mercoledì 30 maggio 2018

MERCATI E COSTITUZIONE: "INTERVISTA" A CALAMANDREI. MA WEIDMAN E OETTINGER STRICTO IURE HANNO RAGIONE



1. Mi scuso con i lettori per il rallentamento nella pubblicazione dei post. 
Avrei voluto aggiornarvi su vari aspetti; ad esempio chiarire, entro il sistema della legalità costituzionale, la piena legittimità della progettazione tecnico-economica di un Piano B (terminologia che, personalmente, respingerei, ma che un'opera di sistematica demonizzazione mediatica ha riportato in auge); oppure, avrei voluto - peraltro "a grande richiesta" - aggiornarvi sull'ipotesi frattalica (che in realtà ha registrato degli avanzamenti talmente significativi che dovrebbero essere evidenti a chi finora si è appassionato a questo esercizio predittivo, basato sull'omotetia delle forme storiche degli eventi interni a un dato "organismo" o "sistema". Come può essere l'Italia considerata nella sua storia unitaria).

2. Il fatto è che siamo in pieno manifestarsi dell'ipotesi Calamandrei, così come formulata nel post dell'1 ottobre 2017.
Trattandosi indubitabilmente di una situazione legata alla volontà di far dichiarare, all'intero arco delle forze politiche elette, l'irreversibilità di una consistente cessione di sovranità a un'organizzazione economica internazionale, già avvenuta, con l'aggiunta dell'accettazione preventiva ed incondizionata di un'ulteriore cessione pressocché totalitaria, l'ipotesi Calamandrei si connota, in questo momento storico, come una ratifica del modello di formazione dell'indirizzo politico che, superando la Repubblica democratica fondata sul lavoro nella quale la sovranità appartiene al popolo, entro una forma di governo "parlamentare", - e sempre usando le stesse parole di Calamandrei -,  devolva la volontà costitutiva delle decisioni pubbliche fondamentali a "forze esterne, che stiano al di sopra del popolo e al di fuori dello Stato".

3. In sostanza, l'insieme delle condizioni politico-istituzionali e storico-economiche che si sono create sta manifestamente innescando, senza il passaggio per una revisione costituzionale, (che comunque ha, nel caso, una portata che eccede i limiti consentiti dall'art.139 Cost.), quel tipo di "redde rationem" più volte qui preannunziato come inevitabile, rendendosi de facto irrilevante ogni passaggio per gli organi di garanzia previsti dalla stessa Costituzione.  
Ne discende che potremmo definire l'attuale situazione per il simultaneo agire di tre spiccate tendenze radicalmente trasformative dell'ordinamento costituzionale

3a) una volta ritenuta superabile, per via di prassi applicativa di trattati internazionali, l'immutabilità della "forma repubblicana" - intesa nel senso estensivo attribuitogli da un consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, (v. qui p.8),  come democrazia parlamentare tenuta, in forza del fondamentalissimo art.3 comma 2, Cost. (formulato da Lelio Basso, cfr; p.8, e conformemente interpretato da Calamandrei, qui, pp.9-10) a garantire diritti fondamentali a essenziale carattere sociale e pluriclasse-, "la Costituzione non sarebbe semplicemente modificata, ma sarebbe distrutta; si ritornerebbe, cioè, allo stato di fatto, allo stato meramente politico in cui le forze politiche sarebbero di nuovo in libertà senza avere più nessuna costrizione di carattere legalitario...".

3b) Sempre traendo le conclusioni inevitabili dalla natura internazionalistico-finanziaria e "sovranazionale" del vincolo che determina questo stato di ritorno allo "stato meramente politico" e "privo di costrizione legalitaria" (ovviamente riferita alla legalità costituzionale consistente nella cogenza, per gli organi di indirizzo politico, dell'effettivo perseguimento dell'intero spettro prioritario dei diritti fondamentali), la conseguenza che indica Calamandrei è la seguente (p. 2): 
 "le forme di limitazione di sovranità conosciute e classificate dai giuristi non sono tutte le limitazioni che operano di fatto nella vita degli Stati: non soltanto perché nelle relazioni tra Stati (come nelle relazioni tra individui) si fanno sentire di fatto preminenze di ordine economico e militare, per le quali gli Stati economicamente più deboli debbono rassegnarsi a essere meno indipendenti di quelli economicamente più forti; ma anche perché i canali di penetrazione attraverso i quali le imposizioni riescono a infiltrarsi nell'interno di un ordinamento costituzionale apparentemente sovrano possono essere molto più complicati e molto meno classificabili di quelli previsti negli schemi dei giuristi.
Sicchè può avvenire che in uno Stato che si afferma indipendente gli organi che lo governano si trovino senza accorgersene, in virtù di questi segreti canali di permeazione, a esprimere non la volontà del proprio popolo, ma una volontà che vien dettata dall'esterno e di fronte alla quale il popolo cosiddetto sovrano si trova in realtà in condizione di sudditanza."



3c) questo cortocircuito, entro il quale, con grande acutezza e lucidità, Calamandrei avvertiva appunto come gli organi che governano uno Stato si possano trovare, "senza accorgersene, in virtù di questi segreti canali di permeazione", ad assecondare la tendenza dei paesi "economicamente più forti" a limitare, o a sopprimere, l'indipendenza di quelli economicamente "più deboli", implica un redde rationem che risolve d'un balzo, in senso del tutto avulso dai prioritari diritti fondamentali della Costituzione lavoristica (come evidenzia anche il prof. Villone in una recente intervista), una pregressa situazione di incertezza pendente da anni dinnanzi alla Corte costituzionale, così riassumibile:
"...Così facendo (ndQ; si trattava a suo tempo delle sentenze relative a leggi dichiarate incostituzionali ma di cui venivano limitati o soppressi gli effetti ripristinatori e restitutori sanciti dagli artt. 136 e 24 Cost.), la Corte avrebbe però anzitutto, ancora una volta, evitato di esaminare il problema "a monte", che è quanto evidenziato nel post da cui siamo partiti e cioè il legame tra: 
a) livello del bilancio fiscale, ridotto col "consolidamento", 
b) vincolo esterno a monte del consolidamento, cioè il pareggio di bilancio (in tutte le sue forme, comunque riduttive dell'indebitamento annuo)
c) disoccupazione-livello delle retribuzioni, e quindi anche del successivo trattamento pensionistico.  
La Corte, tuttavia, in aggiunta, avrebbe consolidato un altro passo avanti nello smantellamento costituzionale.
La Corte, infatti, avrebbe sì evitato il malcontento (governativo e, per via di condizionamento mediatico, della "gente", mal informata sulla autonomia e incomprimibilità costituzionale dei propri diritti fondamentali), cioè il sollevarsi della conseguente "guerra tra poveri", che ormai si connette ad ogni manovra di espansione della spesa pubblica (o di attenuazione del carico tributario), dovendosi "manovrare" in pareggio di bilancio: ma questo continuo aggirare il nodo della questione, implica il rafforzamento della presunta legittimità-liceità della circostanza, sempre più nevralgica nel caratterizzare la nostra realtà economica, che una "guerra tra poveri" ci possa e, anzi, (con grande soddisfazione della unanime grancassa ordoliberista eurofila) ci debba essere.


4. Perdonate, quindi, se queste mie note possono apparire così attente a questioni logico-giuridiche relative al dettato costituzionale e magari apparentemente distanti dall'evolversi della difficilissima realtà politico-istituzionale: sono analisi - e sono il primo  rendersene conto- difficilissimamente ascoltabili dai players politici che gestiscono l'attuale crisi.
E sono ancor più lontane dalla realtà giuridica (testuale e sistematica) del vincolo dei trattati.
Ma è proprio questo il punto su cui si sta giocando il futuro dell'indipendenza, del benessere e della giustizia sociale "minima" di un'intera Nazione. 

5. Post Scriptum: a rigor di trattati, infatti, Weidmann ha ragione, poiché basta leggersi gli artt. 123, 124 e 125 del TFUE:


Come pure, sempre stricto iure, ha ragione Oettinger, poiché il disciplinamento politico interno di ciascun paese aderente all'eurozona, via inderogabilità di severi parametri fiscali, è espressamente previsto come principio fondamentale e inderogabile che la governa (qui, p.12.1.):
Risoluzione sull'Unione Economica e Monetaria (doc. A 3-99/90) il Parlamento Europeo:

“A) considerando che l'Unione: economica e monetaria costituisce un obiettivo della Comunità dichiarato reiterato dal 1969 fino al suo inserimento nel Trattato CEE mediante l'Atto Unico ed esplicitamente ribadito dai Consigli europei di Hannover, Madrid e Strasburgo,
B) considerando che un'armonica realizzazione di tale obiettivo è strettamente legata a un'accelerazione dell'Unione politica della Comunità, con una revisione dei trattati che determini un rafforzamento del ruolo del PE; considerando che l'Unione politica s'impone tanto più in considerazione della riunificazione della Germania e degli sviluppi in corso nei paesi dell'Europa orientale…
C) considerando che il completamento del grande mercato interno non potrà produrre in maniera costante e permanente tutti i vantaggi che si aspettano i cittadini se non verrà rapidamente consolidato da un'Unione economica e monetaria in cui l'uso progressivo di una moneta comune (l'ECU) finirà per portare a una moneta unica…
G) considerando che l'Unione monetaria deve garantire la stabilità monetaria e favorire il progresso economico e sociale, e che tali finalità potranno essere garantite attraverso un sistema europeo di banche centrali, la cui autonomia dovrà fondarsi su basi giuridiche chiare,
H) considerando che il Sistema europeo di banche centrali (SEBC) deve godere del privilegio esclusivo della creazione monetaria, e quindi della capacità di utilizzare, senza alcuna autorizzazione preventiva, tutti gli strumenti di cui le grandi banche centrali moderne dispongono oggi par influenzare i mercati monetari…”

...“M) considerando che, per evitare che le autorità nazionali nuocciano all'obiettivo della stabilità monetaria e alla convergenza delle politiche macroeconomiche degli Stati membri, DEVONO ESSERE ADOTTATE NORME SEVERE CHE LIMITINO RIGOROSAMENTE il finanziamento monetario dei disavanzi pubblici E PROIBISCANO IL SALVATAGGIO AUTOMATICO, da parte della Comunità, DEGLI STATI MEMBRI IN DIFFICOLTÀ FINANZIARIA…
...PLAUDE alla decisione delle autorità degli Stati membri DI PROIBIRE IL FINANZIAMENTO MONETARIO DEL DISAVANZO PUBBLICO E L'INTERVENTO AUTOMATICO DELLA COMUNITÀ IN SOCCORSO DEGLI STATI MEMBRI CHE VERSANO IN DIFFICOLTÀ DI BILANCIO…"
Poi, Oettinger ha formulato delle scuse ufficiali; ma lo ha evidentemente fatto sulla base della opportunità diplomatica  di evitare, in questo momento, di far irrompere nella crisi politica italiana la cruda verità, con il precisare, in tutte le sue implicazioni, la realtà normativa del vincolo posto già nella fase di elaborazione del Trattato di Maastricht.

sabato 26 maggio 2018

L'IMPORTANZA DEL RESTARE UNITI. SULL'INTERESSE NAZIONALE




1. Mi limito a ribadire alcuni concetti che sono esattissimamente confermati dalla situazione attuale e che la riassumono .
Sarebbe inutile ripetere ancora analisi su dinamiche evidenti che erano già in corso di sviluppo e che avrebbero inevitabilmente condotto alla crisi in corso: 
"La vicenda Ucraina, la vicenda greca, e persino quella libica, ma soprattuto l'apparentemente inarrestabile declino italiano, dimostrano come questo apparato repressivo-impositivo, basato sullo "stato di necessità" creato in via economico-monetaria (scambi liberalizzati e moneta de-statualizzata), non portino altro che all'autosmascheramento di un disegno distruttivo delle democrazie sovrane.
Non a caso Karl Schmitt aveva evidenziato che "sovrano è colui che decide lo stato di eccezione", cioè chi può dichiarare e portare a conseguenza quella superiore necessità che impone di derogare e sovvertire l'ordine della legalità di uno Stato, corrispondente alle leggi che il suo popolo si era in precedenza democraticamente create.
L'€uropa, in questo quadro di minima ricognizione del senso della legalità costituzionale, a fronte dello spettacolo penoso dato dalla "trattativa" sulla Grecia, è dunque un nuovo tipo di TOTALITARISMO; naturalmente "internazionalista", dettato dai Paesi che, già forti, avevano imposto il contenuto dei trattati, per amplificare un'avida supremazia. Senza più democrazia".


2. La vera novità politica del momento è la trovata unità, almeno allo stato attuale delle cose, delle più rappresentative forze politiche del paese; un'unità ritrovata proprio sull'interesse nazionale.
Questo elemento nuovo, e sottovalutato dai "mercati", al punto da risultargli imprevisto per la forma che sta assumendo, altera il dispiegarsi della sceneggiatura del Truman Show
Ma la resistenza dell'ordine internazionale del mercato ad abbandonare questo stesso schema, determina un'impasse pericolosa. Per il benessere e l'indipendenza della Nazione. 
Di conseguenza, seppure spiazzato, il sistema di dominio dei mercati tenterà di arrivare comunque all'esito programmato: magari contando che questa nuova unità della maggioranza della Nazione ceda alfine sotto le pressioni esercitate in ogni modo:  
"...si potrebbe persino dire che l'apparente frammentazione partitica attuale sia un bene per il "governo dei mercati": restituisce alle masse una sceneggiatura di contendibilità delle istituzioni (democratico-elettive) su varie, apparenti, versioni dell'indirizzo politico e così allontana la presa d'atto popolare sull'abolizione delle sovranità democratiche.
La sceneggiatura di una grande reality sedativo stile "Truman show".

E dunque, aveva pienamente ragione Reichlin (qui, p.8.1.):
"I mercati governano, i tecnici gestiscono, i politici vanno in televisione".

E questa è l'€uropa: ora più che mai.


Perché il problema di fondo rimane sempre questo: "Se un "governo" sovranazionale free-trade non è strutturalmente idoneo ad autoriformarsi per via endogena - e le ragioni sono le stesse per cui i paesi non vincolati dalla bdp, cioè in surplus, non risultano praticamente mai, nella storia economica, aumentare le proprie importazioni e raggiungere il pieno impiego, cooperando spontaneamente a riequilibrare i saldi esteri e i livelli di occupazione dei paesi "vincolati"-, ne deriva una struttura della massima rigidità.

E una tale struttura può solo collassare, escludendo, geneticamente, qualsiasi elasticità delle sue regole: se infatti fosse prevista una clausola di "elasticità", la sua governance riterrebbe di perdere la "credibilità" necessaria per affermare i suoi fini naturali.

E in fondo, è ciò che ci va ripetendo, ogni volta che ne ha l'occasione, Mario Draghi.
Anzi, precisa che qualsiasi alternativa a tale rigidità istituzionale è "unrealistic".

Quindi il destino delle masse €uropee è segnato".

Una volta fissato l'autosufficiente valore della governabilità ex se, come esercizio di gestione tecnocratica conforme alla volontà dei mercati, e quindi, giunta a consunzione totale la stessa funzione originaria delle elezioni, - venuta a noia ai mercati che governano, nonché ai cittadini, che sempre più tenderanno ad astenersi per l'inutilità, prima ancora che per la difficoltà, di identificare una volontà del corpo elettorale-, si hanno drammatiche conseguenze sul piano della futura sopravvivenza dei riti elettorali
Ed infatti, con sempre più insistenza (mediatica), si sta affermando una crescente intolleranza per il voto, in quanto "di protesta" (per il peggiorare delle condizioni sociali del lavoro, essenzialmente) e come tale inefficiente. E, con prevedibile coerenza, dovrebbe avere i giorni contati (in €uropa)".