mercoledì 27 febbraio 2019

BREVE STORIA DELL'EVOLUZIONE DEL SISTEMA BANCARIO ITALIANO ED EFFETTI SULLA GIUSTIZIA SOCIALE


Post di Antonio Martino

La crisi del sistema bancario italiano costituisce una delle principali evidenze del sistema-euro applicato all’economia nazionale. Difatti, sulla gestione del credito si sono viste succedere tutte le sfumature che colorano il triste quadro degli ultimi trent’anni: fascinazione monetarista, obbedienza cieca e assoluta ai diktat di Bruxelles, svendita del patrimonio pubblico per servire il gretto capitale nazionale, incompetenza e malafede nella direzione degli istituti, asservimento completo alle direttive europee fino all’assurdo del bail-in introdotto a rotta di collo per benmeritare agli occhi dei padroni della colonia Italia.

In questa sede non si vuole analizzare il problema economico- ormai acclarato e da altri e ben più competenti in materia sviscerato nei dettagli-, bensì si cerca di evidenziare un’alternativa di struttura che possa evitare a quello che fu uno dei pilastri della crescita italiana la fine comatosa e la svendita assoluta.


1.  Essere stati per essere

Una breve panoramica storica per inquadrare nella giusta prospettiva l’analisi.

Il sistema bancario italiano, faticosamente emerso durante la fase di sviluppo giolittiano all’alba del Novecento, si ispirò per influenza di quel capitale al modello cd. Renano, cioè la banca mista-universale: chiaro esempio, la Banca Commerciale Italiana nata a Milano nel 1894 su iniziativa tedesca. Questo tipo di istituto aveva le seguenti caratteristiche (da wikipedia):

·     Autorizzato ad operare sia nel breve (esercizio del credito) che nel medio-lungo periodo (attività finanziarie e di investimento);

·     Autorizzato a svolgere attività in due modi: mediante servizio del credito e mediante concessione di quote partecipative nelle imprese.

Ci interessa evidenziare la commistione tra capitale industriale- sempre caratterizzato in Italia da asfissia di liquidità azionaria- e quello bancario, creato per l’appunto allo scopo di garantire flussi di cassa e immobilizzi alla grande industria nascente.

Nel dettaglio, “Lo statuto di una banca mista prevedeva che tale istituto potesse compiere operazioni di diversa durata temporale; ciò significa che esse potevano quindi raccogliere depositi, che erano operazioni a breve in quanto i risparmi erano ritirabili in qualsiasi momento, ed indirizzare tali depositi ad attività di credito industriale, operazione di lungo termine che prevedeva durate di dieci o più anni per i rendimenti.”

Questo scarto tra operazioni a breve (risparmiatori) e immobilizzi (credito industriale) presentava evidenti criticità. In base al ciclo economico, infatti, la difficoltà di rientro delle imprese avrebbe creato notevoli difficoltà alle esigenze di liquidità dei depositanti. A ciò si aggiunga il cruciale problema del controllo incrociato: maggiore era la esposizione dell’istituto nell’azienda, più grande diveniva la commistione tra banca e industria, fino a non distinguere più creditore e debitore in un gioco perverso di scatole cinesi e scalate di borsa. E’ il caso dell’Ansaldo dei fratelli Perrone; indebitati con la Banca italiana di sconto, forti dell’immenso potere dell’azienda durante la Grande guerra, essi avevano ottenuto il controllo della loro creditrice senza colpo ferire (la vigilanza bancaria, allora come oggi, era del tutto inefficace…e inefficiente). Colpiti dalla crisi di riconversione postbellica, il gruppo tentò di ottenere ancora capitali dalla Comit con un tentativo di scalata azionaria non riuscito. Il risultato fu il fallimento dell’Ansaldo e il crollo della Bis: le partecipazioni industriali furono trasferite al Consorzio per la Sovvenzione sui valori industriali, antenato dell’IRI. Per i risparmiatori il rimborso medio fu tra il 65 e il 75% grazie all’intervento di una cordata di istituti pubblici.

Il caso Perrone è soltanto un esempio tra i tanti di quel periodo. I confini tra capitale industriale e finanziario erano rotti: le partecipazioni di comit, credito italiano e banco di Roma al sistema produttivo italiano assommavano al 1930 a 12 miliardi in bilancio per circa 14 miliardi di raccolta. I nodi della banca mista vengono al pettine: la crisi di Wall Street e la grande depressione mandano sostanzialmente in bancarotta tutte le future b.i.n.

Il governo fascista affida la risoluzione del problema a un gruppo di tecnici raccolti attorno alla figura di Alberto Beneduce, tra i quali ruolo decisivo avrà Donato Menichella. Questa “covata”, si badi bene, lascia del tutto fuori dal progetto di riforma Banca d’Italia e la sua burocrazia, con il pieno avallo di Mussolini e del Ministro delle finanze Jung. Con tre distinte convenzioni la triade comit-credit-banco di roma cedono allo stato il capitale azionario e relative partecipazioni industriali: in sostanza, pur rimanendo società di diritto privato esse vengono “irizzate” e sottoposte al controllo dello stato.

Il risultato normativo è il R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375. “Disposizioni per la difesa del risparmio e per la disciplina della funzione creditizia.”, basato su un lungo lavoro di preparazione che ci permette di cogliere appieno la mutata finalità della banca nell’economia italiana. Citiamo per evidenziare il cambio di passo una relazione interna all’IRI:

“…quello che è certo è che nel credito troviamo l’unico strumento veramente efficace col quale sia possibile regolare e dirigere, secondo i bisogni della Nazione, lo sviluppo della sua economia. Il credito è quindi funzione dello Stato: si tratta di ripartire la utilizzazione di una ricchezza che perde il suo carattere privatistico, in quanto

è la raccolta di una enorme massa di cittadini a favore di determinate categorie di attività economica: nessun diritto individuale può giustificare in questo campo la assoluta libertà.”

Il punto dirimente viene affrontato subito dopo: Funzione preminente dello Stato è oggi dirigere e indirizzare lo sviluppo economico del Paese (…) i capitali monetari non applicati direttamente al lavoro e non sottoposti al rischio produttivo devono rendere meno. Ne conseguirà una spinta all’applicazione diretta alle produzioni, ossia una espansione dell’attività di lavoro.” (da La legge bancaria. A cura di Mario Porzio, Il Mulino 1981, pag. 321).


Pur essendo all’apogeo del regime fascista, il trait d’union con la concezione pubblicistica del credito e del risparmio espressa in Costituzione è evidente, così come cruciale risulta l’affermazione circa la eutanasia della rendita a mezzo diminuzione del tasso di interesse. Con questo passaggio l’Italia si dota di un sistema creditizio in grandissima parte pubblico, incardinato come segue:

-        banche d’interesse nazionale (Comit, Credit, Banco di Roma): società per azioni, detenute dall’IRI;

-        istituto di credito di diritto pubblico (banco di Napoli, di Sicilia, di Sardegna, Monte dei Paschi, San Paolo, BNL): controllati direttamente dal Tesoro;

-        casse di risparmio: controllate dal Tesoro;

-        aziende di credito: possono essere private, come la Banca Nazionale dell’Agricoltura;

A queste si accompagnano le banche popolari e i monti di pegno, gli “istituti Beneduce” (Crediop, ICIPU), il risparmio postale gestito da Cdp. Sugli istituti di credito a medio termine (il più importante sarà Mediobanca, seguito dal Medio credito centrale e altri) non ci dilunghiamo in questa sede.

E’ importante in questa fase ricordare come la l.b. prevedesse un organo di controllo, Ispettorato per la Difesa del Risparmio e per l'Esercizio del Credito, dotato di importanti poteri coattivi, prontamente cassato nel 1944 sotto la spinta di Banca d’Italia, gelosa delle sue prerogative in merito. L’istituto di emissione, sulla scorta della riforma in oggetto, vede la sua natura trasformarsi in istituto di diritto pubblico cui capitale sociale è partecipato a vario titolo da banche (pubbliche) e casse di risparmio. In questa fase, sulla scia della guerra d’Etiopia e la fine del gold standard, la possibilità di finanziamento del Tesoro presso l’istituto di emissione è praticamente illimitata: sarà il sempre pronto Einaudi nel 1947 a far reintrodurre il limite dello scoperto in conto corrente, fedele al suo terrore del torchio gemente.

2.  Lo stato banchiere

I vantaggi di avere la piena disponibilità del sistema creditizio per uno Stato che vuole intervenire

nell’attività economica sono innegabili. Si può infatti obbligare il sistema ad assorbire una quota voluta di titoli di debito pubblico al tasso politico deciso dal Governo; si può determinare la riserva obbligatoria per manovrare la liquidità monetaria; si possono indirizzare i capitali su settori strategici; si gestisce direttamente il mercato valutario.

In questo senso, tutta la Prima Repubblica è dominata dalla banca pubblica. Il capitale finanziario è sottoposto a una forte repressione, essendo il mercato borsistico quasi inesistente, mentre il risparmio popolare è intercettato in larga parte dall’amministrazione postale e dalle casse di risparmio. Volente o nolente, il miglior impiego della rendita diviene l’attività produttiva, con i riflessi positivi del caso e confermando quanto voluto in sede di riforma da Menichella e soci.

Il “mercato” bancario è fortemente regolamentato. La cd. “foresta pietrificata” vede una regolazione minuziosa circa l’apertura di nuovi sportelli, la fusione e la costituzione di nuovi istituti, la gestione delle masse monetarie. La banca diventa un servizio pubblico di alto livello: si hanno clienti, non consumatori. Gli istituti non ragionano in termini di profitto o di creazione di valore, perché non hanno investitori da remunerare o dividendi da distribuire: la partecipazione estera al sistema bancario è pressoché irrilevante. Come sempre, è la leva europea a scardinare uno degli ordinamenti più efficienti del Mondo: i fallimenti bancari nel periodo 1945-1990 possono grosso modo ricondursi ai casi Sindona e Calvi, ambiti straordinari e assai oscuri. Mettere i soldi in banca diviene un sinonimo di sicurezza e di fiducia nell’Italia del risparmio e della crescita.

Naturalmente, doveva venire l’Europa a scardinare tutto.



3.  Voglio essere Gordon Gekko

La prima direttiva CEE è del 1977 (77/780/CEE del Consiglio, del 12 dicembre 1977), in cui si introducono concetti del tutto alieni alla realtà italiana. Si inizia a parlare di banca come impresa (art. 1), di concorrenza e produttività, di aumento dell’offerta dei servizi. Non a caso, la direttiva viene recepita in Italia solo nel 1985 (D.P.R. 27 giugno 1985, n. 350), in un contesto politico ed economico assai mutato. Si confronti a titolo d’esempio l’articolo d’apertura del decreto citato:



“L'attivita' di raccolta del risparmio fra il pubblico sotto ogni forma e di esercizio del credito ha carattere d'impresa, indipendentemente dalla natura pubblica o privata degli enti che la esercitano.”



Con quello della legge bancaria:

“La raccolta del risparmio fra il pubblico sotto ogni forma e l'esercizio del credito sono funzioni di interesse pubblico regolate dalle norme della presente legge.”

Da qui in poi il combinato disposto tra ingerenza comunitaria, insipienza della classe politica nazionale, crisi della Prima Repubblica, caos monetario del 1992, apriranno la strada al disastroso processo di privatizzazione.

Nel dettaglio, la convergenza prevista dalla seconda direttiva (89/646/CEE del Consiglio, del 15 dicembre 1989) e dagli accordi di Basilea (BASILEA I) impone la trasformazione degli istituti di credito di diritto pubblico in società per azioni: è la famigerata legge Amato (L. 218/1990). La trasformazione in spa produce una serie di sconquassi inevitabili, tra cui la sottocapitalizzazione dei banchi meridionali, la difficoltà debitoria di gran parte degli stessi (venuta a mancare la garanzia di stato); il difficile percorso di trasformazione vedrà la scomparsa di istituti di credito secolari e ben localizzati nel territorio (banco di Sicilia, banco di Napoli), la progressiva dispersione di esperienze peculiari sula via del capitale estero (BNL), la fine ingloriosa (MPS). Le casse di risparmio finiranno inglobate in processi di fusione tendenti a distruggere la radicazione territoriale e il legame fondante con le realtà di riferimento: su tutti, domineranno le fondazioni bancarie, creazioni incomplete e oggetto di numerose controversie.

La tabula rasa diviene completa con la dismissione del patrimonio IRI e la privatizzazione delle tre b.i.n., tra il 1994 e il 1995, a quotazioni largamente inferiori al valore di mercato. Ricordiamo che in Germania non fu affatto necessario privarsi del sistema creditizio pubblico per entrare nell’euro, così come il processo di concentrazione delle banche francesi non ha visto intromissioni estere.

La grande ipocrisia del liberismo ha così permesso la distruzione del patrimonio bancario pubblico in nome di una concorrenza mai vista, considerato il grado di concentrazione oligopolistica del mercato italiano, retto da due colossi, e impoveritosi in maniera impressionante di presenza nel territorio a favore di una progressiva e inarrestabile “commercializzazione” dell’attività: dalla banca di diritto pubblico alla banca-assicurazione il passo è stato breve e brutale.

Inutile poi ribadire le conseguenze dell’euro e della crisi del 2008 su un sistema oramai basato su spa private più attente all’estrazione del valore che al servizio alla clientela. In cinque anni sono falliti più istituti che nei cinquant’anni precedenti: basta (e avanza) per capire la traiettoria.



4.  Stato banchiere o banchieri-stato

La carrellata storica, incompleta e parziale, serviva a mostrare come in un passato non troppo lontano è esistita un’alternativa pubblica- efficace ed efficiente- che ha tutelato meglio e più a lungo il risparmio e i risparmiatori. I fatti degli ultimi anni evidenziano come il potere delle banche- capitale finanziario- è tale in un’economia liberale che per forza di cose influenza l’andamento del governo e dell’economia ben più a fondo dei partiti e delle istituzioni democratiche. La questione, in sostanza, è tra stato banchiere e banchieri-stato, cioè tra il controllo pubblico del credito e dominio privato dei banksters sulla repubblica.

Basta infatti un ordine di vendita allo scoperto di n-btp per sconvolgere la vita pubblica rebus sic stantibus, e tanto meno non appare possibile attuare un ritorno alla sovranità monetaria (se ancora interessa a qualcuno, beninteso) nel quadro di un sistema bancario troppo esposto alle influenze estere e alla volubilità di borsa. A ciò si aggiunga che la moria di istituti non potrà che aumentare stante l’€- assetto basato su direttive sempre più capestro, deflazione strutturale e npl svenduti e svalutati. E che dire poi delle conseguenze della digitalizzazione e delle fintech in regime di laissez-faire?

Dell’intromissione brutale delle banche nel mercato delle assicurazioni sanitarie e previdenziali, con innegabili ingerenze sulle deficienze- indotte- del sistema sanitario nazionale e del sistema pensionistico pubblico? In uno scenario così vasto, la separazione del Glass-Steagall Act non basta, poiché è oggi dirimente operare sulla proprietà (pubblica o privata) e non tanto sull’attività in sé. La specializzazione risulta infatti una condizione necessaria ma di per sé non certo sufficiente.

Pertanto il ritorno al controllo pubblico del credito è un’esigenza profonda, oggettiva, irreversibile se si vuole davvero ripristinare un minimo di legalità costituzionale in Italia. Per dirla con Lenin,

“Per combattere seriamente il dissesto finanziario e l'inevitabile bancarotta, non v'è altro mezzo che quello di rompere in modo rivoluzionario con gli interessi del capitale e di organizzare un controllo veramente democratico, cioè «dal basso», il controllo degli operai e dei contadini poveri sui capitalisti (…) Le banche, come è noto, sono i centri della vita economica moderna, i principali gangli nervosi di tutto il sistema capitalistico dell’economia nazionale. Parlare della “regolamentazione della vita economica” ed eludere il problema della nazionalizzazione delle banche significa o dar prova della più crassa ignoranza, o ingannare “il popolino” con parole pompose e promesse magniloquenti che si è deciso in anticipo di non mantenere».”

La nazionalizzazione come atto, in conclusione, sarebbe soltanto la premessa della socializzazione di fatto della vita economica attraverso la partecipazione cosciente dal basso delle classi lavoratrici nel processo principe dell’attività capitalistica, cioè la gestione del potere del capitale attraverso la leva del credito e del debito. Nel quadro di una democrazia sociale pluriclasse, informata al fine dell’eguaglianza sostanziale, l’esistenza del grande capitale finanziario in forma di grande gruppo bancario privato non può esistere. In soldoni, slegare dalla logica del profitto la banca socializzata significherebbe togliere alla classe dominante uno strumento di potere formidabile, dall’altro dotare le classi del Lavoro di un meccanismo determinante per impostare una politica economica tesa alla realizzazione della giustizia sociale e del progresso civile e morale.

venerdì 22 febbraio 2019

L’Agenda Digitale: blockchain, smart contract e deliri punto zero.



 (post di Bazar - II parte)

6. I contratti stupidi chiamati “intelligenti”



«Facciamo un esempio: supponiamo che l’automobile sia pagata a rate. Se l’acquirente dovesse “bucare” una rata, grazie alla tecnologia blockchain il contratto “intelligente” non consentirebbe più l’uso dell’auto, la quale verrebbe bloccata a distanza, fino alla regolarizzazione dei pagamenti.» beppegrillo.it

Vediamo come viene spiegata questa tecnologia dalla nostra fonte di riferimento:

«Un token è un asset digitale basato sulla blockchain che può essere scambiato tra due parti senza che sia necessaria l’azione di un intermediario. Un token può essere visto come un insieme di informazioni digitali che è in grado di conferire un diritto di proprietà ad un soggetto sull’insieme stesso di informazioni che sono registrate su una blockchain e che possono essere trasferite tramite un protocollo. […] I token creati grazie a Ethereum hanno differenti attributi che permettono la gestione di smart contracts allo scopo di fissare in modo sempre più vincolante e sicuro l’accordo tra le parti.»

I “contratti intelligenti” – aka “smart contracts” – sono così “intelligenti” che non permettono di far nulla che richiederebbe l’intelligenza umana se non blindare le obbligazioni tra parti contraenti: il discorso sociologico è simile a quello fatto in precedenza.

La retorica privatista non seduca: in un ordinamento a Costituzione democratico-sociale “solo una cieca credenza nelle massime individualiste consente […] di differenziare in modo certo dal diritto pubblico” (A. Somma, Diritto comunitario vs. diritto comune europeo, Giappichelli, Torino, 2003, pag. 39) il diritto privato.

Quindi la privatizzazione delle funzioni statali, ossia l’automatizzazione di procedure sanzionatorie o premiali in funzione della conformità che può essere imposta dalla parte forte “statualizzata” al soggetto debole, con espulsione dell’intervento di controllo di corrispondenza al diritto, anche costituzionale, esercitato dal giudice, ha una portata intrinsecamente eversiva.

6.1 «Smart Contract fa riferimento a degli standard di comportamento e di accesso a determinati servizi e viene messo a disposizione, accettato e implementato come forma di sviluppo di servizi tradizionali»

Gli “standard di comportamento” possono essere tanto quelli di un avvenuto pagamento per usufruire di un particolare prodotto o servizio, oppure qualsiasi altra prassi (come, ad esempio, l’essersi vaccinati) che vincolerebbe “l’accesso a determinati servizi” (ad esempio al godimento di servizi sociali).

«Stop alla frammentazione dei sistemi informativi: servono strumenti nuovi.» – Tuona la «Direzione generale della Prevenzione sanitaria del ministero della Salute». Chiaramente usare un archivio per funzioni anagrafiche su blockchain, e, magari, attivarci poi degli smart contract, è una tentazione a cui un sistema, per vocazione totalitario come quello capitalistico-liberale, difficilmente potrà resistere.

In questo video il prof. Oliver Hart – premio Nobel per le ricerche condotte sulla contrattualistica –  è piuttosto tranchant:


In sintesi: si può pensare che questa tecnologia possa «automatizzare alcune cose» come, ad esempio, «alcuni contratti di assicurazione», ma, ovviamente, questa non serve a risolvere quei problemi contrattuali complessi che preoccupano le relazioni economiche più importanti; ovvero l’automazione non dà un aiuto sul come scrivere i contratti, ovverosia su quali contenuti perfezionare.

Quindi questi “contratti intelligenti” non servono a redigere contratti intelligenti: allo scopo l’automazione è pressoché inutile.

A che servono, quindi?

Sicuramente a rendere automatiche, e quindi indiscutibili, una serie di obbligazioni con condizionalità utili a disciplinare il comportamento secondo dettati normativi imposti unilateralmente.

6.2 «Token di classe 3 – Si tratta in questo caso di token che possono svolgere una funzione mista. Sono token che rappresentano diritti di comproprietà ovvero che rappresentano una proprietà ma conferiscono anche diritti diversi, come ad esempio il diritto di voto, o diritti di tipo economico per i rappresentanti legali o soci di una società, etc. In questa tipologia di token il titolare non ha un diritto esercitabile direttamente verso l’emittente del titolo o verso un terzo.»

Il diritto di voto visto come un diritto di “comproprietà” è innanzitutto una manifestazione di invasione del diritto privato nella regolazione del sistema elettorale: il più importante dei diritti politici è il diritto di voto, e il suffragio universale è il fondamento delle democrazie moderne.

Le votazioni – qualcuno dirà – sono uno strumento decisionale che può essere usato in tantissime situazioni e che – a parte alcune forme di sondaggistica on line – non necessitano di particolari apparati tecnologici. Inoltre, è scientificamente dimostrato che il voto elettronico è intrinsecamente insicuro.

Eppure c’è chi si è lanciato a promuovere questa tecnologia in nome della sua capacità di rendere “più pulito” – altro ideologema neoliberista – il processo elettorale.

6.3 «La emissione e la gestione di ‘Token etichettati’ o Token+ o anche Labelled Token (LB) è una procedura che associa ai Token una serie di metadata per i quali lo scambio è condotto su un mercato secondario: […] è singolarmente e univocamente etichettato ed è dotato di metadati associati;
1.   non è frazionabile;
2.   esiste’ in forma digitale sulla blockchain;
3.   può essere seguito anche singolarmente nel suo percorso/storia di ‘catena di proprietà’;
4.   può essere gestito con modalità diverse per singola etichetta in funzione del significato/valore dei token»
Il far west di possibilità che si aprono non lasciano presagire nulla di buono per chi ha una minima coscienza dei problemi socioeconomici che investono, da decenni, la stragrande maggioranza delle nazioni del pianeta e che non trovano certo una soluzione nella tecnica: la soluzione – non si finirà mai di sottolinearlo – rimane sempre e solo politica.

La tecnologia, essendo pensata e promossa in una società oppressiva e nichilista come quella neoliberale, può solo portare al parossismo totalitario un sistema sommamente ingiusto, blindandolo dai contraccolpi degli immensi costi umani e sociali che impone.

La tecnologia viene usata per poter creare un’infrastruttura in grado di supportare istituzioni totalitariamente repressive e, tramite l’occhiuta sorveglianza propria di un panopticon globale, questa è in grado di controllare l’energia esplosiva della sofferenza sociale.

«le Permissioned Ledger rispondono alle necessità di un aggiornamento diffuso su più attori che possono operare in modo indipendente, ma con un controllo limitato a coloro che sono autorizzati. Le Permissioned Ledger permettono poi di definire speciali regole per l’accesso e la visibilità di tutti i dati. In altre parole le Permissioned Ledger introducono nella blockchain un concetto di Governance e di definizione di regole di comportamento

Il fulcro rimane poi la possibilità per privati – e per strutture statali privatizzate – di gestire anche tecnicamente, nel modo più unilaterale possibile, il rapporto coi loro portatori di interesse.
Una corporation potrà automatizzare procedure con cui disciplinare automaticamente i portatori di interesse più deboli: tendenzialmente quelli della classe lavoratrice.
Per comprendere cosa si possa intendere con “disciplinare” si pensi a cosa ha comportato la disciplina fiscale ed i relativi vincoli di bilancio nella amministrazioni locali, vincoli impliciti nella privatizzazione dell’emissione monetaria come codificato nelle strutturalmente deflattive crittovalute. Le esigenze fiscali dei comuni, ad esempio, hanno portato ad un inasprimento del livello sanzionatorio gravante sugli automobilisti tramite processi di automatizzazione del rilevamento delle contravvenzioni: il fatto che ad un pubblico ufficiale come il vigile urbano sia stata preferita una tecnologia proprietaria privata ha comportato – come è esperienza comune – dubbi benefici alla collettività se non, appunto, una maggior disciplina nella circolazione.
In Cina un sistema che disciplina il comportamento di persone fisiche e giuridiche – individuate da un codice identificativo di diciotto cifre – è già esistente: in questo caso il sistema di crediti sociali rimane una prerogativa sovrana di uno Stato.
Con la tecnologia blockchain il sistema dei crediti sociali potrebbe venire privatizzato e globalizzato.

6.4 Premesse
«le probabilità di vincere la Proof of Work [il sistema di certificazione] sono direttamente proporzionali alla capacità di calcolo di cui si dispone, si nota che la blockchain Bitcoin è esposta un rischio di squilibrio in favore di coloro che possono disporre di maggior potenza di calcolo»
Come già si accennava,  la “potenza di calcolo” è monopolio del grande capitale finanziario: va da sé che questa tecnologia abbia il pesante difetto di presentarsi ingannevolmente come fosse in re ipsa una forma di democratizzazione mentre ha, in nuce, la predisposizione al monopolio. Un monopolio che si eserciterebbe su infrastrutture potenzialmente tanto invasive.

6.5 Il delirio
«lo Smart Contract è basato su un codice che “legge” sia le clausole che sono state concordate sia la condizioni operative nelle quali devono verificarsi le condizioni concordate e si autoesegue automaticamente nel momento in cui i dati riferiti alle situazioni reali corrispondono ai dati riferiti alle condizioni e alle clausole concordate
«proprio perché l’assenza di un intervento umano corrisponde anche all’assenza di un contributo interpretativo lo Smart Contract deve essere basato su descrizioni estremamente precise»
«Lo Smart Contract è di fatto “figlio” dell’esecuzione di un codice da parte di un computer. È un programma che elabora in modo deterministico (con identici risultati a fronte di identiche condizioni) le informazioni che vengono raccolte. In altre parole se gli input sono gli stessi i risultati saranno identici. Questo punto è estremamente rilevante perché se da una parte rappresenta una certezza e una sicurezza in quanto garantisce alle parti una assoluta “certezza di giudizio oggettivo” escludendo qualsiasi forma di interpretazione, dall’altra sposta sul codice, sulla programmazione, sullo sviluppo il peso e la responsabilità o anche il potere di decidere.»

Quando «i contraenti lo accettano ecco che gli effetti non dipendono più dalla loro volontà.»

Nel momento in cui, magari tramite la logica del silenzio-assenso, o a causa di atti unilaterali da parte di oligopolisti, la parte debole è costretta ad “accettare” i contenuti di un contratto, i rapporti di forza verranno cristallizzati tagliando fuori la protezione giurisdizionale che potrebbe essere offerta dal giudice alla parte debole.

Paradossalmente, si potrebbe valutare che l’asserzione hacker – piuttosto naïve – per cui: «Bisogna riconoscere che con la crittografia nessuna illimitata capacità di esercitare violenza potrà mai risolvere un problema di matematica» sia sociopoliticamente da considerare nel suo aspetto dialettico: i liberali classici – come tutti gli elitisti – concepiscono come unica e vera minoranza da difendere dalla violenza e dall’arbitrio della maggioranza, quella della classe agiata, dei rentier.

Si possono immaginare scenari di rivolta degli oppressi a cui i dominanti assediati potrebbero rispondere: “non ci possiamo fare niente: anche a volerlo non possiamo modificare il tal evento”.

Una similitudine con la realtà già in essere può essere ricercata con i contratti di fornitura di energia o di servizi nel settore delle telecomunicazioni: qualsiasi problema l’utente dovesse incontrare col servizio, questi dovrà confrontarsi con infiniti processi automatizzati. Qualsiasi lamentela non avrà mai sfogo con una persona umana, se non, dopo innumerevoli tentativi, con un anonimo operatore di call center pagato per ascoltare invettive e proteste. (Operatore magari precario e che non parla bene neanche la lingua dell’utente: la magia delle delocalizzazioni nel mondo globalizzato...).

Gli scenari che si possono ipotizzare sono infiniti e hanno tutti una cosa in comune: sono distopicamente deliranti.

6.6 «Un esempio viene dal mondo delle assicurazioni per autoveicoli che sulla base di dati rilevati grazie ad apparecchiature Internet of Things a bordo delle vetture sono in grado di fornire dati sul comportamento del conducente che possono influire e creare determinate condizioni che attivano o disattivano clausole di vantaggio o svantaggio. Ad esempio il superamento di limiti di velocità determinati dal contratto possono essere lette come condizioni di maggior pericolo e determinare un cambiamento contrattuale delle condizioni applicate ad esempio nel valore del premio assicurativo.
Un altro esempio arriva dal mondo dei media dove con i
Digital Rights Management viene gestita la erogazione e l’accesso a determinati servizi multimediali

Tutta questa bella fitta ragnatela di collegamenti tra la persona umana e le cose – l’Internet delle Cose! – prevede lo sviluppo di una sempre maggior connettività radio: se non sono ben chiari gli effetti di tutta questa esposizione alle onde radio, sono chiari quali sono gli interessi economico-politici che spingono a non rispettare i principi di precauzione.

Si prospettano scenari in cui appare sempre più stringente la pretesa conformità dei comportamenti delle persone ai desiderata degli oligopoli, come sempre più stringenti appaiono i vincoli sulla proprietà intellettuale e le restrizioni che questa genera alla libera circolazione di informazioni e conoscenze, che è il seme della democrazia.

6.7 Una propaganda che non è altro che un tripudio di idiozie per nerd.

«Ecco che in questo senso uno degli orizzonti più importanti arriva dall’unione della ricerca tra il mondo della blockchain e quello della semantica che aiuta i sistemi ad avvicinare in modo sempre più preciso la comprensione dei “significati”. Grazie alle soluzioni per il meta-learning applicate al settore degli smart contract si avvicinano Intelligenza Artificiale, machine Learning e blockchain.»

Ad interpretare questi contratti diversamente intelligenti, e per dirimerne le controversie, non si ipotizzano più, né un provvedimento giudiziario, né un arbitrato: si ipotizza l’uso di quello che non è altro che, di base, un calcolatore.

(No, l’intelligenza artificiale non può in alcun modo sostituire l’intelligenza umana: un calcolatore non può trasformarsi in un essere “autocosciente,  che si autoperfeziona”, teleologicamente “autonomo”. Ciò non implica però che non possa fare disastri olocaustici il suo combinato disposto con l’intelligenza umana, come nel caso di qualsiasi arma ad alto contenuto tecnologico)

Sicuramente il giudizio di un calcolatore potrebbe essere formalmente imparziale, non essendo turbato dalle passioni umane… ma imparziale non è affatto l’algoritmo, che sarà ben scritto da qualcuno. Il solo pensare di dirimere controversie grazie ad algoritmi, per quanto complessi questi possano essere, non può che riflettere il portato di quanto analizzato in precedenza: sotto il dominio culturale neoliberista, si opera come se si volesse scrivere un “algoritmo” che regoli automaticamente la società negli interessi della classe egemone. Gli uomini programmati come automi ed il pianeta – Gaia – governato da un sistema operativo avranno sempre sopra di sé altri uomini, non un Logos divino miracolosamente incarnatosi, per dir così, in un software.

Piuttosto si deve dire che chi scrive il “codice” e programma queste macchine acquista “una responsabilità” sproporzionata e incontrollabile.

Essendo lo sviluppo del codice in ultima analisi il prodotto di un lavoratore che risponde alle esigenze di un management e, in fine, alle aspettative del grande azionariato, va da sé che il proprietario della tecnologia acquista conseguentemente un potere sproporzionato.

Non solo già esistono articoli scientifici sulle importanti concentrazioni oligopolistiche nelle industrie dell’hi-tech, a dispetto della propaganda con cui vengono celebrate, ma già dopo pochi anni gli stessi sviluppatori hanno dovuto ammettere l’ovvio: il Bitcoin è «un meccanismo completamente controllato da poche persone» ha scritto Mike Hearn, sviluppatore della tecnologia e tra i più accesi sostenitori di Bitcoin.

6.8 «La blockchain è poi utilizzata come piattaforma per soluzioni che hanno lo scopo di gestire l’identità delle cose. Grazie alla corretta identificazione di questa identità è possibile dare vita a soluzioni di certificazione delle filiere basate anche sui dati che arrivano dalle cose (IoT) e lavorare alla certificazione di supply chain.»

Il risvolto sociopolitico è evidente: la vera “certificazione” che interessa è quella che associa l’identità digitale a quella fisica, ottenibile semplicemente con la prassi più invasiva che l’Uomo abbia mai conosciuto, ovvero l’innesto di chip sottocutanei.

Una volta che la copertura della connettività radio sarà capillare ed efficace, non ci sarà momento e luogo in cui un chip non fornirà informazioni a quegli enormi archivi centralizzati che sono le blockchain.

La distribuzione fisica dell’archivio non implica che questo non sia logicamente centralizzato: quello della decentralizzazione, dell’anonimato, del codice sorgente aperto, e della democrazia egualitaria è solo fumo negli occhi per distogliere l’attenzione dal fatto che i risvolti socioeconomici e politici portano a una concentrazione, a una sorveglianza orwelliana, e a una mancanza di trasparenza tipici di una tirannia totalitaria.


«La deflazione semantica del termine intelligenza è di per sé un sintomo, vale a dire, è la scomparsa, o se preferiamo, una semplificazione preoccupante dell'idea che l'essere umano ha di sé stesso» Jean-Michel Besnier


«Oggi è importante rendere sempre più sicuro il riconoscimento end-to-end di oggetti virtuali o fisici, perché è con questi oggetti che si concretizza l’intermediazione delle persone stesse nelle transazioni. Sono cioè gli oggetti che in definitiva gestiscono le transazioni. Noi oggi grazie a user ID e password o all’utilizzo di speciali certificati siamo in grado di identificare le persone, ma le persone si “fanno identificare” grazie a degli oggetti. In determinati casi – sempre più frequenti – ci sono oggetti che hanno bisogno di farsi identificare senza che dietro ci siano delle persone. Dunque se, grazie alla blockchain, si riescono a identificare gli oggetti avremmo un nuovo strumento di identificazione, più sicuro, anche per le persone

Se la privatizzazione della sanità dovesse andare avanti, non si vede come il potere di monitoraggio consentito da blockchain e smart contract possa evitare la tentazione irresistibile per le compagnie assicurative di legare la fornitura delle prestazioni sanitarie a determinati comportamenti o “stili di vita”.

«i dati medici dei pazienti attraverso un sistema condiviso, permetterebbe ai medici di condividere informazioni sui pazienti in maniera sicura e veloce, e quindi aiuterebbe molto la medicina e la sanità a migliorare il servizio fatto ai pazienti, con la possibilità di avere sotto controllo l’intera cartella clinica di un paziente, e quindi di conoscere in anticipo la storia del paziente»

«La blockchain è anche una risposta in termini di compliance normativa (Gdpr, Nis Directive) in scenari complessi che devono gestire la presenza e la interazione tra sistemi sanitari interregionali, tra soggetti privati come possono essere i laboratori di analisi, le strutture della sanità privata o anche le assicurazioni

«Anche la blockchain nella Pubblica Amministrazione trova ambiti di applicazione. La blockchain potrebbe infatti ad esempio aiutare la Pubblica Amministrazione e i cittadini ad avere una vera identità digitale, condivisa e implementata in questo sistema, con diversi vantaggi tra cui: rendere più difficile l’evasione fiscale, avere un controllo maggiore dei cittadini e quindi combattere la criminalità, servizi semplificati in tutti i settori della Pubblica Amministrazione (invio di dati semplificato), e molto altro.»

La propaganda neoliberale, con la sua lotta all’evasione e alla criminalità a giustificazione dello smantellamento dei diritti inalienabili della persona, cammina sulle gambe dei tecno-entusiasti, che evitano di porsi domande ovvie: la modernità è progresso ed il progresso è bello. Non importa se l’unico “progresso” è costituito dal perfezionamento di sistemi di controllo capillare tipici di sistemi totalitari.

Il culto della capitalistica proprietà privata, nell’ecosistema digitale, è rappresentato poi dal Copyright: «Grazie alla blockchain, agli smart contract e all’iniziativa di diverse startup è oggi possibile automatizzare la remunerazione, in quota parte, della filiera di autori e contributori ai brani musicali, a ogni nostra scelta d’acquisto.»

Riassumendo:

«Accesso e visibilità dei datiI dati inseriti nelle blockchain sono pubblici e accessibili da chiunque partecipi alla catena
·     Cancellazione dei dati –i dati archiviati in una blockchain sono a prova di manomissione, quindi la loro cancellazione non sarà possibile una volta che tali dati verranno immessi nella catena distribuita;
·     Immutabilità dei dati nel tempoi dati presenti nelle blockchain sono conservati illimitatamente e non possono essere modificati, manomessi o cancellati.
·     Controllo distribuito dei datile blockchain sono distribuite quindi il controllo sui dati non può essere centralizzato ed è in capo a tutti i partecipanti alla blockchain (è difficile cioè individuare le figure di Data Protection Officer previste dal GDPR);
·     Processi decisioni automatizzati – con gli Smart Contract si devono considerare anche processi decisionali automatizzati ovvero una nuova tipologia di gestione dei dati »
E la chiave neoliberista di stampo hayekiano con cui è nata questa tecnologia è presto detta: «il messaggio forte lanciato da Satoshi Nakamoto è ancora una volta apparentemente tecnico e fortemente politico “We define digital coin as a chain of digital signatures“: La Blockchain Bitcoin è una catena di relazioni basata sulla fiducia. Fiducia, Trust, è la parola chiave per capire la blockchain.»

Le vere “relazioni basate sulla fiducia” sono quelle per cui la classe egemone, tramite i banchieri, valuta se concedere o meno credito: quella tecnologica non è altro che una sovrastruttura che certifica la conformità dei soggiogati ai soggiogatori, provvedendo ai fornire le informazioni necessarie al controllo totalitario.

«La Blockchain Bitcoin ha dimostrato che non è necessario avere un ente centrale per gestire le transazioni.»

«in ogni caso la Blockchain è diventata un simbolo politico»

Ecco riassunto il concetto politico di liberalismo classico: non è più necessario uno Stato che intervenga in economia e nel conflitto sociale e politico. Quello Stato, che viene conteso tra chi lavora per vivere e chi vive di rendita grazie a diritti di proprietà, può essere sostituito da software e hardware di proprietà privata.

E i cittadini lavoratori?

Produrranno e si riprodurranno secondo i desiderata di chi scrive gli algoritmi con cui funzionano le macchine.




(Chi, con qualche ragione storica, diffida dello Stato, farebbe bene a domandarsi se la privatizzazione - che è cosa ben diversa dalla sparizione - delle sue funzioni sia vantaggiosa o meno per l’autodeterminazione democratica della maggioranza)