La seconda parte dello studio di Francesco su Corte costituzionale, diritti fondamentali e vincolo esterno, parte direttamente dal paragrafo 7 dell'unitaria trattazione.
E' particolarmente interessante portare a termine una lettura complessiva perché, al di là del tema che appare quasi "specialistico" per giuristi, la seconda parte si raccorda alla prima mostrandosi essenzialmente il risvolto dell'attività giurisdizionale (ma, abbiamo visto, inevitabilmente anche "politica") della Corte costituzionale rispetto alla realtà interpretativa della stessa Costituzione che compie il mondo dei costituzionalisti.
La trattazione, al riguardo, non vuole essere esauriente di un panorama che, pure, Azzariti definisce "eccessivamente diviso e distratto", ma enfatizzare l'unità e la coerenza di pensiero che, incentrato sul superamento del liberismo e sul rigetto della "naturalità del mercato", muove dalla Costituente, - incarnata da Mortati, Moro, Basso, Caffè, Calamandrei, Ruini- e giunge fino a figure come Luciani e Azzariti.
Le loro voci, e non solo, mostrano come non si debba ricorrere a criteri extratestuali rispetto alla Costituzione, e ideologico-economici, - cioè alla confutazione incessante che la scienza economica cerca di compiere della democrazia sociale, rendendosi per lo più strumentale agli interessi dominanti (come evidenzia Galbraith proprio per segnalare la pur breve eccezione costituita dal prevalere della visione keynesiana)-, per rendere nitida una elementare conclusione interpretativa: quella, cioè, della consapevolezza della "non comparabilità" e non "concorrenzialità" tra valori normativamente assoluti (e incomprimibili), cioè i diritti sociali fondamentali caratterizzanti la nostra Costituzione, e parametri e strumenti ad essi strettamente funzionali, come "l'efficienza economica" (sempre variamente e controvertibilmente misurabile) e la "compatibilità" finanziaria e fiscale, strettamente connesse al concetto (variabile) di moneta, di sovranità - democratica ovvero dei mercati-, e di massimizzazione del potere politico in inevitabile distribuzione del potere economico, che si vuole o non si vuole realizzare, anche a costo di rinnegare l'armonia complessa della Costituzione.
Il processo di "rimozione" di questa elementare conclusione interpretativa è molto avanzato...dunque è in gioco la democrazia: e delle sue vestigia l'€uropa della sovranità dei mercati farà presto la finale "piazza pulita".
7. Limiti di spazio, ovviamente, non
consentono di districare in modo compiuto quello che pare essersi rivelato nel
tempo un autentico “ginepraio concettual-giuridico”, in una materia drammaticamente
essenziale per la vita dei cittadini e pur in presenza di un testo
costituzionale a dir poco cristallino. Tuttavia, sia consentito esprimere alcune
osservazioni a minima integrazione di quanto già altrove approfondito negli
anni da Quarantotto e che, almeno per i frequentatori del blog, si spera costituisca
un patrimonio acquisito.
7.1 Si comincerà col ribadire che le costituzioni
democratiche del secondo dopoguerra - segnando una insanabile e
definitiva frattura rispetto al pregresso ordine liberale che aveva lasciato
del tutto irrisolto il conflitto della società
capitalistico-borghese – non si sono accontentate di ridislocare il
potere, consegnandolo nelle mani del popolo, ma si sono preoccupate di “funzionalizzare”
il potere medesimo in vista della piena realizzazione dei diritti fondamentali ed inalienabili della persona [35], senza i
quali, come precisato da Gaetano Azzariti, non può parlarsi in nuce nemmeno di “costituzione” [36].
Nel
caso dell’Italia, l’opera che attese l’Assemblea Costituente non fu quindi limitata
nel suo oggetto solo alla regolamentazione della forma di governo, ma si estese
al più vasto campo dei rapporti economico-sociali, come ci spiega Costantino
Mortati “… L’esigenza di tutela dello
sviluppo della personalità umana, da questo fatta valere, non può ritenersi
appagata dalla semplice affermazione del diritto di libertà e di quello di
uguaglianza, avendo l’esperienza storica offerto la dimostrazione del come tali
diritti siano destinati a rimanere sterile affermazione per tutti coloro che
l’assetto economico capitalistico individuale poneva fatalmente nella
condizione di non poterne praticamente usufruire …
Si affermò pertanto nella
coscienza comune il bisogno di un’uguaglianza fra gli uomini non più
meramente formale ma sostanziale, ad ottenere la quale si rendevano necessari
interventi di varia natura… In modo riassuntivo il rapporto cui si accenna fra
la forma politica e quella economica-sociale si può esprimere come rapporto di
reciproca condizionalità fra democrazia politica e democrazia economica…
L’elemento di verità dell’osservazione riportata sta in questo: che IL SUPERAMENTO DEL LIBERISMO... obbligando ed un
intervento nel campo dei rapporti economici, amplia la sfera della
regolamentazione costituzionale…” [37].
Tale
svolta storica consente di sostenere senza dubbio che l’essenza primordiale e la stessa ragion d’essere di una
costituzione che voglia qualificarsi democratica non possono che identificarsi
con la garanzia e l’irrinunciabile
realizzazione dei diritti (e principi)
fondamentali (nei quali rientrano sia le c.d. libertà negative, cioè i diritti di libertà civile e politica, sia
le c.d. libertà positive, cioè i
diritti sociali).
Nella
Costituzione italiana, anzi, le libertà negative si giustificano solo come
aspetto e sul fondamento di quelle positive, nel senso che la sovranità e la democrazia sono esse stesse la proiezione più
piena delle libertà positive, in grado di fornirne il nucleo primigenio nonché
il loro originario elemento categoriale, gli autentici “assiomi fondamentali” dello Stato sociale [38], espressione non a caso associata da Mortati al concetto di “democrazia necessitata” [39].
7.2 I diritti (e principi) fondamentali
costituiscono, in definitiva, condizione
logicamente necessaria per la stessa
democrazia, sono categorie a priori, in
quanto individuano i valori basilari ed imprescindibili in assenza dei quali
non è possibile una compiuta costruzione della personalità umana o, che è lo
stesso, di uno Stato realmente democratico.
Volendo essere concisi, la sovranità democratica (art. 1
Cost.) ha veramente senso solo se la
stessa è fatta coincidere con i diritti fondamentali sociali (con in testa
il diritto al lavoro, art. 4 Cost.),
essendo questi ultimi la vera ed unica connotazione della prima; tanto che
o si ammette che nell’originale disegno costituzionale la sovranità coincide di
necessità con la tutela dei diritti fondamentali sociali (intesi come
regolazione del conflitto sociale e pluriclasse cui è obbligato il legislatore ex art. 3, comma II, Cost.) oppure
bisogna convenire che la sovranità e la democrazia sono tamquam non essent [40].
7.3 I diritti (e principi) fondamentali si
distinguono, per tutte le suddette ragioni, sia per il loro significato, nel senso che essi formalmente
sono stati ritenuti intangibili da parte di qualsiasi soggetto o potere (ivi
compreso il potere di revisione costituzionale, v. art. 139 Cost.), sia
per il loro valore speciale, nel
senso che, dal punto di vista sostanziale, sono stati posti dal Costituente al
di sopra di altri, cioè sono stati privilegiati rispetto ad altri mediante la
fissazione di una (sia pur implicita) gerarchia nell’ambito della quale i
valori posti in posizione apicale (e quindi supremi) hanno la funzione
di contraddistinguere la forma stessa di un dato regime [41]. Come tali, l’abrogabilità alla quale
sono sottratti è sia formale che sostanziale [42].
8. Alla
luce di quanto sopra, in un approccio ermeneutico “normativo-sostanziale” e presupponendo l'esistenza in concreto di un
conflitto tra valori, se di bilanciamento vuol proprio parlarsi in sede di
controllo di legittimità costituzionale, esso non può che operarsi, semmai, tra
valori potenzialmente omogenei e pariordinati (cioè tra diritti tutti
fondamentali) e non tra valori gerarchicamente eterogenei o addirittura tra
valori supremi e non-valori.
Se,
infatti, al privilegiare un valore non corrisponde uno specifico trattamento
giuridico, che di quello costituisca una sorta di rifrazione istituzionale nei
vari settori dell’ordinamento, il “… valore superiore resta poco più che una
vuota parola…” [43].
Ai fini che qui
interessano, quindi, è del tutto discutibile il contemperamento, operato dalla
Corte Costituzionale in sede di tutela di diritti fondamentali, tra diritti
sociali ed equilibrio
finanziario dei bilanci dello Stato, dal momento che secondo Luciani “… l’efficienza
economica non è, in sé, un valore
… la disciplina dell'economia che la
Costituzione vuole sia dettata dal legislatore ordinario, non può essere
ispirata solo dall'intento di perseguire scopi immediatamente economici
(aumento della produzione, equilibrio finanziario, ecc.), ma deve essere
invece guidata dalla necessità di attivare e favorire il processo di
trasformazione sociale le cui grandi linee sono tracciate dall'art. 3,
comma 2 ...” [44]. Nell’intera prospettiva costituzionale, sempre
secondo la stessa dottrina “… l’efficienza economica non è
mai uno scopo, ma è solo un mezzo…” per lo sviluppo della
persona [45].
NdQ.: Con la non secondaria precisazione che l'efficienza economica predicata dal neo-ordoliberismo che guida l'€uropa non è volta alla maggior crescita, intesa nel senso di "democrazia economica", cioè della "crescita" del "prodotto" condivisa da tutti i cittadini, (quale indicata da Mortati), sebbene alla "competitività", cioè alla crescita, definita "sostenibile", esclusivamente dovuta all'aumento delle esportazioni, anche a scapito della cooperazione economica con gli Stati più "prossimi", cioè quelli della stessa UE - come dimostra il "fortemente competitiva" che caratterizza l'economia (sociale) di mercato, appunto, all'interno di un "mercato unico", nel quale il benessere generale e il livello di occupazione non sono la priorità, ma degli obiettivi del tutto complementari e subordinati ai valori competitivi della stabilità finanziaria e monetaria; cfr; art.3, par.3, TFUE, anche in relazione all'art.119 TFUE)
NdQ.: Con la non secondaria precisazione che l'efficienza economica predicata dal neo-ordoliberismo che guida l'€uropa non è volta alla maggior crescita, intesa nel senso di "democrazia economica", cioè della "crescita" del "prodotto" condivisa da tutti i cittadini, (quale indicata da Mortati), sebbene alla "competitività", cioè alla crescita, definita "sostenibile", esclusivamente dovuta all'aumento delle esportazioni, anche a scapito della cooperazione economica con gli Stati più "prossimi", cioè quelli della stessa UE - come dimostra il "fortemente competitiva" che caratterizza l'economia (sociale) di mercato, appunto, all'interno di un "mercato unico", nel quale il benessere generale e il livello di occupazione non sono la priorità, ma degli obiettivi del tutto complementari e subordinati ai valori competitivi della stabilità finanziaria e monetaria; cfr; art.3, par.3, TFUE, anche in relazione all'art.119 TFUE)
8.1. Sarebbe necessario, nello
specifico, fare ancora tesoro degli insegnamenti di Mortati il quale, in
materia di diritti fondamentali sociali, nell’argomentare esclusioni di limiti
alle dichiarazioni di incostituzionalità per omissioni legislative quando da
esse possano discendere maggiori oneri di bilancio ex art. 81 Cost., affermò infatti che l’opinione contraria “… non ha fondamento, poiché la maggiore
spesa, per il fatto di essere richiesta dall’osservanza di un imperativo
costituzionale (artt. 3, comma II, e 4 Cost., N.d.R.), assume un carattere obbligatorio…”
[46].
9. In aggiunta a quanto detto, analogo discorso è
da farsi per ciò che riguarda il concetto di nucleo essenziale dei
diritti fondamentali. E’ stato notato, in proposito, che “… Quando la Costituzione vuole porre al riparo dal potere di revisione
costituzionale un diritto nella sua specifica consistenza di posizione
soggettiva di libertà, non si pone ovviamente un problema di convivenza di
tale diritto con altri valori costituzionalmente tutelati, ma al contrario
lo considera svincolato da legami o relazioni con altri interessi, lo
considera cioè come posizione assoluta. Per tale ragione, l’unica accezione
di contenuto essenziale può venire in questione sotto tale profilo.
… non si può pensare di scoprire
un nocciolo duro fisso e predeterminato intorno al quale si muovono come
satelliti le mutevoli forme di attuazione di quella sostanza … un diritto
soggettivo non è minimamente scomponibile in una sostanza e in una forma
esteriore, poiché in quanto possibilità giuridicamente riconosciuta…è tanto poco analiticamente divisibile in
un nucleo essenziale e in manifestazioni accidentali…” [47].
In
ogni caso, come detto, non può accettarsi la concezione “relativistica” e
regressiva di un diritto (cioè un valore) supremo nel confronto (potenziale antinomia)
con un non-valore qual è quello dell’equilibrio di bilancio in qualunque modo lo
si voglia declinare. Assunto il predicato dell’essenzialità, esso non può
quindi essere inteso in rapporto a vincoli economici, ma agli obiettivi irrinunciabili
di benessere sociale ed uguaglianza sostanziale che si pongono su un piano del
tutto differente rispetto a quello economico-finanziario.
10. Quanto alla discrezionalità del legislatore
nell’attuazione dei diritti fondamentali, essa deve persino ritenersi superata
ed esclusa dal concetto stesso di Costituzione rigida.
E’ infatti sufficiente l’analisi dei lavori della Costituente, allorché si discusse della formulazione dei principi inviolabili e sacri di autonomia e di dignità della persona (futuro art. 2 Cost., che annovera per il Costituente anche e senz’altro i diritti sociali) per rendersi conto della correttezza di quanto qui sostenuto.
E’ infatti sufficiente l’analisi dei lavori della Costituente, allorché si discusse della formulazione dei principi inviolabili e sacri di autonomia e di dignità della persona (futuro art. 2 Cost., che annovera per il Costituente anche e senz’altro i diritti sociali) per rendersi conto della correttezza di quanto qui sostenuto.
Fu
l’onorevole Aldo Moro, tra gli altri, a spiegare gli effetti dell’inviolabilità
di detti diritti, ovvero “… quello di vincolare il legislatore, di imporre al futuro
legislatore, di attenersi a questi criteri supremi che sono permanentemente
validi. Ciò significa stabilire la superiorità della determinazione in sede di
Costituzione di fronte alle effimere maggioranze parlamentari …
Abbiamo bisogno perciò di questo sicuro criterio di orientamento, per una lotta che non è finita adesso e che non può finire, lotta per la libertà e per la giustizia sociale …” [48].
Abbiamo bisogno perciò di questo sicuro criterio di orientamento, per una lotta che non è finita adesso e che non può finire, lotta per la libertà e per la giustizia sociale …” [48].
10.1 Di conseguenza, mutuando ancora
le parole di Mortati, si può dire che se permangono residui argomentativi che invocano
la discrezionalità del legislatore in materia di garanzia e tutela dei diritti
fondamentali, lo si deve imputare ad un “…
pregiudizio proprio del legalismo positivistico, ligio al dogma dell’assoluta
sovranità del Parlamento, superato
ormai dalla sovranità della Costituzione e dal principio che ne discende del
dovere della legittimità costituzionale…” e sorpassato dal “principio
di effettività sancito dal secondo comma dell’art. 3 Cost.; principio che indubbiamente si rivolge al
legislatore …” [49]. Se così non
fosse, il costituzionalismo “democratico” finirebbe per identificarsi
in tutto con quello “politico” [50] (cioè con il mutevole gioco della prevalenza degli interessi sociali più forti, capaci sempre di organizzare una teoria generale dello Stato che ratifichi l'inevitabile prevalere delle classi economicamente prevalenti e di imporre "culturalmente" un "senso" politico e, soprattutto, morale: tipicamente quello della "efficienza economica" che risponderebbe alla razionalità intrinseca dei mercati ed alla "Legge" naturale, o quasi metafisica", della efficiente allocazione delle risorse scarse, presenti in un'intera società, che proceda per equilibri che l'intervento dello Stato non potrebbe altro che alterare e peggiorare).
11. A questo punto, ed alla luce di tutto
quanto sopra esposto, è possibile svolgere
anche alcune riflessioni conclusive sulla teoria dei controlimiti.
Detta
teoria, elaborata per salvaguardare la sovranità popolare (oggi ritenuta per lo
più in dissoluzione) dall’invadenza del diritto euro-unitario, innanzi tutto sconta
ab imis quella che Massimo Luciani
definisce una “finzione giuridica” impostasi ormai
di fatto in ordine al primato del diritto
comunitario su quello nazionale [51].
Ma sconta, altresì, un “equivoco” la cui mancata e non difficile rivisitazione
(attualmente più che mai urgente) ha fatto sì che non fosse portata dalla Corte
Costituzionale alle sue estreme e dovute conseguenze.
L’equivoco risiede nell’analogia predicata dalla Corte
Costituzionale tra la dottrina dei controlimiti ed i soli principi fondamentali (artt. 1-12 Cost.), quasi che
il rimanente ordito costituzionale fosse un corpo separato dai primi e quindi
nella completa disponibilità modificativa del legislatore sotto le influenze
del diritto comunitario.
Dovrebbe tuttavia rammentarsi, come affermò Mortati, che “… la costituzione non è solo un insieme di articoli, un puro affare di invenzione, ma un organismo vivente” [52], ovvero – per usare ancora le espressioni di Lelio Basso - una “armonia complessa … dove tutto ha un suo significato, e dove ogni parte si integra con le altre parti…” [53].
Dovrebbe tuttavia rammentarsi, come affermò Mortati, che “… la costituzione non è solo un insieme di articoli, un puro affare di invenzione, ma un organismo vivente” [52], ovvero – per usare ancora le espressioni di Lelio Basso - una “armonia complessa … dove tutto ha un suo significato, e dove ogni parte si integra con le altre parti…” [53].
Come
avverte anche Gaetano Azzariti, l’idea che si possa “cambiare… l’intera seconda parte della costituzione lasciando indenne
la prima e tutti i principi fondamentali espressi dal testo costituzionale …
non ha più abbandonato la politica dominante e il sentire comune, né è stata
sufficientemente contestata da una cultura costituzionale sempre più divisa ed
eccessivamente distratta, nonostante le smentite di fatto: basta pensare
all’influenza sull’effettiva garanzia dei diritti e sulla concezione stessa
della costituzione, che ha provocato l’introduzione
del principio di sussidiarietà,
ovvero, più di recente, dell’equilibrio
di bilancio …” [54].
11.1 Posti quindi i diritti (e i principi)
fondamentali, individuati dal Costituente come oggetto e scopo di incondizionata realizzazione, tutto il
restante articolato costituzionale rappresenta lo strumento necessario al perseguimento di quel fine.
Ciò vale soprattutto - per
quanto rileva in questa sede – con riferimento alle disposizioni della
c.d. Costituzione economica (artt. 37-45), che, secondo Massimo Luciani,
lungi dal costituire una parte autonoma, si ricollega invece in modo coerente “a quella disposizione evocativa di un progetto di generale trasformazione sociale che
è l’art. 3, comma II, Cost.” [55].
Progetto da attuare in primo luogo
mediante politiche economiche-fiscali di
stampo keynesiano a sostegno della
domanda aggregata in vista della piena occupazione (art. 4 Cost.), e
non certo mediante politiche ispirate alla “intransigente visione
"supply side" propugnata dai Trattati neoliberisti.
E che “l’universo
culturale dei Costituenti” fosse intriso della teoria economica keynesiana
è del tutto incontroverso, come ha spiegato anche Luciani “… All’atmosfera culturale nella quale si
mossero i Costituenti, dunque, era largamente estranea l’idea della naturalità
del mercato e della inevitabile distorsività dell’intervento pubblico, oggi
diffusa da quel “recente riflusso neoliberista” sulla cui debolezza teorica
richiamava l’attenzione già Federico Caffè…”
[56].
11.2 Ne deriva
come corollario che lo strumento principale per l’attuazione delle
politiche di piena occupazione è da individuarsi nel c.d. deficit
spending, concetto da assumersi in modo corretto non in termini di meri
calcoli aritmetici, ma in senso
propriamente normativo-costituzionale, perché ricavabile, nella sostanza,
da tutte le norme della Carta Fondamentale.
Il deficit
spending è comprensibile solo sottoponendo ad attento studio scientifico la
"contabilità nazionale", la quale descrive le correlazioni esistenti tra i vari
elementi che contribuiscono a formare il PIL come risultante annuale di
risparmio privato e saldo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti [57].
11.3 Ora,
guardando alla teoria dei controlimiti dalla prospettiva elaborata dalla Corte,
è stato notato come il processo di integrazione europea, a stretto rigor di
termini, non ha limitato ed inciso formalmente ed in modo diretto sulla
sovranità e sui diritti fondamentali dei cittadini italiani (anche perché non
soggetti a revisione),
né ha formalmente compresso altre forme di manifestazione della sovranità
popolare, ma li ha in via indiretta svuotati
di senso politico:
“… Mi riferisco in modo particolare, alla
decisione di bilancio, ormai quasi interamente attratta nell’orbita
sovranazionale della c.d. governance
economica europea…”.
E’ indubbio “… che sottraendo questa decisione alla rappresentanza politica nazionale si svilisce indirettamente il significato politico del voto popolare (che sopravvive nella sua versione “idraulica”, N.d.R.), cioè la sua capacità di contribuire effettivamente alla determinazione della politica nazionale con riguardo alle questioni cruciali della politica economica…” [58].
E’ indubbio “… che sottraendo questa decisione alla rappresentanza politica nazionale si svilisce indirettamente il significato politico del voto popolare (che sopravvive nella sua versione “idraulica”, N.d.R.), cioè la sua capacità di contribuire effettivamente alla determinazione della politica nazionale con riguardo alle questioni cruciali della politica economica…” [58].
In sintesi, e per quanto si è detto, dovrebbe
essere compreso che in presenza di vincoli europei che impongono politiche nazionali di bilancio
improntate ad austerità, in uno con vincoli derivanti da una moneta unica priva
di un’unione fiscale [59], non può
esservi spazio per il programma costituzionale del “pieno sviluppo della persona umana”, ma tutt’al più per un’eguaglianza caritativa di stampo hayekiano.
11.4 L’augurio è che detta comprensione (nella
sordità assoluta mostrata dal legislatore) sia soprattutto appannaggio della
Corte Costituzionale la quale, interrompendo l’assunzione di pronunce come
quelle recenti, improntate ad un “equilibrismo tra “austerità fiscale…e tutela effettiva di
diritti costituzionalmente sanciti”, affronti al più
presto e risolva “il problema logico
pregiudiziale che è inscindibilmente legato alla ratio ed alla giustificazione
della norma censurata” [60].
Nell’assoluta
inerzia legislativa e, anzi, nel materializzarsi ordoliberista di una rottura
costituzionale definita da Luciani come “… fenomeno
generale della consapevole rimozione della forza normativa di alcune
disposizioni della costituzione da parte delle istituzioni di governo
dell’ordinamento, perpetrata onde perseguire una finalità politica ritenuta più
“alta”” (ovvero la cancellazione della democrazia sociale costituzionale),
è evidente, che “il compito di applicare la
Costituzione deve essere assolto anche dalla giurisdizione. È la stessa
supremazia della Costituzione che lo impone …” [61]. Si tratta di quella
“supplenza” che Vezio Crisafulli ha definito “a rime obbligate”, poiché dalla Corte verrebbe soltanto palesato
qualcosa che è comunque già presente nel sistema.
E ciò
affinchè quella che sempre Massimo Luciani ha definito una “patologia” non diventi
fatalmente una “normalità”:
“… i controlimiti stanno lì per impedire che
questo accada e il “predominio assiologico della Costituzione”… ha il logico
destino di dover essere operativo anche in riferimento al diritto dell’Unione,
non accontentandosi di proclamazioni meramente formali, ma pretendendo ch’esse
ne assicurino la realizzazione in tutte le ipotesi in cui - davvero - conta. E
stavolta conta” [62].
In
caso contrario, il rischio è che un supremo organo di garanzia costituzionale finisca
per essere percepito dai cittadini come uno qualsiasi degli strumenti per “… autorizzare la classe dominante a limitare
l’azione riformatrice alle sole riforme che essa stessa ritiene di poter
accettare…” [63].
___________________
[1] In
proposito, si veda V. ONIDA, Spunti in tema di Stato costituzionale e di
diritti fondamentali, in L. Lanfranchi (a cura di), Lo Stato costituzionale. I
fondamenti e la tutela, Istituto Enciclopedia Italiana, Roma, 2006, 59-61
[2] Così
U. ROMAGNOLI, Commentario della Costituzione a cura di G. Branca,
Principi fondamentali, art. 3 Cost., Roma, 1975, 179-185
[3] L. BASSO,
La Corte del controllo, Il Contemporaneo, 10 dicembre 1955, n. 49, 4
[4] Cfr.
Corte Cost. n. 1/1956, n. 2/1956, n. 120/1957,
n. 9/1959
[5] L. BASSO,
Intervento a Un importante convegno milanese sul diritto di sciopero, in
Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, luglio-ottobre 1963,
n. 4/5, 292-296
[6] Con
riferimento a detta sentenza, ha
parlato non a caso di motivazione “contraddittoria” e “perplessa”
C. MORTATI, Appunti per uno studio sui rimedi giurisdizionali contro
comportamenti omissivi del legislatore, in Foro italiano, 1970, V, 964
[7] “… La gradualità si presenta come modo di
essere necessario e internamente coerente del fenomeno visto nel suo pratico
atteggiarsi, e appare come caratteristica del pari necessaria e comunque
compatibile del fenomeno stesso nella sua rilevanza costituzionale …” così
Corte Cost. n. 128/1973
[8] Il
diritto all’assistenza e quello alla previdenza presentano identità
strutturale. Trattasi di diritti sociali, ovvero diritti soggettivi pubblici in
senso proprio e come tali inviolabili, cfr. in tal senso Corte
Cost. n. 22/1969, n. 80/1971 e n. 160/1974
[9] Cfr. Corte
Cost. n. 128/1973 cit.,
n. 57/1973
[10] Si
vedano in proposito le argomentazioni di Corte Cost. n. 160/1974
[11] Così
M. LUCIANI, Diritti sociali e
livelli essenziali delle prestazioni pubbliche nei sessant’anni della corte
costituzionale, in Rivista AIC, 4, reperibile all’indirizzo http://www.rivistaaic.it/diritti-sociali-e-livelli-essenziali-delle-prestazioni-pubbliche-nei-sessant-anni-della-corte-costituzionale-631.html
[12] Si
rimanda a A. S. BRUNO, Diritto alla salute e riserva del possibile.
Spunti dal contesto brasiliano per osservare il “federalismo fiscale, in Convegno annuale dell’Associazione
Gruppo di Pisa, I diritti sociali: dal
riconoscimento alla garanzia. Il ruolo della giurisprudenza”, Trapani, 8-9 giugno, 2012, in www.gruppodipisa.it, 1 ss.
[13] Cfr. Corte
Cost. n. 180/1982 e n. 78/1988 nella quale, in particolare, si è
argomentato che “… La determinazione
dell'ammontare delle prestazioni sociali e delle variazioni delle stesse, sulla
base di un razionale contemperamento delle esigenze di vita dei
lavoratori che ne sono beneficiari e della soddisfazione di altri diritti
anche costituzionalmente garantiti da un lato, e delle disponibilità
finanziarie dall'altro, rientra nella discrezionalità del legislatore
che non può essere sindacata in sede di giudizio di legittimità costituzionale
se non quando emerge la manifesta irrazionalità della relativa normativa …”;
in tema di diritto alla salute si vedano Corte Cost. n. 104/1982, n. 175/1982, n. 226/1983,
n. 342/1985 e n. 1988
[14] Così
G. AMATO, Democrazia e
redistribuzione, Bologna, 1983, 7
[15] Così
L. PEGORARO, La Corte e il Parlamento, Padova, 1987, 87
[16] Si
veda per tutte Corte Cost. 260/1990
[17] Parla
di “ponderazione dei valori in gioco”
Corte Cost. n. 260/1990, cit.;
sui diritti “finanziariamente
condizionati”, si veda in particolare Corte Cost. n. 248/2011
[18] Così
G. CONSO, Le sentenze della Corte
costituzionale e l'art. 81, u.c., della Costituzione, Milano, 1993,
215
[19] Così
F. MERUSI, Servizi pubblici
instabili, Bologna, 1990, 30
[20] F. MERUSI,
sub art. 47, in Comm.
della Cost. Branca, Bologna-Roma, 1980, 154 ss.
[21] Cfr. G. AMATO,
Il mercato nella Costituzione, in AA.VV., La Costituzione economica, Padova,
1997, 17 e G. Bognetti,
La costituzione economica italiana:
interpretazioni e proposte di riforma, Milano, 1995, 91
[22] Cfr. Corte
Cost. n. 417/1996
[23] Cfr. Corte Cost. ord. n. 18/2001 e n. 319/2001
[24] Così Corte Cost. 316/2010; ancor prima, in materia si veda Corte
Cost. n. 62/1999
[25] Cfr. in
materia di diritto alla salute e ad un ambiente di lavoro salubre Corte
Cost. n. 85/2013
[26] Si veda in tal senso, in senso critico, M. LUCIANI, Unità nazionale
e struttura economica: la prospettiva della Costituzione repubblicana, in Diritto e società, n. 4, 2011, 635-719
[27] Si veda, per tutte, Corte Cost. n. 354/2008 nonché Corte
Cost. n. 111/2005
[28] Così
F. MODUGNO, Principi generali dell’ordinanamento, in Enciclopedia giuridica,
11-12; si veda sull’argomento anche O. CHESSA, La misura minima
essenziale dei diritti sociali: problemi e implicazioni di un difficile
bilanciamento, in Giurisprudenza Costituzionale, fasc.2, 1998,
1170 ss.
[29] Con
riferimento, per esempio, al diritto di abitazione (art. 47 Cost.) che
deve essere garantito ai cittadini meno abbienti mediante l’edilizia
residenziale pubblica, la Corte, con la sentenza n. 121/2010 ha
individuato il nucleo essenziale nella
mera attribuzione di una posizione
preferenziale compatibilmente con l’effettiva disponibilità degli alloggi
[30] Così
O. CHESSA, La misura minima essenziale dei diritti sociali:
problemi e implicazioni di un difficile bilanciamento, cit..
[31] L’espressione
è di S. GIACCHETTI, Profili
problematici della cosiddetta illegittimità comunitaria, reperibile
all’indirizzo http://www.lexitalia.it/articoli/giacchetti_illegittimita.htm
[32] Cfr. Corte
di Giustizia, sent. 15 luglio 1964, in causa C-6/64, Costa c. Enel
[33] Cfr. ,
tra le più importanti, Corte Cost. n. 238/2014 commentata su
http://orizzonte48.blogspot.it/2014/10/corte-costituzionale-sentn238-del.html,
Corte Cost. n. 170/1984 (nota
come sentenza Granital),
n. 1146/1988, n. 203/1989, n. 232/1989, n. 168/1991, n. 117/1995, n. 93/1997
[34] Così
M. LUCIANI, I controlimiti e l’eterogenesi dei fini, 1, reperibile
all’indirizzo http://www.questionegiustizia.it/rivista/pdf/QG_2015-1_15.pdf
nonché Integrazione europea, sovranita statale e sovranita popolare, reperibile
all’indirizzo
http://www.treccani.it/enciclopedia/integrazione-europea-sovranita-statale-e-sovranita-popolare_(XXI-Secolo)
[35] Al
riguardo, si vedano le pregevoli argomentazzioni di M. LUCIANI, L’antisovrano
e la crisi delle costituzioni, in Rivista di diritto costituzionale, Torino,
n. 1/1996, 158-161
[36] Come affermato da
G. AZZARITI, Revisione costituzionale e rapporto tra prima e seconda parte
della Costituzione, 1, reperibile all’indirizzo http://www.nomos-leattualitaneldiritto.it/nomos/gaetano-azzariti-revisione-costituzionale-e-rapporto-tra-prima-e-seconda-parte-della-costituzione/
“… È l’articolo 16 della Dichiarazione del 1789 ad affermare che non vi
è costituzione se non sono presenti almeno due elementi tra loro interrelati:
assicurare i diritti (fondamentali, N.d.R.) e garantire la divisione dei poteri. La salvaguardia dei primi
dipendendo dall’organizzazione dei secondi, e viceversa …”
[37] C. MORTATI,
La Costituente, Roma, Darsena, 1945, 199-200
[38] Così
A. BALDASSARRE, Diritti sociali, in Diritti della persona e valori costituzionali, Torino 1997,
123 ss.
[39] C. MORTATI,
Istituzioni di diritto pubblico, tomo I, capitolo V, Padova, 1975, 142-143
[40] “…Negli
ordinamenti costituzionali contemporanei…la sovranità è vista come un mezzo
vincolato di tutela e perseguimento attivo dei diritti umani. Diritti umani che
includono, senza arretramenti, i diritti di prestazione sociale”, così
L. BARRA CARACCIOLO, Euro e (o?) democrazia, Dike Giuridica Editrice Roma,
2013, 47; per questo lo stesso autore spiega in La Costituzione nella palude,
62, che “…il popolo è sovrano ma proprio
in quanto immediatamente definito nella sua dimensione prioritaria, cioè
identitaria, di comunità sociale impegnata nell’esplicazione di un’attività lavorativa,
come fondamento della sua dignità umana e sociale”
[41] Si
veda A. BARBERA, Pari dignità
sociale e valore della persona umana nello studio del diritto di libertà
personale, in Iustitia,
1962, 117 ss.; M. LUCIANI, Corte
costituzionale e unità nel nome di valori, in La giustizia costituzionale a una svolta (Atti del
seminario di Pisa, 5 maggio 1990) a cura di R. ROMBOLI, Torino, 1991, 176
ss.; P. CASAVOLA, La regola
costituzionale come valore, in Foro
nap., 1995, II, 191 ss.; A. BALDASSARRE, Diritti inviolabili, in Enc.
giur., XI, 1989
[42] In
questi termini P. BARILE, Il
soggetto privato nella Costituzione italiana, Padova, 1953, 168 ss.
[43] Così
A. BALDASSARRE, Diritti
inviolabili, cit., 31
[44] Così
M. LUCIANI, Economia nel diritto
costituzionale, in Digesto, IV edizione, vol. V, Torino, 1991, 376
[45] Così M. LUCIANI, La produzione della ricchezza nazionale, 8, reperibile all’indirizzo www.costituzionalismo.it/pdf/?pdfId=267
[46] Così
C. MORTATI, Appunti per uno studio sui rimedi giurisdizionali
contro comportamenti omissivi del legislatore, cit., 963-964
[47] Così
A. BALDASSARRE, voce Diritti inviolabili, cit., 36
[48] Così
l’on. Aldo Moro nella seduta del 13 marzo 1947, reperibile all’indirizzo http://www.nascitacostituzione.it/05appendici/03principi/01/index.htm.
Si veda anche il discorso in Assemblea Costituente dell’on. Ghidini
riportato da L. BARRA CARACCIOLO, in La Costituzione nella palude, Reggio
Emilia, Imprimatur, 2015, 92 ss.
[49] Così
C. MORTATI, Appunti per uno studio sui rimedi giurisdizionali contro
comportamenti omissivi del legislatore, cit.,
992 e 967
[50] http://orizzonte48.blogspot.it/2016/06/uk-italia-e-la-sovranita-la-sua-ragion.html;
http://orizzonte48.blogspot.it/2016/10/la-filosofia-riformatrice-della-venice.html
[51] Parla
di “finzione giuridica” M. LUCIANI, Integrazione europea, sovranita
statale e sovranita popolare, reperibile all’indirizzo http://www.treccani.it/enciclopedia/integrazione-europea-sovranita-statale-e-sovranita-popolare_(XXI-Secolo)/
[52] Così
C. MORTATI, La Costituente, cit.,
198
[53] Così
Lelio Basso in Assemblea Costituente riportato da L. BARRA CARACCIOLO in
La Costituzione nella palude, cit.,
91
[54] Così
G. AZZARITI, Revisione costituzionale e rapporto tra prima e seconda parte
della Costituzione, cit., 2
[55] Così
M. LUCIANI, Economia nel diritto
costituzionale, cit., 373
[56] Così
M. LUCIANI, Unità nazionale e struttura economica. La prospettiva della
Costituzione repubblicana, 40, reperibile all’indirizzo
http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/relazione-luciani.html
[57] Per una analisi sintetica ma chiara dei “saldi settoriali” della contabilità
nazionale, cfr. L. BARRA CARACCIOLO, Euro e (o?) democrazia, cit., 195-196
[58] Così O. CHESSA, Meglio tardi che mai La dogmatica dei
controlimiti e il caso Taricco, 3, nota 3 http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/2016/07/chessa.pdf
[59] Si veda, in tal senso il contributo di
O. CHESSA, Pareggio
strutturale di bilancio, keynesismo e unione monetaria, https://www.academia.edu/19561060/Pareggio_strutturale_di_bilancio_keynesismo_e_unione_monetaria_in_corso_di_pubblicazione
[60] Ci si riferisce a Corte Cost. n. 275/2016 commentata su http://orizzonte48.blogspot.it/2016/12/chiarimenti-sulla-sentenza-n275-del.html
[61] Così
M. LUCIANI, Dottrina del moto
delle costituzioni e vicende della costituzione repubblicana, 4 e 9, reperibile
all’indirizzo http://www.rivistaaic.it/dottrina-del-moto-delle-costituzioni-e-vicende-della-costituzione-repubblicana.html
[62] Così
M. LUCIANI, Il brusco risveglio. I
controlimiti e la fine mancata della storia costituzionale, 20, reperibile all’indirizzo http://www.rivistaaic.it/il-brusco-risveglio-i-controlimiti-e-la-fine-mancata-della-storia-costituzionale.html]
[63] Così
U. ROMAGNOLI, Commentario della Costituzione a cura di G. Branca,
Principi fondamentali, art. 3, Roma, 1975, 186
Parlare di « predominio assiologico » della Costituzione, richiama direttamente le fondamenta pregiuridiche dello Stato di diritto, quelle che Hobbes rinviene nell'Etica condivisa.
RispondiEliminaInfatti la derelativizzazione e il superamento del nichilistico "stato di natura" - « meramente politico » - dell'ordine liberale dei mercati, può avvenire esclusivamente con la coscienza della necessità della fondazione etica - in senso epistemologico - delle scienze sociali: diritto ed economia.
Se convieniamo che la Costituzione, in quanto fondativa dell'ordine sociale, è un codice che fa del sapere "scientifico" - economico, socialogico e giuridico - strumento di "effettività morale" delle promesse etiche ideali che il popolo sovrano condivide tramite le istruzioni politiche e giuridiche, ne risulta che la coscienza e la conoscenza delle dottrine economiche non possono non passare dai fondamenti della filosofia morale.
Questa è implicita nell'ermeneutica.
Chi parla di "valori" - anche se pur fenomenologicamente fondati - usa le parole - ossia le armi ideologiche - del nemico liberale e clericale.
Chi parla di "valori" parla di « prezzi », parla del controllo totalitario degli oligopoli industriali e finanziari.
La filosofia morale umana parla squisitanente di virtù o vizi, di ciò che è bene e ciò che male, ossia di ciò che "valore" ne ha o non ne ha.
Nel momento in cui una comunità si accorda su Principi - non valori! - fondamentalissimi, addirittura "universali" nel momento in cui la comunità internazionale stessa si accorda, è un autogol clamoroso per il costituzionalista usare una metrica assiologica basata sulla filosofia dei valori - apparentemente relativistica - poiché, nel nichilismo, domina il "nichilismo attivo" della classe egemone.
Un Principio non è "un valore quantificabile", è "incomprimibile" per definizione.
L'uomo, come - paradossalmente - il Duomo di Milano, non sono prezzabili, semplicemente perché secondo un'etica umanistica non sono mercificabili.
Ma l'Etica non è qualcosa di "artificiosamente teorico", è piuttosto fenomenologia dello Spirito.
Essere scettici su questo punto - oltre a dimostrare scarsa umiltà - è, ricordando Husserl, assurdo.
Nel momento in cui il costituzionalista parla di "valori", abbraccia volente o nolente l'ideologia moralistica rifiutata dai costituenti. I valori, per loro natura, sono comprimibili o espandibili a seconda del "mercato".
Chi parla di valori, lavora per la tirannia di chi ha il monopolio dei prezzi.
(La "gerarchia assiologica" perde senso perché implicita nel momento stesso in cui la comunità arriva ad accordarsi sui Principi fondativo: tutto il resto diventa giurisprudenza, ossia "scienza")
Sono d’accordo con il fatto che se guardiamo alla relazione tra valori e norme dal punto di vista schmittiano, la SUA conclusione non è errata: i valori non possono giustificare le norme perché, essendo il risultato di un atto soggettivo, basare le norme sui valori significa legittimare l’affermazione del più forte... “poiché, nel nichilismo, domina il "nichilismo attivo" della classe egemone”. Il valore vale sempre per qualcuno ed il rischio (concordo) è che si finisca con ricadere nell’homo mensura di Protagora e, quindi, nel relativismo. E che in Schmitt ci sia un’analogia con il concetto economico di valore è ugualmente innegabile, dal momento che Schmitt ci dice che “per il valore supremo il prezzo supremo non è mai troppo alto, e va pagato”.
RispondiEliminaDa quest’ultima affermazione, tuttavia, non ne deriva che qualsiasi prezzo può essere pagato per esso, perché possono esitere alcuni valori che esulano dalla logica del prezzo. Già questo non dovrebbe far desistere a priori dall’utilizzare in campo giuridico il termine “valore”, se la valutazione di quest’ultimo può basarsi certamente su criteri diversi.
Dico questo perché, in caso contrario, la questione potrebbe porsi anche con riferimento ai “principi”; anche i principi, infatti, sono posti da qualcuno che può identificarsi con la “classe egemone”; cambia solo la nominazione (da valori diventano principi). Quello che Schmitt afferma per il valori (ovvero che non è possibile distinguere tra gli stessi e le “credenze”) è possibile dirlo anche in relazione ai principi.
Il problema da porsi, allora, è diverso: esiste una fondazione oggettiva dei valori? Oppure, che è lo stesso, esiste parimenti una fondazione oggettiva dei “principi”? Ancora meglio: il concetto di “valore” può essere rifiutato a prescindere in campo giuridico perché il suo significato è da considerare, in una certa visione, come una mera scelta della volontà del più forte?
La risposta alla domanda è affermativa e la spiegazione l’hai esplicitata bene tu: il fondamento oggettivo è l'Etica, che “non è qualcosa di "artificiosamente teorico", ma fenomenologia dello Spirito”. I Principi esprimono dei valori incomprimibili e non mercificabili che hanno il fondamento oggettivo di cui abbiamo detto (per esempio Scheler, sul punto, come sai qualcosa di importante l’ha detta).
Il problema è perciò, a mio modesto avviso, sempre di sostanza e non di forma. Se certi giuristi utilizzano il termine “valore” nel senso schmittiano, relativizzandolo (parlando non a caso di “tirannia dei valori” e così legittimando il “pluralismo” mercatista), è perché difettano assolutamente della sostanza. Infatti, gli stessi non disdegnano di utilizzare a loro volta la categoria dei “principi”, ma ricadono in ogni caso nell’errore fatale. Esistono invece giuristi (Luciani è uno di questi) che non a caso parlano di “interpretazione per valori”, assumendo però questi ultimi nel senso corretto
Schmitt, ne "La Tirannia dei valori", per quanto la innesti in una riflessione di carattere costituzionale fornendo gli strumenti cognitivi per comprendere l'impatto della filosofia dei valori nelle moderne costituzioni, fa una riflessione che non è neanche "filosofia del diritto": è filosofia pura. Filosofia morale.
EliminaOvviamente, per quanto il grande giurista rimanga sempre piuttosto opaco nelle sue analisi, la "tirannia dei valori" che teme è quella della maggioranza democratica. Tanto quanto i liberali.
Non a caso tradizionalisti e reazionari di ogni genere - termine quest'ultimo che ha in politica un senso ben preciso che non è quello che ha recentemente sdoganato Alberto per la gioia degli amici "de destra", v. II comma 3° art. Cost. - sono, insieme a fascisti e nostalgici de noantri, storicamente le stampelle ottuse dei liberali. Ossia del liberismo.
Schmitt cita, infatti, i grandi nomi della filosofia morale e della sociologia (Weber), necessaria questa poi per l'impatto "giuridico".
Ma perché lo fa?
Per motivi di natura ermeneutica: egli sa che razza di porcheria è il pensiero liberale, e lo odia tanto quanto quello socialista, in quanto affetto da nichilistico positivismo economicista.
Infatti, ad avvalorare le origini della diffusione della "filosofia dei valori" con l'economicismo liberale, cita il più grande allievo di Husserl: Heidegger.
Schmitt cita ovviamente Max Scheler, in definitiva un altro gigante della fenomenologia che si è occupato di fondare fenomenologicamente l'etica dei valori. E lo fa, riuscendoci brillantemente. Il problema, come nota Schmitt, è che è necessario un pensiero complesso di cui magari non tutti, a differenza di Scheler, sono dotati.
Lo stesso lo fa, sul piano laico, citando più volte un altro grande fenomenologo: Nicolai Hartmann.
Infatti, ciò che tu dici, è corretto: anche Basso usa "valori" come sinonimo di principi, ma, permettimi, il discorso non cambia, perché non è di natura squisitamente nominalistica. Il punto, come fa notare Schmitt, è sostanziale.
"Valore" non è una semplice parola, un sostantivo come un altro: è una categoria che appartiene ad una ideologia ben fondata moralmente (non esiste, a ben vedere, l'amoralità nella filosofia dei valori): è quella liberale. Ossia quella per cui "non esiste prezzo che possa essere pagato per certi beni di ordine superiore". Ad esempio, per la salvezza di Gaia è giusto sterminare malthusianamente la plebaglia. Per "l'efficienza del mercato" è giusto far soffrire come dei cani milioni di disoccupati e relative famiglie.
L'altro grande sistema morale che cita Schmitt è quello per cui il bene supremo è la vita umana ed i suoi inalienabili diritti.
Socrate Vs Trasimaco.
Sono questi i grandi paradigmi morali in dialettica.
Usare la categoria "valore" è, per chi si oppone all'etica antiumana di liberali e marmaglie reazionarie varie, a mio umile avviso, un boomerang cognitivo.
Valore - bonum - è sempre stato usato in un'accezione diversa che nella filosofia dei valori che spopola ovunque negli ultimi due secoli: "valore", nella modernità, implica una "gradazione quantitativa" che implica un "bilanciamento" tra più valori (il bilancio d'esercizio!) che non ha senso in una morale umanista che ha la dignità umana come vincolo interno, e di cui, tutto il resto della "gerarchia assiologica" segue con questa inequivocabile priorità irrinunciabile.
(Credo che Arturo ti farebbe sponda sulla tua riflessione, supportando l'espressione di Luciani che, di per sé, ripeto, ci sta. Basta tener presente che esiste un nesso ben preciso tra economicistica "teoria del valore" e "filosofia dei valori"...)
La discussione è vecchia di qualche giorno, ma non ho avuto tempo di intervenire prima; in ogni caso il commento è “a richiesta”. ;-)
EliminaDiscussione impegnativa…Io penso che Schmitt sia un pensatore molto ambiguo e sottile, per questo, ancora più che in altre occasioni, un esame attento dei testi è indispensabile per separare ciò che è di Schmitt dagli usi che vogliamo fare noi del suo pensiero. Per esempio non me la sentirei di definire la riflessione schmittiana “di filosofia pura”. Il pensiero di Schmitt, per quelli che ne sono gli stessi contenuti, ha *sempre* ricadute politiche e/o tecnico giuridiche (ma diritto e politica per Schmitt non sono mai completamente separabili).
La Tirannia dei valori non fa eccezione, come ci si rende subito conto: “Nella interpretazione della legge fondamentale di Bonn, i tribunali della Repubblica federale tedesca si sono affidati senza grandi esitazioni alla logica dei valori. Con ciò, non è ancora detto che da noi la logica dei valori abbia raggiunto forza di legge, che sia divenuta, attraverso la giurisprudenza dei tribunali superiori tedeschi, una specie di judge made law tedesca.
In ogni caso, il legislatore della Repubblica federale esita ancora a questo riguardo. Un giudice di carriera ha bisogno invece di un fondamento oggettivo per le sue decisioni, e a questo effetto gli si offre oggi una molteplicità di filosofie dei valori. Si tratta di vedere fino a che punto una tale molteplicità sia in grado di fornire i desiderati fondamenti, convincenti e oggettivi.” (C. Schmitt, La tirannia dei valori, Antonio Pellicani Editori, 1988, Roma, pag. 27).
Schmitt sta insomma discutendo di questioni molto concrete, di tecniche interpretative del Grundgesetz, e sta difendendo la centralità del ruolo del legislatore (““In una comunità, la cui costituzione prevede un legislatore e delle leggi, è compito del legislatore e delle leggi da lui poste, stabilire la mediazione mediante regole determinabili e attuabili, ed evitare il terrore dell’attuazione immediata ed automatica del valore.”, Ibid., pag. 74-5), una posizione, specialmente in materia di stato sociale, schiettamente liberale (ricordate il “costituzionalismo politico?”) e fatta propria dal Bundesvervassungsgericht (Amirante ne dà ampiamente conto nel suo libro). Che sia questa la posizione di Schmitt, ossia una difesa dello Stato borghese di diritto, come lo chiama lui, possono esserci pochi dubbi: “nella prassi dei tribunali e degli uffici amministrativi [l’autonomia del valore] si sfogherebbe come valore indipendente, e lascerebbe cozzare per esempio i valori scatenati validi nello Stato di diritto con quelli dello Stato sociale.” (Ibid., pag. 46).
Questo consente di capire meglio anche la critica schmittiana al liberalismo. Del liberalismo il giurista di Plattenberg non ha mai criticato i contenuti sociali (anzi, come dicevo ha sempre difeso l’interpretazione più veteroliberale possibile delle varie costituzioni tedesche), ma la sua debolezza, e quindi impotenza, politica (emblematicamente incarnata nel formalismo kelseniano), che lo conduce al tradimento di se stesso e dei suoi contenuti tradizionali, la cui difesa di fronte alla “crisi”, che Schmitt tende ad interpretare in termini più filosofico-epocali che sociali, benché di questi ultimi fosse ovviamente ben consapevole, impone una loro “ridrammatizzazione” attraverso una tragica, in quanto infondata, decisione originale: “Sta in questo oblio dell'origine, in questa “cattiva” metafisica che pensa la forma come automatismo e neutralità, e non come esito di un'azione politica radicale, la spiegazione del costante antiliberalismo di Schmitt, che nel liberalismo vede in generale la deriva passiva del Moderno, una teoria e una prassi politica non radicali, inefficaci, e quindi impari alle esigenze di un tempo - il tempo di Schmitt - in cui la crisi riesplode in forme di drammatica intensità.” (C. Galli, Genealogia della politica, Il Mulino, Bologna, 1996, pag. xii).
Ossia, il liberalismo non è criticato in quanto, poniamo, propone un’immagine del funzionamento di una società capitalista che è falsa, e in quanto tale può essere sostituito con una che invece è vera, così da organizzare razionalmente e democraticamente la mediazione politica, tanto meno per il suo autoritarismo, ma proprio in quanto ancora coltiva, o finge di coltivare, quest’illusione di razionalità, che in quanto tale è da respingere qualsiasi ne siano i contenuti (hegeliani, marxiani e ovviamente anche keynesiani).
EliminaE’ sempre in quest’ottica tutta politica che va letta – mi pare - la critica alla logica dei valori, quali che essi siano (anche la vita, ovviamente: “Le diverse filosofie della vita si ritenevano spesso un superamento del materialismo, o si spacciavano per lo meno come tali. Ciò non toglie che le loro valutazioni, valorizzazioni e svalorizzazioni finissero nella secolarizzazione generale, accelerandovi soltanto la tendenza verso una scientificazione neutralizzante.”, La tirannia cit., pag. 35), come “illusione di neutralità” (Ibid., pag. 64), ossia come illusione di una razionalità pratica capace di bypassare l’esigenza di una decisione, unica garanzia di quella “coazione alla forma” che per Schmitt è l’unico possibile orizzonte politico-giuridico a cui la modernità secolarizzata può aspirare.
Scusate la lunghezza, ma sennò mi pare rischiamo di farci “intrappolare” da Schmitt.
Dunque che cosa ce ne facciamo oggi di questa critica ai valori? Direi che morde proprio sul piano tecnico-giuridico: l’interpretazione per valori è un modo per evadere dal testo, che se nel Grundgesetz è liberale, nel caso della nostra Costituzione NO! Ne avevo già parlato, se ricordate.
Luciani parla di valori, certo, ma solo per dirci che i valori costituzionali sarebbero i diritti (“I
valori fondanti, dunque, sono essenzialmente i diritti, e questi possono perciò a pieno titolo predicarsi davvero della “ fondamentalità”.”, M. Luciani, Corte costituzionale e unità nel nome dei valori in R. Romboli (a cura di), La giustizia costituzionale a una svolta, Giappichelli, Torino, 1991, pag. 173). Allora, mi verrebbe da dire, entia non sunt moltiplicanda sine necessitate: seguiamo Pace, lasciamo i “valori” nel pregiuridico, preoccupandoci solo di quelli che il legislatore costituente ha fatto propri, in forma di norme-regole o di norme-principi, come si diceva, mi pare in modo piuttosto soddisfacente, una volta. Interessiamoci piuttosto delle ragioni pratiche per cui sono stati selezioni alcuni valori (per esempio il lavoro) piuttosto che altri (per esempio la stabilità dei prezzi). E qui arrivo alla questione etica.
Non intendo inerpicarmi sulle vette della filosofia, sia per limiti miei, sia perché mi pare una discussione non indispensabile. Se ha ragione Franca D’Agostini, ossia se quella etica è largamente una discussione sulla plausibilità di “mondi possibili” a partire dal “mondo in comune” che condividiamo, cioè in gran parte una discussione fattuale, non credo sia necessario scomodare chissà che impegnativo armamentario teorico per convincere qualcuno a rifiutare un’etica la cui attuazione lo relega al ruolo di precario sottopagato a vita. Ovvero a me pare che più che filosofica la questione sia teorica, di critica economica da un lato, e pratica, di controllo dell’informazione, di organizzazione politica delle classi popolari e di consapevolezza degli operatori, dall’altro. Mi sbaglierò…
Naturalmente concordo.
EliminaMa ragionare di problemi di teoria generale, in definitiva, dell'interpretazione, muovendo dalla contrapposizione (ipotizzata) di definizioni del "sistema" (e del suo fondamento "epistemologico") e delle possibili conseguenze, di tali definizioni, sulle tecniche interpretative, - cioè muovendo da interpretazioni non giurisprudenziali ma accademiche (in ultima analisi), è un percorso comunque in salita.
Fortemente storicizzabile; come il linguaggio stesso (o la foggia e lo stile del vestire).
Mi accontenterei di essere empirico e induttivo, cioè, muniti di sufficiente intuizione essenzialista, "fenomenologico": rammenterai sicuramente la distinzione tra "giurisprudenza dei concetti" e giurisprudenza degli interessi", legata a sua volta al "riempimento" delle c.d. clausole generali.
Ma una volta assunto correttamente il senso (direi il "valore") giuridico della gerarchia delle fonti, costituzionalizzata e non implicita (di cui abbiamo più volte parlato qui sul blog), tutto si riduce alla legittimità di questa o quella tecnica legislativa, dalla quale dipende il compito di cui si "sente" investito il giudice (per lo più in senso degenerativo, magari inconsapevole, rispetto al "valore" di garanzia GIURIDICA della gerarchia delle fonti).
Un esempio di questa degenerazione, il cui presupposto è un legislatore che si svincola "filosoficamente" dalla lettera e anche dalla sistematica della Costituzione (che è poi ciò che veramente conta, anche ai fini dell'argomento del post), lo trovi qui sotto. E non aggiungo altro:
http://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/20131010_ReportGuizzi.pdf
Ci tengo a precisare che la mia è una puntualizzazione metodologica (cioè un modo di arrivare alla conclusione evitando troppi passaggi dimostrativi e confutativi non indispensabili).
EliminaE d'altra parte, si "risponde" alla questione logica (e giuridica) nei termini in cui, di volta in volta, viene proposta...
Siccome sei dotato di enormi capacità di lettura e di saldi principi logico-cognitivi, alla conclusione fenomenologica ci sei ovviamente arrivato:
"a me pare che più che filosofica la questione sia teorica, di critica economica da un lato, e pratica, di controllo dell’informazione, di organizzazione politica delle classi popolari e di consapevolezza degli operatori, dall’altro".
Ma non voglio privare, you guys, di un divertissment: entia non sunt multiplicanda ma non si vive di solo pane :-)
PS: quello che può essere in assoluto fuorviante è il concetto altamente elusivo di "filosofia del diritto". Preferisco parlare di teoria generale del diritto: ogni scienza sociale ha una sua teoria generale che, peraltro, è inscindibile (per necessità) dalla Storia della stessa "teoria". Ma questa "teoria" è un corpo unico con la scienza sociale stessa, anche se dotata della necessaria interdisciplinarietà (che qui sommamente auspichiamo).
Il pericolo è pensare che OGNI teoria generale sia una branca specialistica (settoriale) della filosofia. Ecco questo mi pare un difetto di base: le scienze sociali studiano organizzazione e dinamiche della società in base alla ricognizione di fatti, individuando dei principi e delle regole che "storicamente" li caratterizzano nel loro concreto svolgimento.
Se poi questo si riversi nella filosofia è un problema...dei filosofi: essenzialmente perché cercano un'identità una volta che fisica teorica (e altre scienze "naturali"), da un lato, e scienze sociali, dall'altro, hanno sottratto un oggetto definibile alla filosofia.
I punti di partenza degli spunti di riflessione che ho provato sinteticamente a sviluppare sono ben riassunti da Alessandro Bella
RispondiEliminaNotare il programma de "L'Italia dei valori"...