Per chi è a Roma, o può raggiungere Roma, sabato prossimo, con Cesare Pozzi e Vito Poli, discuteremo della Costituzione partendo da "La Costituzione nella palude". Quindi, partendo dall'€uropa per arrivare ai nostri giorni: gli effetti di desertificazione sociale, demografica e industriale, e infine "istituzionale", del "vincolo esterno".
Ci vediamo dunque, sabato, dalle ore 16,00, a via Casal Bruciato 11, a "La Cacciarella".
1. Chi segue questo blog sa che la riforma costituzionale attuale, schematizzata come "riforma del Senato" (e per un insignificante risparmio sui "costi della politica") è in realtà, per espressa ammissione della relazione governativa, una riforma teorizzata, progettata e "resa necessaria" per adeguarci al tipo di governance imposta dall'appartenenza all'UE e, più specificamente, all'unione monetaria.
Ci vediamo dunque, sabato, dalle ore 16,00, a via Casal Bruciato 11, a "La Cacciarella".
1. Chi segue questo blog sa che la riforma costituzionale attuale, schematizzata come "riforma del Senato" (e per un insignificante risparmio sui "costi della politica") è in realtà, per espressa ammissione della relazione governativa, una riforma teorizzata, progettata e "resa necessaria" per adeguarci al tipo di governance imposta dall'appartenenza all'UE e, più specificamente, all'unione monetaria.
La storia del bicameralismo che rallenta la produzione di leggi (ammesso che questo sia sempre un male) è palesemente infondata pic.twitter.com/5SkFvReMGM— Massimo D'Antoni (@maxdantoni) 19 novembre 2016
Esattamente. E siccome la spesa pubblica ammonta a 800 miliardi, stiamo parlando di 1:16000. Direi discorso chiuso https://t.co/b4UZpT1LwG— Massimo D'Antoni (@maxdantoni) 15 novembre 2016
2. Se queste finalità principali, anzi essenziali, della riforma, specialmente in questo momento storico, siano convenienti per la democrazia e per il ritorno alla crescita in Italia, lo si può capire dallo stato crescente di malessere sociale e di svuotamento (tipicamente neo-liberista) del processo elettorale, per di più svolto sulla base di leggi elettorali che negano la rappresentatività del parlamento (v.qui, in specie p.3. a), e links inclusi), - e che, come tali, sono state sanzionate dalla Corte costituzionale.
Ma lo si percepisce istituzionalmente anche, e dal punto di vista economico-strutturale (cioè in un modo che non è attribuibile a una fase ciclica transitoria), a seguito dell'introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione, ad opera del governo Monti, proprio per recepire con straordinaria solerzia il fiscal compact; quest'ultimo, a sua volta, si applica de facto solo all'Italia, come abbiamo constatato nella realtà applicativa di 5 anni di richiami e rimproveri della Commissione UE.
Rammentiamo, da questo post sulle "basi" di comprensione della "vera posta in gioco":
ADDENDUM: la propaganda mediatica dilagante, oscura il fatto, di evidenza palmare, che i diritti fondamentali della prima Parte (artt. 1-12 Cost.), esigono che lo Stato si attivi, cioè intervenga ad attuarli con "effettività", legiferando e amministrando in senso pro-lavoristico: art.1 Cost.
E' quindi un alibi dire che, dal punto di vista testuale, questi diritti non vengano "toccati" dalla riforma e, in generale, dal vincolo €uropeo che si vuole costituzionalizzare: se si smantella, - per via di consolidamento fiscale assurto a valore supremo dell'ordinamento, via dell'art.81 Cost. e delle "politiche €uropee"-, ogni effettivo intervento dello Stato, quei diritti fondamentali rimangono previsioni meramente teoriche e enfatiche. Esattamente come si cerca di affermare da qualche recente decennio di ordolibersimo €uropeo dominante.
E' quindi un alibi dire che, dal punto di vista testuale, questi diritti non vengano "toccati" dalla riforma e, in generale, dal vincolo €uropeo che si vuole costituzionalizzare: se si smantella, - per via di consolidamento fiscale assurto a valore supremo dell'ordinamento, via dell'art.81 Cost. e delle "politiche €uropee"-, ogni effettivo intervento dello Stato, quei diritti fondamentali rimangono previsioni meramente teoriche e enfatiche. Esattamente come si cerca di affermare da qualche recente decennio di ordolibersimo €uropeo dominante.
3. Dunque, come il vincolo dell'euro appare una camicia di forza fatta su misura per l'Italia, molto più che per qualsiasi altro Stato-membro, così, la riforma costituzionale concepita nella filosofia di governance €uropea e fondata sul presupposto del fiscal compact e del patto di stabilità interna che impone a regioni e enti locali la più rigida austerità distruttiva del nostro territorio, si attua in pratica sempre e solo per l'Italia.
La finalità sostanziale della riforma, che passa per i nuovi art.55 e 70 Cost., e non per l'art.117 (precedente e attualmente proposto), è dunque quella di ratificare, cristallizzandola in Costituzione, la sottomissione dei massimi organi di decisione politica, cioè le Camere elettive (il nuovo Senato tra l'altro perde questa connotazione) ad un indirizzo politico, quello €uropeo, che non solo si forma al di fuori del territorio e della volontà del popolo italiano, ma che diviene vincolante al di là di qualsiasi esito elettorale (rendendolo per sempre irrilevante, finché fosse in vigore questa riforma della Costituzione).
Quale che sia la maggioranza per la quale gli italiani si sono illusi di votare, la nuova Costituzione ne prescinde e, con le sue espresse previsioni, vincola le Camere a votare le norme che sono deliberate in sede UEM.
Anche perché vincola le stesse Camere, sempre di più, a essere solo un organo di ratifica delle decisioni di un governo, sì dominante sul potere legislativo, ma che diviene il consiglio di amministrazione esecutivo di una controllata da parte della maxi-holding di Bruxelles (i cui azionisti sono le lobbies degli oligopoli finanziari e finanziarizzati che dominano i processi decisionali UE).
4. E queste norme europee, espropriatrici della sovranità popolare sancita dall'art.1 della Costituzione, sono quelle che caratterizzano veramente l'azione di governo, appunto di qualsiasi governo immaginabile, intervenendo su tutto il campo dei diritti fondamentali previsti nella I Parte della Costituzione: il lavoro (artt.1, 4 e 36 Cost.), inteso come livello di occupazione e di retribuzione, vincolati a scendere per attuare la deflazione salariale conservativa della moneta unica, il diritto alla salute (art.32 Cost.), l'istruzione pubblica (art.33), il diritto ad una previdenza dignitosa e adeguata (art.38), la stessa eguaglianza sociale e di partecipazione politica (art.3, comma 2, Cost.), che sono svuotate dal drastico deterioramento delle condizioni di lavoro e di bisogno di una popolazione spaventosamente impoverita.
Una curiosa vulgata, però nasconde questa vera posta in gioco insita nella riforma costituzionale e ci racconta della (inspiegabile, dal punto di vista scientifico-economico) connessione tra abolizione del bicameralismo perfetto e ritorno allo sviluppo.
La via, parrebbe, sarebbe quella della semplificazione e accelerazione del processo legislativo che deriverebbe da un sostanziale monocameralismo (almeno per quanto riguarda la fiducia al governo, il voto sulla leggi in materia finanziaria e fiscale e tutte le principali "manovre" economiche imposte dall'€uropa).
A sostegno di questa indimostrabile affermazione, viene tra l'altro, persino chiamato in causa Costantino Mortati, a cui viene attribuito il giudizio per cui il Senato sarebbe stato un "inutile doppione" della Camera, facendone conseguire che Mortati avrebbe predicato perciò il monocameralismo (o qualcosa che comunque assomigliasse all'attuale riforma).
5. Come si arrivi a questa diffusissima iperconvizione, dilagante in articoli, dibattiti e convegni, può essere ricostruito in base alla catenza delle "citazioni-estrapolazioni" che muovono da quanto sostenuto dal prof.Ceccanti, costituzionalista tra i più accesi sostenitori della riforma.
Egli estrapola un passaggio di Mortati in un'intervista del 1973 (che, in realtà, conseguiva alla prima forma di realizzazione del regionalismo, avvenuta in Italia con una serie di decreti legislativi del 1972 e che quindi era ben spiegabile nel contesto storico dell'epoca, chiarendo il presupposto logico-istituzionale di quell'intervista). Cita Ceccanti:
Se facciamo un ulteriore salto all’indietro riprendiamo alcune frasi importanti di uno dei più importanti padri della Costituzione, Costantino Mortati, nella nota intervista al periodico “Gli Stati del gennaio 1973: «Un’esatta valutazione della nostra Costituzione esige che si distingua la parte che si potrebbe chiamare sostanziale … dall’altra dedicata all’organizzazione dei poteri … Non mi pare contestabile che essa, nella formulazione dei principi racchiusi nella prima parte, sia riuscita particolarmente felice, tale da porla ad un livello superiore delle altre Costituzioni emanate nello stesso periodo di tempo … (mentre) volgendo lo sguardo ad auspicabili riforme costituzionali … ricordo che alla Costituente io, quale relatore della parte del progetto di Costituzione riguardante il Parlamento, fui tenace sostenitore di un’integrazione della rappresentanza stessa che avrebbe dovuto affermarsi ponendo accanto alla Camera dei deputati un Senato formato su base regionale … Una Camera che fosse rappresentativa dei nuclei regionali offrirebbe il grande vantaggio di fornire quello strumento di coordinamento fra essi e lo Stato che attualmente fa difetto, e che invece si palesa essenzialmente per conciliare le esigenze autonomistiche con quelle unitarie. Non sono da nascondere le difficoltà pratiche offerte da questo tipo di rappresentanza, ma sembra che sia in questa direzione a cui bisogna avvicinarsi per dare una ragion d’essere a una seconda Camera, che non sia, come avviene per l’attuale Senato, un inutile doppione della prima.»
Da questo passaggio, al più, si può arguire che Mortati fosse favorevole ad un Senato "regionalistico", non certo che propugnasse alcuna delle soluzioni di diminuzione del suo status deliberativo e in favore della sua non elettività popolare diretta, propugnate oggi.
6. Per smentire che Mortati fosse un sostenitore del monocameralismo ovvero di una forma di bicameralismo fortemente asimmetrico (che egli definisce "improprio" parlando di "deminutio", per respingerlo, pagg.470-471 delle sue "Istituzioni", v.poi), in cui il Senato fosse un organo di mero (inefficace e inefficiente) controllo, a posteriori, del lavoro legislativo essenzialmente svolto dalla sola Camera, con qualche competenza deliberativa residuale, (come in effetti dispone questa riforma), basta il senso logico del brano estrapolato e sopra riportato: Mortati non vuole degradare il Senato e lo considera un "inutile doppione" soltanto perché, nell'esercizio delle sue paritarie competenze deliberative, non risultava sufficientemente rappresentativo dei "nuclei regionali", non a caso così denominati perché allora finalmente nascenti nella forme che oggi conosciamo.
7. Ma non basta: questo è l'intervento di Mortati in Costituente - quello in sede di Commissione dei 75, ergo il più rilevante per comprendere la sua posizione di "base" - proprio come relatore sulle norme relative al Parlamento.
Della visione dell' "inutile doppione" non v'è traccia, precisando che la "funzione ritardatrice" era obiettivamente assunta come un risultato positivo di miglior ponderazione qualitativa delle leggi e che mai, per un momento, Mortati indulge ad aperture verso il monocameralismo o verso un bicameralismo fortemente limitato, a sfavore della seconda camera, specialmente sulla legislazione finanziaria, di cui non ravvisa i presupposti storici ed istituzionali:
[Il 3 settembre 1946 la seconda
Sottocommissione della Commissione per la Costituzione inizia la discussione
generale sull'organizzazione costituzionale dello Stato partendo dalla relazione
dell'onorevole Mortati.
Vengono qui riportate, per questa e per le successive
sedute, solo le parti relative all'articolo in esame, e più precisamente quelle
riguardanti la forma bicamerale o monocamerale; le parti riguardanti invece la
composizione e le modalità di elezione del Senato vengono riportate a commento
degli articoli 57, 58 e 59, mentre si rimanda alle
appendici per il testo
completo delle sedute.]
Mortati,
Relatore, passando al problema dell'unicameralismo e bicameralismo, osserva
che, per risolverlo, bisogna chiedersi quali sono i fini politici che si
vogliono raggiungere con l'esistenza di due Camere anziché di una sola. Tali
fini possono essere molteplici e si tratta di vedere come si possano realizzare.
Un primo fine è quello di esercitare una
funzione ritardatrice, di controllo dell'operato della prima Camera. Si osserva
che il meditare su una deliberazione presa dalla prima Camera, l'approfondire il
problema e il ripetere la discussione, possono agevolare così la valutazione
della convenienza politica della legge come il suo perfezionamento tecnico.
Questo scopo può essere raggiunto da una seconda Camera qualsiasi: anche una
seconda Camera formata con la stessa struttura della prima può esercitare questa
funzione ritardatrice, questa ripetizione dell'esame. Il caso tipo di una
seconda Camera formata esclusivamente con questo intento è offerto dalla
costituzione norvegese; l'unica che forma la seconda Camera dallo stesso seno
della prima: il corpo elettorale norvegese elegge, infatti, un certo numero di
Deputati, i quali eleggono nel loro seno un numero più ristretto di membri che
vanno a formare la seconda Camera; e si dice che il risultato di questo sistema
sia assai soddisfacente, il che significa che non è esatta la tesi che quella
seconda Camera non sia che un duplicato della prima.
Ma, accanto a questo scopo ve ne è un altro più
particolare e che esige forme specifiche di realizzazione: quello
dell'integrazione della rappresentanza. Ammessa una rappresentanza generale del
popolo, indifferenziato, può apparire utile accompagnare la prima Camera con una
seconda, la quale sia formata in modo diverso, pur essendo sempre di origine
popolare.
Bisogna partire dal presupposto che questa seconda Camera debba essere
capace di decisioni politiche, cioè di manifestazioni di volontà e non di pure
espressioni di pareri o manifestazioni di desideri. Questa seconda Camera, posta
in posizione di parità con la prima, potrebbe realizzare meglio il suo fine
quando fosse espressione di una integrazione del suffragio.
Richiama l'attenzione della Sottocommissione
sul fatto che, comunque si decida la questione dell'organizzazione del
suffragio, la Costituente dovrà tener presenti certe linee essenziali
dell'ordinamento del suffragio, perché vi sono istituti che con determinati
regimi elettorali funzionano in un certo modo, con altri regimi funzionano
diversamente.
Ammessa una rappresentanza formata in un dato
modo, si domanda se, insieme o accanto a questa rappresentanza politica che
esprime gli orientamenti dei vari partiti fra cui si divide il corpo elettorale,
non vi sia posto per un'altra forma di rappresentanza, la quale esprima la
volontà dello stesso popolo, che sia quindi anche espressione del suffragio
generale, ma in una veste diversa. Naturalmente queste forme di costituzione
della seconda Camera hanno una funzione in quanto portano ad uno spostamento del
peso politico che emerge dalla prima Camera. Questo è il risultato pratico.
Qualunque Senato tende a modificare il peso
politico dei cittadini quale potrebbe essere espresso attraverso il suffragio
universale e la rappresentanza di partiti.
Il sistema francese del 1875,
modificato nel 1884, si basa sulla rappresentanza territoriale: la legge
francese dà una rappresentanza eguale a comuni o a organismi territoriali
diversamente composti nel loro rapporto demografico; e la conseguenza politica
che ne deriva è che i comuni piccoli hanno una influenza maggiore delle grandi
città, onde una impronta speciale che deriva al Senato da questa rappresentanza,
la quale sposta il rapporto realizzato nella prima Camera con il suffragio
universale.
Vi possono essere altre forme per una diretta
integrazione del suffragio, ed una di queste è quella della rappresentanza di
categoria. Le categorie si possono intendere con due significati: o col
significato economico, in cui le categorie rappresentano gli interessi delle
professioni che intervengono nella vita economica come fattori della produzione
e del consumo; o col significato super-economico, e quindi culturale,
assistenziale, o, se si vuole anche dire, professionale, in cui però la parola
«professionale» va intesa in senso generico. Naturalmente l'accettazione di una
rappresentanza di questo genere solleva problemi numerosi e di varia natura e
presupporrebbe o l'organizzazione di queste categorie in gruppi determinati o il
realizzarsi delle categorie anche indipendentemente dalle organizzazioni di
questo genere, sulla base di una semplice anagrafe delle popolazioni nei vari
settori delle attività economiche o culturali. In questo secondo caso
l'attribuzione di un numero di seggi a ciascuna categoria verrebbe fatta avendo
soltanto in vista il quadro di ripartizione, indipendentemente da una
organizzazione delle singole categorie in sindacati appositamente riconosciuti.
Si potrebbe, cioè, pensare ad una terza forma, la quale non considerasse le
categorie nelle loro specializzazioni, ma che abbracciasse gruppi di categorie
sulla base di certi interessi sociali più eminenti e più importanti: per esempio
la cultura, la giustizia, il lavoro, l'industria, l'agricoltura. E sarebbe,
questo, un tentativo di dare alla rappresentanza una maggiore organicità e di
eliminare o attenuare l'influenza strettamente proporzionale degli interessi,
per allargare la visuale verso forme di valutazione più propriamente politica.
Non si deve, infatti, dimenticare che, se si vuol dare alla seconda Camera una
funzione politica, si debbono anche creare i presupposti perché i rappresentanti
possano elevarsi a questa più ampia valutazione politica.
[...]
Ma la formazione di una seconda Camera può
tendere anche ad un altro scopo, cioè a quello di selezionare particolari
capacità e competenze; e allora bisogna affrontare il problema della competenza,
che vale anche per la prima Camera, ma che per la prima Camera si risolve più
difficilmente, appunto perché ad essa si vuol dare un carattere di
rappresentanza politica generale.
Nella seconda Camera, per lo meno storicamente,
si è realizzata la tendenza a delimitare la scelta degli eleggibili per
assicurare la presenza nell'assemblea legislativa di certe competenze
individuali che il sistema dei regimi rappresentativi di per se stesso non
assicura.
Questo terzo scopo a cui si può tendere nella costituzione della
seconda Camera, formata nell'ambito di certe categorie, cioè prescrivendo che
gli eleggibili siano scelti nell'ambito di determinati gruppi, che si suppone
abbiano una certa competenza, è molto importante, perché uno dei fattori che ha
contribuito a determinare la cosiddetta crisi della democrazia è precisamente il
difetto di competenza, tanto più sensibile nello Stato moderno che ha visto
estendersi la sua sfera di attività in settori sempre nuovi e sempre più
tecnici. Questo fine politico particolarmente importante può essere soddisfatto
con la costituzione di una seconda Camera in cui si faccia una selezione degli
eleggibili. Naturalmente se si stabilisce una rappresentanza di categoria, per
evitare la forma di rappresentanza fascista, in cui alla Camera delle
Corporazioni un poeta o un filosofo rappresentava, per esempio, gli
ortofrutticoli, bisogna esigere che i rappresentanti appartengano alle categorie
rappresentate, determinando certi requisiti di capacità: età, appartenenza a
certe attività, aver fatto parte di certi corpi od uffici, ecc.
[...]
Un altro punto da affrontare a proposito del
sistema bicamerale è quello della parità, o meno, da concedere alle due Camere:
parità piena, semipiena, o non parità.
Questa ultima pone la seconda Camera in
una situazione di inferiorità di fronte alla prima, limitandone la competenza
all'emissione di pareri o alla sospensione dell'attuazione di certe misure. Uno
dei casi è quello della Camera dei Lords inglese che, dopo la riforma del 1911,
non è più una Camera legislativa in senso proprio, ma ha una funzione sospensiva
di certe misure; ed anzi, nella materia finanziaria non ha neanche questa
funzione. Questo era il caso del Reichsrat della costituzione di Weimar.
A suo
avviso (del relatore Mortati; ndQ.), il sistema bicamerale non può consentire forme di seconda Camera con
questi limiti; la seconda Camera dovrebbe avere non solo piena parità di diritti
in materia legislativa, ma anche piena parità in ordine alla fiducia da
accordare al Governo. Egli, anzi, aveva proposto di formare un organo misto, una
riunione plenaria delle due Camere per votare sulla fiducia al Governo, in modo
che fosse meglio attuata una compenetrazione dei vari punti di vista attraverso
la discussione e la votazione. In considerazione del fatto che la prima Camera
ha un valore politico di fatto, non di diritto, preminente, si potrebbe
escogitare un sistema che desse una preminenza numerica alla prima Camera in
modo da metterla nella sua giusta posizione.
Quindi, egli è per la piena parità anche nel
campo finanziario, perché, evidentemente, quei limiti che sono valsi per
diminuire l'efficienza in questo campo della seconda Camera negli ordinamenti in
cui questa ripeteva la sua origine non dal popolo ma dal Sovrano, non hanno più
ragione d'essere in un ordinamento nel quale l'origine della seconda Camera è
anche essa popolare, e manca la ragione di un trattamento diverso alle due
Camere anche in questo campo"
8. S'è detto anche che Mortati avrebbe anche lamentato di aver dovuto accettare il bicameralismo "perfetto" (che egli, come vedremo, in realtà non condivide, nelle sue Istituzioni di diritto pubblico, enumerando invece le diverse ragioni di differenziazione tra Senato e Camera realizzate nella soluzione costituzionale, cfr; Tomo I, pagg. 471-473, come sempre da rileggere per essere informati dato che egli criticava ogni soluzione che non attribuisse pari "rango" alle due Camere!), per via della pressione "comunista".
In realtà è proprio l'opposto, essendo inizialmente, il partito comunista, sostenitore del monocameralismo (ma con un rigoroso sistema elettorale proporzionale). E Mortati lo dice espressamente alla pag.471 delle sue Istituzioni.
Ma v'è di più.
Il partito comunista cambiò poi idea in Costituente, e fece proprio, sul Senato, una cauta e "compromissoria" apertura al regionalismo - ma non al "federalismo"!- come attesta l'intervento di Laconi in sede di vera e propria Assemblea Costituente il 24 settembre 1947 (Laconi, che chi ha letto "La Costituzione nella palude" sa essere un sincero democratico sostanziale, ben disposto ad accettare la visione keynesiana e la essenzialità della conseguente costituzione c.d. economica), intervento che vi riporto:
"Laconi.
[...] Le proposte che sono state presentate, almeno le principali, si muovevano
originariamente su due linee: la linea della rappresentanza di interessi, che è
stata ieri eliminata attraverso un voto contrario della Assemblea, e la linea
della rappresentanza a carattere territoriale, che ha trovato in parte un
accoglimento nel progetto di Costituzione e che è variamente echeggiata in
diverse proposte che vengono poste in discussione attraverso gli emendamenti.
Ieri l'Assemblea ha respinto la prima di queste
proposte e penso che abbia concorso in questo voto anche la considerazione che
io ho avuto l'onore di fare ieri e cioè che la proposta dell'onorevole Piccioni
presupponeva tutta una Costituzione diversa da quella che invece noi siamo
andati elaborando.
Io penso che queste medesime considerazioni
valgano anche per tutte le proposte che delineano una formazione della seconda
Camera su base territoriale. Le proposte di una rappresentanza su base
regionale, o comunque su base locale, conferiscono in sostanza alle Regioni, in
quanto tali, un loro diritto di partecipazione alla direzione politica del Paese
e muovono quindi da una concezione dello Stato che non è quella che ha trovato
accoglimento nel titolo delle autonomie regionali. Le Regioni non sono state da
noi configurate come organi di potere politico. Noi non abbiamo creato uno Stato
federale per cui oggi debba discenderne naturalmente una rappresentanza delle
Regioni nella seconda Camera. Noi abbiamo creato la Regione come ente puramente
autonomo ed incluso nell'unità politica dello Stato.
Si dirà che nel progetto attuale si è ricorso
ad un compromesso, contemperando la rappresentanza regionale con altre forme di
rappresentanza, ma io penso che proprio da questo compromesso scaturiscano i
maggiori pericoli.
Se noi ci trovassimo in uno Stato federale e dinanzi ad unità
territoriali storicamente determinate ed organiche, che hanno una tradizione
storica, probabilmente nell'accogliere anche integralmente il principio della
rappresentanza regionale nella formazione della seconda Camera non ci sarebbero
dei pericoli; ma qui in Italia, dove nascono delle Regioni con tutt'altra
configurazione, io penso che corriamo un grande pericolo a concedere una
rappresentanza fissa alle Regioni, corriamo cioè il pericolo di dare la stura
domani a tutta una serie di movimenti regionalistici i quali altro scopo non
avrebbero se non quello di conquistare a determinate Regioni o talvolta anche a
determinati gruppi politici prevalenti in quelle Regioni le rappresentanze
senatoriali. Io vorrei che questo punto che è stato così scarsamente toccato da
questa discussione, e mi pare sia ancora largamente accettato in questa
Assemblea, venisse sottoposto ad una discussione particolareggiata.
Io vorrei far notare ai colleghi che questo
premio concesso gratuitamente ad ogni Regione, è un incentivo alla creazione di
nuove Regioni, incentivo che può essere favorito anche dal fatto che in
determinate zone di certe Regioni possono prevalere determinati gruppi politici
interessati ad ottenere questo premio.
È ben noto che in ogni Regione esistono
particolari zone in cui un partito è in prevalenza. Chi potrà escludere che
questo partito si faccia promotore della costituzione di una Regione la quale
domani avrà, per il fatto che si costituisce, il premio gratuito di cinque
senatori? Noi verremmo a trovarci inermi di fronte a questo pericolo: quello di
vedere da un lato la Regione trasformata in un semplice strumento di
competizione politica, e dall'altro lato di veder trasformato il Senato in una
Camera che rappresenti unicamente, e nel modo più ristretto, degli interessi
locali di piccoli gruppi configurati territorialmente e politicamente.
A nostro avviso il Senato deve rappresentare la
nazione in modo indiscriminato. Abbiamo ieri escluso che vi fosse una
rappresentanza di gruppi sociali in quanto tali. Io penso che dobbiamo escludere
che vi sia una rappresentanza di gruppi territorialmente configurati in quanto
tali. La sovranità appartiene al popolo nella forma più indiscriminata.
Non
possiamo ammettere che nel quadro dello Stato unitario italiano vi siano enti di
qualsiasi natura, sia sociale che territoriale, i quali detengano un determinato
diritto per il fatto che esistono, e in nome della loro esistenza e della loro
costituzione. Rappresentanza, quindi, indiscriminata. Ma è evidente che se
vogliamo che questa rappresentanza indiscriminata risponda a quelle esigenze —
che sono state riconosciute anche da noi, e credo dalla maggioranza della Camera
— di una maggiore elaborazione della legge; se vogliamo che la seconda Camera
risponda a queste esigenze, è evidente che dovremmo avere una rappresentanza
opportunamente selezionata".
9. Tornando a Mortati e al suo presunto favor per il monocameralismo o per un bicameralismo fortemente temperato, - che non pare neppure sostenuto nell'intervista del 1973, appunto legata alla maggior rilevanza del regionalismo (quale allora costituzionalizzato)-, a smentire questo assunto, è cioè la "doppia" estrapolazione (del brano dall'intervista e della formula "inutile doppione" dal brano estrapolato), basti pensare che gli studenti che hanno studiato sul suo testo, in epoca certamente successiva al 1973, in esso trovarono una rigorosa confutazione sia del monocameralismo sia del bicameralismo improprio.
Mortati sostanzialmente predilige, e cita, la natura del Senato come Chambre de réflexion, proprio per "facilitare", attaverso di essa, "la soluzione dei conflitti insorgenti tra una delle camere e il governo" (pag.469).
10. Mortati, infatti, dedica due interi paragrafi alla critica del monocameralismo e del bicameralismo "improprio" (i nn.53 e 54, pagg.469-471).
Nel secondo di essi, anzi, al di fuori del contesto di realizzazione del "regionalismo", egli afferma, a confutazione del bicameralismo asimmetrico, proprio un concetto opposto a quello de "l'inutile doppione" (concetto chiaramente rapportato, nell'intervista, alla rappresentanza delle "autonomie" in coordinamento, però, con le esigenze unitarie):
"D'altro canto non è esatto sostenere che il riesame da parte di una seconda camera politicamente intonata nello stesso senso della prima risulti inutile, poiché invece esso può riuscire proficuo sia ad un ripensamento della opportunità politica della proposta di legge, sia ad un suo perfezionamento tecnico".
E (sempre pag.470), suggerendo quella che sarebbe stata, effettivamente, secondo lui, una linea di riforma effettivamente funzionale, senza ricorrere a strumenti di degradazione del Senato come quelli dell'attuale riforma che egli certamente confuta e respinge, aggiunge un passaggio fondamentale anche ai fini di un'eventuale revisione costituzionale:
"L'omogeneità politica delle due camere potrebbe, se mai, indurre a ricercare semplificazioni nello svolgimento di quella parte dell'attività parlamentare relativa alla determinazione dell'indirizzo politico generale: che potrebbero essere raggiunte affidando per esempio alle due camere in seduta comune il conferimento o il ritiro della fiducia al governo, nonché l'approvazione delle leggi di bilancio".
11. Tra l'altro, a difesa della pari dignità del Senato proprio sul piano della potestà legislativa in materia finanziaria, esclusa dalla presente riforma, alle pagg.471-472, aggiunge:
"Nella nuova Costituzione non v'è più traccia della disposizione che si leggeva nell'art.10 dello Statuto albertino, secondo cui era sottratto al senato, perché non di nomina elettiva, ogni diritto di iniziativa, e in conseguenza, di emendamento nella materia finanziaria: ciò perché data la comune origine diretta dal popolo, viene a mancare ogni fondamento razionale per mantenere una situazione di inferiorità a danno di una camera, che trovava la sua giustificazione nell'antico principio dell'autoimposizione...(cioè, dell'accettabilità della tassazione, imposta dai monarchi, previa votazione di assemblee rappresentative distinte tra nobili feudatari e cittadini comuni; cfr; par.50 delle Istituzioni di Mortati).
E ponderazione della "opportunità politica" e del "perfezionamento tecnico" delle leggi - e tutti si rendono conto quanto queste siano delle vere priorità, avvertite da tutti i cittadini e dagli operatori economici e amministrativi- sono le cose che Mortati ha continuato a "insegnare", per via del suo testo fondamentale, ben dopo l'intervista del 1973.
E piuttosto, perché volendo semplificare e razionalizzare il processo decisionale bicamerale, non s'è presa in considerazione, neppure per un momento, la sua ben più lineare proposta sopra indicata, per decenni affidata al testo più importante - e oggi stranamente ignorato- di insegnamento del diritto costituzionale italiano?
Grazie, avevo bisogno di delucidazioni al riguardo!
RispondiEliminaÈ arrivato lei puntuale, come sempre.
Grazie
Bellissimo post, da leggere e rileggere.
RispondiEliminaMi permetto, al riguardo, una piccola citazione "storica". Il 23 marzo 1849, in occasione dell'adozione del disegno di legge per l'esercizio provvisorio dei bilanci (attivo e passivo) del 1849, il senatore Petitti ammonì che "il Senato dev'essere custode delle sue attribuzioni e non permettere giammai che esso degeneri in una Camera d'interinazione, perché, se continua ad essere vincolato dalla necessità o dall'urgenza ne verrebbe per conseguente che talvolta si adotterebbero cose a cui la nostra coscienza non potrebbe acquietarsi".
Forse un caso, forse no, che questa duplice rivendicazione (della del diritto ad una deliberazione non soggetta a "vincoli esterni" e della parità sostanziale di attribuzioni tra i due rami del Parlamento) sia sorta proprio in occasione...... dell'esame di un provvedimento economico!
Peggio che "infondata", la pantomima sui "problemi del rallentamento" del processo legislativo.
RispondiEliminaIl "rallentamento" - secondo i maggiori Padri costituenti - sarebbe "auspicabile", per motivi sia politici che tecnici.
Ha ragione Alberto: siamo di fronte ad un tradimento di dimensioni colossali.
A me spiace, ma è giusto chiarirlo a chi non ha ancora capito come funziona: di fronte a queste aberrazioni umane e morali, lo stalinismo ha una sua precisa razionalità nella Storia.
Non c'entra nulla il tradimento dello spirito e dell'etica marxiana o, per i liberali-cristiani-sociali, il tradimento dell'etica della Provvidenza: è un dato di fatto che la troika o la imponi o la subisci.
Stalin ha avuto l'istinto - certamente sanguinario - di anteporre la sovranità a qualsiasi altro principio etico-politico: e aveva ragione. (Arturo mo mi si incazza come una belva...)
Il liberalismo è fondato sulla corruzione: la corruzione è la sua legge. La Natura è corrotta e la Legge lo è di conseguenza.
Dove tutto è privato, tutto è comprabile, tutto è corruttibile: salvo il corruttore.
La tirannia dei valori (cit. Schmitt) è strutturale nel totalitarismo economicistico del liberalismo di cui la Venice Commission è portavoce.
Si vuole costituzionalizzare la tirannide.
Almeno che sia sovrana....
Sul "terrore" staliniano interessante è questo aneddoto che racconta Canfora (dal minuto 38:50 in avanti).
EliminaVenice Commission, Stato etico hegeliano e Carl Schmitt: analisi economica istituzionalista della sovrastruttura etica.
RispondiEliminaLa filosofia morale liberale nella sua vesta "moderna" di filosofia dei valori:
« La logica del concetto economico del valore rientra quindi in un ambito razionale di giustizia commutativa, entro il quale può svilupparsi adeguatamente a condizione che vi sia stabilità monetaria » C.Schmitt, "La Tirannia dei Valori", 1960
A questo, francamente, non ci ero arrivato...
(Mi aggiungo a Mortati tra gli schmittiani...)
Schmitt, - al contrario dei nuovi "costituzionalisti politici" (spesso neo-liberisti a propria insaputa)-, l'economia, nei suoi meccanismi fondamentali, la comprendeva: per questo si poteva permettere di affermarne la subordinazione alla teoria generale dello Stato.
EliminaSulla giustizia commutativa, insita nella stabilità monetaria, cioè nel gold standard, rammento lo splendido lavoro storico-filologico compiuto da Arturo nei commenti alla recensione del libro di Cesaratto: "commutativo" significa dare tanto ai ricchi e poco, in proporzione aritmetica, ai poveri.
Per questo Hitler si permetteva il gold standard e la piena occupazione: con la Gestapo e le SS la disciplina del lavoro va che è una meraviglia.
Ma anche con le riforme Hartz: anzi, ancor meglio, dato che un cambio sopravvalutato e una socializzazione dei costi della deflazione salariale, possono essere ripagati, con una moneta sottovalutata, a spese dei partners UEM.
Ricordo bene la stupefacente analisi filologica di Arturo: rimango senza fiato nel constatare il rigore logico con cui collega epistemologicamente filosofia morale, diritto, ed economia in sintetici passaggi, relazionando il relativismo etico alla stabilità monetaria.
EliminaOvvero, dimostra inoppugnabilmente che l'ordoliberismo, fondato sulla stabilità dei prezzi e non sul lavoro - ordine che prevede la giustizia distributiva oltre a quella commutativa -, porta necessariamente alla tirannia.
Chapeau.
(E torno a studiare come uno scolaretto...)
A proposito, non sfugga al riguardo questa notissima analisi di Kalecky, laddove parla del "pieno impiego" nel riarmo nazista:
Eliminahttp://gondrano.blogspot.it/2012/09/aspetti-politici-del-pieno-impiego.html?m=1
PP. III-1 e III-2