. Anche l'attualità scientifica viene trattata in questo modo, offrendo al lettore una prospettiva con cui accostarsi all'argomento trattato. E, come fa notare Habermas, « [i]l potere comunicativo [...] fa sentire i suoi effetti sulle premesse dei processi decisionali ». Queste strutture concettuali”, framework, paradigmi, agiscono come idee-guida,  "presupposizioni", che inducono tanto il consumatore più o meno critico di prodotti mass-mediatici, quanto lo scienziato, a ricondurre i fenomeni ad un preciso “modello dell'ordine naturale” (le osservazioni sono theory-laden, “cariche di teoria”). La precomprensione di testi e fatti si diffonde come falsa coscienza.  Kuhn fa notare come « gran  parte della ricerca scientifica svolta sotto l'influenza di un paradigma (la “scienza normale”) consiste così nel “forzare la natura entro le caselle prefabbricate e relativamente rigide fornite dal paradigma”, applicando il paradigma a settori sempre più ampi della realtà e spesso (secondo criteri non dissimili da quelli delineati da Quine) ignorando ciò che non si adatta ai suoi presupposti o introducendo ipotesi ad hoc tese a salvaguardarne i principi in presenza di fatti “recalcitranti” ». Nelle scienze sociali l'unica differenza consiste nel fatto che, viceversa, è il paradigma naturalista a  “forzare i fatti sociali entro le caselle prefabbricate e relativamente rigide fornite dall'ordine naturale”.
[20]   La conseguenza immediata è che la repressione poliziesca si baserà poi su un principio di reciprocità punitivo, dissuasivo ma non riabilitativo; privo di qualsiasi reciprocità di tipo solidaristico. L'esclusione sociale rimane funzionale mentre il soddisfacimento dei bisogni umani fondamentali diventa residuale.
[21]   Dalla prospettiva individualistica, stando con Adam Smith, il self-command, ovvero “il dominio di sé”, è tipicamente fondamentale nei negozi in economia di mercato, nei quali sarebbe necessario trattenere il proprio egoismo, il proprio amore di sé, il proprio narcisismo che porta a “stravincere”, in funzione del bene comune. (Poi ci pensa la cristianissima Provvidenza, la mano invisibile, a dare il massimo beneficio alla specie umana...)
[22]   Riflessioni simili di carattere epistemologico possono essere fatte anche nell'ambito del diritto, associando nel paradigma conservatore il costituzionalismo politico, il giusrealismo, o, in generale, l'ordinamento giuridico Common Law.
[23]   Si potrebbe affermare che, il conformismo e l'omogeneizzazione culturale a fini classisti ed imperialisti del capitalismo liberale, sono previsti dalla sociologia funzionalista: sono, in pratica, supportati “scientificamente”.
[24]   Si noti la corrispondenza nel grafico tra “sistemi di valori”, “sistema dei prezzi” e “amministrazione”: nel fantastico mondo ghematrico di von Hayek, se ogni rapporto con la società diventa feticcio e viene monetizzato/contrattualizzato, tanto la burocrazia amministrativa quanto l'hegeliana etica sociale, verrebbero ricondotti all' “ordine naturale” tramite il sistema dei prezzi. La durezza del vivere e l'affidarsi alla sorte sarebbero gestiti da impersonali “algoritmi” che in modo funzionale ed efficiente regolerebbero le piantagioni di esseri umani... Giusto per capire quale sia il comune senso della libertà per i liberali classici.
[25]   «[t]he program of liberalism [...] if condensed into a single word, would have to read: property, that is, private ownership of the means of production […]. All the other demands of liberalism result from this fundamental demand. »  LUDWIG VON MISES, LIBERALISM: THE CLASSICAL TRADITION 2 (Bettina Bien Greaves,
        ed., Liberty Fund, Inc. 2005) (1927). Chiaro? Il contendere tra liberalismo e socialismo non è il “possesso” o una generica proprietà: è la proprietà dei mezzi di produzione.
[26]   Si noti come dalla prospettiva del conflitto il suicidio egoistico sia in qualche modo direttamente ascrivibile all'anomia prodotta dal liberalismo se questa viene intesa come soprastrutturazione agli aspetti di carattere sociostrutturale, come le disuguaglianze economiche e la relativa esclusione sociale.
[27]   Anche in questo caso, dalla prospettiva conflittualista, la mancanza di normazione può trasformarsi dialetticamente in un “eccesso di normazione” come in quelle fasi geostoriche in cui il liberalismo non riesce ad imporsi in modo totalitario con l'uso esclusivo dei media di massa e necessiti, contestualmente, un intervento autoritario e repressivo che tuteli l'ordine liberale in essere. Ovvero un ordine in cui la proprietà privata dei mezzi di produzione in mano ai pochissimi rimanga sacra ed inviolabile.
[28]   “Tendenzialmente” in quanto la mano invisibile del legislatore (cfr. Lionel Robbins e, di converso, gli esponenti del pensiero ordoliberale) può attivamente intervenire a regolare l’economia se intende modificare in senso regressivo i rapporti di forza volti a consolidare la “libertà naturale”: quella di godere per nascita della possibilità di esercitare controllo politico tramite il controllo economico.
[29]   L'Uomo è oggettivamente parte della natura ma soggettivamente altro, quindi in dialettica con questa: il conflitto con la natura si manifesta tramite il lavoro, ovvero tramite la “trasformazione” di questa, in modo che l'esistenza umana sia la più piena, appagante e serenamente longeva. Il lavoro, con la sua spinta antientropica, può essere considerato come una battaglia contro la morte. La natura rappresenta quindi la morte.
[30]   A Marx veniva imputato da qualche bigotto di “invertire satanicamente l'ordine delle parole” (un po’ come ascoltare i dischi dei Led Zeppelin facendoli girare al contrario) riferendosi, ad esempio, al suo “Miseria della filosofia” in risposta alla “Filosofia della Miseria” di Proudhon: il punto è che gran parte della critica marxiana al “senso comune”, non solo quindi alle scienze sociali e alla celebre economia politica del Capitale, si avvale proprio del ribaltamento degli enunciati nomologici che organizzano l'ideologia della classe egemone. Questi spunti di riflessione volti a fondare fenomenologicamente le scienze sociali, spiegano l'origine di questa prassi analitica del padre delle scienze sociali moderne. Es. «  Non è la coscienza degli uomini che determina la loro vita, ma le condizioni della loro vita che ne determinano la coscienza », « l'uomo fa la religione, e non la religione l'uomo », « L'esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l'esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni » oppure, rispondendo direttamente a Malthus che sosteneva che i proletari « sono poveri perché sono molti », Marx,  dopo aver empiricamente avuto accesso alle statistiche, constatava che i proletari « sono molti perché sono poveri ». 
[31]   Il mito irenico del cosmopolitismo federalista e liberoscambista – ovvero la retorica della pace – tipico della propaganda liberale, è da intendersi, nel suo reale obiettivo auspicato, come “serenità nel viversi il privilegio di classe”: ovvero come perseguimento della “pace sociale” per cui qualsiasi dialettica viene soppressa per “KO tecnico” dei ceti subordinati.