lunedì 30 gennaio 2017

MAGGIORANZA PER UNA LEGGE ELETTORALE E FUTURA MAGGIORANZA DI GOVERNO: LA SALDATURA IN NOME DELL'EUROPA


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1. Le motivazioni della sentenza della Corte costituzionale relative alla legge elettorale "Italicum" saranno rese note "a partire" dal 10 febbraio, com'è noto.
Eppure, sul piano delle proiezioni attuative di tale decisione sulla futura, ed eventutale, attività legislativa (ovviamente in materia elettorale), si possono già trarre delle obiettive conclusioni.
Attualmente, a seguito della pronuncia attuale unita a quella sul c.d. Porcellum (n.1/2014), - prescindendo dalla prorogatio ad infinitum che tutt'ora pesa sul parlamento (e ormai peserà sulla Storia costituzionale italiana...per fine legislatura)- abbiamo due sistemi proporzionali corretti in senso maggioritario; parrebbe, nei termini di questa sola astratta definizione di "tipologie", che dunque un'armonizzazione sia stata raggiunta.
In realtà non è così, in senso tecnico-giuridico: occorre infatti muovere dal presupposto che un sistema proporzionale può essere corretto in senso maggioritario in infiniti modi, basati su meccanismi molto vari e tesi a determinare assetti di maggioranza, e quindi forme di legittimazione popolare dei governi, molto diversi tra loro.

2. Nel caso delle "due" leggi elettorali rivenienti dalle due distinte pronunce della Corte, in effetti, la correzione del proporzionale avviene in modi che, su un piano oggettivo, divergono tra loro.
Vediamo perché, in parole (relativamente) semplificate.
Il Consultellum "1", quello relativo al Porcellum, dispone relativamente al Senato (e già è un primo aspetto di differenziazione strutturale delle due leggi, posto che la Costituzione, art.57, impone che il Senato sia eletto "a base regionale"...): la correzione al proporzionale, in tal caso, si impernia sul concetto di favorire le alleanze (c.d. "collegamento") preventivamente dichiarate all'elettorato. 
Infatti, per la lista (per lo più di un unico partito) che corresse da sola si ha una soglia di voto "utile" pari all'8%, non superando la quale non si avrebbe alcun eletto. Se, invece, un partito si presenta alle elezioni all'interno di un'alleanza ("liste collegate"), la soglia di elezione di (almeno) qualcuno dei suoi rappresentanti scende al 3% (ottenuto dalla stessa lista). Non è previsto alcun premio di maggioranza.

3. Il Consultellum "2", invece, tende a privilegiare la forza di una singola lista: non "dissuade" dal correre da soli i partiti, ponendosi un'unica soglia del 3% valida in tutte le ipotesi (liste collegabili o meno) e, invece, prevede un (non trascurabile) premio di maggioranza per la singola lista che ottenga almeno il 40% dei voti.

Teoricamente, quindi, un partito potrebbe pure superare questa soglia ed ottenere, mediante il "premio", una consistente maggioranza alla Camera. 
La sua capacità maggioritaria e di "correre da solo" sarebbe però premiata a metà: al Senato non c'è alcun meccanismo che potrebbe garantirgli altrettanta solida maggioranza (saremmo nel campo delle mere "possibilità").

4. Il "mito della governabilità (pp. 2.1.4-2.1.6.)", posto così enfaticamente dalla stessa Corte a presidio della giustificazione costituzionale della varie (e infinite) possibili correzioni del proporzionale, non sarebbe perciò pienamente realizzabile nella congiunta permanenza di questo duplice sistema elettorale.
Da qui, in base alle considerazioni che precedono, tutto sommato abbastanza lineari (nonostante la complessità che possa correlarsi ai meccanismi delle leggi elettorali), deriva che l'indicazione del Capo dello Stato, ribadita subito dopo l'ultima pronuncia della Corte, sia nel senso che non sia opportuno andare a votare senza un ulteriore intervento legislativo che determini una vera armonizzazione; e ciò, trovando adeguati punti di unificazione dei due divergenti sistemi di correzione del proporzionale attualmente sul campo, ovvero una legge elettorale scritta ab imis dal parlamento stesso (es; molto si parla di un "Mattarellum" corretto con l'aumento della quota proporzionale).

5. Dovrebbe essere evidente, perciò, che:
a) o in parlamento si rinviene una maggioranza che abbia già raggiunto l'accordo su questa "armonizzazione" (o su una legge elettorale nuove e costituzionalmente compatibile), e allora si potrebbe andare al voto in tempi ragionevolmente brevi (mentre, peraltro, è pure disinnescata la "bomba" del referendum sull'art.18, facendo venire così meno una ragione di fretta assoluta nell'esigenza di evitare proprio la celebrazione di tale referendum);
b) oppure, questo accordo dovrà essere trovato e ciò richiederà tempi oggettivamente più lunghi: su questa possibilità, gioca un ruolo non trascurabile il maturarsi, al 15 settembre 2017, del diritto dei parlamentari attuali all'indennità "previdenziale" di "prima" legislatura (cosa che coinvolge molti degli attuali eletti...col Porcellum; ma tant'è).

6. A questo punto va introdotto un terzo elemento che corrisponde ad una "prassi", non costituzionalizzata (almeno così dovrebbe essere), ma nemmeno accusabile di illegittimità costituzionale, alla luce dell'attuale orientamento della Corte. Vale a dire, la legge elettorale viene conformata in funzione del vantaggio elettorale della maggioranza che la vota.
E questo vantaggio, in verità, non può che essere "futuro", cioè legato ad una previsione sull'esito delle elezioni successive (in modo da vincerle e arrivare a governare).
Quindi, predicare, da parte di chiunque, un intervento legislativo di armonizzazione delle leggi elettorali, implica necessariamente, alla luce della "prassi" appena indicata,  promuovere la formazione di una futura maggioranza di governo.
In altri termini, la maggioranza che voterebbe l'auspicata (da più autorevoli parti) correzione coerente del proporzionale (o un maggioritario costituzionalmente bene accetto), equivale alla maggioranza probabile (in base ai sondaggi elettorali attuali) che dovrebbe governare. Salvo, ovviamente, il caso di un accordo "generale", ascrivibile alla stragrande maggioranza dei gruppi politici presenti in parlamento (nel qual caso, la "prassi", il "terzo elemento" qui segnalato, sarebbe messo da parte: ma su ciò, attualmente, possono nutrirsi forti dubbi).

6.1. Sarebbe infatti del tutto illogico il contrario: cioè che si formi una maggioranza sulla legge elettorale che ponga su fronti opposti e alternativi tra loro, e quindi che svantaggi, anzicché avvantaggiare, - quantomeno nei rapporti reciproci-, le forze politiche che congiuntamente votassero la nuova legge elettorale "armonizzata".

7. Ora lo sviluppo delle linee politico-programmatiche dei principali partiti offre un quadro che si può così sintetizzare: il M5S dichiara di voler correre comunque e sempre da solo e di non voler accettare alcuna forma di alleanza. 
I restanti partiti, invece, si stanno aggregando, e non casualmente, data l'importanza storica della questione, sulla posizione pro-euro/pro UE o meno.
Questo è un fatto eclatante che sta balzando prepotentemente agli onori della cronaca partitica italiana. 
L'ultimo dato è la già preannunciata nascita di un "polo sovranista", ancora indecifrabile nei suoi esatti confini e programmi, ma nondimeno già esplicitamente così significativa da impegnare i protagonisti a non poter più tornare indietro su tale linea.

8. Ovviamente, sul campo "avverso", possiamo altrettanto individuare più partiti che si dicono favorevoli all'UE, all'euro e alla de-sovranizzazione, sempre più accentuata, che tale percorso "internazionalista" comporta.
Il fulcro di tale ultima linea è di prendere atto del fatto che, anche tenendo conto delle non trascurabili perplessità sull'UE e sull'euro "vivacemente" esternate dalla nuova Amministrazione USA, qualcosa non vada nell'applicazione dei trattati, ma insomma, questi sono comunque da salvare senza alternative; a tal fine si ricorre alla consueta teoria de "l'altra €uropa" possibile (cioè della rivedibilità dei trattati), ovvero alla sua variante più vaga e semplicemente "preliminare" alle soluzioni, ma di maggior presa su un elettorato confuso e mal informato, per cui l'austerità non va ed è la Merkel che l'ha imposta (potendo anche cambiare idea...chissà come e chissà perché e, soprattutto, quando).

9. Il principale di tali partiti è quello che attualmente esprime il sostegno decisivo ai governi che si sono succeduti dalla fine del 2011 e fino ad oggi.
Ma, sul piano del filo-europeismo "senza alternative", - e semmai vagamente foriero di "auspicio" sulla "temperabilità" dei vincoli, ormai estremi, provenienti dai trattati-, possiamo altrettanto individuare una linea prevalente, almeno allo stato, in Forza Italia (sia pure con una certa indecifrabilità che si prolunga da anni).
Di questo abbiamo conferma (ulteriore) in un'intervista odierna rilasciata da Maria Stella Gelmini a "Libero" (pag.9). 
La sua visione è chiara e, in sostanza coincide con le varie prese di posizione assunte, - nel corso degli ultimi anni e specie in occasione delle trattative sulla "flessibilità" fiscale concessa dall'UE-M-,  dall'attuale partito principale di governo.

10. Vediamo le più significative risposte dell'intervista sul "tema €uropa".
Sulla posizione di Forza Italia (si deve supporre fino a smentita del taglio dato all'intervista) rispetto alla moneta unica:
"La moneta unica non è un valore ideologico, ma lo strumento con cui i padri fondatori dell'Europa pensarono di costruire l'edificio unitario. Non considero un tabù la permanenza o l'uscita dall'euro, ma rilevo che questo potrebbe avvenire solo con una decisione unitaria degli Stati membri, visto che la Costituzione non ci permette un referendum in tal senso.
Più che l'euro, ci ha danneggiato la politica di austerità imposta dalla Merkel"
Sulla "significatività" dell'elezione di Tajani alla presidenza dell'europarlamento, quale "modello per l'Italia" (come suggerito nella domanda), infatti, la Gelmini dice:
"E' stato un errore di Salvini l'aver negato il voto a Tajani: a Roma ha radunato la piazza in nome dell'italianità: in Europa ha negato il suo contributo all'occasione storica di una guida italiana all'europarlamento".
Giocoforza: l'europarlamento, a prescindere da qualsiasi altra considerazione (ad es; i suoi deliberati largamente favorevoli in tema di Unione bancaria e prima ancora, di "fiscal compact", cioè l'austerità, e persino di ERF, cioè del sistema coattivo di realizzazione espropriativa degli asset dei cittadini italiani per rispettare il fiscal compact), sarebbe un luogo dove viene protetta ed esaltata "l'italianità".
Ma questi sono possibili punti di vista sulla valutazione dei contenuti e della sostanza dell'azione dell'europarlamento rispetto all'interesse nazionale.

11. Quel che rileva, più specificamente ai fini delle prospettive dell'approvazione di una nuova legge elettorale, è che questa, nei fatti obiettivi che emergono da plurime e attuali fonti mediatiche, "può" trovare una maggioranza; che questa maggioranza si proietta naturalmente in un vantaggio elettorale condiviso per le forze che daranno vita ad una nuova legge elettorale; che la saldatura di questa maggioranza non può evitare di affrontare la "questione €uropea" e che, date certe prese di posizione allo stato manifestate, la saldatura di questa futura maggioranza di governo ben possa passare per liste collegate tra loro in nome dell'europeismo "irrinunciabile".  
E, naturalmente, dell'austerità-brutta, ma sempre fino a un certo punto...


sabato 28 gennaio 2017

2- SPOSTARE IL FOCUS: DAI DIRITTI COSTITUZIONALI ALLA SOLITUDINE PERSONALE COME CONDIZION€ "INVIDIABIL€"




http://www.modellidisuccesso.com/wp-content/uploads/2016/11/Cover-Modelli-di-Successo-2.jpg?x15054

E se devi diventare l'imprenditore...di te stesso, come per ogni bizantinismo autoconservativo (...la "formazione" dei...formatori), ne puoi fare un business ("chi sa fa, chi non sa...insegna" e, dunque "forma" . Ma la sostanza rimane quella: sei solo)
http://progettiamostartup.com/wp-content/uploads/2015/04/corso-sicurezza.png
Introduzione alla Parte II-  
Prosegue l'excursus di Francesco Maimone nell'esaminare il paradigma di ri-programmazione antropologica, prima ancora che economica (certamente importante in sé), cui ci sottopone l'appartenenza all'UE, intesa come stato avanzato dell'esperimento bio-sociale del globalismo neo-liberista
La sua crisi attuale, peraltro, ci deve rendere ancora più coscienti dei pericoli che un totalitarismo basato sul condizionamento cultural-accademico e mediatico, tenti di autodifendersi ricorrendo a forme crescenti di autoritarismo e di violenza morale...e, potenzialmente, non solo...
Ho inserito alcune parti in corsivo e alcuni links di ulteriore precisazione dei vari passaggi. Grazie a Francesco per il suo lavoro...

1. Spostare il focus: dai diritti costituzionali alla responsabilità (=solitudine) personale.
Nell’attuazione strategica di un siffatto programma, la più attenta dottrina giuslavoristica non ha mancato di denunciarne apertamente “… il tentativo di influenzare l’interprete mediante l’accorto impiego di strumenti semantici o di slogan – come si conviene in epoca di imperante egemonia mediaticaBasti pensare all’insistito ricorso a termini suadenti quali “modernizzazione”, “trasparenza”, “occupabilità”, “efficiente allocazione”, “codici di buone pratiche …” tendente in realtà a celare “… un filo rosso ideologico … ovvero una filosofia politica dotata di qualche coerenza sino a far affiorare una sorta di manifesto giuslavoristico di tipo neo-liberista[1].
L’introduzione forzata di parole e concetti nuovi dalla semantica accattivante anche nel campo del diritto del lavoro ha veicolato, soprattutto, una totalizzante visione etico-morale entro la quale le capacità individuali sono state fatte apparire come assolutamente determinanti, insieme allo spirito d’iniziativa e all’imprenditorialità soggettivi “… L’enfasi sull’occupabilità e il talento individuali riaffermano l’importanza della fiducia in sé stessi basata sul duro lavoro e sulle esortazioni morali, invitando le persone a utilizzare al massimo le proprie abilità e i propri talenti. La figura del capitano d’industria come eroe è ritornata[2].

1.1. Lo stesso dicasi, in particolare, per il concetto di imprenditorialità, da considerare sempre come espressione con valenza etico-morale, ovvero come disponibilità della persona al rischio ed al continuo cambiamento: 
… queste virtù della fiducia in sé stessi e nel “farsi da sé” sono divenute una credenza nazionale dove, come nel contesto americano, la loro applicazione pratica ai fini del guadagno materiale è stata prontamente identificata con il mito conquista del Continente. Negli Stati Uniti l’uomo d’affari è divenuto un eroe i cui risultati materiali sono stati celebrati come vittorie morali. La maggioranza della popolazione è stata spinta ad emularlo, mettendo ogni uomo in competizione con i suoi pari[3].
Ancora una volta, nulla di nuovo. 
Nel 1942, sempre Luigi Einaudi, recensendo l’opera di Wilhelm Röpke [4] intitolata Die Gesellschaftskrisis der Gegenwart (trad.: La crisi sociale del nostro tempo), ci dimostra chiaramente a quale corrente di pensiero sia da attribuire la paternità delle citate elaborazioni ideologiche. Conviene in proposito riportare un passo della recensione al fine di dissipare eventuali dubbi del lettore:

… Il Röpke, che sa adoperare parole adatte a significare concetti esatti non chiama liberalismo il primo aspetto, ma “economia di mercato”; ed è concetto, il quale pare soltanto economico ma in realtà di sé informa tutti gli aspetti della vita. …Il sistema economico della concorrenza garantisce il successo solo a coloro i quali sanno fornire un equivalente servigio ai consumatori e nel tempo stesso assicura che i servigi difettosi abbiano la loro immancabile sanzione nelle perdite e alla fine, attraverso il fallimento, nella espulsione dal mercato … All’uopo il sistema si giova di un duplice strumento, da un lato la concorrenza e dall’altro l’accoppiamento della RESPONSABILITÀ E DEL RISCHIO, DELLE ALEE DI SUCCESSO E DI PERDITA
Come l’impiegato diventa infelice, insopportabile a sé ed altrui nel giorno in cui è forzato a mettersi in riposo, cosi’ l’imprenditore preferisce morire sulla breccia, fors’anco contemplando la decadenza della sua creazione, pur di non abbandonare altrui il bastone del comando. gli uni sono i soldati, gli altri i capitani dell’economia di concorrenza. … [5].

1.2. In tali elaborazioni socio-politiche, che pongono un marcato accento sul ruolo dell’individuo nella vita economica e sociale, non è difficile intravvedere la traccia del c.d. individualismo metodologico propugnato dall’economia neoclassica e che sostanzialmente ravvisa nei comportamenti degli attori economici - mossi da preferenze individuali endogene - l’espressione di razionalità coerenti con l’efficienza dei mercati. L’idea di base è che le istituzioni sociali sono il risultato spontaneo dell’azione umana, non di un progetto coscientemente voluto e riconosciuto; le istituzioni sorgono spontaneamente e non sulla base di progetti precisi e di atti legislativi i quali, invece, intervengono a confermare a posteriori uno stato di fatto già creatosi in un contesto sociale. Sono gli individui che, interagendo spinti da motivazioni di utilità personale, creano inintenzionalmente le istituzioni sociali [6].
NdQ: a livello di lessico di massa, il condizionamento assume la veste del seguente slogan pop, a forte suggestione (para)filosofica e psicologica, tanto ipersemplificata quanto efficace per indurre a rifuggire ogni solidarismo orizzontale e a condannarlo preventivamente accumulando anzi "livore", altrettanto preventivo, verso "l'altro" 
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1.3. Per il raggiungimento dei propri fini, la vulgata neoliberista aveva così necessità di colonizzare in modo strategico anche l’insegnamento accademico, risultando pervasiva e dominante, tanto che ormai 

… I principali testi istituzionali di Labour economics si incentrano sugli assiomi del pensiero neoclassico (anche se essi vengono rapportati alle specificità "istituzionali" del mercato del lavoro), che non a caso è detto ortodosso, e le scuole di Law & Economics fondano le proprie argomentazioni giuridiche su assunti che derivano, di massima, dal corpus teorico dell’economia neoclassica, A COMINCIARE DAL POSTULATO METODOLOGICO DELL’INDIVIDUO ISOLATO, massimizzatore razionale della propria utilità soggettiva …[7].
In tal modo le persone ristrutturate sono state progressivamente indotte a pensare di avere un dovere morale, una responsabilità personale, e soprattutto esclusiva, di regolare la propria esistenza in modo da poter ottimizzare le opportunità nel mondo del lavoro, un dovere di rischiare, di adattarsi ai mutamenti epocali della globalizzazione - vista a priori come incontrovertibile opportunità - e di accontentarsi, potendo (anzi, dovendo) prescindere da qualsiasi sostegno, a maggior ragione se proveniente dallo Stato: quest'ultimo, a un livello che discende da quello accademico a quello mediatico-pop, viene considerato come frutto di una costruzione posticcia e assunto per antonomasia, con apposito format studiato a livello sopranazionale, come soggetto atavicamente corrotto, inefficiente e dedito a sprechi.

1.4. La rivoluzione culturale, saturando la psiche collettiva con il concetto di occupabilità (e dei suoi intimi corollari) è stata collegata specularmente anche alle politiche educative tramite il mito della “formazione continua (cioè infinita ed a sbocco lavorativo improbabile), dal momento che proprio l’occupabilità è divenuta il primo obiettivo dei percorsi formativi [8].
NdQ: Notare come, da un lato, l'intera vita e la stessa "dignità" del lavoro siano proposte come un rapporto di "insufficienza" ontologica dell'individuo rispetto alla "realtà"; dall'altro come ciò tenda a rendere istituzionale l'assoggettamento della massa, scomposta in individui singolarmente responsabili, e quindi individualmente "difettosi", al senso di colpa. Campeggia poi il concetto antropologico, ma anche economico, di "programmazione", o più esattamente di ri-programmazione "d'autorità" di ogni singolo individuo:
http://bg.ac.rs/images/saradnja/llp.jpg
 http://bg.ac.rs/en/international/projects/llp.php
In coerenza con con una simile impostazione, la quale professa che ognuno ha la responsabilità personale e morale di “farsi da sé”, non di rado - anzi in modo preordinato e quasi automatico-  avviene che, in caso di insuccesso nel reperire un impiego, si tenda addirittura a “colpevolizzare la vittima”, secondo l’espressione utilizzata da Stiglitz [9].

2. Artifizi e raggiri si materializzano in norme giuridiche
Il fenomeno complessivamente descritto, dunque, ha il suo indubbio incipit nel processo di coordinamento delle politiche del lavoro degli Stati membri avviato a livello europeo con tutto il programma ideologico storicamente ad esso sotteso. Detto processo di indottrinamento collettivo dimostra la totale alterazione prospettica a poco a poco introdotta nella configurazione del diritto al lavoro e nella correlativa pretesa all’azione dello Stato.
Ciò, d’altronde, risulta in modo inconfutabile dalla trasfusione letterale dei citati concetti nell’attuale art. 145 del TFUE (ex articolo 125 del TCE) in base al quale, difatti, lo sviluppo dell’occupazione si realizzerebbe mediante la “PROMOZIONE DI UNA FORZA LAVORO COMPETENTE, QUALIFICATA, ADATTABILE e di mercati del lavoro in grado di rispondere AI MUTAMENTI ECONOMICI al fine di realizzare gli obiettivi di cui all'articolo 3 del trattato sull'Unione europea” (ovvero “l’economia sociale di mercato”, cioè quella preconizzata da Röpke, nonché propugnata da Einaudi, - v. pp. 8-10-, nell'esaltare Erhard e il modello tedesco, fin dagli anni '50) [10].

2.1. La selvaggia ristrutturazione psicologica e culturale di stampo neo-ordoliberista è stata quindi portata avanti dapprima (o in contemporanea) con la preparazione di un retroterra ideale e linguistico capillarmente diffuso grazie ad una compiacente ed unanime grancassa mediatica - di fatto rispolverando, come abbiamo visto, clichés vecchi di almeno due secoli ed aggiornati, in in funzione mimetica, dall’ordoliberalismo al fine di aggirare la rigidità delle costituzioni post-belliche-, per poi essere in maniera definitiva consacrata in via normativa a livello sia internazionale che nazionale.
E lo scopo ad essa sotteso è consistito senza alcun dubbio nell’orientare l’azione dello Stato – al quale è stata sottratta, tramite “vincolo esterno”, qualsiasi capacità di intervento economico e fiscale – e rendere in via esclusiva le persone “attraenti” ed “appetibili” per le imprese, attraverso una serie di interventi come il decentramento della contrattazione (da radicare a livello aziendale, con perdita di potere negoziale in capo ai lavoratori), la conseguente indiscriminata moderazione della retribuzione (deflazione salariale), la flessibilità assoluta ad effetti precarizzanti (anche mediante creazione di una pletora di forme contrattuali), l’offerta di percorsi formativi permanenti del tutto conformi alle richieste dei mercati come teorica (e retorica) dell’importanza del “capitale umano[11].

2.2. E così, mediante un concertato condizionamento culturale (eterodiretto dal crisma etico-morale, oltre che religioso, come vedremo), il concetto di “piena occupazione” come oggetto di obbligo a carico della "Repubblica" (che aveva contraddistinto il periodo keynesiano delle Costituzioni democratiche, cfr. gli artt. 3, comma II, e 4 di quella italiana) è stato definitivamente sostituito da quello neo-ordoliberista di tasso naturale di disoccupazione”. 
Secondo tale visione, la riduzione della disoccupazione non potrebbe essere ottenuta mediante il controllo della domanda, bensì attraverso politiche strutturali supply side, ragione per cui “…l’orientamento SUL LATO DELLA OFFERTA della politica europea del lavoro lascia assai poco spazio all’idea che lo Stato debba garantire il diritto al lavoro sostenendo la sicurezza del reddito o del lavoro[12].
Residuati della “vecchia scienza economica dell’800" (qui, in premessa), centrata sulla divinità del mercato (e messi senza equivoci alla porta nel nostro Paese in sede di Assemblea Costituente) si sono fatti strada, a tinte ordoliberiste, attraverso la “finestra europea”, cioè mimetizzati e, poi, addirittura reclamizzati con tratti onirici per essere integralmente trasfusi nella legislazione nazionale.
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NOTE
[1] Così R. DE LUCA TAMAJO, Tra le righe del D.Lgs. n. 276/2003: tendenze ideologiche, in Rivista italiana di diritto del lavoro, Milano, 2004, 522, 539
[2] Così P. BROWN, A. HESKETH, The Mismanagement of Talent: Employabilityand Jobs in the Knowledge Economy, Oxford University Press, New York, 2004, 98 all’indirizzo https://books.google.co.uk/books?id=twrJS3VeR3sC&pg=PR3&hl=it&source=gbs_selected_pages&cad=2#v=onepage&q&f=false
[3] Così R. BENDIX, Work and Authority in Industry, Wyley, New York, 1956, 440
[4] Wilhelm Röpke, economista, è stato un importante esponente dell’ordoliberismo, ideologia sulla quale sono fondate le istituzioni dell’Unione Europea, come ricorda anche B. VENEZIANI, Politica sociale (diritto dell’Unione Europea), in Enciclopedia del diritto, Annali VI, Milano, 2013, 657, secondo cui il modello “…europeo sovrastatuale si nutriva della cultura dell’ordo-liberismo…che aveva sottoscritto l’atto di nascita della Comunità. In essa si celebravano le virtù del libero mercato, si rifiutava l’idea di limiti posti dalla politica statale che fossero incompatibili con strategie macroeconomiche keynesiane volte alla piena occupazione, alla redistribuzione ed alla crescita…
[5] L. EINAUDI, Economia di concorrenza e capitalismo storico. La terza via fra i secoli XVIII e XIX, in Rivista di storia economica, giugno 1942, 49-72
[6] Così A. PERULLI, La contrattazione collettiva “di prossimità”: teoria, comparazione e prassi, in Rivista italiana di diritto del lavoro, Milano, 2013, 918. Per una ricostruzione dell’individualismo metodologico nel pensiero di Hayek, si veda F. M. TEDESCO, La teoria del diritto di F. A. von Hayek, reperibile all’indirizzo http://www.unicap.br/rid/artigos2003/lateoria.pdf
[7] Così R. DEL PUNTA, L’economia e le ragioni del diritto del lavoro, 7, reperibile all’indirizzo http://www.consiglio.regione.campania.itcmsCM_PORTALE_CRCservletDocsdir=docs_biblio&file=BiblioContenuto_3842.pdf
[8] P. BROWN - A. HESKETH, The Mismanagement of Talent: Employability and Jobs in the Knowledge Economy, cit., 10. Sul concetto di “meritocrazia” si rinvia all’analisi di P. BARCELLONA il quale, in Parolepotere cit., 94, osserva “…la parola meritocrazia è soltanto uno strumento arbitrario per realizzare diseguaglianze e appiattire le attitudini singolari. Tornano alla mente le sempre attuali riflessioni di Schopenhauer sul sapere istituito e strutturato in modo sistematico dagli statuti disciplinari delle università, funzionale a cacciare fuori dal recinto del potere il Genio che interrompe la sequenza conformistica delle logiche quantitative e incrementali. Nel passaggio dal concetto di merito all’attuale formula della meritocrazia ad ogni costo c’è uno slittamento semantico che ha profonde implicazioni: il merito era stato introdotto in una visione che tendeva a contestualizzare le abilità di una persona in rapporto alle situazioni concrete in cui si svolgeva la sua vita, viceversa la meritocrazia è un sistema generale e astratto Di fatto, la meritocrazia è uno strumento di emarginazione sociale, la cui perversione efficientista assume uno standard astratto e uniforme, impone di prescindere dalla personalità di chi deve essere valutato, dalle sue origini familiari, dall’ambiente in cui si è formato e dell’attività che ha svolto. È quindi uno strumento di riproduzione, come classe dirigente, della casta dei meritocrati, la nuova «aristocrazia» che costruisce un criterio di selezione, non certo per realizzare il miglior governo possibile della società, ma per garantire la continuità del proprio dominio
[9] Così J.E. STIGLITZ, Il prezzo della disuguaglianza, Torino, 2014, 363-364
[10] Si rinvia a L. BARRA CARACCIOLO, La Costituzione nella Palude, cit., 105 e ss., in cui l’Autore, ricostruendo le radici ideologiche e politico-economiche della costruzione europea, definisce l’economia sociale di mercato come “un biopotere antidemocratico
[11] L’apoteosi della razionalizzazione del comportamento individuale è teorizzata dall’economista della scuola di Chicago e premio Nobel G. BECKER, discepolo di Milton Friedman, ne Il Capitale Umano, Milano, 2008. L’idea fondamentale del modello di Becker consiste nel fatto che l’istruzione fa aumentare le conoscenze e le capacità degli individui e li rende più produttivi. Si veda, in proposito, l’articolo di G. BECKER Famiglia, istruzione e ricchezza delle nazioni, reperibile all’indirizzo http://www.bpp.it/Apulia/html/archivio/2005/III/art/R05III014.htm
[12] D. ASHIAGBOR, The Right to Work, in G. DE BÚRCA, B. DE WITTE (a cura di), Social Rights in Europe, Oxford, 2005, 249