La filosofia che l'ispira è proprio quella "tuteliamo le banche a spese dei correntisti". E dei risparmiatori privati. Perchè comunque, dicono, c'è da preservare la permanenza dell'euro..altrimenti l'inflazione ci mangia i capitali! L'inflazione???
Dissentiamo fieramente da questa impostazione inesatta e terroristica che ipotizza implicitamente un'inflazione superiore al 20% nella fase post-euro; perchè, se fosse altrimenti, com'è in effetti attendibile ritenere, si dovrebbe convenire che conviene uscire dall'euro.
Ed infatti, noi sappiamo che la svalutazione della moneta e la conseguente inflazione non coincidono nella misura. Nel 1992, addirittura, dopo una svalutazione complessiva di circa il 20%, l'inflazione diminuì.
Anche ammesso che le condizioni dei costi di impresa, non certo per il fattore lavoro peraltro, siano oggi differenti, sia in termini di competitività finanziaria e tecnologica (di impianti irreversibilmente dismessi o obsoleti per il blocco degli investimenti) che di andamento dei costi energetici (il cui trend ora non è però caldo, mentre il dollaro non ci tiene affatto a rafforzarsi, anzi), il pass-through potrebbe andare da 0,1 a 0,3, secondo le tesi statisticamente più credibili.
Ma quello che è da temere è che le banche siano sempre più al governo: in assenza di ciò, senza ricorrere a nessuna patrimoniale straordinaria, basterebbe fare una rapida riforma con la riseparazione delle banche commerciali dalle banche finanziarie-merchant di investimento e nazionalizzare le prime. Costerebbe molto meno. Specialmente se uscissimo dall'euro e potessimo ricorrere alla spesa pubblica in tal senso, emettendo liquidità con una politica monetaria al servizio dei cittadini in quanto riconquistata al governo.
E col parallelo collocamento del debito di nuova emissione presso la stessa Banca d'Italia, ente pubblico strumentale, ad alta expertise tecnica, ma soggetto all'indirizzo politico stabilito in Costituzione. Cosa che consentirebbe anche di allentare da subito gli oneri fiscali e previdenziali sul lavoro, contando sull'aumento di gettito determinato da una rapida espansione di occupazione e fatturati (cioè della base imponibile).
Ma il Dagoreport ci conferma molte cose e ci indica una direzione purtroppo probabile dell'azione di governo nelle prossime settimane. Sottolineando anche la alta opinabilità dello stesso rischio di default e della capacità risolutiva di una siffatta patrimoniale pro-banche, il cui gettito non sarebbe idoneo, se correttamente calcolato, ad abbattere il debito sotto il 100%.
Il debito pubblico in mano alle famiglie è infatti meno del 9% del totale, mentre le attività finanziarie, in liquidità e titoli, ammontano, inclusi i titoli del debito, in totali 3242 miliardi di euro (dati Bankitalia 2010). Precisamente la composizione è questa:
La base imponibile lorda...include le seguenti tipologie:
1) obbligazioni private, titoli esteri, prestiti alle cooperative, azioni, partecipazioni e fondi comuni di investimento (44,2% del totale);
2) contante, depositi bancari e risparmio postale (29,8%);
3) titoli in debito pubblico (5,3% del totale).
Da questa base saranno da scorporare sia i fondi di investimento, sia i "prestiti alle cooperative" (art 45 e 47 Cost.) che, ragionevolmente, le "azioni e partecipazioni" di controllo, cioè titoli non detenuti per investimento (altrimenti avremmo delle espropriazioni di imprese e abbassamento delle garanzie del credito).
E non avrebbe senso procedere al taglio del valore patrimoniale dei titoli del debito pubblico per i soli residenti.
Insomma con le cifre non ci saremmo, dato che gran parte di questo attivo delle famiglie non sarebbe economicamente liquidabile o non legittimamente assoggettabile a un prelievo.
Resterebbe quel 30% circa di contante e depositi bancari e risparmio postale, che, unito a parte delle azioni e obbligazioni di investimento, darebbe luogo, all'aliquota massima del 20%, ad un gettito approssimativamente di 195 miliardi. Facendo scendere il debito, diciamo per essere "ottimisti", a qualcosa di più di 1800 miliardi, pur sempre ben al di sopra del 100% del PIL.
Ma in compenso avremmo una recessione fortissima, perchè il PIL verrebbe inciso per 190 miliardi con un moltiplicatore di circa 1, il che porterebbe nel solo anno di prelievo, una recessione aggiuntiva di 12/13 punti di PIL (con un totale oltre i 14 punti)! Una recessione che provocherebbe, per sicuro crollo dei consumi, disoccupazione alle stelle e drammatico calo del gettito anche negli anni successivi. Cioè recessione galoppante alla "greca". E che rimanendo nell'euro, sarebbe oggetto di pretese di "cura" mediante violenta austerity aggiuntiva. Tanto per cambiare. Insomma, un suicidio. Per salvare le banche.
Del Dagoreport vi riproduco i passaggi essenziali:
"Il governo Monti ha garantito (alle banche tedesche e francesi) il rimpatrio del debito pubblico italiano su investitori domestici (Banca d'Italia, banche commerciali e privati), sollevando le banche e gli investitori europei dai rischi di un default del paese.
Il default dell'Italia si trasformerebbe in una patrimoniale sui residenti italiani (banche e privati), con l'aggravante del default a catena di tutte le istituzioni bancarie estere che ancora hanno posizioni creditorie nei confronti delle banche italiane.
La soluzione "cipriota", con una tassazione dei patrimoni (liquidità e titoli) dell'ordine del 15/20% permetterebbe di evitare il default delle banche italiane, di preservare il diritto alla permanenza nell'Euro, di abbattere il debito pubblico al di sotto del 100% del PIL, di diminuire la spesa per interessi sul debito pubblico e di abbattere l'imposta media sul PIL.
Una soluzione simile fu prospettata da Alessandro Profumo a settembre del 2011 ed era probabilmente il compito di Mario Monti al momento della nomina a Primo Ministro nel novembre dello stesso anno.
Assomiglia molto alle proposte di Beppe Grillo sul default dell'Italia sul debito (almeno per gli effetti sull'economia) quando lui dichiara di non promettere facili arricchimenti ma anzi periodi di consapevole povertà, con la sola differenza che la ventilata uscita dall'Euro come proposta base per il ritorno alla sovranità monetaria sembra giustificata esclusivamente dalla necessità di battere moneta sovrana, presupposto per il ritorno a momenti di ulteriore distruttiva inflazione monetaria.
L'Italia è, insieme alla Germania, uno dei pochi paesi al mondo con avanzo primario. L'avanzo primario consistente (ed il miglioramento dello stesso) sono la garanzia di solvibilità sul debito pubblico, a condizione che questo non superi determinati livelli.
La riduzione del debito pubblico attraverso prelievo forzoso porterebbe un rapido peggioramento delle condizioni economiche ma garantirebbe una veloce uscita dalla costante situazione di insolvenza imminente in cui si trova il paese, grazie alle enormi risorse ancora presenti nel sistema industriale del paese."
Non penso proprio che i fondi e le sicav sarebbero scorporate.
RispondiEliminaBeh se sono le banche, titolari dei patrimoni dei fondi, a imporre ciò e considerando i problemi che darebbero sul sottostante (cioè titoli reali inclusi nei portafogli, spesso appartenenti a diversi Stati) la vedo difficile.
EliminaInoltre, dimenticavo: per la liquidità ci potrebbe sempre essere l'esenzione dei primi 100.000 euro. In teoria.
Bisogna vedere come l'acchittano.
Per non parlare della giustificazione dell'imposizione in questa misura ai sensi dell'art.23 Cost.
EliminaAmmesso che abbia ancora senso parlare di Costituzione in un caso del genere
Ma partiamo da quanto afferma l’economista canadese Basil Moore per sgretolare in un primo passo il monetarismo insito nell'affermazione di cui giustamente ti sei raccapricciato (inflazione monetaria): “Changes in wages and employment largely determine the demand for bank loans, which in turn determine the rate of growth of the money stock. Central banks HAVE NOALTERNATIVE BUT TO ACCEPT this course of events, their only option being to vary the short-term rate of interest at which they supply liquidity to the banking system on demand. Commercial banks are now in a position to supply whatever volume of credit to the economy their borrowers demand”. L'economista Matias Vernengo dimostra che (solite cose):"... higher commodity prices in the 1970s, including the oil shocks, led to high inflation back then, but has had a marginal impact this time around. This also suggests that the low inflationary pressures in recent times – Bernanke’s Great Moderation – have less to do with Central Bank ‘credible’ policies than with the attack on unions and workers’ rights. It also suggests that there is little risk of inflation related to the expansionary monetary policies of the Fed...". Per me basta questo per capire che le cazzate su svalutazione, inflazione monetaria ecc. sono veramente della cazzate che non finiscono più. Ma 'sti qua si rendono conto che ad esempio la FED in Usa attraverso le Open Market Operations ha acquistato titoli di stato e quant'altro agendo in maniera DIFENSIVA. Perchè era l'unica cosa che poteva fare, altrimenti il sistema bancario sarebbe collassato. Quale inflazione c'è stata? E qui in UEM con gli LTRO? Mamma mia...
RispondiEliminaTutto giusto Flavio. Ma qui il dagoreporter faceva riferimento all'inflazione "distruttiva" derivante dall'uscita dall'euro (parte finale del brano riportato). E si tratta in fondo dal vero caposaldo di tutto il ragionamento, quello con cui en passant e senza troppe motivazioni serve a scartare la più ragionevole alternativa (rispetto alla tassazione al 20% della ricchezza mobiliare) dell'uscita dall'euro.
EliminaInsomma: siamo alle solite.
Si avevo capito. Ma quello che volevo sottolineare è che appunto non ci sarà, in uscita, nessun terrore di inflazione in doppia cifra perchè non c'è nessun cost push o demand push che sostenga un corso sostenuto dei prezzi tale da giustificare iperinflazioni varie, perchè appunto i salari non spingono dal lato dei costi e la disoccupazione dilagante denota un output gap di considerevole livello (non siamo affatto in piena occupazione, nè in "disoccupazione naturale")...
EliminaI salari non spingono perchè c'è la recessione deflattiva. Ma l'inflazione da costi potrebbe aversi su fattori finanziari e tecnologici: l'output gap corrisponde a sottoutilizzazione degli impianti o a loro definitivo smantellamento? E con quale mix?
EliminaIn ogni caso, abbiamo un disastroso ritardo di investimenti infrastrutturali (pubblici) e per innovazione (da euro).
Non dimentichiamo che, specie nei servizi, la flessibilità-precarietà ha provocato un aumento dell'impiego del fattore lavoro (non qualificato)e una diminuzione della produttività per minor investimenti in capitale.
E ancora, noi sappiamo che anche il risparmio-profitto accumulato all'estero rientrerebbe in Italia a condizione che lo Stato, attraverso la spesa, incentivasse direttamente o indirettamente (infrastrutture) l'impiego di investimento.
E comunque ammettiamo che un certo "tempo" ci vorrebbe per poter riattivare la produzione interna (a differenza di quanto si verificò nel 1992), in modo da poter non solo esportare ma anche sopperire alla importazione (e ai maggiori costi valutari, non meramente legati alla bolletta energetica). Pensa solo se dovessimo affrontare contemporaneamente, per certi settori corrispondenti alla domanda interna o ad una riespansione di export, svalutazione e importazione di beni strumentali-impianti, con insufficienza di forza lavoro qualificata (secondo l'andazzo provocato dal regno dell'euro).
Con questo non voglio dire che si tratterebbe di una probabile alta inflazione, ma solo che:
1) è assolutamente indispensabile la banca centrale tesoriere del governo;
2) è importante disporre di studi specifici, settore per settore, che facciano comprendere, in proiezione del nuovo livello di cambio, quale sia la situazione prevedibile in modo da svolgere una opportuna politica di intervento pubblico. Come sostiene il prof. Pozzi.
Cosa alla quale la politica e l'accademia NMC non paiono preparate...Come sempre Pozzi paventa :-)
Si, è un aspetto che tengo in considerazione naturalmente e su cui c'è molto da ragionare...però non posso anche fare a meno di pensare che il prezzo del petrolio, ad esempio, negli ultimi tempi è salito anche a causa della visione di "commodity" sicura...nel senso cioè che quest'ultime sono state considerate come un bene rifugio nel momento del crollo della fiducia degli operatori in forme d'investimento fino a quel momento considerate "free risk" o quesi...e poi, come ricorda anche Graziani, gli operatori sono portati ad investire in titoli poichè essi danno degli interessi...cosa che petrolio, oro e commodities non danno..nel momento in cui viene a mancare la fiducia, il loro prezzo sale...quando la fiducia ritorna in teoria il loro prezzo scende, perchè si ritorna a puntare su titoli e non "beni"...oh, ipotizzo naturalmente.
EliminaSull'inflazione "importata": storicamente l'Italia ha da sempre praticato una svalutazione difensiva verso il marco, ma un rivalutazione verso il dollaro per evitare appunto eventuali problemi con le materie prime..vedendo poi che dal 2020 la produzione mondiale sarà per la maggiore in mano USA, quindi teoricamente (se non sono proprio scemi) interessati ad una ripresa economica anche europea, il prezzo dovrebbe rimanere relativamente stabile e fuori dai picchi degli anni '70 (anche qui ipotesi). Naturale che non ci possiamo aspettare che ce lo regalino: anzi!! Però dentro la mia testa bacata non posso anche fare a meno di pensare che prezzi alle stelle creerebbero ulteriore stallo economico, in tutto il globo e non solo in Italia, a meno che non ci si sbrighi con l'energia alternativa. Sono molto diviso fra le due questioni...
Poi c'è la questione del fattore salari: vedendo loro quota, anche se ci fosse ripresa non so quanto possa andare ad incidere sul prezzo finale...sarebbe come ammettere che la scala mobile causava l'inflazione, ipotesi non veritiera. E non dimentichiamo che se quota salari sale, quella profitti teoricamente scende perchè "imprenditore" ha interesse a mantenere comunque quota di mercato acquisita. Aumentando i prezzi in relazione ad aumento quota salari andrebbe fuori mercato...meglio quindi "razionalmente" diminuire quota ma mantenere le vendite...
Infine sugli impianti: non ci sono dubbi...il dilemma è proprio quello...nel senso: i grandi poli per ora tengono o sono in cassintegrazione (quindi sembra scongiurato un loro smantellamento, non so, dico FIAT, ILVA per ora, e varie controllate Finmeccanica)...ciò che sta morendo è la PMI del mercato interno strozzata dalla domanda stagnante e del credit crunch, resistono invece per ora quelle votate all'export. La domanda da porsi è: fino a quando? Perchè ancora un po' e veramente ci troviamo nel deserto...certo è che una ricognizione delle condizioni dell'industria e del manifatturiero italiani aiuterebbe naturalmente anche previsioni su possibili scenari futuri...su questo non ci piove...ma se, come ben diceva Pozzi, son tutti "monetaristi"...hai voglia ad aspettare...
Ma sull'importazione energetica siamo d'accordo, Salvo il grosso problema dell'incombere del disegno delle tecnologie verdi, sempre da importare, e sempre orientabile dagli stessi soggetti che hanno in mano il mercato del petrolio. Elemento che sarebbe imprudente trascurare: comunque vada con l'euro e quindi problema non causato dall'euro exit, ma che potrebbe manifestarsi in coincidenza con essa.
EliminaSui salari ho già detto: non sono la possibile causa di una tensione sui prezzi, anche ammettendo la dinamica tanto deprecata dai neo-classici, cioè crescita salariale non minore della crescita reale del PIL. Fenomeno che è invece garanzia di ulteriore crescita da domanda interna (che agevola il risparmio e quindi l'investimento da cui anche l'esportazione).
Il vero punto critico, come ti accorgi, è quello del ritardo degli investimenti (dopo una compressione ventennale a differenza che nel 1992, in cui la compressione fu meno sostenuta e preceduta da una fase di spesa pubblica di volume molto meno ridotto).
Il ritardo infrastrutturale colpisce tutta l'industria; quello della ricerca e dello "spiazzamento" del lavoro, precarizzato e dequalificato, rispetto al capitale (tecnologia), colpisce le PMI. Che occorra l'intervento pubblico, intenso e tempestivo, per il rilancio, è pacifico.
Ma la prima precondizione, più ancora che gli studi sui settori, è la modifica istituzionale della BC (il cui ufficio studi ben potrebbe coordinarsi con altri e eseguire tali studi...se fosse orientato alla crescita e non alla deflazione, secondo il pensiero fondativo di Andreatta :-)).
una domanda terra terra stile molto popolare: ma secondo voi siamo seriamente a rischio prelievo dai conti correnti?
RispondiEliminaSecondo me, si. Se non altro perché l'UE è il luogo dove si dice ciò che non si fa e si fa ciò che non si dice. Ora: tutti "dicono" che Cipro è un caso unico ed isolato.....
EliminaI tedeschi vogliono il 15% del nostro patrimonio mobiliare.....
RispondiEliminaCiao Quarantotto, per usare le parole di Sapir l'esperienza Cipro evidenzia che i tedeschi vogliono fare pagare i costi della crisi ai paesi che hanno subito la crisi stessa, ormai è sotto gli occhi di tutti, è evidente anche a un cieco. Come la nostra classe dirigenziale non se ne accorga ancora è un mistero insondabile che ha più attinenza ai misteri dell'occulto ( per chi ci crede) che non alla ragione.
RispondiEliminaSempre la crisi di Cipro mette in evidenza un altra questione cruciale, ne ha già parlato Bagnai e vedo anche Sapir ( magari fosse farina del mio sacco). Il governo Cipriota per evitare una fuga massiccia di capitali sarà costretto ad introdurre dei controlli sui movimenti dei capitali, cosa che teoricamente nella Ue sarebbe vietato. E qui viene meno uno dei paradigmi del neoliberismo su cui è fondata la UE. Le crepe sull'edificio UE iniziano a manifestarsi.
Penso che in futuro ne vedremmo delle belle, in una situazione fluidissima può succedere di tutto.
Di una cosa sono certo, questo blog non sarà ad uso di qualche storico specialista, ma contribuirà a fare la storia prossima ventura di questo Paese. Per adesso è il miglior pensatoio Politico/Economico/Giuridico e non mettiamo limiti alla PROVVIDENZA.
Grazissime a Vossia per l'apprezzamento.
EliminaFermo restando che concordo che la libera circolazione dei capitali è una delle chiavi di volta della costruzione neo-liberista, che così rischia l'implosione, ricambio regalandoti questa notiziuola che mostra come il blocco degli sportelli a Cipro non è nemmeno stato poi così "utile":
http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2013/3/27/CASO-CIPRO-Ecco-come-i-russi-hanno-fregato-l-Europa/377472/
Caro Orizzonte48, sono ormai alcuni mesi che seguo il Suo blog, del quale sono venuto a conoscenza attraverso Goofynomics. Rivolgo anche a Lei i miei dovuti e veramente sentiti ringraziamenti (gli stessi già comunicati al prof. Bagnai) per il lavoro di divulgazione che sta facendo.
RispondiEliminaColgo l’occasione che mi offrono i post precedenti per rivolgerLe una richiesta di chiarimenti sul tema della ‘limitazione nella circolazione internazionale dei capitali’.
Ho letto il libro del prof. Bagnai. Negli ultimi capitoli - dove si spiega cosa fare dopo l’uscita dalla moneta unica - viene rimarcata l’importanza appunto del controllo sui movimenti internazionali di capitali. A me interessa sapere quali sono gli strumenti che vengono utilizzati per implementare questi controlli e cioè come si fa, in pratica, ad incanalare ed imbrigliare questi flussi.
La mia curiosità, in verità, nasce da una considerazione molto ‘prosaica’ in relazione alla gestione dei miei risparmi.
Da alcuni anni riesco - con risultati non sempre significativi ma costanti - ad arrotondare il mio reddito con un’attività di trading che mi porta mensilmente a non dovermi preoccupare troppo della ‘quarta settimana’.
Considerando che opero soprattutto su futures su indici statunitensi e forex, vorrei capire se l’eventuale ‘stretta’ potrebbe influire su questo tipo di strumenti e se - essendo denominati in valuta estera (addirittura, nel forex, si tratta di vera compravendita di valute) -rischiano di essere bloccati o irrimediabilmente limitati.
Non le nascondo il mio imbarazzo nel porle una questione così piccola di fronte ai problemi giganteschi a cui il blog è dedicato, ma le sarei veramente grato se avesse la possibilità di indicarmi anche semplicemente siti o links nei quali attingere queste informazioni. La esorto comunque a non avere scrupoli nel cestinare il messaggio qualora lo ritenesse fuori luogo.
Le rinnovo la mia stima e il mio ringraziamento per il Suo impegno.
Lo strumento naturale in un caso di switch valutario nazionale, è ovviamente quello del decreto-legge, conseguente, tra l'altro, alla previa denunzia delle norme del trattato che, rispetto all'UE, prevedono la libera circolazione dei capitali. Per il resto del mondo si tratterebbe della deroga alla disciplina introdotta con la legge del 1988 (a sua volta conseguente all'Atto unico del 1986).
EliminaE' chiaro che per circolazione di capitali si intendono tutte le operazioni espresse in altre valute, cioè quelle che richiedono cessione di valuta nazionale per trasferirla su altra divisa.
La ringrazio per la sua disponibilità. In effetti è proprio questo il punto che volevo affrontare.
RispondiEliminaMi vengono in mente alcune situazioni:
1) acquistare Dollari - pagandoli quindi in Lire - tramite banca italiana.
2) trasferire Lire in un conto estero
3) trasferire una valuta straniera detenuta in italia su conto estero.
in queste tre fattispecie come si estrinsicherebbe la limitazione nella circolazione di capitale ? Tasse calcolate percentualmente sull'importo? limite alla somma da movimentare ?
In regime di blocco della circolazione dei capitali, tutti queste operazioni sono soggette a un duplice e progressivo limite: a) di importo (modesto), b) causale, cioè solo se per specifici titoli previsti dalla legge (esigenze dell'importazione-esportazione, da compiere presso l'allora esistente UIC; necessità di studio; ovviamente residenza all'estero del cittadino e simili: non vi rientrano le mere operazioni a scopo finanziario)
EliminaUn'ultima domanda.
RispondiEliminaLa situazione di blocco dei capitali, mi sembra di intuire, dovrebbe interessare un arco temporale limitato, immediatamente successivo all'uscita dall'euro, fino all'esaurirsi dello shock.
Mi interesserebbe però anche capire quale sarà (o sarebbe auspicabile sia) la situazione in condizioni di normalità post-euro. Se quindi le condizioni di blocco o limitazione potrebbero essere alleggerite, in che termini e soprattutto con quali strumenti. La ringrazio.
Non lo posso sapere, ovviamente. E dipende da molti fattori: ad es; se il blocco intervenga proprio perchè rimaniamo nell'euro e a causa di insolvenza bancaria diffusa; oppure se la nostra bilancia dei pagamenti, post euro, si riprende rapidamente e rientrano capitali rassicurati dall'assestamento del cambio.
EliminaSarebbe ipotizzabile un d.l che sospendesse a tempo la circolazione dei capitali nazionali; ma poi se ci sarà un vasto mutamento di paradigma mondiale, deciso insieme con un maggior controllo di un sistema finanziario riformato non è ora possibile prevederlo (e non è detto che sarebbe un male, anzi: occasioni di investimento finanziario nazionali si trovano, si tratta solo di fare ragionamenti diversi)