venerdì 24 marzo 2017

60 ANNI DAL TRATTATO DI ROMA: L'€UROPA E' STATA UN PIENO SUCCESSO


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1. Mentre sale la tensione per i problemi di ordine pubblico che potrebbero verificarsi in una Roma super-blindata mentre va in scena la paradossale commemorazione dei 60 anni del Trattato CEE, è un esercizio diffuso sui media italiani quello di  interrogarsi su cosa potrà venire fuori dall'incontro tra capi di Stato e capi di governo europei che si radunano in una città che, almeno nelle intenzioni, (ri)diverrebbe un "simbolo" dell'€uropa unita.

2. In fondo, pur nella sua versione allargata, la situazione è la medesima che si prospettava per il vertice di Ventotene dello scorso agosto
La imminente formalizzazione del recesso del Regno Unito ai sensi dell'art.50 del Trattato e la crisi di governo italiana conseguente all'esito del referendum, non hanno mutato sostanzialmente il quadro e né potevano farlo: ognuna delle dinamiche in atto non molti mesi fa si è confermata e, semmai, rafforzata
La stessa novità dell'atteggiamento degli Stati Uniti, legata all'elezione di Trump, non pare decisiva in un senso o nell'altro, dato che non si è manifestata in decisioni formali dell'Amministrazione USA, e né, comunque, ha innescato atteggiamenti nuovi da parte delle potenze €uropee che guidano l'eurozona (il cuore di tutta la vicenda, com'è del tutto evidente). 

3. Riassumiamo in estrema sintesi la situazione storica, politica ed ideologico-economica che ha caratterizzato il processo della "costruzione europea", appunto in coerenza con quanto era già stato segnalato nello scorso agosto (p.1):
 "La costruzione €uropea, - contrariamente a quanto ritengono gli z€loti che vivono di luoghi comuni, facitori e vittime della propaganda neo-ordo-liberista -, è stata guidata dalla volontà USA di governare l'intero Occidente (qui p.2 e qui, per la traduzione della fonte ufficiale), assicurandosi, per la sua parte più importante (cioè il "vecchio" continente), due certezze considerate imprescindibili: 
a) ancorare il continente "madre" (o "padre") all'economia di mercato, in contrapposizione a ogni cedimento "socialista" al bolscevismo sovietico, e trascinarlo in tutte le successive evoluzioni economico-ideologiche del "mercatismo", preparatorie e posteriori alla "caduta del muro" (in particolare il Washington Consensus);
b) agevolare il conseguente perseguimento delle strategie geo-politiche ritenute opportune dagli USA stessi  - o meglio dal suo establishment sentitosi trionfatore della guerra fredda e emblema della "fine della Storia"-, in quanto naturali leaders di questo blocco omogeneo di paesi trasformati in sinergici ausiliari "liberal-liberisti": l'agevolazione consentita dall'€uropa è quella di avere un interlocutore unico allorquando occorra garantire un coordinamento politico, ossequioso della linea stabilita al centro dell'Impero, verso le aree diverse da questo blocco (come insegna la vicenda dell'Ucraina e, in misura più incerta, quella dei Balcani, della Libia e del Medioriente...).

3.1. Ancor più importante, è la precisazione della posizione cui la Germania, e i paesi che economicamente, (ma anche in proiezione militare, ormai), sono da considerare come suoi "satelliti" (p.3):
"...la Germania non sente di essere in crisi e, comunque, segue le politiche che le sono congeniali nel proprio irrinunciabile interesse nazionale (qui pp. 2-3). 
L'UE, e ovviamente più ancora l'euro, sono solo strumenti di potenziamento di questo interesse nazionale che possono essere accettabili, a norma della sua stessa Costituzione, solo a condizione che tale convenienza rafforzata sia effettivamente raggiunta. 
Gli altri paesi, su tutti l'Italia, - che rappresenta(va) allo stadio più avanzato il modello costituzional-keynesiano e che quindi andava normalizzata, a colpi di "riforme", più e prima di ogni altro Stato "nazionale" europeo, rivestendo ciò un prioritario valore simbolico per gli stessi USA- versano invece in una sempre più grave crisi strutturale, posta in relazione di dipendenza inversa con la "prosperità" perseguita dalla Germania.
Perciò l'esito del summit di Ventotene era già scritto.
...
Leaders disabituati a decidere perchè parte di classi politiche guidate da decenni di strategia behind the scene degli USA, che restringe ogni possibile azione di governo alle riforme neo-liberiste-supply side (sperimentate per prime dal FMI sui paesi in via di sviluppo); leaders ormai persino nati e cresciuti dentro la "addiction" dei parametri rigidi e degli automatismi di cui l'ordoliberismo strumentale ha infarcito trattati immodificabili (prima ancora che inaccettabili per qualsiasi democrazia sostanziale), non hanno alcuna attitudine a risolvere i problemi derivanti dall'eurozona: per essere in grado di farlo, se non altro, dovrebbero rinnegare se stessi apertamente e, implicitamente, le politiche seguite ottusamente per oltre 30 anni dai ranghi partitici da cui provengono
Dovrebbero perciò sopportare un costo altissimo in termini politici e personali: quello di guidare una sostanziale rivoluzione - perché a questo corrisponderebbe una modifica dei trattati in senso veramente risolutivo della crisi di crescita e di identità sociale che hanno provocato con la loro applicazione.
Insomma, dovrebbero realizzare nella sostanza un vero e proprio cambiamento di classi dirigenti, mettendo in discussione, prima di tutto, la propria stessa esistenza politica
Perché in ciò e solo in ciò consiste una "rivoluzione" e non una messa in scena cosmetica da dare in pasto ai media addomesticati o, nella migliore delle ipotesi, ormai deprivati delle risorse culturali per interpretare il presente (che essi stessi hanno decisivamente contribuito ad alterare sul piano della percezione culturale)".

4. Una ricostruzione storica la potete trovare nella serie di post di Arturo (a partire da questo) che riassumono sia gli impulsi genetici al federalismo europeo provenienti dagli Stati Uniti (fatto storico documentato con una tale ampiezza di fonti dirette e di studi che non pare seriamente dubitabile), sia la strategia della gradualità "stealthy", cioè "nascosta", "inavvertita", con cui l'intero processo è stato costantemente concepito.
Al post "Maastricht: era già tutto previsto" ho aggiunto un'ulteriore conferma tratta da un articolo di Evans-Pritchard, fondato sempre su fonti documentali, e che, in questa sede, vi traduco:
"E' stata Washington a guidare l'integrazione europea nei tardi anni '40, finanziandola in modo "coperto" tramite le Amministrazioni Truman, Eisenhower, Kennedy, Johnson e Nixon.
Sebbene talvolta irritati, gli USA hanno fatto affidamento sull'unione europea da allora per dare ancoraggio agli interessi regionali americani accoppiati nella NATO...
La dichiarazione Schuman che segnò la riconciliazione franco-tedesca - e che avrebbe condotto alla Comunità europea nei suoi vari stadi- fu preparata dall'allora Segretario di Stato Dean Acheson nel summit di Foggy Bottom (ndr; un nome in sé già presago dei contorni indefiniti, per le opinioni pubbliche, dei disegni perseguiti). "E' cominciato tutto a Washington" dichiarò il capo dello staff di Schuman.
...Fu l'amministrazione Truman che "forzò" i francesi a cercare un modus vivendi con la Germania nel primo dopoguerra, arrivando persino a minacciare di tagliarle i fondi del Piano Marshall in un acceso meeting coi leader francesi che recalcitravano nel 1950.
...Negli anni che seguirono vi furono gravi errori di valutazione, naturalmente. Un "memo" datato 11 giugno 1965, impartisce al vicepresidente della Commissione europea l'istruzione di perseguire l'unione monetaria in modo "innavvertito" (dalle opinioni pubbliche: "by stealth"), sopprimendo il dibattito fino a quando "l'adozione di tale proposta non fosse divenuta praticamente ineludibile"...

5. E in effetti è andata proprio così. Abbiamo la documentazione circa l'origine (da oltreoceano) del "metodo" che viene variamente attribuito:
- a Monnet

(la cui fonte più prossima, in ordine all'attribuibilità, che peraltro non v'è ragione obiettiva di ritenere inverosimile, la potete rinvenire qui)
"Non penso che sia una buona idea rimpiazzare questo metodo lento ed efficace - che solleva gli Stati nazionali dall'ansia mentre vengono privati del potere- con grandi balzi istituzionali...Perciò preferisco andare lentamente, frantumando i pezzi di sovranità poco a poco, evitando brusche transizioni dal potere nazionale a quello federale. Questo è il modo in cui ritengo che dovremo costruire le politiche comuni europee...".
"prendiamo una decisione e la mettiamo sul tavolo, aspettando di vedere quali reazioni susciterà; se non vi sono resistenze perchè nessuno ci ha capito nulla, andiamo avanti fino al punto di non ritorno...".
- fino alla complementare affermazione di Prodi, che si collega al già visto sistema "stealthy" di imposizione della moneta unica e che, come abbiamo visto ne "La Costituzione nella palude", era stato grosso modo già programmato nelle stesse proiezioni del primo progetto ufficiale di moneta unica, contenuto nel Rapporto Werner del 1971 (qui, p.2):
 
5.1. Mentre, sempre Prodi, ci fornisce la descrizione pratica delle linee di politica socio-economica che comunque hanno caratterizzato lo "stato di attuazione", rebus sic stantibus, della moneta unica e i suoi limiti di applicabilità:
https://aramcheck.files.wordpress.com/2016/06/senza-titolo.png?w=590&h=446 
 
6. Ma, chiarita questa serie di premesse storico-politiche indispensabili, torniamo alle prospettive del super-vertice di Roma. Ancora una volta, è lo stesso Prodi a fornirci una chiave di lettura che va comunque decifrata
I punti salienti ci paiono questi: 
"Un progetto che, dalla bocciatura francese e olandese del referendum costituzionale nel 2005, si è interrotto e, con esso, si è interrotto il processo di creazione di una federazione fra Stati uguali. L’entusiasmo genuino e popolare che aveva accompagnato ogni traguardo raggiunto, si è spento e si è trasformato in diffidenza e paura. La solidarietà che era il fondamento della casa comune europea, che ci ha consentito di vivere in pace per tre generazioni, che ha fatto dell’Europa la «casa delle minoranze», oggi arretra e abdica di fronte agli egoismi nazionali e alla paura che mina le fondamenta stesse della nostra Unione.
Forti e isolati  
Siamo sempre più deboli e divisi: di fronte all’arretramento francese, alla recente uscita della Gran Bretagna, l’unica nazione alla quale tutti fanno oggi riferimento è la Germania. Forte per le sue virtù e per i suoi meriti, la Germania sta tuttavia esercitando la sua leadership senza quello sforzo di condivisione con gli altri Paesi membri che è necessario perché la leadership sia accettata in modo coesivo.
Si pensi alle tensioni che si sono accumulate intorno al problema greco per il fatto che esso è stato affrontato non in un dialogo tra Bruxelles e Atene ma, sostanzialmente, tra Berlino e Atene.
In conseguenza di questa nazionalizzazione dell’Unione, la Commissione Europea ha perduto progressivamente di potere. Ne è prova il fatto che, nel recente Libro bianco che prepara l’incontro di Roma, il presidente Juncker avanza ben 5 proposte di possibili scenari futuri ma non ne sceglie nemmeno una, manifestando così la grande difficoltà politica nella quale oggi si trova la Commissione. (Le cinque opzioni, "vanno da un'unione sempre più stretta fino ad un'alleanza puramente commerciale")."


7. Noi sappiamo, invece, che la "solidarietà" tra Stati-membri è prevista nei trattati in modo che, - se posta sul piano finanziario e fiscale, l'unico proprio di un'unione che voglia caratterizzarsi come politica e, in concreto, anche democratica-,  essa sia esplicitamente vietata, non solo "non contemplata", come risultava coscientemente nel rapporto Werner: e abbiamo visto come tale divieto di solidarietà corrisponda a una precisa e coessenziale visione, politica prima ancora che economica, affermata dalle istituzioni UE-M senza mezzi termini:
Con la Risoluzione sull'Unione Economica e Monetaria (doc. A 3-99/90) il Parlamento Europeo:
“A) considerando che l'Unione economica e monetaria costituisce un obiettivo della Comunità dichiarato reiterato dal 1969 fino al suo inserimento nel Trattato CEE mediante l'Atto Unico ed esplicitamente ribadito dai Consigli europei di Hannover, Madrid e Strasburgo,
B) considerando che un'armonica realizzazione di tale obiettivo è strettamente legata a un'accelerazione dell'Unione politica della Comunità, con una revisione dei trattati che determini un rafforzamento del ruolo del PE; considerando che l'Unione politica s'impone tanto più in considerazione della riunificazione della Germania e degli sviluppi in corso nei paesi dell'Europa orientale…
C) considerando che il completamento del grande mercato interno non potrà produrre in maniera costante e permanente tutti i vantaggi che si aspettano i cittadini se non verrà rapidamente consolidato da un'Unione economica e monetaria in cui l'uso progressivo di una moneta comune (l'ECU) finirà per portare a una moneta unica…
G) considerando che l'Unione monetaria deve garantire la stabilità monetaria e favorire il progresso economico e sociale, e che tali finalità potranno essere garantite attraverso un SISTEMA EUROPEO DI BANCHE CENTRALI, la cui autonomia dovrà fondarsi su basi giuridiche chiare,
H) considerando che il Sistema europeo di banche centrali (SEBC) DEVE GODERE DEL PRIVILEGIO ESCLUSIVO DELLA CREAZIONE MONETARIA e quindi della capacità di utilizzare, senza alcuna autorizzazione preventiva, tutti gli strumenti di cui le grandi banche centrali moderne dispongono oggi par influenzare i mercati monetari…”
E soprattutto:
“M) considerando che, PER EVITARE CHE LE AUTORITÀ NAZIONALI NUOCCIANO ALL'OBIETTIVO DELLA STABILITÀ MONETARIA e alla convergenza delle politiche macroeconomiche degli Stati membri, DEVONO ESSERE ADOTTATE NORME SEVERE CHE LIMITINO RIGOROSAMENTE il finanziamento monetario dei disavanzi pubblici E PROIBISCANO IL SALVATAGGIO AUTOMATICO, da parte della Comunità, DEGLI STATI MEMBRI IN DIFFICOLTÀ FINANZIARIA…"


5. PLAUDE alla decisione delle autorità degli Stati membri DI PROIBIRE IL FINANZIAMENTO MONETARIO DEL DISAVANZO PUBBLICO E L'INTERVENTO AUTOMATICO DELLA COMUNITÀ IN SOCCORSO DEGLI STATI MEMBRI CHE VERSANO IN DIFFICOLTÀ DI BILANCIO…
...9. considera necessario creare un sistema europeo di banche centrali che decida autonomamente come attuare gli obiettivi della politica monetaria definiti dal Consiglio e approvati dal Parlamento…; onde evitare che le autorità nazionali nuocciano all'obiettivo della stabilità monetaria e della convergenza delle politiche macroeconomiche degli Stati membri, DOVRANNO ESSERE ADOTTATE SEVERE NORME CHE LIMITINO RIGOROSAMENTE IL FINANZIAMENTO MONETARIO DEI DISAVANZI PUBBLICI E PROIBISCANO IL SALVATAGGIO AUTOMATICO DELLA COMUNITÀ, DEGLI STATI MEMBRI IN DIFFICOLTÀ…”. 


Queste cose, queste "risoluzioni" ufficiali e pienamente esplicative delle concrete previsioni vincolanti dei trattati, Prodi dovrebbe conoscerle: e infatti, la sua affermazione sullo smantellamento progressivo del welfare all'interno della moneta unica, che è una versione solo un po' meno meno drastica della "durezza del vivere" auspicata dal ministro del suo governo Padoa-Schioppa, è più coerente con tale consapevolezza.

8. D'altra parte, se cade la premessa solidaristica, cade tutto il resto del discorso sulle prospettive di riavvio del processo in forme solidali (ma come? Volute e esplicitate da chi?) che, nella realtà giuridico-istituzionale dell'eurozona non si sono mai presentate e neppure sono mai state contemplate. Non è la "nazionalizzazione" il problema che porta alla crisi dei rapporti tra paesi aderenti alla moneta unica e, in realtà, a maggior ragione, con quelli che non vi aderiscono. E' proprio l'ordinario agire applicativo dei trattati.

La verità che trapela prepotente da tutto questo quadro pare oggettivamente essere un'altra.
La Germania, abbiamo visto potenza vincitrice della competizione commercial-industriale cui ha portato l'assetto esplicitamente antisolidaristico dei trattati, non si considera "in crisi"
E, con essa, al netto del problema cultural-sociologico dell'immigrazione, neppure l'Olanda, come conferma il senso ultimo delle contestate dichiarazioni di Djisselbloem, appunto endorsed da Schauble senza alcuna riserva.
E dunque, i vincitori, all'interno del processo europeista che, data l'importanza decisiva dei rapporti di forza che i trattati internazionali tendono inevitabilmente ad amplificare, tenderanno ad affermare ulteriori evoluzioni in senso ancora più stringente verso l'affermazione del "loro" modello di "integrazione"
La stessa "europa a due velocità" non è altro che un modo di affermare che i paesi "irrevocabilmente" (come lo stesso Draghi ha tenuto a ri-precisare) dentro l'eurozona sono il vero e unico bersaglio pratico delle prospettive di accelerazione del modello attuale. Senza alcun compromesso possibile. 

9. E non è che questa sia una mera speculazione deduttiva: al di là delle probabilmente inconcludenti discussioni che si svolgeranno a Roma il 25 marzo, infatti, la precisa formalizzazione di quel che le istituzioni europee, e non certo i "rapporti nazionalizzati", sono capaci di esprimere in termini di revisione dei trattati, assume una caratteristica ben precisa (certo, le istituzioni europee, nei loro processi decisionali, sono soggette alla prassi ed ai rapporti di forza affermatisi e amplificatisi in base ai trattati stessi: ma questo è un fenomeno, per l'appunto, inevitabile e inscindibile proprio da questa natura istituzionale di un'organizzazione internazionale essenzialmente liberoscambista).
Ed infatti, l'unica prospettiva ufficialmente formalizzata, in quanto passata già per una deliberazione del parlamento europeo e, appunto, motivata dalla presa d'atto della Brexit in connessione con l'esigenza di "completare l'unione politica e monetaria", in raccordo con la "relazione dei cinque presidenti" e in vista di un "accordo interistituzionale con Comissione e Consiglio UE", è quella che si trova nei tre reports positivamente votati dallo stesso parlamento. Eccovi i relativi links:
1) Report sulla Capacità fiscale dell'Eurozona
2) Possibile evoluzione e adeguamento dell'attuale struttura istituzionale dell'Unione europea
3) Miglioramento del funzionamento dell'Unione europea sfruttando le potenzialità del trattato di Lisbona: 

10. Un commento di sintesi della pletorica (come di consueto) serie di misure e di considerando che nascondono, appunto "stealthy", una precisa volontà negoziale e dispositiva del destino di centinaia di milioni di cittadini degli Stati coinvolti:
"Si parla nel "complesso dei tre report" di istituire un bilancio dedicato per la zona Euro, da finanziare non si sa bene con quali modalità e risorse, ma di sicuro non con trasferimenti di risorse dalle economie forti in surplus (che godono di una moneta tagliata su misura per la loro economia, leggasi Germania e Olanda) a sostegno delle aree depresse. Questa proposta è quindi il cavallo di Troia per ricattare sistematicamente i Paesi in difficoltà imponendo - in cambio di "aiuti" (id est: restituzione di ciò che gli stessi Stati hanno dovuto versare in forma di maggiorato contributo al bilancio "federale")- condizionalità asfissianti con riforme strutturali e vari programmi di aggiustamento economico. 
Si insiste sul "normare" il trattamento riservato alla Grecia in termini di distruzione del welfare, precarizzazione del lavoro, impoverimento generale del popolo e privatizzazioni selvagge. Naturalmente sotto ricatto.
Si parla d'istituzionalizzare il MES - il mostruoso fondo salva-Stati di cui vi abbiamo già parlato - in varie forme: inserendolo direttamente nei trattati e quindi rendendolo "irreversibile". Oppure trasformarlo in un Fondo Monetario Europeo che erogherà aiuti imponendo riforme neoliberiste folli e anacronistiche, distruggendo di fatto il Paese che dovrà attuarle.
C'è addirittura la pretesa di creare ad hoc un super-ministro delle finanze per l'Eurozona, fondendo le figure del presidente dell'Eurogruppo e del commissario europeo agli affari economici e sociali. Fuori da qualsiasi controllo democratico questa figura diventerebbe lo spin-doctor del potere tecnocratico tedesco e avrebbe la facoltà d'imporre il rispetto religioso del patto di stabilità e crescita e, ancora, del Fiscal Compact".

11. Insomma, spentisi i riflettori sulla mega-kermesse romana, e magari trascorsi alcuni giorni di  discussioni mediatiche basate su curiose e pretesamente "commiserative" rivendicazioni "contro" (i populismi, i razzismi, la xenofobia, la perdita dello slancio ideale e...solidale), basate su problematiche in parte immaginarie e in parte relative ad effetti di decisioni istituzionali UE che non "potranno" mai essere rimesse in discussione, l'agenda ricomincerà inevitabilmente a correre sulle basi costituite da questi tre reports.
Ma questa realtà, è una dimensione di rapporti di forza che nessuna crisi di consenso elettorale pare poter smuovere: e d'altra parte, ciò è coerente con la consueta diffidenza e ostilità verso i parlamenti nazionali, visti come espressione distonica della disfunzionalità del suffragio universale, - esercizio delle sovranità popolari-, a garantire ciò che è visto esclusivamente come "efficienza allocativa", esclusivamente conseguibile dall'ordine sovranazionale del mercato (qui, p.4, nella definizione di Karl Polanyi).

11.1. E questa realtà è e rimane l'unica proiezione storico-politica ed economica in cui si sono manifestati i trattati europei. Senza che si sia mai posta alcuna alternativa. Finora.
Ma è praticamente impossibile che qualcosa cambi per forze di autocorrezione endogena
Il fatto è che l'€uropa, dal punto di vista delle sue premesse politico-ideologiche, è stata un pieno successo: la crisi attuale può soltanto essere vista come un episodio, tutto sommato scontato e superabile, di resistenza del "vecchio" ordine (disfunzionale) delle democrazie nazionali e del capitalismo collaborativo  (così definito da Eichengreen in relazione ai rapporti che si instaurarono nel dopoguerra prima che prendesse definitivamente il sopravvento la restaurazione dell'ordine sovranazionale del mercato) che i trattati sono inesorabilmente volti a sopprimere. 
Irreversibilmente.

18 commenti:

  1. Anche ieri, mentre discettavo di ordoliberismo come burocratismo stalinista al servizio dei pinochettiani, tenevo ben in mente Zinoviev. Intellettuale che ha passato la vita a occuparsi di logica, sistemi complessi e sistemi sociali.

    Innanzitutto allerta proprio sul fatto che i sistemi sociali complessi non possono rivoluzionarsi endogenamente: quindi un governo unico mondiale conserverebbe i suoi mostruosi assetti sociali in modo sempiterno

    Sulle sue orme, poi, si può riconoscere che le stragi e i genocidi che compiono i liberisti, non consistono nelle mostruose torture, sevizie ed omicidi imposti alle classi subalterne supportando i fascismi, ma nello stragismo economico di cui Prodi ammette candidamente di essere volenteroso carnefice.

    Siamo di fronte a qualcosa di orribile: ossia il tipico trattamento riservato dalle classi dominanti occidentali al... "terzo mondo"

    Possiamo affermare che la globalizzazione liberista è un processo di terzomondizzazione su scala mondiale.

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    1. Se un "governo" sovranazionale free-trade non è strutturalmente idoneo ad autoriformarsi per via endogena (e le ragioni sono le stesse per cui i paesi non vincolati dalla bdp, cioè in surplus, non risultano praticamente mai, nella storia economica, aumentare le proprie importazioni e raggiungere il pieno impiego, cooperando spontaneamente a riequilibrare i saldi esteri e i livelli di occupazione dei paesi "vincolati"), ne deriva una struttura della massima rigidità.

      E una tale struttura può solo collassare, escludendo, geneticamente, qualsiasi elasticità delle sue regole: se infatti fosse prevista una clausola di "elasticità", la sua governance riterrebbe di perdere la "credibilità" necessaria per affermare i suoi fini naturali.

      E in fondo, è ciò che ci va ripetendo, ogni volta che ne ha l'occasione, Mario Draghi.
      Anzi, precisa che qualsiasi alternativa a tale rigidità istituzionale è "unrealistic".

      Quindi il destino delle masse €uropee è segnato.

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  2. Grazie per questo post che sintetizza fenomenologicamente ed in modo magistrale la storia di un inequivocabile e mostruoso successo, cioè la rivincita del capital€ sulle Costituzioni democratiche. Chissà se le future generazioni avranno mai il coraggio e la dignità di riscrivere dalle fondamenta e con coscienza i libri di storia.

    … Allo sfregio della Brexit, ai nazionalismi che corrodono l’idea stessa di Unione, al dilagare dei populismi…”. Veramente Prodi è impresentabile, è insopportabile e fastidioso come una mosca. Ogni sua parola trasuda il tanfo dell’ideologia liberista ben simulata perché esposta con l’atteggiamento bonario del buon pater familias.

    Questa storia del “nazionalismo” ha proprio stancato e può attecchire ormai solo nei cervelli degli idioti: qualcuno dovrebbe intimargli di tapparsi la bocca:

    … Il nazionalismo è in effetti fra le nazioni ciò che l’individualismo è all’interno di esse. Ha origini e tendenze simili, vanta trionfi e difetti simili. Infatti il nazionalismo, come l’individualismo, pone l’accento sui diritti delle unità distinte e separate, non sulla loro subordinazione alle obbligazioni comuni, anche se le unità sono date da razze e nazioni, non da singoli uomini.

    Come l'individualismo, esso si appella a istinti d’arroganza, ai quali promette opportunità di espansione illimitata. Come l’individualismo, esso è una forza di immenso potere esplosivo, alle cui richieste si deve ottemperare prima che sia impossibile invocare un altro principio che ne controlli le operazioni. Non si può infatti imporre un’autorità internazionale a nazioni irritate, o malcontente o oppresse, più di quanto si possano subordinare i motivi economici al controllo della società prima che la società stessa abbia riconosciuto che esiste una sfera d’azione in cui questi motivi possano legittimamente intervenire.

    E,come il nazionalismo, l’individualismo, se portato alle sue logiche conclusioni, è autodistruttivo. Perché come il nazionalismo nella sua brillante giovinezza…afferma che le nazioni… devono dominare delle altre, così l’individualismo … finisce per giustificare l’assoggettamento della maggioranza degli uomini ai pochi che la fortuna, o particolari opportunità, o il privilegio, hanno posto in condizione di valersi dei propri diritti nel modo più proficuo. Nazionalismo e individualismo sorsero assieme. È probabile che se mai declineranno, declineranno insieme…
    (segue)

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  3. Così la perversione del nazionalismo è l’imperialismo... Ed è una perversione che si verifica non per un difetto o un vizio della natura umana, ma in forza dell’idea, perché il principio è sbagliato e rivela le sue pecche come rivela il suo potere. Esso infatti sostiene che i diritti della nazione e degli individui sono assoluti, il che è falso, invece di sostenere che tali diritti sono assoluti nella loro sfera…

    Così questo principio spinge le nazioni e gli individui in un corso di espansione infinita in cui divorano continenti e oceani, leggi, moralità, religione, e infine le loro anime, nel tentativo di conquistare l’infinito annettendosi tutto ciò che è finito. Nel frattempo i loro rivali e i loro sudditi, e le nazioni e gli individui stessi, sono consapevoli del pericolo dato dalle forze contrastanti; cercano quindi di comperare la sicurezza e di evitare una collisione organizzando un equilibrio di forze. Ma si tratta di un equilibrio che, nella politica internazionale e nell’industria, è instabile perché si basa non sul comune riconoscimento di un principio atto a limitare le rivendicazioni delle nazioni e degli individui, ma su un tentativo di trovare un punto d’incontro che possa evitare un conflitto senza eliminare pretese di portata illimitata. Ma un tale equilibrio non può essere trovato, perché in un mondo in cui le possibilità di aumentare la potenza militare e industriale non sono suscettibili di limitazione, un equilibrio del genere non può esistere
    ” [R.H. Tawney, La società acquisitiva, R.H. Tawney, Opere, a cura di F. Ferrarotti, Utet, 2013, 69 ss].

    A me pare che sia esattamente il ritratto di quest’€uropa a trazione tedesca che €SSI vanno a celebrare: festeggiano in pompa magna la mattanza imperialista e la sottomissione delle sovranità democratiche.

    Caro Prodi: da quando i diritti fondamentali della Costituzione sono espressione di nazionalismo? Da dove diavolo si ricaverebbe che la sovranità democratica è uno “sfregio”?

    Festeggia pure, caro professore, sul sangue degli Italiani, ma non dimenticare per un solo istante di essere solo un peso morto della storia

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  4. A proposito di “efficienza allocativa”, certamente anche il compianto T. Padoa-Schioppa sarebbe stato contento di unirsi alla celebrazione.

    A noi piace ricordarlo così, citando le sue parole:

    … Il Trattato è una costituzione del governo dell'economia fondata sull'idea che, delle tre classiche funzioni della politica economica, allocativa, stabilizzatrice, ridistributiva, il primato spetti alla funzione allocativa: è attraverso questa che si produce la ricchezza e si aumenta il benessere. Prevalgono le funzioni "micro".

    Alle politiche "macro", di stabilizzazione dell'occupazione e dei prezzi, il Trattato dedicava, in origine, poco spazio. L'emendamento di Maastricht ha recato però l'aggiunta importante della separazione, per i governi nazionali, fra politica monetaria e politica di bilancio e del divieto dei cosiddetti "deficit eccessivi". Per il governo della Comunità vi sono regole: per la politica di bilancio comunitario, il pareggio; per la politica monetaria unica (quando ci sarà), la priorità all'obiettivo di stabilità dei prezzi

    Il successo dell'economia tedesca venne fondato, fin dal tempo di Bismarck, su una legislazione sociale che da allora ha pochi uguali nel mondo. Nel secondo dopoguerra la politica di liberazione dell'offerta ebbe le sue radici nella soziale Marktvirtschaft a cui si associa il nome di Ludvig Erhard. Negli stessi anni, in Italia certo non mancava la capacità analitica di comprendere il nesso fra mercato e politica sociale: Ernesto Rossi sosteneva che fine della politica economica é far funzionare il motore del mercato in tutta la sua potenzialità "per aggiogarlo al carro sociale". Ciò che occorre è tradurre quell'idea in azione di governo …
    ” [T. PADOA-SCHIOPPA, Economia, finanza, moneta: l’Italia e l’Europa, Conferenza tenuta il 19.01.1993 all’Università Bocconi di Milano, Centro di Economia monetaria e finanziaria “Paolo Baffi, 5-10].

    Ventotene andata e ritorno: un vero successo


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    1. Tutto ciò è agevolmente riconoscibile come un sunto della teoria marginalista-marshalliana nei suoi capisaldi (aggiornata alle nuove tecniche di governance graduale proprie dei trattati).

      Mi domando se la massa degli economisti italiani non avesse sentito un minimo di obiezioni da sollevare in nome di una scienza che aveva già evidenziato i limiti invalicabili di questi assunti.

      In effetti, Caffè era già (misteriosamente) scomparso da circa un decennio.
      Però: può bastare tale circostanza accidentale come alibi a un atteggiamento prevalente che dura tuttora?

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    2. « liberazione dell'offerta »

      Geniale: far passare come "liberazione" della capacità economica e il pieno dispiego delle forze produttive l'asservita subalternità del fattore lavoro al capitale sociopatico.

      La liberazione dell'offerta di capitale e lavoro, di agnelli incoscienti e lupi famelici.

      Il linguaggio è dirimente.

      Non è un caso che, banalmente, le scienze economiche e giuridiche abbiano manifestamente fallito nel loro compito.

      Così come hanno fallito le scienze dure o le scienze naturali.

      Perché è la scienza ad aver fallito.

      È inutile cercare di ridare dignità ad un metodo di indagine che ha mostrato la sua totale inanità nella prima metà del '900.

      E infatti, come già discusso con Arturo a proposito dell'uso della categoria di "valore", è fenomenologicamente autoevidente che il problema della modernità non è di per sé la mancanza di appoggio su una solida preparazione di teoria scientifica. Perché altrimenti non c'è risposta al fenomeno generale in tutto l'occidente che si materializza come fatto strutturale della congiuntura storica.

      Lo spunto di riflessione, in realtà, è già dagli inizi proposto da Quarantotto (e da Arturo stesso) con il concetto di « precomprensione » (nel caso in oggetto "eurostrabismo").

      Ermeneutica e fenomenologia: non è un caso che con la "precomprensione" siamo nel "pregiuridico".

      È Husserl stesso a denunciare negli anni Trenta il "Fallimento della scienza".

      Il positivismo che sia giuridico o economicistico è un boomerang.

      Certo, come insegna il pragmatismo britannico o il materialismo marxiano, è letteralmente fondamentale.

      Ma Husserl, di fronte ai prodromi della IIGM, denuncia il metodo di Galileo, definendolo "scopritore e ricopritore".

      L'empirismo radicale della fenomenologia consiste proprio nel rifiutare la scienza così come intesa accademicamente: altro che "revisione tra pari".

      Il danno all'umanità del positivismo scientifico è da ascriversi alla perdita del "senso".
      Quello indagato da filosofie e religioni.

      La scissione tra scienza e filosofia è alla base del relativismo e del nichilismo: ossia della incoscienza con cui si è imposto il capitalismo liberale. La tecnocrazia.

      Husserl è tranchant: anche la teologia va sostituita con la filosofia.

      E la filosofia è, nella modernità, in primis "ermeneutica del reale".

      La finalità de "l'amore del sapere" è "la ricerca del senso".

      E va fatto ora, non lasciato "giudicare ai posteri"....

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    3. p.s.

      Liberazione dell'offerta --> restituire "libertà all'offerta" ----> potere all'offerta di --> potere al capitale di (per i motivi di mutua esclusività tra capitale e lavoro nella dialettica strutturale tra fattori della produzione) --> potere economico e politico concentrato nelle oligarchie.

      Questo è l'unico senso del liberalismo.

      Nel privato, finché continuerò ad avere un reddito, sarò liberale anche io come Keynes o la moglie di Carl Schmitt.

      Politicamente ho la coscienza di essere democratico in senso sociale come i miei Padri nel '48 sono convenuti in stragrande maggioranza, rendendomi patriotticamente orgoglioso di essere italiano e restituendomi coscienza nazionale. Coscienza alienata a causa dell'imperialismo del capitale straniero e del collaborazionismo di quello autoctono.

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  5. No, non c’è alcun alibi che tenga. Tutti gli economisti sapevano e sanno dell'enorme porcata (ne abbiamo le prove), hanno taciuto e continuano a tacere per la mera convenienza. Non c’è nulla che possa giustificare questo manicomio.

    Lelio Basso queste cose le aveva capite molto bene, pur non essendo tecnicamente un economista. Però era una persona intelligente e, soprattutto, un vero democratico. Nel 1970, per esempio, così ribadiva:

    …Il decorso del tempo ha contribuito a logorare e disperdere molti troppo facili luoghi comuni, di cui la leggerezza dei nostri politici aveva circondato l’operazione “mercato comune”. Uno di questi luoghi comuni era stato che la piccola Europa sarebbe senza altro diventata una potenza economica di primo piano, a livello dei supergrandi, e che questa era la strada per liberare l’Europa dalla dipendenza americana. In realtà, come spesso accade in una società piena di contraddizioni, il processo comunitario conteneva possibilità contraddittorie…

    Forse, a lunga scadenza, può essere anche la strada per una maggiore indipendenza verso gli USA ma a breve scadenza prevaleva il pericolo di un indirizzo in senso contrario. Non a caso infatti gli USA erano stati accaniti fautori dell’unità europea: i singoli stati rappresentavano infatti mercati troppo piccoli perché le grandi industrie americane potessero impiantarvisi con i loro metodi e la loro potenza produttiva, mentre a livello comunitario il mercato diventava interessante per impiantare in Europa industrie americane. Gli USA erano anzi il solo paese in grado di effettuare gli investimenti necessari per un mercato così vasto…Non è forse esagerato dire che gli imprenditori americani sono stati i maggiori beneficiari dell’operazione CEE…

    Oggi i paesi europei cominciano ad avvertire certi pericoli e sembra che si accenni a qual che difesa, anche se, pure a questo proposito, ci sarebbe molto da dire sui provvedimenti in atto o allo studio…Penso che si possa ancora parlare di luoghi comuni, sia considerando un toccasana l’ammissione dell’Inghilterra (senza valutare che attraverso questo canale la preponderanza americana nel MEC potrebbe diventare schiacciante e definitiva, a meno che non si prendano provvedimenti tempestivi), sia attribuendo virtù taumaturgiche all’elezione dell’assemblea comunitaria a suffragio universale.

    Certo, io sono favorevole all’elezione dell’assemblea a suffragio universale, ma a condizione di non farne lo schermo illusorio di una sostanza antidemocratica che richiede ben altri rimedi. Si nota ormai ovunque una decadenza degli istituti parlamentari come strumenti validi di democrazia: i poteri decisionali si trasferiscono a monte dei parlamentari, ridotti quasi sempre a camere di registrazione o tutt’al più a stanza di compensazione di poteri che sono al di fuori del Parlamento.
    I meccanismi di sviluppo socio-economico delle società contemporanee sfuggono agli inesistenti o antiquati controlli dei parlamenti, e quanto più la collettività è vasta, tanto più il fenomeno si accentua. Quello che occorre per ridar vita alla democrazia nel mondo moderno è un processo che parta dal basso, che ridia agli uomini la misura umana delle cose, che li faccia coscienti della necessità di partecipare come soggetti ai processi di cui oggi sono soltanto l’oggetto, che gli ridia insomma il senso della responsabilità, e insieme con esso, strumenti adeguati perché questa responsabilità possa realizzarsi.
    (segue)

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  6. Senza di ciò, si accentuerà il fenomeno del potere che si allontana sempre più dagli uomini reali, quindi il senso dell’isolamento dell’uomo, la sua frattura con la società in cui vive: una situazione che può essere …una decadenza di tutti i valori e di una disgregazione di tutti gli istituti.
    Insomma solo una generale promozione sociale e politica dal basso può dare un contenuto democratico anche all’unificazione europea. Altrimenti l’assemblea elettiva non sarà che un paravento dietro al quale gli eurocrati continueranno a imperversare e ad accumulare errori di cui i popoli faranno le spese.

    Se pertanto guardo oggi con occhi non certo entusiastici gli sviluppi comunitari, non è certo per sentimenti nazionalistici. Guardare con diffidenza gli istituti della CEE e le decisioni degli eurocrati non significa essere dei superati difensori delle sovranità nazionali: significa soltanto non avere dimenticato che, secondo la nostra costituzione, l’Italia è “una repubblica democratica” dove “la sovranità appartiene al popolo che l’esercita”, e non volere che questa sovranità popolare sia alienata a beneficio di un potere lontano che non contribuiamo a nominare e le cui decisioni sfuggono a qualunque controllo non solo del “popolo sovrano” , ma anche del nostro Parlamento ridotto sempre più ad una mera facciata...”
    [L. BASSO, Gli Usa beneficiari dell’operazione CEE, Tribuna Politica, 28 aprile 1970].

    Non c’è scusa che possa reggere, Presidente: hanno venduto l’Italia (includo anche i giuristi)

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  7. FASCINAZIONI

    “Gran” giorno il 24 di marzo (Carlo Alberto re di Sardegna che fugge, la Comune di Marsiglia, il genetliaco di Luigi Einaudi, la scoperta del batterio TBC, il decreto dei pieni poteri concessi ad Adolf Hitler, l'eccidio delle Ardeatine e di Chigiano, l'ellepi di Dark side of the Moon, il colpo di stato militare in Argentina, i bombardamenti dell'Allied Force in Kossovo, ..) ma ci “piace” ricordare le
    narrazioni, le suggestioni, le fascinazioni – cioè i processi attraverso i quali si ottiene uno stato ipnotico -
    delle Andreatta Lecture 2017.

    Ma oggi, il 25 di marzo, è ancora più grande a celebrar “festosi” -“E forse che la mia narrazion buia [ ...] men ti persuade, perch'à a lor modo lo 'ntelletto attuia” - in una Roma militirizzata, con la sospensione della libera circolazione dei viaggiatori (il trattato di Schengen, l'avanzamento più “concreto” dell'EU) il trattato di Roma (TCEE), virato a Maastricht (TCE) fino ad inventarne uno nuovo a Lisbona (TFUE) senza mai dimenticare il più grande successo dell'€uro.

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  8. In pompa magna riuniti nella celebrazione della storia rivisitata del Fogno unitario come generatore di Pac€, Progr€sso e Lib€rtà, nella sua titanica ed eroica lotta contro i cattivissimi naZZionalismi. Generazioni di élite criminali che si auto esaltano, una dopo l'altra, e se la ridono e se la cantano, con il supporto di media "liberi" e "indipendenti" che anestetizzano masse private di dignità, intelligenza, cultura costituzionale e memoria storica, oltre che di lavoro e benessere. Ci sono ancora problemi, €ssi ci dicono, come la disoccupazione e la povertà; ma questi problemi permangono perché non sono state fatte ancora le dovute riforme strutturali; perché ci vuole, sempre e comunque, più Europa; la Via è quella, è stata tracciata per tutti noi in modo "democratico" da €ssi, sia che la vogliamo percorrere oppure no; e anche se La rifiuteremo, paternalisticamente €ssi ci obbligheranno comunque a percorrerla, per il nostro bene, con le buone e, se necessario, con le cattive. Ma se non saranno le presenti generazioni a capire fino in fondo quanto impostori siano tutti questi "leader" che adesso si autoincensano davanti alle telecamere, sarà comunque la storia a condannarli. Prima o poi si capirà che la lotta contro i naZZionalismi era in realtà la lotta contro le costituzioni democratiche degli stati nazionali. L'uomo non potrà vivere in eterno sottoposto per generazioni agli effetti di progetti elitari elaborati da dementi personaggi da circo.

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  9. Forse semi-OT ma.......cosa leggono i miei occhi?

    http://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2017/03/25/il-sito-ansa.it-non-e-aggiornato-per-uno-sciopero-dei-giornalisti-delle-agenzie-di-stampa_6d83d1b2-3ab5-40f5-82eb-ae89b93d9bd8.html

    La stampa italiana sciopera contro il bando di gara €uropeo per il settore?
    Perché, leggo testualmente da comunicato riportato: "Le gare europee, peraltro imminenti, a giudizio dei Cdr di tutte le testate del settore mettono infatti a rischio la sostenibilità e, in alcuni casi, la sopravvivenza delle aziende e delle redazioni, oltre a compromettere il pluralismo dell'informazione e la salvaguardia degli interessi dell'informazione primaria italiana rispetto ai grandi gruppi editoriali stranieri"???

    Ma davvero???? Non erano le "gare €uropee" lo strumento principe per favorire la "vera concorrenza" scevra da disfunzioni e corruzione? Su gli altri vanno bene, su di loro non vanno bene?

    Cari "servi del potere", mi verrebbe da dire, il potere non ha più bisogno di voi e se ne libera. Nel mondo della competitività teutonica, dove gli avversari gareggiano alla pari con le gambe legate, succede anche questo!

    Per quanto riguarda, poi, l'eventualità che la "libera informazione" italiana sia gestita da un gruppo editoriale tedesco, beh..... si commenta da se.... ma in fondo, tanto, "libera" non lo è mai stata......

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  10. Una funzione fondamentale per il consolidarsi dell'assetto ordoliberista è svolta da quei partiti e movimenti che fanno del "mai con" una delle loro parole d'ordine. È esemplare in questo il M5s che, rifiutando a priori qualunque alleanza, canaliza il dissenso in un binario morto. La Lega,attraverso Borghi, ha più volte offerto la disponibilità a collaborare per una linea comune contro UE ed euro, ma questa proposta è stata sempre rifiutata. E qualora il M5s dovesse arrivare al governo, la sua ambiguità verso moneta unica e istituzioni europee lascia pochi dubbi su quella che sarà la loro linea. Ha ragione Bagnai: loro sono il piano B del capitale.

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  11. Io “celebro” la ricorrenza così, con una recensione del libro di Lionel Robbins, Le cause economiche della guerra, riferimento comune sia di Ventotene che di Hayek, tradotto, non si sa da chi (sia Spinelli che Rossi ne rivendicano la traduzione; l’editore non riporta il nome del traduttore. Giuro!), per Einaudi nel 1944, scritta da Federico Caffè nel *1945* (L’avvenire dell’Europa nel pensiero di un economista, “Mondo Europeo”, n. 1, 1945 ora in F. Caffè, Orientamenti nella letteratura economica contemporanea. Orientamenti bibliografici, Edizioni dell’Ateneo, Roma, 1954, pagg. 18-21).

    A voi:

    Il nome di Lionel Robbins è legato soprattutto ad una nota impostazione metodologica della scienza economica che, individuandone la ragione d’essere nella limitatezza dei mezzi disponibili di fronte alla vastità dei fini prefissi, perviene a svincolarla dalla premessa edonistica come da qualsiasi altra. L’opera nella quale egli esprime le sue vedute sulle alternative che oggi si pongono all’avvenire d’Europa è costituita da questo saggio non molto recente ma che, presentato ora ai lettori italiani, appare tutt’altro che inattuale.
    Il tema che il Robbins si pone, chiaramente indicato dal titolo del saggio, è di indagare in qual misura la guerra possa essere considerata come dovuta a cause economiche; ma egli non dissimula di esser stato indotto a tale ricerca dall’intento di confutare la diffusa convinzione che «la istituzione della proprietà privata e del mercato, nel loro attuale stadio di sviluppo, tendono inevitabilmente ad alimentare i conflitti internazionali», di modo che questi rappresenterebbero «un necessario sottoprodotto del sistema capitalistico». Di tale sistema, il Robbins è un difensore appassionato e convinto; egli, di conseguenza, non soltanto adopera le risorse di un’analisi sottile e quasi cavillosa per confutare le argomentazioni avversarie, ma le contesta con eloquente fervore.
    Il Robbins parte da un attacco frontale al punto di vista marxista che attribuisce l’origine delle guerre all’esistenza del capitalismo. Su quali fondamenti, egli si chiede, poggia questa spiegazione dei conflitti? Un gruppo di autori si basa sulla teoria del sottoconsumo: di fronte alla incapacità del mercato di assorbire il risultato di un’attività produttiva che i capitalisti hanno interesse ad estendere incessantemente per accrescere il plusvalore da essi realizzabile, la guerra verrebbe a costituire la terza persona, il compratore esterno, necessario perché il sistema possa continuare a sussistere. E’ questa la drastica formulazione di Rosa Luxemburg, dalla quale diverge per una maggiore coerenza logica formale la spiegazione dell’Hobson per cui è l’eccesso di capitali in cerca di investimento a rappresentare la radice prima dell’imperialismo e quindi dei conflitti. In epoca più vicina, la concezione del sottoconsumo è stata ripresentata, ad opera di Keynes e della sua scuola, in termini di eccesso di propensione al risparmio tesoreggiato, che, ostacolando il raggiungimento di un livello ottimo di consumi, darebbe origine alle crisi ed alla disoccupazione. Ma poiché l’inconveniente posto in luce da tale interpretazione, ove essa sia accettata, indica «una malattia del sistema finanziario e non una malattia inseparabile dall’esistenza del capitalismo» non sembra — dice il Robbins — che questa più moderna concezione della teoria del sottoconsumo si presti a rafforzare le vedute di coloro che vogliono servirsene per combattere il capitalismo stesso.

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  12. […]
    La lotta diplomatica che si svolge nel campo internazionale, egli scrive, è essenzialmente una lotta per la potenza; essa, nella misura in cui ha un’origine economica, non dovendosi escludere l’influenza di altri fattori, sorge in conseguenza dell’applicazione di misure restrizioniste nei vari mercati nazionali. È stato il timore di essere esclusi da mercati potenziali che ha determinato nel secolo XIX la lotta «a chi arrivava prima» nella conquisili dei mercati coloniali; è stato il gigantesco apparato restrizionista del dopoguerra (che ha colpito, oltre alle correnti commerciali, anche le emigrazioni) a determinare il sorgere di conflitti di carattere espansionista miranti appunto a sfuggire agli effetti del restrizionismo.
    Vi è, in ciò, un fine di interesse nazionale e non limitato ad un particolare gruppo economico. «Ma questo fine non sorgerebbe se non fosse per le pratiche del restrizionismo; e queste pratiche debbono essere attribuite in larga parte alla influenza della pressione dei gruppi». Sono i singoli interessi sezionali (che possono essere di operai non meno che di finanzieri e di ceti possidenti), aventi comuni prospettive di guadagni monopolisti, a spingere gli Stati sulla via del restrizionismo; nella loro condotta può non esservi un deliberato proposito di indurre il paese sulla via della guerra, ma questa tuttavia può essere il risultato delle loro pressioni.
    Questa analisi induce a ritenere che, anche in una comunità socialista — nella quale permanesse la sovranità dei singoli Stati — i conflitti non verrebbero meno. Finché persistesse la disuguaglianza di territori e finché gli abitanti delle aree più ricche, mantenendo l’indipendenza nazionale, rifiutassero di dividere i loro più alti redditi con gli abitanti dei territori più poveri, rimarrebbero le ragioni di disarmonia, generatrici di conflitti.
    In definitiva, «la condizione ultima che dà origine a quei cozzi d’interessi economici nazionali, i quali conducono alla guerra internazionale, è l’esistenza delle sovranità nazionali indipendenti. Non il capitalismo, ma l’organizzazione politica anarchica del mondo è il male principale della nostra civiltà».
    La via di uscita a tale stato di cose è da trovare nella limitazione delle sovranità indipendenti: in altre parole, in una soluzione federalista che, se non può essere estesa a tutto il mondo, potrebbe almeno abbracciare territori più limitati e, in particolare, la zona che comprende le bellicose sovranità europee. Gli Stati Uniti d’Europa, ecco l’organizzazione che si presenta come alternativa alla fine della civiltà europea. Indubbiamente il dar vita ad una tale federazione non è cosa facile: ciò nonostante, lungi dall’essere utopistica, «essa è, per coloro che hanno occhi per vedere, la più urgente necessità pratica della nostra epoca».
    Su questa conclusione il saggio del Robbins si chiude, mentre il lettore rimane alle prese con una serie di imbarazzanti interrogativi che traggono origine non dal dubbio della convenienza o meno di dar vita a questa nuova forma di organizzazione europea, ma dalla incertezza sulle vie concrete più opportune per realizzarla.
    I veri e più ardui problemi sorgono evidentemente là dove la indagine Robbins si arresta; tuttavia, se un autore ha inteso porre dati limiti alla sua trattazione, non si può fondatamente criticarlo per questo.

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  13. Sembra invece pertinente il chiedersi se la finalità di evitare il periodico riaffiorare di conflitti fra le bellicose nazionalità europee sia sufficiente a costituire un fondamento vitale per la istituenda federazione. In altri termini, par lecito dire che una Cooperazione tra più paesi e fra l’intera comunità internazionale non può basarsi sul fatto di essere anti-qualcosa (avere cioè una funzione di salvaguardia o di autoconservazione), ma deve essere pervasa dall’ambizione di intraprendere «qualche sforzo comune», come ad esempio parrebbe dover essere, oggi, il miglioramento delle condizioni di vita delle masse e la liberazione economica dell’uomo comune.
    Diretta a questo obiettivo la cooperazione europea avrebbe forse una base più durevole; ma è dubbio se in tal caso il sistema di economia di mercato, quale è concepito dal neoliberalismo del Robbins, possa continuare a sussistere o se non si riproponga per altra via il processo alla struttura attuale del capitalismo
    .


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