domenica 31 marzo 2013

LA COSTITUZIONE E LA "TORTA PASQUALINA"

Sulla istituzione delle due commissioni dei saggi per elaborare proposte di misure, da tradurre evidentemente in leggi, nel campo istituzionale e dell'economia, si possono fare considerazioni politiche e giuridiche.

Cominciamo dalla prime: con questa "mossa" si raggiungono vari obiettivi e si confermano vari elementi sulla struttura delle decisioni poitiche sovrane italiane.
L'obiettivo politico che risalta con maggior immediatezza è quello derivante dall'analogia col sistema seguito in Olanda nel 2010. Nell'impasse dei numeri parlamentari usciti dalle urne elettorali, la regina nominò un gruppo di "saggi" che ebbe 44 giorni per elaborare un programma di pochi ma qualificanti punti che potesse essere comune a forze che altrimenti non sarebbero state coalizzabili. Risultato il partito popolare di Mark Rutte si alleò coi cristiano democratici ed ebbe l'appoggio esterno dell'estrema destra di Geert Wilders.
A distanza di due anni si tornò alle urne e il partito più "temuto", in quanto xenofobo e ultranazionalista, è stato ridimensionato dagli elettori mentre il governo è stato poi formato dai rafforzati (ai danni proprio del partito delle libertà di Wilders) partito popolare e partito laburista.
Dunque il sistema dei "saggi mediatori" pare mirato a riassorbire e normalizzare le anomalie del voto protestatario, mostrando come il nuovo sia omologabile (arrivando a coinvolgersi con l'appoggio esterno) e il vecchio (in quel caso i laburisti) possa fare opposizione senza parere irresponsabile, ricalamitando, anzi, su di sè l'attrattiva dell'alternativa di sistema. 

Avrebbe senso prefigurarsi una tale esito in Italia, rapportandolo alla funzione e collocazione delle "tre minoranze" che oggi si dividono il campo parlamentare in esito alle ultime elezioni?
Parrebbe di no: la composizione dei due gruppi di saggi è attinta, oltreche a un'apparente e non certo neutrale società civile di "tecnici" (Corte costituzionale e immancabili Bankitalia e OCSE, più che Istat, a ben vedere le credenziali di Giovannini), essenzialmente a PD e PDL (o coalizione formatasi intorno ad esso).
Cioè è un modo di rimettere in sella i partiti che appoggiarono il governo Monti, attirando nel sostegno la Lega, in modo da rendere nuovamente affidabile il tradizionale intero arco parlamentare degli ultimi 20 anni, come unica possibile scelta di governabilità.
E' chiaro che tale effetto aggregativo, di fatto, ma oggettivamente, renderebbe rilegittimato, il governo Monti consentendogli una inedita ultra-attività, al fine di fargli adottare misure ulteriori, anche in una non ben chiara indicazione delle soluzioni emergenti in itinere: cioè prima ancora delle definitiva formazione di una nuova maggioranza, dal gruppo dei saggi in materia economica.
Mentre, parrebbe naturale che le soluzioni istituzionali del relativo gruppo dovrebbero attendere l'avvenuta fiducia a tale nuovo governo, che avrebbe così una fiducia "mirata" e a tempo per l'attuazione di tali riforme. 
Insomma, l'urgenza consentirebbe al governo Monti di "fare qualcosa" su esodati e crediti delle imprese
Ma l'operazione è un mero maquillage.
Pagare 20 miliardi entro il 2013 alle imprese creditrci dello Stato per titoli già scaduti è un atto dovuto; come pure quello di trovare una soluzione emendativa della riforma pensionistica per gli esodati, la cui situazione non era stata regolata per la fretta e gli errori ed omissioni del duo Monti-Fornero.
Solo che questa serie di atti dovuti seguirà le regole UEM a cui siamo ormai irreversibilmente vincolati: tutte le nuove spese dovranno trovare copertura in nuove entrate o in risparmi di spesa, e, laddove per motivi contabili pubblici non fosse così, corrisponderebbero comunque alla nuova o anticipata emissione di debito pubblico che, negli anni seguenti, dovrà essere oggetto di manovre di consolidamento (austerity) per abbatterlo ai ritmi previsto dal Fiscal compact-pareggio di bilancio.
Prima o poi, infatti anche la parte dei debito pubblico emesso per tali misure che non gravasse sul deficit dovrebbe essere riassorbito.

Parrebbe che le cose stiano così: i crediti per prestazioni (forniture e, forse, lavori) già eseguite in favore dello Stato sarebbero già inseriti nel debito in emissione programmata e quindi nel conteggio del deficit (cioè conto di cassa previsto per fine anno), mentre le somme dovute non per controprestazioni già eseguite ma in "conto capitale" (su tutti: sussidi, aiuti, incentivi e crediti di imposta) graverebbero integralmente sul deficit e dovrebbero trovare copertura per non incorrere nello sforamento del tetto del 3%.
In ogni caso, la accelerazione dei pagamenti corrispondenti a debiti già in liquidazione e con corrispondente emissione di debito già programmata, per l'ammontare di 20 miliardi nel 2013, implica una corrispondente accelerazione anche dell'emissione del debito, che avrebbe effetti contabili tali da peggiorare il deficit atteso per il 2013 almeno di 0,5 punti di PIL, portandolo da 2,4 (ora stimato) a 2,9.

Non essendo con chiarezza divulgate le cifre relative alle varie voci di debito scaduto (e, rispettivamente, impegnato, liquidato e in ordine di pagamento) non si comprende l'attendibilità di queste obiezioni e misure, nè da parte dello Stato nè da parte della Commissione UE.
Quel che è certo, è che sia che si debba recuperare negli anni prossimi un maggior deficit sia che, invece, questo debba essere evitato da subito, mediante maggiori entrate e minori spese, il pagamento dei debiti della p.a. non attiverà nel medio periodo il moltiplicatore della spesa pubblica, inserito in un sistema come il pareggio di bilancio che lo compenserà e porterà comunque a un consolidamento che ne assorbità abbondantemente gli eventuali benefici.

Per gli "esodati", invece, si tratta di vere e proprie uscite da coprire e ciò non potrà che avvenire con nuove tasse e/o nuovi tagli di spesa (il che contrasta con l'idea di pagare i debiti con un allentamento del patto di stabilità degli enti locali, salvo non sia presa alla lettera l'esortazione della Corte dei conti di "rivedere il perimetro dei servizi sociali").

Ma il vero punto critico dell'operazione "gruppo di saggi"-revitalizzazione governo Monti, sta non in quello che è apertamente detto, bensì nel NON DETTO.
Cioè nella patrimoniale straordinaria, da effettuare come operazione che, in un prevedibile fuoco d'artificio di teorie sul crowding-out, sulla efficienza dello Stato minimo e sulla austerità espansiva, verrebbe fatta passare come pregiudiziale salvifica che sblocca tutto (crediti delle imprese, esodati), realizzando la strombazzata precondizione dell'immediato e sensibile abbattimento del debito pubblico.

Ma tutto ciò conferma che ci troveremmo di fronte a una manovra che sulla politica interna in fondo influisce poco: il vero obiettivo dell'operazione "gruppo di saggi"-revitalizzazione governo Monti, sembra essere quello di mettere in sella la diretta e immediata volontà dell'Europa-Merkel-Bundesbank, a prescindere e anzi contro ogni parvenza minima di interesse nazionale.

E questo aspetto ci riporta alle considerazioni giuridiche preannunziate all'inizio.
Il governo Monti, non ha la fiducia di questo Parlamento e, di fatto, non potrebbe neppure appellarsi a quella del precedente (comunque, di fatto, già venuta meno), la investitura del quale è, per logica della democrazia costituzionale, rebus sic stantibus, cioè viene meno non appena insediatesi le nuove Camere a seguito delle elezioni (combinato disposto degli artt.60 e94 Cost.).

La questione degli "affari correnti", cui sarebbe abilitato il governo dimissionario rispetto al neo-eletto parlamento, non può essere mai posta nei termini che si ventilano e che si stanno prospettando con la consueta prevaricazione della "urgenza" e della "gravità della crisi".
Infatti la mancanza di una qualsiasi investitura di "fiducia" da parte delle camere nell'esercizio attuale delle loro funzioni, esclude che il governo dimissionario riveniente dalla precedente legislatura, possa essere titolare di un qualsiasi indirizzo politico, e quindi di un potere di iniziativa legislativa e di emanazione di decreti legge.
E non inganni che potrebbero considerarsi atti dovuti quelli "che vuole l'Europa": quello che qui si è cercato di spiegare e ribadire è che proprio l'attuazione incondizionata di ciò che rientra negli obblighi UE-UEM è un'azione costituzionalmente illegittima, se non operata attivando costantemente i filtri apprestati obbligatoriamente dagli artt.11 e 139 Cost, e che garantiscono che nessun vincolo di diritto internazionale possa prevalere sui principi fondamentali della Costituzione.
E quindi se la normale attività legislativa del governo (iniziativa dei ddl e  decreti-legge) è preclusa dallo stato di "dimissionario", a maggior ragione lo è la valutazione e la costante forzatura dei filtri (c.d. controlimiti) al diritto europeo, implicanti la massima espressione dell'indirizzo politico, addirittura nel senso della deroga e destrutturazione dell'impianto fondamentale della Costituzione.
Va aggiunto che il fatto che il nuovo art.117 Cost. (proveniente dalla riforma famigerata del Titolo V) dica che la potestà legislativa dello Stato (anche) è esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, non è altro che una duplicazione del pacta sunt servanda insito negli artt. 10 e 11 Cost., senza intaccare di un millimetro la prevalenza dei filtri di garanzia insiti negli artt. 11 e 139 Cost. correttamente intesi.

E va infine detto, nessuna norma della Costituzione, prevede, neppure per implicito, che una fonte legittimante per una così intensa espressione dell'indirizzo politico, a livello addirittura emendativo della Costituzione stessa,  possa derivare dall'azione di un'atipico "gruppo di saggi".
Che sebbene nominato dal Presidente della Repubblica non potrebbe in nessun caso avere nè i poteri di quest'ultimo, nè, ancor meno, poteri maggiori di quelli suoi propri, quali descritti negli artt. 87 e 88 Cost.







sabato 30 marzo 2013

ULTIMA "PUDOLA"

Partito Unico Dell'Odio verso Lavoro e Amministrazione pubblica= PUDOLA.
Ovvero: come si fa ad andare avanti per ore a parlare di cose che nulla hanno a che fare con le cause EFFETTIVE della crisi economica italiana, ma che vengono contrabbandate come soluzioni urgenti e incontestabili da persone tanto incompetenti, quanto dotate di infinita sicumera ed aggressività.
"Perla" assoluta del conduttore, impegnato astutamente (o forse gli riesce istintivamente così) a concedere e a togliere spazio in modo da compattare i luoghi comuni, dando luogo all'apparenza che fossero consentite versioni contrapposte:
"Perchè Giannino "sa"!"
Un signore grasso, ma veramente grasso, che assomigliava a una versione più romanesca e meno colta di Ferrara, ripete scompostamente un urlo: "Il debito pubblico lo voglio mettere sotto controllo", dopo aver detto di essere fiero di aver votato il Fiscal compact.
Il sindaco di Verona (tanto bravo, dicono, ma così bravo che lo dicono tutti), Tosi, con l'annoiata arroganza di uno che, (come Giannino d'altra parte), "sa" senza aver dovuto faticare negli studi universitari (e beati loro che...!), urla che il problema italiano è solo italiano e non europeo e consiste nel debito e nella spesa pubblica "fuori controllo".
Ma torniamo al conduttore: l'altra volta aveva addirittura assunto la posa dell'eroe, dichiarando che il suo coraggioso attacco sulla pensione multipla ad Amato aveva rischiato di fargli chiudere la trasmissione. Questo come risposta a una critica (mossa tra l'altro anche da qui), in cui gli si diceva semplicemente che dovendo fare delle domande ad Amato, certamente la parte meno interessante era quella relativa al ben risaputo (ormai da anni) ammontare della pensione.
Alla fine però, a ben vedere, è un'ottima domanda a fini di killeraggio politico, visto che l'argomento è stato puntualmente e trionfalmente ripreso da Giannino, "colui che sa perchè sa":  ma molto poco interessante, considerato il personaggio Amato, in termini di informazione per il pubblico.
Insomma, l'eroico conduttore che tanto coraggiosamente si era spinto al limite della sfida, a mani nude e a petto scoperto, contro il "Potere" cattivo, ha poi ribadito lo stesso atteggiamento, simpaticamente irriverente, contro Giovanardi e lo stesso Amato, facendo precisazioni che non precisavano nulla sulle convenzioni per sconti ottenibili a latere di ciascun organismo-gruppo organizzato (compreso un circolo del tennis, un gruppo bocciofilo, un associazione di pensionati o un qualsiasi dopolavoro) che sia composto da un numero adeguatamente consistente di persone.
Ma il punto non è questo: l'eroico conduttore non corre nessun rischio. Quando si appoggia con questa istintiva abilità la disinformatja del PUDOLA, non ti toccherà nessuno.
Perchè, piuttosto, ti sarai fatto molti amici: di quelli nuovi, "emergenti", mica vecchi apparatnik con troppi scheletri nell'armadio e quindi poco spendibili nel "livorismo" dilagante, anti-casta, alimentato da trasmissioni come questa.

Insomma la nuova frontiera del PUD€, è il PUDOLA.
Dell'euro non se ne parla più, salvo qualche voce isolata che viene ancora tollerata per la sua "peculiarità. Tanto è deciso: la svalutazione distrugge il nostro patrimonio e chi lo dice, secondo il conduttore, "sa".
Ma in compenso il "debitopubblicospesapublicaimproduttivacastacorruzionebrutto" sfonda le linee del buon senso residuale e diventa, addirittura, un "rinnovato" dogma salvifico, la frontiera del domani...
Solo che un confine pericoloso sta per essere varcato, come inizia a capirsi da qui: "...ha ricordato, Napolitano, il governo Monti è “operativo” e “tuttora in carica”, è “dimissionario ma non sfiduciato dal Parlamento”. “Il governo – ha preannunciato - sta per adottare provvedimenti urgenti per l’economia, d’intesa con la Ue e con l’essenziale contributo del nuovo Parlamento attraverso i lavori della commissione speciale presieduta dall’onorevole Giorgetti” (...???).
Come avevamo detto pochi giorni fa in questo post: "...ogni decisione politico-fiscale, a prescindere dalla formazione di una maggioranza o l'altra di governo, è già scritta nei vincoli europei che, come sottintende Draghi nelle sue esplicite dichiarazioni, ci governano "in automatico"
Insomma, smettetela di preoccuparvi se,come e quando si formerà un governo; e persino di quale possa essere l'esito delle elezioni, passate, presenti e future. Qualcuno che adotterà le misure decise in UEM, nell'interesse UEM, e senza alcun ruolo della volontà popolare, si troverà sempre. E sempre col plauso mediatico-televisivo incondizionato.

Ma in tal modo, dimenticando che un monopolio può nascondersi dietro a un "cartello" (cioè un'intesa occulta: il PUDE) soltanto fino a che il gioco non diventi palese, stanno affrettando il 25 luglio e anche l'8 settembre.
Stavolta, come la trojka con Cipro, la faranno troppo grossa...e i risultati devastanti (sempre dettati da incompetenza mista ad arroganza) saranno presto percepiti.
E la "gggente" la stessa che, per ora, pare non aver ancora capito bene il raggiro e dunque li applaude (si fa per dire), potrebbe manifestare, finalmente, un radicale "disaccordo".


venerdì 29 marzo 2013

POPPER, LE CATASTROFI EUROPEE E LA FIDUCIA DEI LAVORATORI

Karl Popper si dedicò, tra l'altro, alla confutazione della teoria marxista; in modo analitico e accurato.
Ma non si rese conto che la stessa accusa mossa a Marx, - quella cioè di rappresentare, come realtà empirica osservata a sostegno della sua tesi, la delimitata situazione storico sociale del suo tempo-, sia applicabile anche alla obiezione demolitoria dello stesso Popper.
Come vedremo, questa debolezza di contesto storico della versione di Popper, ci consente di anticipare alcune conclusioni:
a) se Popper avesse potuto assistere agli attuali esiti ultimi delle teorie politico-economiche liberiste che aveva contribuito ad avallare (senza una  concreta conoscenza dei loro presupposti e motivazioni politiche), avrebbe sicuramente cambiato idea e aderito alla validità "a certe condizioni" delle teorie di Marx: o meglio sarebbe stato più semplicemente Keynesiano. La contrapposizione tra liberisti e keynesiani, all'interno del "possibile" democratico, pare sfuggirgli, o meglio, come vedremo, affacciarsi come un'assurdità logica, una volta compreso come le società liberali avessero neutralizzato la prospettiva dello stalinismo. Il che storicizza certe sue proposizioni, non come errore di prospettiva, ma in termini di mancata previsione, da parte di un epistemologo incline alla ragionevolezza, del grado di potenza restauratrice dell'ideologia vetero-capitalista: quella che lui stesso definisce "capitalismo sfrenato" e la cui riproposizione gli era parsa storicamente impossibile;
b) di fronte alla realtà attuale, inoltre, avrebbe riconsiderato, almeno in parte, l'idea demolitoria dello "storicismo marxista", formulata osservando che esso si fonda su una concezione erronea della natura delle leggi e delle previsioni scientifiche.  E ciò proprio dal momento che se la crescita della conoscenza umana è un fattore causale nella evoluzione della storia e "nessuna società può predire scientificamente il proprio futuro livello di conoscenza", non può esistere una teoria predittiva della storia umana neanche supponendo, come finisce per fare Popper, una fallace definitività e irreversibilità delle soluzioni "ragionevoli" apprestate dalla democrazia aperta.

Ma veniamo ad alcuni passaggi del suo pensiero che ci consentono di richiamare idee e ragionamenti svolti su questo blog in relazione all'attuale situazione socio-economica, in particolare europea, e di ipotizzare che la parte "valida" del suo pensiero lo avrebbe condotto a rivedere in buona parte le sue stesse conclusioni.
Nel capitolo XX (vol.II) de "La società aperta e i suoi nemici", Popper critica sistematicamente la dottrina marxista. Rinviamo ovviamente a quella sede (non unica, tra l'altro, in questo versante del suo pensiero), per l'integrale analisi che egli compie.
Qui ci soffermiamo alcuni passaggi.
Egli ammette, e gli attribuisce persino un valore morale, la correttezza del rilievo di Marx circa la "funzione dei disoccupati" nel provocare la crescente miseria e il connesso sfruttamento della popolazione contrapposto ai capitalisti.
In sostanza, senza menzionare Keynes e Philips, si ammette la stessa relazione inversa (disoccupazione-inflazione) descritta nella famosa "curva", non constestando l'intuizione di Marx sotto questo profilo (aspetto che risulta essere stato oggetto di considerazione da parte dello stesso Keynes, Philips e Kaldor). 
Popper così riassume questo aspetto:
"...la funzione dei disoccupati, in questo processo, è di esercitare pressione sui lavoratori occupati, appoggiando così i capitalisti negli sforzi intesi a trarre profitto dai lavoratori occupati...<<L'esercito industriale di riserva disponibile- scrive Marx- appartiene al capitale in maniera così completa come se quest'ultimo fosse stato allevato a sue spese, e crea mutevoli bisogni di valorizzazione di esso il materiale umano sfruttabile sempre pronto...L'esercito industriale di riserva preme durante i periodi di stagnazione e di prosperità media sull'esercito operaio attivo e ne frena durante il periodo della sovrappopolazione il parossismo e le rivendicazioni".
Infine aggiunge sul punto: "...si può sostenere che la disoccupazione conferma la teoria di Marx soltanto se si verifica in concomitanza con un accresciuto sfruttamento dei lavoratori occupati, cioè lunghe ore di lavoro e con più bassi salari reali".

Confutata come "superflua" la teoria del "valore" di Marx, al fine di descrivere il meccanismo dello sfruttamento, - ritenendo sufficiente la teoria ricardiana della domanda e dell'offerta in situazione di "cronicamente eccedentaria offerta di lavoro"-, Popper svolge poi un ragionamento molto interessante in termini di attualità:
"...la tendenza (profetizzata da Marx ndr.) verso la crescente miseria opera...soltanto in un sistema nel quale il mercato del lavoro sia libero, cioè in un capitalismo assolutamente sfrenato.
Ma una volta che riteniamo possibile l'esistenza dei sindacati, di contrattazione collettiva, di scioperi, evidentemente i presupposti dell'analisi non sono più applicabili e l'intera costruzione profetica crolla.
Secondo la stessa analisi di Marx, noi dovremmo aspettarci o che uno sviluppo del genere sia completamente soffocato o che equivalga a una rivoluzione sociale.
Infatti la contrattazione collettiva (NON IL SALARIO MINIMO STABILITO EX AUCTORITATE DA LEGGI DETTATE DA CONTINGENTI MAGGIORANZE "IDEOLOGICHE" ndr.) può contrapporsi al capitale instaurando una specie di monopolio del lavoro; essa può impedire al capitalista di usare l'esercito industriale di riserva (ALL'OPPOSTO DEL SALARIO MINIMO E A MAGGIOR RAGIONE DEL SALARIO DI CITTADINANZA ndr.)  per tenere bassi i salari: e in questo modo può costringere i capitalisti ad accontentarsi di minori profitti. Noi ci rendiamo conto del perchè il grido "lavoratori unitevi!" fosse, dal punto di vista marxiano, la sola replica possibile a un capitalismo sfrenato.
Ma ci rendiamo anche conto del perchè questo grido debba aprire tutto il problema dell'INTERVENTO DELLO STATO e perchè debba verosimilmente portare alla fine del sistema sfrenato e alla creazione di un NUOVO SISTEMA: L'INTERVENTISMO, che può svilupparsi in diversissime direzioni.
Infatti, è quasi inevitabile che i capitalisti contestino ai lavoratori il diritto di unirsi, sostenendo che i sindacati finiscono per mettere in pericolo la libertà di competizione sul mercato del lavoro.
Il non-interventismo si trova così di fronte al problema...: quale libertà deve proteggere lo Stato? La libertà del mercato del lavoro o la libertà dei poveri di unirsi?
Qualunque decisione sia presa, essa porta all'intervento dello Stato, all'uso del potere politico organizzato, sia dello Stato che dei sindacati, nel campo delle condizioni economiche. Esso porta in qualsiasi circostanza, a un'estensione della responsabilità economica dello Stato, sia o non sia questa responsabilità coscientemente accettata. E ciò significa che vengono necessariamente meno i presupposti sui quali si fonda l'analisi di Marx.

Tralasciando ulteriori argomentazioni di confutazione di Marx sviluppate da Popper nella stessa sede, è interessante questo ulteriore passaggio:
"Il capitalismo sfrenato è finito (ah, se avesse visto gli sviluppi odierni!ndr.). Dal tempo di Marx l'intervento democratico ha fatto immensi progressi e la migliorata produttività del lavoro - conseguenza dell'accumulazione del capitale (che consente progressi tecnologici ndr.)- ha reso possibile l'eliminazione virtuale della miseria. Ciò conferma che molto è stato ottenuto nonostante errori indubbiamente gravi e dovrebbe incoraggiarci a credere che molto di più si può fare...L'interventismo democrativo può soltanto rendere possibile tutto ciò. Il farlo effettivamente dipende da noi".

Circa il "come e perchè" gli ex partiti socialisti e marxisti, nell'ambito della "costruzione europea",  siano stati in prima fila nel guidare la distruzione dell'interventismo, mediante la demonizzazione dello Stato democratico in quanto inefficiente e di ostacolo al libero mercato, Popper ci suggerisce una soluzione di cui abbiamo qui già parlato.
Cioè ci dà una indicazione che affonda nella forma mentis marxista  e nella prassi di conquista del potere che, tali partiti, avevano interiorizzato, negli individui componenti le loro classi dirigenti, mentalità che avrebbero trovato molto difficile abbandonare pur di fronte al raggiungimento del potere (di governo) medesimo:
"I comunisti...si rendono conto che qualcosa si deve fare per rendere operante la legge della miseria crescente (proprio perchè riconoscono la sua fallibilità in presenza dell'intervento dello Stato nell'economia, ndr.).
Per esempio, si devono scatenare agitazioni coloniali (anche dove non c'è alcuna prospettiva di successo di  una rivoluzione) e, al fine generale di contrastare l'imborghesimento dei lavoratori, si deve adottare una linea politica che fomenti catastrofi d'ogni genere.
Ma questa nuova politica fa venir meno la fiducia dei lavoratori. I comunisti perdono i loro membri, ad eccezione di quelli che non hanno esperienza di reali lotte politiche. Essi perdono precisamente quelli che amano definire "l'avanguardia della classe lavoratrice"; il principio che questa linea politica implica tacitamente, e cioè <<tanto peggio, tanto meglio, dato che la miseria deve affrettare la rivoluzione>>, rende sospettosi i lavoratori: e quanto migliore è l'applicazione di tale principio tanto più gravi sono i sospetti che allignano in seno ai lavoratori. Infatti essi sono realisti: per ottenere la loro fiducia, bisogna lavorare per migliorare la loro sorte".
Il che ci dice come, questa profonda forma mentis, portata avanti forse inconsciamente, o forse nell'illusione di poter sempre attribuire ad "altri" il peggioramento delle condizioni del lavoro - operazione in parte riuscita in Italia, ricorrendo alla demonizzazione propagandistica di Berlusconi, pur avendo proprio i partiti ex marxisti adottato coi loro governi le scelte decisive di "anti-interventismo" statale sfavorevole ai lavoratori stessi, per prima l'entrata nell'euro-, sia tutt'ora alla base del crescente "fallimento di fiducia" nei sedicenti partiti della sinistra.

Ma il discorso e le intuizioni di Popper ci illustrano una serie di interessanti corollari:
a) il liberismo, che considera il lavoro come una merce alla stregua delle altre, e che consente la immaginifica "riforma strutturale" di un prezzo del lavoro lasciato alla libera composizione di domanda e offerta, è la vera essenza del capitalismo "sfrenato";
b) l'unico vero limite-argine a tale tipo di capitalismo, riconosciuto dallo stesso Popper, massimo teorico del liberalismo e delle libertà, è l'intervento dello Stato nell'economia;
c) questo intervento statale, imperniato sul valore cardine del lavoro, (giammai riducibile a merce e alla legge del puro mercato), prescelto dalla nostra Costituzione repubblicana, non è un'opzione politica reversibile, ma risulta da tutta la Costituzione stessa; e porta a respingere non solo la nullificazione della diretta tutela lavoristica (sindacati come veri attori della contrattazione collettiva), ma la stessa ostilità alla spesa pubblica in sè e al sostegno pubblico alle famiglie insito nella dottrina delle banche centrali indipendenti.

In conclusione, è l'Europa che non solo è alla base dei meccanismi economici inutilmente distruttivi che hanno provocato la recessione in Italia, ma che, nelle sue stesse norme di principio, il cui vero significato è oscuro ai cittadini,  e perciò insidiosamente e occultamente vincolante, dissolve il vincolo solidaristico tra istituzioni democratiche e popolo sovrano, imposto invece dalla Costituzione.
La dimostrazione di quanto questa dissoluzione (dello stesso senso profondo dell'intervento pubblico come argine al capitalismo sfrenato e alla sofferenza-povertà del popolo sovrano) sia andata oltre ogni limite tollerabile, la si può avere nel colloquio in "streaming" per la formazione del governo svoltosi tra i rappresentanti dei due maggiori partiti presenti oggi in parlamento.
Non una parola è stata riferita a questi problemi, a questa inevitabile esigenza di recupero del dettato costituzionale per arginare, senza indugio e senza ulteriore aggravamento, l'Europa del capitalismo sfrenato anti-lavoro, mercificante quest'ultimo e volto alla effettiva e sempre più tangibile propagazione della miseria.
Nel nuovo avveramento di quella ipotesi (capitalismo sfrenato e esercito industriale di riserva), che non tanto Marx, ma lo stesso Popper  risulta condividere in pieno, dando "liberalisticamente" per scontata quella irreversibilità dell'intervento pubblico nell'economia che, da Maastricht in poi, è divenuto invece il nemico da abbattere. E con esso la nostra democrazia.
Tanto che la presunta reazione a questo capitalismo sfrenato viene proposta in termini di "salario di cittadinanza" e "lotta alla casta" estesa a tutta la spesa pubblica (che viene vista solo come oggetto di possibile riduzione e mai di suo ampliamento anticiclico).


giovedì 28 marzo 2013

BOOM! BOOM!...CNL A DIFESA DELLA COSTITUZIONE

Potremmo parlare dell'offensiva terroristica che ci porterà, con la consueta formula shock, alla trita riedizione del governo "che ci salverà" (di qualunque tipo sarà, si muoverà sempre nell'ambito dell'ortodossia PUD€) imponendoci i "duri ma necessari sacrifici". Le batterie mediatiche stanno già preparando la devastazione mentale degli italiani, cannoneggiando ad alzo zero un terreno già abbondantemente segnato dai crateri delle precedenti offensive.

"C'è sicuramente da trovare risorse per rifinanziare gli ammortizzatori sociali, sforzo sempre più improbo con i disoccupati ormai a quota 3 milioni. C'è da sciogliere il nodo dell'aumento dell'Iva dal 21 al 22 per cento, appuntamento fissato per il prossimo luglio. Vale 7 miliardi all'anno di maggiori entrate per lo Stato, e una mazzata da 7 miliardi sulle prospettive di ripartenza dell'economia." BOOM!

"...Batosta in arrivo in estate Quindi il pagamento Tares è a luglio prossimo, mentre continuano ad arrivare conferme sulla gravità dell’introduzione della tassa rifiuti e servizi indivisibili comunali per le famiglie italiane già piegate dalla crisi economica degli ultimi tempi. Un aggravio rispetto alla Tarsu e Tia del 36%, con un aggravio di 1,8 miliardi rispetto al 2012.
I motivi di questo aggravio sono da ricercarsi innanzitutto nel fatto che  il pagamento Tares avverrà sull’80 per cento della superficie calpestabile e viene gravata da  un balzello di 30 centesimi al metro quadrato che i comuni possono decidere di aumentare fino a 40. In sostanza la Tares quest’anno, secondo anche una stima della Uil servizio politiche territoriali, costerà 305 euro medi contro i 218 euro medi pagati per l’Imu nel 2012 per lo stesso appartamento. Tares più costosa dell’Imu. Tutto questo perché si deve assicurare la copertura totale del costo dello smaltimento dei rifiuti.
I conti arriveranno tutti insieme a giugno-luglio 2013, quando saremo chiamati alla cassa non solo per il pagamento Tares, ma anche per l’Irap e l’Irpef. A fare i conti della batosta in arrivo è stato l’ Ufficio studi della Cgia di Mestre che parla di cifre preoccupanti anche per le imprese tra versamenti Inps, saldo della prima rata Imu 2013, pagamento della nuova tassa rifiuti, autoliquidazione Irpef per cui si richiederà di arrivare fino a 25.700 euro circa. Insomma il peggio sembra che deve ancora venire. ( Per maggiori dettagli si veda il nostro articolo Tares, Irap e Irpef: le scadenze fiscali dell’estate torrida)."  BOOM, BOOM! 

"...Fonti Bloomberg danno T-Bill sloveni pari un 1,503 miliardi di euro in scadenza nel 2013.
Ma c'è di piu. L'esposizione delle banche tedesche verso la Slovenia è molto più bassa rispetto a Cipro (7,6 miliardi di euro contro 3,1), ma per l'Austria e l'Italia le cose cambiano poiché hanno una maggiore esposizione verso Lubiana rispetto a Nicosia: per l'Austria sono 12,6 miliardi verso la Slovenia contro 0,9 miliardi di euro per Cipro, e per l'Italia si tratta di 7,6 miliardi di euro rispetto all'1,3 miliardi verso Cipro.
La richiesta di aiuti potrebbe arrivare dal rischio contagio e dalle difficoltà a finanziarsi che combinate con le difficoltà politiche potrebbero creare la tempesta perfetta e provocare una crisi che si autoavvera" BOOM, BOOM, BOOM!

"...Bello scherzare con il fuoco. "Moody's avverte l'Italia e lo spread vola a quota 350 punti" (Messaggero, p. 8). "L'Italia spaventa le Borse. Flop dell'asta Btp, spread oltre 350. Domanda deludente per i titoli a 5 anni. Listini europei in calo" (Repubblica, p. 12). "Chi sarà il prossimo dopo Cipro? Le scommesse sulla Slovenia" (Corriere, p. 14). Che cosa c'è dopo la Slovenia, venendo da Est?" BOOM, BOOM E ANCORA BOOM!

Ne potremmo parlare. Ma basta rinviare a quanto già detto e ribadito in diversi post, anche recentissimi. Si tratta in sostanza di €UROpeismo no limits. Un vizietto costoso che "loro" non si vogliono togliere perchè fa chic e tanto paghiamo noi, i colpevolichehannovissutoaldisopradeiproprimezzi.
Invece, vi parlo di quanto, riassumendo il discorso fatto qui, ci dice eloquentemente un altro blog, bello, semplice e coraggioso.
"La riflessione del giurista parte dal possibile sindacato di adeguatezza e ragionevolezza su politiche che peggiorano i parametri economici che intendono migliorare e degradano, così facendo, le condizioni di vita del popolo sovrano".
E questo per dire che ormai non ci rimane che organizzare il diritto di resistenza posto implicitamente ma necessariamente a garanzia della Costituzione, formando dei nuovi CNL, prima che sia troppo tardi. Come si può fare?
Basta volerlo, democraticamente, pacificamente, ma fermamente: a difesa della Costituzione.




mercoledì 27 marzo 2013

NOTIZIE MEDIATICHE E SCIENTIFICHE

Allora carissimi compagni di percorso, inserisco il link con la mini-intervista televisiva (andata in onda nel TG dell'emitente Romauno) fatta a Luciano Barra Caracciolo in occasione del convegno "equinoziale" del 16 marzo, seguita dalla "breve ma intensa" dichiarazione rilasciata da Francesco Lenzi

Come (forse) saprete il convegno era sull'OCA indigesta e l'evoluzione del ruolo delle banche centrali. (Se qualcuno, più bravo di me, sa come inserirla su Youtube, renderà un servizio alla causa).

Vi segnalo inoltre, per chi in particolare può muoversi su Roma, che domani presso la LUISS si terrà un convegno organizzato dal prof. Cesare Pozzi sul tema:
IL CASO DELL’INDUSTRIA DELLA CARTA: UN CONTRIBUTO ALLA POLITICA INDUSTRIALE
28 MARZO 2013
Aula Silvano Toti
LUISS Guido Carli
Via Romania, 32 - Roma. Ore 9.30 ss
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Siccome vi interverranno Squinzi e Fassina e l'argomento si allargherà a coinvolgere tutta la tematica della "ripresa", sono curioso di sentire quale "descrizione della realtà" ne potrà emergere.
Auguriamo a Cesare che il suo punto di vista sia bene ascoltato, in mezzo a cotanto mainstream...in stato confusionale.

Per meglio comprendere il taglio del convegno, vi riproduciamo la introduzione al convegno prescelta nella locandina (che riecheggia certi temi trattati in nostri post, almeno in qualche punto di partenza):
"Parafrasando Keynes, il problema non sta tanto nell'affermazione delle nuove idee quanto nel liberarsi dalle vecchie. In assenza di una volontà in tal senso, la prospettiva è di continuare a seguire percorsi non adeguati, che portano il nostro Paese a perdere la propria capacità di generare valore sul territorio attraverso la manifattura senza aver costruito valide alternative.
L’associazione dell’industria della carta ha sentito così la necessità di approfondire questi temi in modo da poter fornire alle proprie industrie una base informativa e conoscitiva indispensabile, da un lato per inserirsi nel dibattito sulle politiche industriali per il Paese e, dall’altro, per orientare i necessari cambiamenti strategici.
In collaborazione con il Grif “Fabio Gobbo” della Luiss “Guido Carli” si è analizzato il settore cartario per la sua capacità di contribuire a obiettivi più generali, coerenti con le aspettative della comunità di riferimento.
In tale quadro la politica industriale è lo strumento attraverso il quale i settori produttivi devono essere valutati non soltanto per la loro capacità di generare profitti, ma anche e soprattutto per il ruolo che giocano nel contribuire a rendere sostenibili nel tempo gli assetti socio-istituzionali delle comunità cui si riferiscono. Così, la valutazione del settore cartario deve tenere conto del suo ruolo di ingranaggio fondamentale nell’ambito del sistema del riciclo nazionale e, più in generale, di attore naturale nello sviluppo della “green economy”. La politica industriale desiderabile è quella che affronta le criticità esistenti e le risolve coerentemente con gli obiettivi generali.
Un “tassello” che ben si inserisce nella politica industriale e ambientale del progetto Confindustria: ”Crescere si può, si deve”.
È su queste basi che Assocarta si propone di avviare un confronto con gli opinion maker per uscire dai luoghi comuni, condividere e costruire un percorso per la ripresa del nostro Paese."

martedì 26 marzo 2013

LA SALVEZZA E' SOLO FUORI DALL'EUROPA. DELLE BANCHE AL POTERE

Leggetevi questo Dagoreport, appena sfornato, scritto da qualche "bene informato".
La filosofia che l'ispira è proprio quella "tuteliamo le banche a spese dei correntisti". E dei risparmiatori privati. Perchè comunque, dicono, c'è da preservare la permanenza dell'euro..altrimenti l'inflazione ci mangia i capitali! L'inflazione???
Dissentiamo fieramente da questa impostazione inesatta e terroristica che ipotizza implicitamente un'inflazione superiore al 20% nella fase post-euro; perchè, se fosse altrimenti, com'è in effetti attendibile ritenere, si dovrebbe convenire che conviene uscire dall'euro. 
Ed infatti, noi sappiamo che la svalutazione della moneta e la conseguente inflazione non coincidono nella misura. Nel 1992, addirittura, dopo una svalutazione complessiva di circa il 20%, l'inflazione diminuì.
Anche ammesso che le condizioni dei costi di impresa, non certo per il fattore lavoro peraltro, siano oggi differenti, sia in termini di competitività finanziaria e tecnologica (di impianti irreversibilmente dismessi o obsoleti per il blocco degli investimenti) che di andamento dei costi energetici (il cui trend ora non è però caldo, mentre il dollaro non ci tiene affatto a rafforzarsi, anzi), il pass-through potrebbe andare da 0,1 a 0,3, secondo le tesi statisticamente più credibili.
Ma quello che è da temere è che le banche siano sempre più al governo: in assenza di ciò, senza ricorrere a nessuna patrimoniale straordinaria, basterebbe fare una rapida riforma con la riseparazione delle banche commerciali dalle banche finanziarie-merchant di investimento e nazionalizzare le prime. Costerebbe molto meno. Specialmente se uscissimo dall'euro e potessimo ricorrere alla spesa pubblica in tal senso, emettendo liquidità con una politica monetaria al servizio dei cittadini in quanto riconquistata al governo.
E col parallelo collocamento del debito di nuova emissione presso la stessa Banca d'Italia, ente pubblico strumentale, ad alta expertise tecnica, ma soggetto all'indirizzo politico stabilito in Costituzione. Cosa che consentirebbe anche di allentare da subito gli oneri fiscali e previdenziali sul lavoro, contando sull'aumento di gettito determinato da una rapida espansione di occupazione e fatturati (cioè della base imponibile).

Ma il Dagoreport ci conferma molte cose e ci indica una direzione purtroppo probabile dell'azione di governo nelle prossime settimane. Sottolineando anche la alta opinabilità dello stesso rischio di default e della capacità risolutiva di una siffatta patrimoniale pro-banche, il cui gettito non sarebbe idoneo, se correttamente calcolato, ad abbattere il debito sotto il 100%.
Il debito pubblico in mano alle famiglie è infatti meno del 9% del totale, mentre le attività finanziarie, in liquidità e titoli, ammontano, inclusi i titoli del debito, in totali 3242 miliardi di euro (dati Bankitalia 2010). Precisamente la composizione è questa:
La base imponibile lorda...include le seguenti tipologie:
1) obbligazioni private, titoli esteri, prestiti alle cooperative, azioni, partecipazioni e fondi comuni di investimento (44,2% del totale);
2) contante, depositi bancari e risparmio postale (29,8%);
3) titoli in debito pubblico (5,3% del totale).
Da questa base saranno da scorporare sia i fondi di investimento, sia i "prestiti alle cooperative" (art 45 e 47 Cost.) che, ragionevolmente, le "azioni e partecipazioni" di controllo, cioè titoli non detenuti per investimento (altrimenti avremmo delle espropriazioni di imprese e abbassamento delle garanzie del credito).
E non avrebbe senso procedere al taglio del valore patrimoniale dei titoli del debito pubblico per i soli residenti.
Insomma con le cifre non ci saremmo, dato che gran parte di questo attivo delle famiglie non sarebbe economicamente liquidabile o non legittimamente assoggettabile a un prelievo.
Resterebbe quel 30% circa di contante e depositi bancari e risparmio postale, che, unito a parte delle azioni e obbligazioni di investimento, darebbe luogo, all'aliquota massima del 20%, ad un gettito approssimativamente di 195 miliardi. Facendo scendere il debito, diciamo per essere "ottimisti", a qualcosa di più di 1800 miliardi, pur sempre ben al di sopra del 100% del PIL.
Ma in compenso avremmo una recessione fortissima, perchè il PIL verrebbe inciso per 190 miliardi con un moltiplicatore di circa 1, il che porterebbe nel solo anno di prelievo, una recessione aggiuntiva di 12/13 punti di PIL (con un totale oltre i 14 punti)! Una recessione che provocherebbe, per sicuro crollo dei consumi, disoccupazione alle stelle e drammatico calo del gettito anche negli anni successivi. Cioè recessione galoppante alla "greca". E che rimanendo nell'euro, sarebbe oggetto di pretese di "cura" mediante violenta austerity aggiuntiva. Tanto per cambiare. Insomma, un suicidio. Per salvare le banche.

Del Dagoreport vi riproduco i passaggi essenziali:
"Il governo Monti ha garantito (alle banche tedesche e francesi) il rimpatrio del debito pubblico italiano su investitori domestici (Banca d'Italia, banche commerciali e privati), sollevando le banche e gli investitori europei dai rischi di un default del paese.
Il default dell'Italia si trasformerebbe in una patrimoniale sui residenti italiani (banche e privati), con l'aggravante del default a catena di tutte le istituzioni bancarie estere che ancora hanno posizioni creditorie nei confronti delle banche italiane.
La soluzione "cipriota", con una tassazione dei patrimoni (liquidità e titoli) dell'ordine del 15/20% permetterebbe di evitare il default delle banche italiane, di preservare il diritto alla permanenza nell'Euro, di abbattere il debito pubblico al di sotto del 100% del PIL, di diminuire la spesa per interessi sul debito pubblico e di abbattere l'imposta media sul PIL.
Una soluzione simile fu prospettata da Alessandro Profumo a settembre del 2011 ed era probabilmente il compito di Mario Monti al momento della nomina a Primo Ministro nel novembre dello stesso anno.
Assomiglia molto alle proposte di Beppe Grillo sul default dell'Italia sul debito (almeno per gli effetti sull'economia) quando lui dichiara di non promettere facili arricchimenti ma anzi periodi di consapevole povertà, con la sola differenza che la ventilata uscita dall'Euro come proposta base per il ritorno alla sovranità monetaria sembra giustificata esclusivamente dalla necessità di battere moneta sovrana, presupposto per il ritorno a momenti di ulteriore distruttiva inflazione monetaria.
L'Italia è, insieme alla Germania, uno dei pochi paesi al mondo con avanzo primario. L'avanzo primario consistente (ed il miglioramento dello stesso) sono la garanzia di solvibilità sul debito pubblico, a condizione che questo non superi determinati livelli.
La riduzione del debito pubblico attraverso prelievo forzoso porterebbe un rapido peggioramento delle condizioni economiche ma garantirebbe una veloce uscita dalla costante situazione di insolvenza imminente in cui si trova il paese, grazie alle enormi risorse ancora presenti nel sistema industriale del paese."

LE CONSEGUENZE ITALICHE DEL METODO CIPRO, ANCHE SENZA OLIGARCHI RUSSI.

Contr'ordine compagni: il Soviet UE ha deciso che non si fida e che le tranches di pagamento di 20 miliardi di crediti alle imprese, programmate per il 2013 e il 2014, non si possono fare.
Questo perchè, non sia mai, potremmo superare il 3% del deficit (dato che nonostante FMI e studi della stessa BCE, il moltiplicatore non esiste) e non potremmo così accedere alla deduzione dal futuro deficit di altrettanto futuri investimenti pubblici aggiuntivi, c.d. golden rule. La quale si applicherebbe solo se non sia più pendente una procedura di infrazione del limite del 3%, attivata sull'Italia per il deficit 2011 al 3,9.
Inutile dire che la Francia, per il 2011, per il 2012 e giacchè ci sta anche per il 2013 con deficit sopra al 4%, (e probabilmente sopra il 3% fino al 2015, secondo i calcoli di Sapir),  non solo se ne frega ma addirittura fa nuove assunzioni pubbliche, sussidia le imprese nazionali e chiede l'innalzamento del contributo "de minimis", quello che non costituisce aiuto di Stato, da 200.000 a 500.000 euro.
Cioè, come avevamo anticipato, per Olli Rehn, si paghi pure l'arretrato ma con manovre di corrispondente copertura: con tutti gli effetti immaginabili sulla recessione in atto. Perchè, non lo ripeterò mai abbastanza, il moltiplicatore fiscale esiste...e "loro" lo sanno benissimo e anzi ci contano, ormai.
Insomma, non attendiamoci solo manovre di copertura per tali pagamenti ma anche niente c.d. "golden rule", dato che la recessione ci porterà, adottando tali misure di copertura, comunque a sforare autonomamente il limite del deficit.
Notare poi che, anche gli ipotetici investimenti da golden rule, cioè spesa pubblica aggiuntiva, sarebbero giocoforza destinati ad essere spese impegnate e liquidate ma non pagabili, essendo questo, a quanto pare, il metodo del fiscal compact: cioè distruzione dell'economia per asfissia da carenza assoluta di liquidità, a meno che non si provveda a coprire con imposizione patrimoniale le spese di "cassa".
Cioè le uscite effettive dell'anno, sia per debiti arretrati verso i fornitori sia per quelli che dovessero maturare in base a nuovi impegni, ove, appunto, non già rientranti nella misura prevista dal consolidamento del bilancio pianificata col pareggio, cioè nella mera sussistenza dei compiti ormai depotenziati dello Stato.
Da notare, poi, che le entrate, di anno in anno, grazie alla crescente disoccupazione e ai fallimenti di impresa, non possono che diminuire, come è del tutto naturale in recessione: dal 2010 al 2011, il gettito delle imposte sul reddito, è sceso, nel solo bilancio dello Stato, da 160 miliardi a 149,9. E non abbiamo ancora i dati del gettito 2012, nonostante la "lotta all'evasione" che deve cercare di essere più veloce della "morte dei percettori di reddito", a questo punto.
Proprio per essere ripetitivi, in modo che non ci siano equivoci su ciò che significa l'euro-fiscal compact, cioè il meraviglioso sogno europeo, e senza che residui alcun margine di indirizzo politico autonomo di qualsiasi governo, nonostante le illusioni ostentate in campagna elettorale:  golden rule o meno, recessione da austerità o meno, le spese vanno coperte con nuove entrate o ulteriori tagli (magari sugli anni successivi, innescando il circolo vizioso stile Grecia). 
A maggior ragione dal 2014 quando il pareggio di bilancio tecnico dovrà essere raggiunto: -0,5 tollerato, con possibili correzioni in funzione del ciclo economico, cioè della recessione in corso, puntualmente provocata dagli sforzi di ridurre il deficit. Una sorta di demenziale giro vizioso, che non lascia altra alternativa che misure straordinarie di imposizione patrimoniale, visto che i dati ci confermano che le entrate ordinarie calano e caleranno.
Sulle "forme" delle quali c'è solo da sbizzarirsi: neo imposizione patrimoniale sui valori catastali riportati a quelli di mercato (mentre tali valori vanno a picco), prestiti forzosi, prelievi sui conti correnti e quant'altro.
No, non siamo Cipro, ma anzi, ERAVAMO (prima dello SME, del divorzio Bankitalia e dell'inizio dei vincoli valutari esterni) una delle economie più forti del mondo. E ancora oggi ce la caviamo discretamente, oscillazioni del cambio euro/dollaro permettendo. Ma appunto per questo fastidiosi alquanto.
Ma ci diranno che "abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità". Anche perchè con la Casta e la corruzione, non si può andare avanti, eh no!. 
E quindi, vai col metodo Cipro che si preannunzia proprio per quello che è: il via libera all'attacco sistematico al risparmio accumulato, cioè al patrimonio privato, di chi ha il solo torto di stare nella moneta unica e non avere potuto tenere deliberatamente un tasso di inflazione sotto il 2%, accontentandosi di rispettare il trattato UEM, nel quale, si spiega ora, erano tanto ansiosi di farci entrare (v. nota 20).
Insomma gli artifici contabili che ci portavano ad avere un deficit virtuoso, e che secondo l'inesorabile contabilità dei saldi settoriali, significava risparmio negativo, porta i suoi nodi al pettine: se per non acuire la recessione non avevamo ancora abbastanza depresso i redditi delle famiglie, fino a rendere decisamente negativo il risparmio (e quindi, indovinate, gli investimenti privati e pubblici), ora sappiate che l'Europa non si accontenta dell'ampliamento della disoccupazione e della corrispondente deflazione salariale.
L'Europa passa all'incasso, perchè tutto 'sto risparmio, riflesso in questi patrimoni da ricchi, ai tedeschi e soci proprio non gli va giù. 

lunedì 25 marzo 2013

UN "ESTREMO" APPELLO A VALERIO ONIDA E GUSTAVO ZAGRELBESKY

Sapete quanto sia prezioso Dagospia nel fare il punto della situazione. Dal sito traggo questa notizia-indiscrezione sulla possibile composizione di un governo da parte dell'incaricato Bersani:
"Intanto il leader si prepara al meglio per arrivare giovedì da Napolitano con in tasca anche una squadra di governo snello, ma con nomi originali, pochi politici e molte donne. Ricorrono in queste ore sempre i nomi di Padoan, Barca, Zagrebelsky, Onida, De Rita, di Maria Chiara Carrozza e Michela Marzano, con qualche new entry, come l'ex Confindustria Giampaolo Galli. E ieri Bersani nel suo giro di confronto con le personalità della società civile, ha incontrato Roberto Saviano, garantendogli che se farà il governo «si faranno subito misure per la legalità»."

Ora tra tutti questi nomi, supponendo che corrispondano a una vox populi ac "giornalorum" che riflette il sentiment corrente, mi vorrei soffermare su alcuni.
Partiamo da Pier Carlo Padoan: al riguardo non c'è molto da aggiungere perchè al suo pensiero economico, quale espresso in dirette e plurime prese di posizione, abbiamo dedicato una serie di post esplicativi: si tratta di una posizione di neo-macroeconomia classica, orientata a un "doloroso deleveraging" tutto a carico del bilancio pubblico, visto che il problema è, per tale autore, sempre e comunque l'eccesso di Stato e di spesa pubblica. In particolare Osservatorio PUD€-1 e, poi culminando in Osservatorio PUD€-5,  Osservatorio PUD€-2. Da quest'ultimo riportiamo il commento finale (che potrà tornarci utile nell'esame della posizione dei nominativi ulteriori):
"...si continua a ignorare che l'ammontare del debito pubblico (e quindi, a monte, dell'indebitamento annuale), non ha alcuna evidente e comprovata influenza negativa sulla crescita, come hanno dimostrato Panizza e Presbitero in uno studio recepito dallo stresso FMI. 
Riassuntivamente: "gli studi empirici che "dimostrano" che debitopubblicobrutto è il principale se non unico responsabile dei nostri mali, di solito non tengono conto di un dato elementare: purtroppo non è solo la crescita a dipendere dal debito, ma anche, spesso e volentieri, il debito a dipendere dalla crescita. Ad esempio, se l'economia va in recessione il gettito fiscale cala e il debito quindi cresce più in fretta: la relazione negativa osservata (più debito=meno crescita) in questo caso dipenderebbe non dal fatto che il (troppo) debito danneggia la crescita, ma dal fatto che la (poca) crescita peggiora il debito". 
Insomma, in situazione recessiva (sempre più) diffusa, e determinata da squilibri commerciali indotti dal cambio fisso non compensato da trasferimenti "centralizzati" UEM, non c'è modo di sostenere realisticamente che la soluzione risieda in "sound fiscal policies" orientate alla "fiscal consolidation", in particolare al taglio della spesa pubblica (oltre che a maggior pressione fiscale).
Ignorare Keynes può essere giustificato da un'intera vita di studi dediti alla sua demolizione (sulla base di riscontri empirici mai condotti fino in fondo e anzi smentiti dalla realtà): ignorare De Grauwe, Stiglitz, Panizza, e se vogliamo, persino Blanchard, porterà a ulteriore recessione e, nella migliore delle ipotesi, alla "strutturazione" della debole crescita all'interno di un'unione monetaria semplicemente insostenibile."

A questo punto affrontiamo, invece i nomi di Gustavo Zagrelbesky e Valerio Onida.   
Si tratta probabilmente dei due più autorevoli, e certamente mediaticamente più noti, costituzionalisti italiani.
Il secondo ha anche un suo blog "Valerio Onida- Passione civile" da cui riportiamo, per estratto dei passaggi salienti, un post sulla crisi economica, tratto da un articolo anche pubblicato sul Sole24ore:
"...Da “cittadino incompetente”, vorrei provare a mettere in riga alcune semplici e magari semplicistiche riflessioni capaci di orientare il giudizio che, alla fine, anche gli elettori, non solo i “mercati”, dovranno dare sulle scelte compiute o non compiute.
Una cosa l’abbiamo capita bene: il debito pubblico che ristagna intorno al 120% del PIL è una palla al piede che il paese non può ulteriormente permettersi. Il problema è come ridurne l’entità. Ci dicono che la via maestra sarebbe l’aumento del PIL (la famosa “crescita”) con ritmi che, nel volgere degli anni, ridurrebbero l’incidenza relativa del debito, pur costante in termini assoluti, se si riesce nel frattempo ad evitare nuovo disavanzo annuale. Ma poi ci spiegano che molte delle misure che riducono la spesa pubblica o che aumentano il prelievo fiscale sono destinate ad avere effetti contrari alla crescita del PIL. Sembra un circolo vizioso.
Il coro invoca la riduzione dei “costi della politica”: e va bene, era ora. Non ha senso che i parlamentari paghino i pasti al prezzo di una mensa operaia (a spese delle Camere). Ma tutti sappiamo che se anche smettessimo da un giorno all’altro di pagare compensi a tutti i titolari di cariche elettive, o abolissimo queste ultime, avremmo ridotto di poco il problema finanziario (e, forse, avremmo ridotto anche il tasso di democrazia del paese: attenzione, prima di entusiasmarsi per i dimezzamenti delle “poltrone”, senza domandarsi quali dovrebbero essere i rapporti numerici congrui fra rappresentanti e rappresentati!).
Eliminare gli sprechi? E’ sacrosanto (in genere, però, sono visti come “sprechi” solo i soldi spesi per altri, non quelli spesi per interventi che finanziano le nostre imprese o le nostre famiglie). Ma poi, combattuti gli sprechi, siamo sicuri di volere (e che sia accettabile) uno Stato che riduca ancora la spesa per l’istruzione, per la salute, per l’assistenza sociale a chi ne ha bisogno, per la cultura?
L’incompetente allora si domanda: c’è un’altra strada per abbattere il debito pubblico o il suo onere eccessivo? Lo Stato potrebbe vendere beni (o assets, come oggi si dice), salvo poi trovarsi impoverito di strumenti e risorse per perseguire i suoi scopi (che non sono solo quello di mantenere l’ordine pubblico). In ogni caso non sembra una strada semplice né rapida (intanto, però, si cedono gratuitamente alle imprese televisive frequenze dell’etere, che sono  un bene pubblico limitato). Oppure si potrebbe chiedere ai cittadini di contribuire una tantum ad abbattere il debito, secondo la logica per la quale “lo Stato siamo noi”, e quindi, se lo Stato ha un fabbisogno straordinario, noi dobbiamo concorrere a colmarlo.
Ci hanno spiegato a lungo che la forza dell’Italia, nella claudicante economia dei paesi sviluppati, era che noi abbiamo sì un grande debito pubblico, ma relativamente poco debito privato, e cioè i cittadini hanno un patrimonio netto (beni meno debiti) più cospicuo che altrove. Bene, allora perché non si chiede ai cittadini titolari di questo patrimonio di sacrificarne una piccola parte ciascuno, in progressiva proporzione all’entità del possesso individuale, per consentire allo Stato di ridurre significativamente il suo debito, vuoi attraverso un prelievo straordinario, vuoi attraverso un prestito, spontaneo o “forzoso”, da restituire a lungo termine e ad interesse inferiore a quello che i “mercati” pretenderebbero? O immediatamente, o in prospettiva, per effetto della riduzione degli interessi, l’onere del debito pubblico diminuirebbe.  
Subito si leva il coro: altre tasse, per di più sul patrimonio? Vade retro! Lo Stato ha fatto il debito, lo Stato lo ripaghi.  Com’è noto, quando una persona si indebita troppo rispetto alle sue possibilità economiche, o fallisce subito o finisce nelle mani degli strozzini, che gli prestano sì nuovo denaro, ma ad interessi sempre più alti (e alla fine fallisce lo stesso perché non è più in grado di rimborsare i debiti contratti). Nel nostro caso gli “strozzini” sono i “mercati”, che di fronte alle difficoltà dello Stato alzano la misura degli interessi richiesti per continuare a finanziarne il debito (il famoso spread). E dunque?
Non vorremmo che finisse come altre volte nella storia: il debito pubblico evapora come neve al sole perché, o con l’inflazione (se non dovessimo più avere la protezione dell’euro) o con la “ristrutturazione”, i titoli di Stato diventano carta straccia. Ci perderebbero gli “strozzini”, e poco male, visto che molti sono professionisti del rischio finanziario, ma ci perderebbero anche i cittadini normali che hanno investito tutti o parte dei loro modesti risparmi (pensando che lo Stato non è la Cirio né la Parmalat) in titoli di Stato: in quel debito pubblico che, come diceva lo Statuto albertino (la Costituzione repubblicana non lo ripete, ma in qualche modo lo presuppone) è - deve essere - “guarentito” (perchè “ogni impegno dello Stato verso i suoi creditori è inviolabile”).
L’unica cosa che dovremmo esigere è che alle “dolorose” operazioni necessarie presieda un Governo (sorretto da una maggioranza parlamentare più ampia possibile) degno di questo nome, cioè credibile."


Per voi attenti lettori questa serie di indicazioni non potrebbe che essere preoccupante.
Riassumendo: il debito pubblico è il problema economico italiano, siamo finiti nella mani degli strozzini-mercati a causa del fatto che ci saremmo troppo indebitati (vivendo "al di sopra delle nostre possibilità"...), l'unica soluzione è che un governo credibile introduca una forte una tantum patrimoniale (anche perchè uscire dall'euro condurrebbe a un'inflazione distruttiva...del debito pubblico...in mano alle famiglie!!!).
Fortunatamente (in senso eufemistico), premette di essere un "cittadino incompetente".

In effetti non pare conoscere le "verità nascoste" e parte da premesse del tutto smentite dai dati economici: il debito pubblico italiano non è la palla al piede; il debito pubblico italiano non è stato creato da eccessi di spesa, bensì da eccessi di interessi passivi a favore di grossi soggetti finanziari; tentare di correggere l'ammontare del debito mediante una forte incisione patrimoniale sui privati non solo piomberebbe il paese in una recessione autenticamente distruttiva (ancora di più), ma non risolverebbe le cause della crisi, che sono da individuare nell'euro, cioè in una moneta che diminuisce la competitività dei nostri beni sui mercati esteri e ci porta in situazione di indebitamento privato via CAB strutturale e crescente; questo indebitamento privato, da squilibrio commerciale a base monetaria, sarebbe riproducibile e persino aggravato anche in caso di abbattimento del debito (deleveraging, appunto, su cui vale il passaggio di Osservatorio PUD€-2 sopra riportato).
Insomma quello che è preoccupante è uno dei più grandi costituzionalisti italiani appaia completamente all'oscuro delle ragioni della crisi: tanto per dire, il debito pubblico è in mano non certo alle famiglie, ma per circa il 90% a istituzioni finanziarie, che sarebbero esse stesse ad essere garantite dal prelievo patrimoniale sulle famiglie. Insomma, al governo potrebbe andare una personalità che potrebbe non avere difficoltà a concordare con
Schauble e in generale con le più "oscure" pulsioni germaniche.

Veniamo a Zagrelbesky. Con lui, in linea teorica, ci accomuna il voler riproporre il pensiero giuridico di
Costantino Mortati e Piero Calamandrei. Ma, mancando del tutto, nell'analisi di Zagrelbesky, punti di riferimento riferiti alla reale causa europea della crisi economica e costituzionale italiana gli sviluppi tratti da questi grandi antecedenti di pensiero sono obiettivamente dissimili.
Questa coincidenza di premesse e
divergenza di conclusioni si vede bene in questo passaggio riassuntivo di sue recenti prese di posizione politico-istituzionale:
"Nella Costituzione troviamo la politica, il bene pubblico che più, oggi, scarseggia". Di una "stagione costituzionale", e non di una "stagione costituente", quindi, il Paese ha bisogno, spiega Zagrebelsky. Di "atti di contrizione e segni di discontinuità" con quanto ci ha preceduto. E, in questa parola d'ordine, ossia nel dettato costituzionale, si troverebbe soluzione ai problemi del Paese che vengono elencati nel manifesto. Al primo posto anche qui il lavoro, quindi i diritti civili, l'uguaglianza, l'equità sociale e fiscale, i servizi sociali, la salute, la cultura e i beni culturali, la natura, intesa come patrimonio a disposizione di tutti; l'informazione, come diritto dei cittadini a essere informati e dei giornalisti di informare; la politica come autonomo discorso sui fini e la partecipazione all'Europa."
D'accordo che il bisogno sia quello di una "stagione costituzionale", ma il tutto diventa irrimediabilmente generico e privo di valore pratico se non si indica come, alla luce della cause effettive della attuale crisi, si possa "porre al primo posto" il lavoro, i diritti civili, e tutto quanto elencato, quando non si prende in esame neppure per un momento che tutto questo è antitetico al trattato UE-UEM, scritto sotto la spinta delle teorie macroeconomiche neoclassiche di Lucas e Von Hayek, che di tale elenco di interessi e programmi perseguiti dalla nostra Costituzione sono inconciliabili avversari. 
Ora più che allargare il discorso all'analisi del pensiero politico-economico degli altri nomi, indicati all'inizio, di possibili futuri appartenenti al governo che si cerca di formare, mi viene da rinnovare un appello.

Un appello rivolto a questi due illustrissimi e influenti costituzionalisti, che come giuristi, si trovano nella difficile posizione di non essere "colpevoli" di ignorare la verità su certi meccanismi economici che non sono chiariti dagli stessi economisti (tranne le note eccezioni cui va la nostra riconoscenza), ma al tempo stesso avrebbero l'onere, nell'interesse della democrazia, di poter difendere la Costituzione cognita causa, in modo da poterne comparare la effettiva portata, lavorista e redistributiva, con l'inesorabile disegno economico-finanziario racchiuso nel vincolo europeo.
L'appello che affido a queste pagine di nicchia, ma che mi auguro ripreso dalla capacità dei lettori di far sentire la propria voce e il proprio impegno civile, è rivolto a questi due illustri costituzionalisti affinchè, quando e come potranno dedicarci il loro prezioso tempo, prendano in considerazione quanto scritto nei seguenti post:
a)
FOCUS 3- "REDUX";
b) COSTITUZIONALITA' DELLE MANOVRE FINANZIARIE. UN DUBBIO INTERNO ALLA STESSA COSTITUZIONE;
c)
PER CHI...NON GUARDASSE SOLO GOOGLE E FOSSE INTERESSATO ALL'ARTIGLIERIA PESANTE;
d) LA DOTTRINA DELLE BANCHE CENTRALI INDIPENDENTI E LA SUA ATTUALE EVOLUZIONE.

Non nutriamo eccessive speranze di essere ascoltati così "in alto". Ma un tentativo crediamo valga la pena di farlo. Se non altro per non rimanere con lo scrupolo di aver trascurato una delle possibili vie che, nella piena circolazione delle idee e di una informata visione razionale, potrebbero portare frutti di verità e di democrazia.