martedì 8 settembre 2020

REFERENDUM COSTITUZIONALE: TRA NORMALIZZAZIONE DEL VINCOLO ESTERNO E EFFICIENZA...NELLA RIDUZIONE DEL PIL

Post di Arturo, che ringraziamo per il contributo.



Come sapete, il 20 e 21 settembre si svolgerà un referendum confermativo ex art. 138 della Costituzione sulla legge costituzionale concernente "Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari".
Posto che votare è un dovere civico (art. 48 Cost.), vi ricordo che non c’è quorum, quindi l’astensione è irrilevante ai fini del risultato.

Credo possa essere interessante un esame molto semplice ma – speriamo – preciso degli argomenti pro e contro più direttamente attinenti al taglio del blog (per gli altri, vi rimando all’articolo della Algostino linkato al n. 5), alla luce di un approccio alla Costituzione che intenda “prenderla sul serio”, come dice Dworkin.

1. In primo luogo un riferimento temporale: come si legge su Wikipedia, fu dagli anni Settanta che cominciò ad essere agitato l’auspicio di una riduzione del numero dei parlamentari. Difficile non lasciar correre il pensiero al paradigma della governabilità lanciato dalla Trilaterale (qui, addendum) e da allora dominante nei salotti, buoni o meno buoni che siano.

Questo scambio in Costituente fra Einaudi, ovviamente favorevole alla riduzione, e Terracini tende ad avvalorare molto i sospetti circa la matrice antidemocratica, e specificamente neo-liberale, del provvedimento oggetto del referendum:
“EINAUDI: è d'accordo con l'onorevole Conti sulla opportunità di ridurre il numero dei membri, sia della prima Camera che della seconda, anche per ragioni, che crede evidenti, di tecnica legislativa. Difatti, quanto più è grande il numero dei componenti un'Assemblea, tanto più essa diventa incapace ad attendere all'opera legislativa che le è demandata.PRESIDENTE TERRACINI: la diminuzione del numero dei componenti (per) la prima Camera repubblicana sarebbe in Italia interpretata come un atteggiamento antidemocratico, visto che, in effetti, quando si vuole diminuire l'importanza di un organo rappresentativo s'incomincia sempre col limitarne il numero dei componenti, oltre che le funzioni. Quindi, se nella Costituzione si stabilisse la elezione di un Deputato per ogni 150 mila abitanti, ogni cittadino considererebbe questo atto di chirurgia come una manifestazione di sfiducia nell'ordinamento parlamentare.”

2. Questa citazione contiene un’osservazione molto importante: il riferimento alle funzioni. 
Benché essa sia dirimente, e in fondo banale, mi pare che nel dibattito referendario, as usual, la questione abbia fatto capolino solo sporadicamente: è chiaro che la riduzione del numero di voci che possono accedere al Parlamento, ovviamente per prime resterebbero alla porta quelle fuori dal coro, qualifica la qualità della rappresentanza, ma uno svuotamento delle competenze dell’organo rappresentativo ne costituisce un vulnus esiziale. 
Detto nel modo più semplice possibile: di che rappresentanza parliamo se il Parlamento non decide più niente di importante perché c’è il vincolo esterno? Soprattutto nella lettura delle norme procedurali si rischia di perdere il nesso ermeneutico fra la disposizione e i principi generali (ricordo il sempre prezioso insegnamento di Esser), che ci sono e non possono non esserci *sempre*, siano essi esplicitati o meno.
Si capisce bene che un conto è leggere le norme sulla rappresentanza come se il loro scopo fosse, poniamo, assicurare la semplice rimozione pacifica dei governanti (Popper) – quasi che il cambiamento degli attori a copione invariato costituisse chissà quale meta ambita - o decisioni rapide o un aumento dell’“efficienza”, qualsiasi cosa possa voler dire in questo contesto (ci torno sopra dopo parlando della teoria delle scelte collettive); ben diverso l’atteggiamento di chi individui la ratio nell’esigenza di garantire la sovranità popolare “fondata sul lavoro”.   
Per esempio un vecchio Maestro considerava corollario delle funzioni riconducibili alla rappresentanza l’esigenza che il Parlamento avesse “la disponibilità-controllo delle risorse finanziarie senza vincoli esterni od interni che non siano quelli derivanti dal riconoscimento dei diritti costituzionalmente garantiti.” (G. Ferrara, Le forme di governo in G. Azzariti (a cura di), Quale riforma della Costituzione?, Giappichelli, Torino, 1999, pagg. 15-16).
Né dovrebbe essere mai dimenticato che all’epoca del Trattato di Roma, quando certi scenari erano ancora impensabili, o almeno inconfessabili, fu solennemente promesso che “niente di sostanziale può sfuggire al controllo dei Parlamenti nazionali” (qui, n. 5.1.).
  
2.1. Inutile dire quanto il processo di integrazione abbia proceduto in direzione esattamente contraria alle promesse e alle direttive costituzionali, come viene, o almeno veniva, placidamente ammesso anche su manuali istituzionali:
il trasferimento alle istituzioni comunitarie dei numerosi e importanti poteri di cui si è sin qui discusso finisce col trasferire alle istanze intergovernative che danno corpo a quelle istituzioni la stessa funzione d’indirizzo politico generale, rendendo poi in buona parte vincolate le conseguenti determinazioni nazionali.
In questa prospettiva la separazione (ideale) tra il piano governativo comunitario e quello interno finisce col rappresentare lo schermo, posto dai governi nazionali, non solo ai controlli giuridico-costituzionali, ma anche a quelli più strettamente politici nei confronti del loro operato.” (F. Sorrentino, Profili costituzionali dell’integrazione comunitaria, Giappichelli, Torino, 1996, pag. 55).

Uno stato patologico la cui normalizzazione, a ben guardare, costituisce la vera ratio di tutto il controriformismo costituzionale degli ultimi decenni
La finalità è quella di “ratificare, cristallizzandola in Costituzione, la sottomissione dei massimi organi di decisione politica, cioè le Camere elettive (il nuovo Senato tra l'altro perde questa connotazione) ad un indirizzo politico, quello €uropeo, che non solo si forma al di fuori del territorio e della volontà del popolo italiano, ma che diviene vincolante al di là di qualsiasi esito elettorale (rendendolo per sempre irrilevante, finché fosse in vigore questa riforma della Costituzione).” come dicemmo in occasione dello scorso referendum costituzionale (qui, n. 3).
Mutatis mutandis, ossia in forma un po’ più indiretta, il ragionamento di allora resta del tutto pertinente per capire il senso profondo dell’odierna riforma, il cui esito immediato sarebbe di ratificare “il caciquismo del sistema politico italiano”, come ha detto efficacemente Mangia.  

I restanti argomenti del SI valgono poco, ma per completezza dedicherò loro un minimo di attenzione.

3. La corruzione. Un evergreen che solo la sempre più premeditata ignoranza della storia può consentire di proporre. 
Come ricorda Nadia Urbinati (Rapresentative Democracy, The University of Chicago Press, Chicago e Londra, 2006, pag. 220), che, al netto del suo europeismo, dice parecchie cose sensate, “gli Ateniesi, le cui  giurie popolari erano così numerose che neanche il cittadino più ricco poteva realisticamente comprarsi un verdetto favorevole, erano ben consapevoli della funzione preventiva del numero.”
Una delle poche ad aver ricordato questa lezione storica è stata M. C. Pievatolo, a cui rendo volentieri merito:
 

4. Il risparmio. In termini monetari si parla di spiccioli (Infodata, una fonte direi insospettabile di populismo, quantifica la favolosa somma in 81, 6 milioni l’anno, ben lo 0, 01% del PIL), ma il problema sta nel manico: non solo perché è insensato e orribilmente ideologico pensare di poter dare un prezzo alla rappresentanza, ma anche perché sembra impossibile far comprendere – anche se naturalmente pure la stupidità è un fatto sociale, come diceva Costanzo Preve - la banale realtà che la spesa pubblica, compresi ovviamente i vituperati stipendi dei parlamentari, è una componente positiva del PIL, quindi una sua riduzione, sia pure solo dello 0, 01% del PIL, produrrebbe effetti di segno negativo. Ovvero termini pertinenti se riferiti alla contabilità privata risultano fuorvianti se trasferiti in quella pubblica senza adeguati caveat (se interessa un semplice ripasso, ex multis vi consiglio questo post).


4.1. Meno puerile, anche se non necessariamente meno ideologica, un’argomentazione basata sulle nozioni di efficienza e costo delle decisioni della teoria delle scelte collettive (Buchanan e Tullock): decidere richiede tempo e risorse che potrebbero essere impiegati altrimenti, rappresenta quindi un costo. 
E’ evidente che considerare l’esercizio della libertà collettiva un costo implica che il massimo di risparmio lo si conseguirebbe con un’autocrazia: l’aberrazione utilitarista di considerare la libertà priva di valore intrinseco, su cui in tanti hanno attirato l’attenzione, a partire da Kant per arrivare a Rawls e Sen, colpisce ancora. 
Per non parlare del tipo umano presupposto da modellizzazioni che ritengono di poter ridurre  ogni scelta a un calcolo utilitaristico, anche se “imparziale”: che cosa penseremmo della serietà morale di Anna Karenina, si domanda Scruton (On Human Nature, Princeton University Press, Princeton e Oxford, 2017, pag. 96), se la trovassimo intenta a risolvere il dilemma della scelta fra Vronskij e Karenin attraverso un calcolo di utilità di questo tipo: “meglio soddisfare due persone giovani e sane, io e Vronskij, che una più anziana per un fattore 2.5 a 1: quindi vado.”?  
Di queste ed altre assurdità che aleggiano attorno al concetto di efficienza così come impiegato dall’economia ho fatto cenno qui, ma se non altro il rigore formale dei modelli li rende talvolta refrattari a un rozzo impiego apologetico della situazione specifica. Sì perché l’altra posta negativa contemplata dalla teoria, quella dallo scambio con la quale dipende l’efficienza dell’assetto decisionale, sono i c.d. “costi esterni”, ossia i costi che la decisione impone ai membri della società.
Qui bisogna essere molto chiari. Se ve lo state domandando, la risposta è sì: un (fantomatico) autocrate illuminato incarnerebbe l’opzione ottimale della teoria: azzererebbe i costi della decisione e massimizzerebbe la funzione di utilità dei sottoposti. Tanto più si afferma che il benessere dei cittadini, pardon: sudditi, dipende dalle inevitabili, ancorché impopolari, riforme, tanto più si può sostenere che costi della decisione e costi esterni si alimentano gli uni con gli altri “bloccando” il paese in una situazione di letale “inefficienza” del sistema rappresentativo. (Non credo che questa intelaiatura retorica suoni familiare solo a me…).
Non è un caso che Salvati, il neoriformista gallonato, affacciasse anni fa l’esigenza se non di un dittatore illuminato almeno di un suo equivalente funzionale (evidentemente la strada da Blair a Schmitt è molto più breve di quanto possa sembrare): “Il dittatore illuminato è una figura mitica, una finzione. Ai tanti ingeneri istituzionali che si affannano al capezzale della seconda repubblica l’arduo compito di inventare un equivalente democratico del benevolent dictator, che renda possibile la formazione di governi autorevoli, capaci di affrontare misure impopolari e di sostenerle nel lungo periodo.”
Come sanno, o almeno potrebbero sapere, ormai anche i sassi, questo equivalente funzionale, sia pure con qualche frizione che le riforme costituzionali e legislative di segno decisionista sono appunto chiamate ad appianare, c’è già, ed è il vincolo esterno (qui l’inequivocabile testimonianza di Carli); se tuttavia vogliamo osare insinuare che, per usare un delicato eufemismo, tanto benefico per i cittadini italiani esso non si sia rivelato, anche senza scomodare Platone (ma perché no?), ecco che i termini della questione si prestano ad essere rovesciati e le fantasie autocratiche dei novelli Grandi Inquisitori ribaltate.

Ovvero, se ci troviamo nella situazione descritta da questo tweet di Bankitalia:
ossia con un PIL tornato al livello del ’93 e un PIL pro-capite a quello degli anni Ottanta (!), tante cose si possono dire delle decisioni politiche a monte di questi straordinari risultati, dal divorzio Tesoro – Banca d’Italia all’unione bancaria (qui un eloquente regesto redatto da Giacchè), ma certo non che se ne sia discusso *troppo*. 

Lo stiamo vedendo oggi col MES: se non è filato via sul velluto more solito, è stato grazie ad alcune voci fuori dal coro che hanno imposto un minimo di pubblica discussione. Quindi tutto si può dire della rappresentanza meno che al suo alleggerimento funzionale si sia accompagnato quello dei costi esterni: esattamente il contrario.    
(Naturalmente, sia detto en passant, se passassimo il sistema decisionale comunitario al pettine delle teoria delle scelte pubbliche ne uscirebbe come Kojak, come potete verificare leggendo il libro di Majone. Ovvero l’intermittenza e strumentalità dell’appello alla scienza e ai suoi tecnicismi giustifica una volta in più l’osservazione che stiamo assistendo non alla rivolta degli ignoranti antiscientifici, ma al manifestarsi “di un autoritarismo gerarchico che non sarebbe altrimenti possibile esprimere in modo esplicito con il vocabolario della politica”, come ha detto il Pedante).
Più nello specifico, Alberto ci ha fornito un vivace quadro di prima mano delle presunte lungaggini parlamentari: “l'opposizione non può far perdere tempo alla maggioranza, e in particolare non lo ha fatto col Cura Italia, tant'è che il provvedimento è andato in Assemblea col relatore (su quello che è successo dopo taccio per carità di Patria).”

5. Ultimo, anche per ordine di importanza, il facciamocome
Qui la Algostino, al cui articolo vi rinvio anche per altre questioni tecniche, è stata impeccabile, quindi mi limito a citare lei: “L’Italia ha una percentuale di numero dei deputati (camera bassa) ogni 100.000 abitanti pari a 1, identica al Regno Unito (1) e simile alla Francia (0.9)[10], alla Germania (0.9)[11], ai Paesi Bassi (0.9), alla Polonia (1.2), al Belgio (1.3)[12]. Non mancano Paesi che presentano una percentuale decisamente più alta, quali, per limitarsi a qualche esempio: Austria (2.1), Danimarca (3.1), Grecia (2.8), Portogallo (2.2), Svezia (3.4); per non citare Stati con popolazioni e territorio di dimensioni assai ridotte, come Slovenia (4.4), Lussemburgo (10), Malta (14.3)[13].

In caso di approvazione definitiva della riforma[14], l’Italia si troverebbe ad avere una percentuale pari a 0.7, la percentuale più bassa fra gli Stati membri dell’Unione europea (seguita dalla Spagna, con 0.8).

Ora, fermo restando che i dati devono essere letti senza misconoscere il ruolo giocato dalla loro contestualizzazione e, quindi, alla luce di variabili “istituzionali”, come la forma di governo e il sistema elettorale, così come di elementi di fatto, quali la popolazione totale o le dimensioni del territorio, quanto detto smentisce la vulgata che dipinge l’Italia come un Paese anomalo per la eccessiva numerosità dei suoi parlamentari.”

6. Insomma, e per concludere, la riforma non serve ai fini indicati dai suoi proponenti ma ad altri. Ho già detto quali ma lo ripeto con un’osservazione in termini più generali: la cifra caratteristica di questo cupo inizio secolo è quello di una sempre più pronunciata “regressione oligarchica”, nel senso di uno “spostamento verso l’alto dei rilevanti centri decisionali, in forza del quale le decisioni politiche scivolano via dalle sedi più ampie e partecipate e si ritirano in luoghi meno accessibili, per lo più riservati a ristretti gruppi oligarchici” (S. Petrucciani, Democrazia, Einaudi, Torino, 2014, s. p.). 
Una regressione che va facendosi ogni giorno più apertamente autoritaria e distopica. Votare NO significa, se non altro, non rendersi complici di chi sta forgiando le nostre catene. 





mercoledì 15 luglio 2020

"LO STRANO CASO ITALIA" PRESENTAZIONE DEL 22 LUGLIO (Next Generation e condizionalità)

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Ho inserito due volte l'immagine della locandina della presentazione del 22 luglio (ore 18,30, presso la libreria Horafelix, via Reggio Emilia 89) perché nella prima versione la copertina del nuovo libro si accosta in sovrapposizione a quella de La Costituzione nella palude. Il che, considerati gli eventi degli ultimi mesi e, più che mai, degli ultimi giorni, non guasta.
Speriamo di riuscire a discutere almeno un paio d'ore, se avrete la pazienza di rimanere in sala, o in linea, fino alle 20.30: in effetti il parterre pare ideale per discutere a fondo di questioni come l'ESM, sempre in agguato, e il Recovery Fund; o come vorranno alla fine denominarlo: Recovery and Resilience Facility nel quadro più ampio dell'iniziativa  denominata Next Generation EU,-, che si annuncia non meno pesantemente condizionale dell'ESM "Covid line" stesso

Il clou di questa condizionalità si collega al potere di monitoraggio affidato a dei delegati-rappresentanti del Consiglio Ue (espressi da tre diversi Stati-membri; e possiamo già immaginare quali...), Consiglio a cui spetterebbe (in luogo della Commissione) anche la preliminare competenza ad approvare i "programmi di investimento".
La caratteristica peculiare della nuova condizionalità rafforzata risiederebbe, allo stato delle proposte fin dall'inizio prospettate, nella sua auto-esecutività, nel senso che, ravvisato dagli "ispettori" del Consiglio, l'inadempimento degli impegni, con riguardo a tipologia, modalità e, soprattutto, tempi di realizzazione dell'investimento, l'erogazione dei fondi corrispondente ad un certo "stato di avanzamento" programmato, verrebbe direttamente sospesa
Ma permarrebbero sia l'obbligo di contribuzione aggiuntiva nazionale al "nuovo strumento" complessivo (ipotizzata in uno 0,8 del PIL all'anno, in aggiunta all'attuale contribuzione), sia il concorrente obbligo di co-finanziamento (che in linea di principio accompagna la realizzazione dei programmi di spesa legati ai "fondi" europei); il programma di investimento non sarebbe perciò fermato, ma verrebbe sostanzialmente finanziato 2 volte dai contribuenti italiani (la prima mediante la contribuzione aggiuntiva che, tendenzialmente, corrisponderà alla restituzione dei fondi "assegnati" all'Italia, la seconda, appunto, essendo privati di una quota di tali fondi e dovendo egualmente finanziare l'intervento).

Occorrerà dunque vigilare attentamente sul pletorico assetto concordato che potrebbe emergere dal negoziato condotto contestualmente sul Recovery Fund e sul quadro pluriennale di bilancio Ue (c.d. QFP): tale tipo di condizionalità auto-esecutiva, e particolarmente onerosa, infatti, probabilmente, assecondando le proposte in materia già formulate prima della crisi "pandemica", ricomprenderebbe non solo i "programmi di investimento" (come detto in assunto nelle dichiarazioni Macron-Merkel di Meseberg che hanno dato vita concreta all'iniziativa), ma anche il corretto utilizzo dei Fondi preesistenti nel quadro di bilancio, nonché quelli (più o meno) nuovi che si accompagnano al Recovery and Resilience Facility (appunto nel quadro di Next Generation)
Inoltre, la sospensione "sanzionatoria" dei pagamenti, - essendo complessivamente sia il programma Next Generation che il "tradizionale" bilancio pluriennale, legati espressamente al rispetto delle regole finanziarie dell'eurozona, secondo la scansione stabilita nei Country Report (previsti dal reg.473/2013 nell'ambito del c.d. twopacks) - potrebbe anche scaturire dal mancato rispetto delle direttive macroeconomiche impartite dalla Commissione nel Country Report e quindi riguardare (aggiuntivamente)
a) il mancato rispetto della regola del debito e della connessa indicazione degli obiettivi intermedi di raggiungimento del pareggio strutturale di bilancio
b) la mancata adozione di riforme strutturali anche non connesse direttamente ai saldi della finanza pubblica (perciò, non solo ulteriore riforma delle pensioni, ma anche ulteriore flessibilizzazione del mercato del lavoro, incidendo sull'ampliamento della facoltà di licenziamento e di stipulare contratti a termine, nonché sulla contrattazione collettiva nazionale in favore delle determinazioni di quella aziendale decentrata).
Questo è solo un assaggio delle problematiche che si stanno affacciando.
Discuterne coi i qualificati interlocutori che saranno presenti il 22 luglio non farà certo male...



martedì 7 luglio 2020

LO STRANO CASA ITALIA: PRESENTAZIONE DEL 9 LUGLIO


Vi fornisco le informazioni più dettagliate possibile sulla presentazione del libro di giovedì prossimo.
Vi riproduco perciò, inserendo il relativo link, il post gentilmente pubblicato dall'Editore. Vi trovate, oltre alla locandina con i nomi dei "discussant" partecipanti, anche le indicazioni sia per accedere alla sala dove si svolgerà dal vivo la presentazione, sia quelle relative alla diretta streaming.

Eclettica Edizioni

Agenzia media/stampa
Giovedì 9 luglio alle ore 17 a Roma sarà presentato il nuovo libro di Luciano Barra Caracciolo “LO STRANO CASO ITALIA” edito da Eclettica. L’ingresso è libero, ma per assistere alla presentazione è opportuno presentarsi mezz’ora prima all’ingresso della Sala Riunioni in via della Scrofa, 43, muniti di mascherina protettiva. Per prenotare posti a sedere è possibile telefonare al numero +39 366 5829382.
In ogni caso la presentazione sarà trasmessa in diretta Facebook sulla pagina di Eclettica Edizioni.

Nessuna descrizione della foto disponibile.

lunedì 29 giugno 2020

LO STRANO CASO ITALIA (il "terzo" libro)


Ecco, il nuovo libro è uscito.
Già ora è ordinabile in prevendita agevolata presso la casa editrice, a questo link.
Il libro affronta una serie di questioni che i lettori di questo blog hanno visto trattate più volte. Ma, spero di poter dire, le riordina in modo da consentire a chiunque avrà la bontà di leggerlo di disporre di una serie di principi con cui interpretare l'evoluzione della realtà sociale ed economica a cui stanno andando incontro l'Italia, l'Unione Europea e, più in generale, il mondo "globalizzato.
Questa interpretazione, naturalmente, non è una semplice predizione: si potrà scorgere l'andamento di questa evoluzione anche "in controluce", cioè come divergenza degli eventi, manifestatasi o in procinto di verificarsi, da quanto, nel libro, si ipotizza come auspicabile. 
Il libro si apre con una prima parte dedicata all'emergenza creata dal coronavirus e ne individua le forze (politiche e, di conseguenza, normative) a cui finora risulta irresistibilmente soggetta la famosa "risposta" data dalle istituzioni europee ed in particolare dell'eurozona.
L'appartenenza ad essa, come sappiamo, caratterizza in modo (sempre più) decisivo le politiche nazionali; tenendo conto di questo dato, le altre parti del libro trattano delle strette maglie, che è possibile scorgere nei trattati europei, entro le quali sarebbe forse possibile, a certe condizioni politico-istituzionali (appunto auspicabili), un ritorno alla crescita equilibrata e ad un accettabile futuro di benessere per gli appartenenti alla Repubblica italiana. 
Un futuro che già prima della crisi "pandemica" era già coperto, e da decenni, da fosche nubi che avevano riversato sull'Italia "precipitazioni" di impoverimento e di disperazione (intesa proprio come mancanza e fine della speranza di una vita futura migliore di quella attuale). E, come avvertono sempre più italiani dotati di consapevolezza e voglia di informarsi, da questa situazione non siamo usciti: tutt'altro. 
Le cure che si vengono proposte sono dense di inquietanti incognite e di certezze angoscianti che nascono dall'esperienza passata: tuttavia, ora abbiamo imparato a capire che l'appartenenza all'eurozona non ci ha portato benefici e, ancor peggio, che ci costringe a un interminabile serie di ulteriori "aggiustamenti". 
E ciò nonostante che, nel resto del mondo, difficoltà economiche e sociali di enorme portata siano ora affrontate in base ad un approccio (in parte) nuovo, sebbene ancora caotico e problematico, imposto dalla forza dei fatti che manifestano sempre più la crisi della globalizzazione istituzionale
La rigidità delle regole dell'eurozona - della cui presunta mitigazione attuale naturalmente parliamo nel libro -, ci pone in una condizione simile a quella di un vagone staccato dallo Spirito della Storia e destinato a un binario morto, senza altro senso che quello di regole scritte trenta anni fa e concepite, in realtà, negli anni '70 del secolo scorso (almeno ufficialmente, poiché queste regole, questo assetto, risalgono in realtà ad ancor prima).
Il libro, in definitiva, ha l'intento di suscitare una speranza; quantomeno di aprire una discussione, all'interno dell'opinione pubblica, affinché si possa concretamente tornare a ragionare di politiche economiche, sociali ed industriali, che ci riportino, senza ulteriori traumi, verso il tracciato segnato dalla democrazia costituzionale
Di traumi gli italiani ne hanno subiti abbastanza; innescare un percorso di crescita è possibile, nell'immediato futuro, utilizzando degli strumenti che il quadro dei trattati ci offre e che, finora, non sono stati sfruttati; e, se per questo, nemmeno concepiti.






sabato 27 giugno 2020

MERKEL SCIOGLIE IL NODO DEL "SUO" STATO NAZIONALE SOVRANO (un'€state molto diversa da quella del 2011)


Che siano la "severe financial crisis" o, piuttosto, recessione, insolvenze, deflazione/disinflazione e disoccupazione, i problemi più urgenti della "governance" dell'eurozona non è essenziale ai fini del discorso che stiamo per svolgere: più rilevante è constatare come stia reagendo la BCE all'offensiva teutonica.

1. Vi propongo una sintesi che, per chi abbia accompagnato il lungo percorso intrapreso da questo blog, non apparirà certo nuova: ma vale la pena di ribadirne i passaggi essenziali proprio in questo momento, poiché siamo nel pieno di un'estate in cui, in un modo che pare molto diverso da quanto è accaduto in quella del 2011, i nodi stanno venendo al pettine. Innanzitutto, individuiamoli per come si stanno manifestando, cioè in una dimensione e in un assommarsi tra loro che li rendono evidenti:



2. Di questa evoluzione, sorprendente (o addirittura denegata), solo per chi viva ostinatamente nella bolla dei "trattati immaginari" (della pace e della cooperazione in €uropa), registriamo una pluralità di indizi.
Cominciamo dal quesito che sorge dalla sentenza della Corte costituzionale tedesca, di cui abbiamo più volte parlato. Un recentissima intervista della Merkel ha suscitato in Italia molteplici interpretazioni: ma una cosa emerge con chiarezza, sia pure soltanto se si adotta un punto di vista giuridico-politico tedesco, tante volte ribadito con coerenza e forza (circa l'approccio unilaterale assunto nel proiettare l'interesse nazionale come valore predominante su quella mera "associazione di Stati nazionali sovrani", qui pp.2-3, che, per la Corte tedesca, è l'Unione europea):

Domanda: «La legislazione europea viola le leggi nazionali o viceversa? Il sistema giuridico europeo non dovrebbe in definitiva avere più peso di quelli nazionali in linea di principio?».
Risposta della Merkel: «Non è che questo argomento non sia mai stato discusso prima che la Corte costituzionale federale [tedesca] emettesse la sua sentenza sulla Banca centrale europea. Senza dubbio, il diritto europeo ha la precedenza sul diritto nazionale, ma non sappiamo dove inizia e finisce il regno del diritto europeo. L’essenza dell’Unione europea sta negli Stati membri che trasferiscono poteri. Nella terra di confine tra le sfere di giurisdizione del diritto nazionale ed europeo, può verificarsi attrito se il livello europeo definisce i suoi limiti in modo più ampio rispetto, ad esempio, al Parlamento tedesco. Questo è ciò che stiamo vedendo nel caso della BCE. Se la Corte costituzionale [tedesca] rileva che è stato superato un confine, si rivolge alla Corte di giustizia europea e richiede una revisione. Fino ad ora, tutti i disaccordi sono stati risolti. Ora abbiamo un conflitto. Questa è la natura della bestia, poiché uno Stato nazionale sarà sempre in grado di rivendicare poteri particolari a meno che tutti i poteri non vengano trasferiti alle istituzioni europee, il che sicuramente non accadrà.
4. Il contesto extra€uropeo spinge anch'esso (e anche qui si tratta di una questione annosa e, in definitiva, prevedibile) per una Germania che privilegia, legittimamente (sia chiaro), la dimensione di Stato nazionale sovrano, così accuratamente preservata all'interno dell'Ue e dell'eurozona: perseguendo l'interesse nazionale... 

Un'ultima osservazione: questa sequenza del tutto prevedibile degli eventi riporta in un certo qual modo all'attenzione l'ipotesi frattalica (v. pp. 7 e seguenti: ma qui lascio alle intuizioni dei lettori più versati su questo esercizio storico-previsionale "l'aggiustamento" della date corrispondenti agli eventi fondamentali di tale divertissment).

domenica 7 giugno 2020

IL TESORETTO? SURE, MES E RECOVERY FUND- IL SURE E LA SUA REALTA' REGOLAMENTARE (1)



(Avvertenza: alcune parti delle previsioni normative verranno riportate in inglese e non tradotte, poiché così rinvenibili sui rispettivi siti delle istituzioni Ue competenti. Risulta oggi importante che le fonti dirette siano conoscibili nella lingua in cui più frequentemente sono discusse e redatte: l'onere di un'adeguata conoscenza della lingua inglese risulta perciò importante per qualsiasi cittadino italiano che desideri informarsi avendo direttamente conoscenza delle iniziative regolatorie dell'Ue).

1. Appare sempre più forte la spinta mediatica a sostegno della decisione del governo italiano di richiedere e fruire di una linea di credito a condizioni rafforzate entro il programma speciale detto  ESM  Pandemic Crisis Support (linea di credito appunto definita ECCL, secondo tutte le deliberazioni sia inizialmente adottate, il 9 aprile dall'Eurogruppo e il 23 aprile 2020 dal Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo, che ribadite dall'Eurogruppo e dal Board dei governatori ESM, rispettivamente l'8 e il 15 maggio 2020). 
Essendo evidenti le difficoltà di definire tempi e volumi di intervento del Recovery Fund- Next Generation, la pressione a finanziarsi presto, e a qualsiasi costo, mediante la contrazione di debito con le istituzioni europee, si spinge anche a cumulare la fruizione dell'ulteriore strumento del SURE, ovvero il c.d. European instrument for temporary support to mitigate unemployment risks in an emergency (SURE) following the COVID-19 outbreak. Supponendo che i fondi prestabili da quest'ultimo siano immediatamente disponibili su mera richiesta.

2. Esemplificativamente traiamo l'esempio di questo atteggiamento da un assemblaggio di articoli, rinvenibile su Dagospia, rispettivamente di Verderami e Folli. Prescindendo da ogni ulteriore considerazione e dalla verifica della sua attendibilità, ci limitiamo a sottolineare due conclusioni più o meno coincidenti così espresse (neretto aggiunto): 
a) Verderami: "sommando Mes, Sure, l' impegno della Bce a sostegno dei titoli di Stato e un nuovo scostamento di bilancio da chiedere al Parlamento, Conte si ritiene soddisfatto e immagina che il gruzzolo possa garantirgli la permanenza a Palazzo Chigi anche quando arriverà la bufera d' autunno: «Sarò ancora il garante della sicurezza sanitaria e della stabilità economica»..."
b) Folli: "Sul piano finanziario, si prevede che il governo dovrà affrontare uno scostamento di bilancio di circa 50 miliardi entro la fine dell' anno. Escluse per ovvie ragioni nuove tasse, poco realistici i consueti annunci (lotta all'evasione e taglio delle spese inutili), restano appunto i 37 miliardi del Mes e il Sure. La cifra complessiva è quella che serve".
Esamineremo pertanto le effettive condizioni di finanziamento di ESM (che esiste), del SURE (che deve essere ancora approvato come vedremo) e, se vedrà mai la luce (senza essere uno stretto duplicato dell'ESM), del c.d. Recovery Fund. 
Per questi strumenti considereremo gli oneri di contribuzione concretamente a carico degli Stati-membri ed il costo complessivo dell'obbligo di restituzione (per interessi e capitale: se anticipatamente e con certezza quantificabili...), scontando, in quest'ultimo aspetto, i tempi e i margini effettivi di utilizzazione dei prestiti ricevibili e sempre cercando di individuare gli obiettivi di intervento fiscale effettivamente finanziabili in rapporto con quelli obiettivamente prioritari e necessari nell'attuale congiuntura economica italiana.

3. Cominciamo dal SURE: rinviando al sito della Commissione Ue, la relativa regulation è attualmente allo stato di proposta in attesa dell'approvazione del Consiglio"Proposal for a COUNCIL REGULATION on the establishment of a European instrument..."
Ma più che la mancanza di un'attuale applicabilità operativa di una normativa non ancora approvata (forse potrebbe esserlo nei prossimi mesi ed entro l'autunno), risulta obiettivamente (molto) poco realistico che lo strumento possa dar luogo a un "tesoretto" in tempo utile (questo autunno) e per di più di ammontare vicino ai 10 miliardi, entro il 2020: cioè, non si vede come possa evitare il finanziamento mediante il ricorso al mercato relativamente al deficit aggiuntivo che si paventa come necessario, nel momento in cui occorrerà fronteggiare la fine del finanziamento dell'attuale (potenziale) erogazione della cassa integrazione in forma derogatoria (straordinaria e ordinaria) e fiscalizzata, che comunque terminerà la sua attuale copertura al 31 ottobre 2020.

4. Precisiamo che, fondato sulla clausola solidaristica dell'art.122 TFUE, il SURE è una linea di credito, che nelle intenzioni espresse nel preambolo della proposta di regolazione, si fonda sia sul primo che sul secondo paragrafo di tale norma: una curiosa previsione in cui "lo spirito di solidarietà" trova la sua massima espressione nella concessione di un prestito, la cui provvista è raccolta sul mercato dalla Commissione, soggetto ad obbligo di restituzione "a determinate condizioni", come recita il par.2: cioè non necessariamente non onerose, o poco onerose, per il beneficiario debitore a cui si presta...per solidarietà.
Ma torniamo alla presunta tempestività dell'erogazione di tale prestito: successivamente alla non ancora avvenuta approvazione del regolamento in questione, deve infatti svolgersi, in un periodo di tempo imprecisato, e al limite senza alcun termine vincolante, - a dimostrazione della facoltatività della solidarietà ex art.122 TFUE -, un peculiare procedimento presupposto di "prestazione di garanzia" da parte degli Stati-membri.
Al completamento unanime (cioè partecipato dalle garanzie apprestate da tutti gli Stati-membri) di tale fase attuativa "presupposta", - che però risulta riducibile al 25% della soglia, massima e non vincolante, stabilita in 100 miliardi -, è subordinata la successiva raccolta della provvista, da parte della Commissione, che verrebbe poi erogata in base a precisi limiti quantitativi massimi
Tutto il sistema è soggetto a fasi di prestazione di garanzia facoltativa, di misure massime (e minime) di raccolta sul mercato e di concessione del prestito, di adozione di decisioni attuative consiliari e di fasi consultive per gli Stati aderenti, che si assommano alle condizioni onerose di restituzione nel configurare l'effettiva erogazione del prestito come incerta nei tempi e nei volumi

5. Basta al riguardo riprodurre una selezione dei principali articoli dello schema di proposta e seguire la concatenazione intrecciata di fasi e previsioni che, lette in sequenza, rendono evidente quanto detto senza bisogno di particolari interpretazioni. 
Evidenziamo più sotto le parti salienti che danno conto della ratio sistemica del meccanismo e dello stesso art.122: la solidarietà finanziaria - cioè una qualche misura, delimitata e temporanea, di finanziamento di un altro Stato-membro da parte di alcuni o di tutti gli altri -, non costituisce mai un obbligo, a prescindere dalle ragioni in cui uno Stato membro dell'Unione, e ancora più dell'eurozona, versi in difficoltà, - per quanto cioè essere possano essere a tale Stato non imputabili le "difficoltà" e queste stesse, oggettivamente se non tragicamente gravi -, perché vige il divieto di solidarietà finanziaria dell'art.125 TFUE; e l'art.122, parr. 1 e 2, non ne sono altro che un corollario enfatico, cioè di mera enunciazione di facciata del principio. In pratica, se esiste un progetto comune a cui prestare garanzie, in base alla convergente e concorde decisione politica degli Stati-membri, si può erogare un credito a uno Stato che versi in gravi difficoltà per situazioni eccezionali che sfuggono al suo controllo; ma la Commissione non può agire da prestatore senza tale accordo e le condizioni del prestito, secondo l'art.122, non devono essere necessariamente favorevoli rispetto a quelle ordinariamente ottenibili sul mercato. Vige d'altra parte anche l'art.124 TFUE, per cui uno Stato non può rivolgersi ad alcuna istituzione finanziaria, inclusa (eccezionalmente) la Commissione, per avere un "accesso privilegiato":
Article 4
Form of financial assistance
The financial assistance referred to in Article 3 shall take the form of a loan granted to the Member State concerned. To that end, and in accordance with a Council implementing decision adopted pursuant to Article 6(1), the Commission shall be empowered to borrow on the capital markets or with financial institutions on behalf of the Union at the most appropriate time so as to optimise the cost of funding and preserve its reputation as the Union's issuer in the markets.
Article 5
Maximum amount of financial assistance
The maximum amount of financial assistance referred to in Article 3 shall not exceed EUR 100 000 000 000 for all Member States.
Article 6
Procedure for requesting financial assistance
1.The financial assistance referred to in Article 3 shall be made available by a decision adopted by the Council by means of an implementing act, on a proposal from the Commission.
2.Before submitting a proposal to the Council, the Commission shall consult the Member State concerned without undue delay to verify the sudden and severe increase in actual and possibly also planned expenditure directly related to short time working schemes and similar measures in the Member State requesting support, which are linked to the exceptional occurrence caused by the COVID-19 outbreak. To that end, the Member State concerned shall provide the Commission with appropriate evidence. In addition, the Commission shall verify the fulfilment of the prudential rules referred to in Article 9. 
3.The decision to make available the financial assistance referred to in Article 3 shall contain:
(a)the amount of the loanits maximum average maturityits pricing formulaits maximum number of instalments, its availability period and the other detailed rules needed for the granting of the financial assistance;
(b)an assessment of the compliance by the Member State with the conditions referred to in Article 3;
(c)a description of the national short-time scheme(s) or similar measures that may be financed.
Article 7

Disbursement of the loan
The loan referred to in Article 6(3) shall be disbursed in instalments.
Article 8

Borrowing and lending operations
1.The borrowing and lending operations referred to in Article 4 shall be carried out in euro.
2.The characteristics of the loan referred to in Article 6(3), point (a), shall be agreed in a Loan Agreement between the beneficiary Member State and the Commission. That agreement shall contain the provisions referred to in Article 220(5) of Regulation (EU, Euratom) 1046/2018
[quest'ultimo recita: 5.   La Commissione sottoscrive con il paese beneficiario un accordo contenente disposizioni che:
a)
assicurano che il paese beneficiario verifichi a cadenza regolare che i finanziamenti erogati siano stati utilizzati correttamente in conformità delle condizioni predefinite, adotti misure atte a prevenire irregolarità e frodi e, se necessario, intraprenda azioni legali per il recupero dei fondi concessi a titolo di assistenza finanziaria che siano stati oggetto di appropriazione indebita;
b)
assicurano la tutela degli interessi finanziari dell’Unione;
c)
autorizzano espressamente la Commissione, l’OLAF e la Corte dei conti a esercitare i loro diritti conformemente all’articolo 129;
d)
assicurano che l’Unione abbia diritto al rimborso anticipato del prestito qualora si riscontri che, in relazione alla gestione dell’assistenza finanziaria, il paese beneficiario è stato coinvolto in atti di frode o di corruzione o in altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione;
e)
assicurano che tutti i costi sostenuti dall’Unione in relazione all’assistenza finanziaria siano a carico del paese beneficiario.]
3.At the request of the beneficiary Member State and where circumstances permit an improvement in the interest rate on the loan, the Commission may refinance all or part of its initial borrowing or restructure the corresponding financial conditions.
4.The Economic and Financial Committee shall be kept informed of a refinancing or restructuring as referred to in paragraph 3.
Article 9

Prudential rules applicable to the portfolio of loans
1.The share of loans granted to the three Member States representing the largest share of loans granted shall not exceed 60% of the amount referred to in Article 5. 
2.The amounts due by the Union in a given year shall not exceed 10% of the amount referred to in Article 5. 
3.Where a Member State fails to make a repayment, the Commission may roll over the associated borrowings contracted on behalf of the Union.
...
Article 11

Contributions in the form of guarantees from Member States
1.Member States may contribute to the Instrument by counter-guaranteeing the risk borne by the Union 
2.Contributions from Member States shall be provided in the form of irrevocable, unconditional and on demand guarantees.
The Commission shall conclude an agreement with a contributing Member State on the irrevocable, unconditional and on demand guarantees. The agreement shall set out the payment conditions.
3.Calls on guarantees provided by Member States shall be made on a pari passu basis. Where a Member State fails to honour a call in time, the Commission shall have the right to make additional calls on guarantees provided by other Member States on a pari passu basis up to the overall contributed amounts. Member States shall be reimbursed for such additional contributions from recovered amounts. 
4.Contributions referred to in paragraph 1 shall constitute external assigned revenue within the meaning of Article 21(5) of Regulation (EU, Euratom) 1046/2018 to this Instrument.
Article 12

Availability of the Instrument
1.The financial assistance referred to in Article 3 shall only become available after all Member States have contributed to the Instrument with contributions referred to in Article 11(1) for an amount representing at least 25 per cent of the amount referred to in Article 5provided that the relative shares of contributions of each Member State of the overall amount of Member States contributions correspond to the relative shares of Member States ithe total Gross National Income of the Union, as resulting from the column (1) of Table 3 of Part A Introduction and financing of the general budget of the Union”, of the revenue part of the budget for 2020 set out in the general budget of the European Union for the financial year 2020, as adopted on 27 November 2019 4 
The Commission shall inform the Council when the Instrument becomes available."

In sostanza, la mancata contribuzione anche di un solo Stato può paralizzare l'attuazione del regolamento, ancorché questo sia stato, in futuro, approvato e reso operativo, almeno laddove la Commissione non decida di percorrere la traumatica e politicamente improbabile imposizione a carico degli Stati-membri "pienamente solidali", cioè già resisi garanti per l'intera garanzia rapportata al tetto massimo di 100 miliardi, della quota non versata dallo Stato "recalcitrante" (art.11).
Ma l'ammontare della provvista concretamente raccoglibile e (quindi) prestabile, qualora gli Stati inizino a prestare garanzie pro-quota secondo una "libera" auto-riduzione rispetto all'ammontare massimo stabilito dall'art.5 (cioè 100 miliardi), potrà legittimamente risultare in soli 25 miliardi, secondo un orientamento facoltativamente raggiugibile de facto dagli Stati-membri; per conseguenza, l'ammontare massimo attingibile dall'Italia potrebbe altrettanto essere limitato a 2,5 miliardi per il primo anno: ma questo sarà presumibilmente il 2021, dati i tempi ragionevolmente attendibili della complessa procedura successiva alla futura approvazione del regolamento; e non dunque per il 2020, quello in cui più intensa e drammatica potrebbe essere l'esigenza di finanziamento degli ammortizzatori sociali. 
Il massimo attingibile annualmente da uno Stato "principale", è infatti quantificato nel 10% della provvista comunque garantita da tutti gli Stati ai fini dell'operatività della raccolta sul mercato prudenzialmente operabile da parte della Commissione (non è infatti chiarito se, ottenuta la base di garanzia del 25%, la raccolta sul mercato sia estensibile, e in che tempi, a 100 miliardi); e per di più anche tale limitato ammontare parrebbe dovuto in plurimi versamenti e non in unica soluzione, come appunto impone l'art.7.
Article 13

Control and audits
The agreement referred to in Article 8(1) shall contain the necessary provisions regarding controls and audits as required by Article 220(5) of Regulation (EU, Euratom) 1046/2018.
Tale previsione, in concreto, può portare "l'accordo" di concessione del credito a un insieme di parametri di incisione sulla generale gestione della spesa pubblica dello Stato beneficiario ad un livello non molto diverso da quello che accompagna una linea di credito ESM]

6. Dunque il SURE si configura, in concreto, esattamente nel modo in cui lo aveva descritto Stefano Fassina:
"Il Sure è un grande bluff. Perché? Perché è ad adesione volontaria e viene avviato soltanto dopo che tutti gli Stati dell’Unione europea hanno aderito. È un prestito, quindi debito pubblico aggiuntivo, da ripagare. Per farlo decollare, ciascuno Stato dell’UE deve apportare garanzie irrevocabili, liquide e immediatamente esigibili affinché la Commissione possa emettere sul mercato i titoli necessari a raccogliere le risorse da prestare agli Stati in difficoltà. L’astuta terminologia “fino a 100” miliardi copre la possibilità di arrivare a un ammontare di risorse disponibili decisamente inferiore, poiché dipendente dalle garanzie volontariamente messe a disposizione da ciascuno degli Stati UE e dai limiti annui di impegno contenuti nelle norme istitutive: per avere a disposizione 100 miliardi da distribuire, sono necessarie garanzie per 25 miliardi, ma il massimo utilizzo complessivo annuo, per tutti gli Stati richiedenti può essere soltanto il 10% delle risorse mobilizzabili dal Fondo. In sintesi, per la fase più acuta della recessione, potremo avere a disposizione, nello scenario ottimale ma altamente improbabile, qualche centinaio di milioni in prestito, sui quali risparmiare qualche milione di spesa per interessi, ma dopo aver impegnato 2 o 3 miliardi in garanzie ‘irrevocabili, liquide e immediatamente esigibili’. Un affarone".