QUELLI CHE … “LA REPUBBLICA PARLAMENTARE”
E L’INARRESTABILE FRATTURA DEMOCRATICA
“… (terzo) aspetto
essenziale di questo concetto di sovranità è il problema della partecipazione
permanente. Il popolo è composto da tutti i cittadini e se la decisione sovrana
deve intervenire con il concorso di tutti i cittadini, è necessario che tutti i
cittadini abbiano possibilità di partecipare non saltuariamente ma
continuamente al governo della cosa pubblica… In un ordinamento democratico
ci dev’essere corrispondenza continua fra la volontà degli elettori e quella
degli eletti… il nostro ordinamento conosce alcuni meccanismi volti a questo
scopo, e precisamente:… d) lo scioglimento anticipato delle Camere da
parte del Presidente della Repubblica che dovrebbe essere pronunciato quando
fosse constatata un’aperta
frattura fra Parlamento e Paese…”.
[L. BASSO, Per uno sviluppo democratico nell’ordinamento costituzionale
italiano, in Studi
per il ventesimo anniversario dell’Assemblea Costituente, IV, Aspetti del
sistema costituzionale, Firenze, Vallecchi, 1969, 10-36]
1. Nelle stesse ore in cui mi accingo a confezionare
questo intervento, si sta consumando - a mio sommesso avviso – l’ennesima
violazione sostanziale del dettato costituzionale che non è escluso venga portata
a termine in modo repentino. Ed infatti, la crisi di governo agostana, che ha condotto
alle dimissioni del Presidente del Consiglio, ha innescato il conferimento di
un nuovo incarico nonché le frenetiche consultazioni del Colle all’esito delle
quali dovrebbe essere sancito lo sciagurato amplesso tra forze politiche accomunate
dalla devozione indefessa verso L€uropa, senza che ciò suoni in alcun modo sorprendente
(in particolare per i malcelati apritori di scatole di tonno rivelatisi appartenenti
a pieno titolo al partito del PUD€).
Posticcio “Fogno di una nott€ di m€zza estat€”
in salsa italica (scelga il lettore a chi attribuire, tra gli esponenti
politici di spicco protagonisti del probabile sodalizio, il ruolo di Ermia e
quello di Lisandro).
2. Ci si chiede, tuttavia, se la tragicomica vicenda
istituzionale, alla quale per l’ennesima volta è costretto ad assistere il
Sovrano buggerato, trovi legittimazione nella nostra Carta Costituzionale, ciò
soprattutto (ma non solo) alla luce degli avvenimenti che hanno scandito la vita
politica repubblicana quantomeno negli ultimi tre anni. Al netto del giudizio
dei soloni mass-mediatici ed espertologi in merito a chi avrebbe “tradito” all’interno
della vecchia coalizione di governo o, ancora, se sia stata meno avventata la
mossa politica di “staccare la spina” all’Esecutivo con le tempistiche palesate,
la domanda reclama una risposta di stretto diritto costituzionale. Rebus
sic stantibus, è cioè consentito approntare un “Governo con maggioranza purchessia”?
Di certo per quelli che “siamo
in una Repubblica parlamentare” la domanda potrà sembrare quasi insensata, corroborati
per un verso da “precedenti, prassi e convenzioni costituzionali” in
genere che, negli anni, hanno oscurato in modo consolidato i principi
fondamentali della Cost. anche in materia di rimedi alle “crisi di gabinetto”
e, per un altro, dalla dottrina dello scioglimento delle Camere quale “ultima
spiaggia”, che fa della durata fisiologica della legislatura e della stabilità
del Governo l’unico Grunwert delle relazioni politico-istituzionali, come
se anche la stabilità non nascesse dalla coscienza democratica [“…si è
parlato del tentativo di dare alla nostra democrazia condizioni di stabilità
con norme legislative … oggi la disciplina, la stabilità è data dalla coscienza
politica, affidata all’azione dei partiti politici…”, G. AMENDOLA,
Commissione per la Costituzione, II Sottocommissione, seduta del 5 settembre
1946];
Insomma, sino a quando
risultasse possibile una soluzione non traumatica della crisi – si afferma - la
stessa sarebbe l’opzione da preferire, essendo quindi il Capo dello Stato
tenuto a farvi luogo. Di conseguenza, “morto un governo”, è ormai consueto assistere
quasi in via automatica al cerimoniale delle consultazioni all’esito delle
quali, in presenza di una maggioranza comunque racimolata, sarebbe il “Parlamento
sovrano” ad avere l’ultima parola.
Simili argomentazioni, a ben
vedere, sembrano peccare di un tale formalismo che, se potranno essere
utilizzate dai più per giustificare qualsivoglia alchimia politica sotto il
crisma asettico della “legalità”, non sembrano tuttavia in grado di superare il
vaglio di “legittimità” costituzionale [sulla diferenza tra “legalità” e “legittimità”,
si veda C. SCHMITT, Legalità e legittimità (1932), ora parzialmente
tradotto in Id., Le categorie del politico, Bologna, 2013]. Al fine di
dare una risposta all’interrogativo che sopra si è posto, pare perciò che si
renda necessario compulsare ancora quei principi costituzionali tanto fondamentali
quanto, purtroppo, ormai accantonati.
3. In proposito, la norma dalla quale bisogna
prendere le mosse è l’art. 1, comma II, Cost., la quale prevede che “La
sovranità APPARTIENE al popolo”, ove
il verbo “appartiene” sostituì il verbo “emana” (dal popolo) dopo ragionato ed
approfondito dibattito che trovò ampia convergenza tra i Costituenti.
Afferma C. Mortati che “…
Nel progetto di costituzione era detto che la sovranità “emana” dal popolo. Si
osservò che questa formula avrebbe potuto indurre nella convinzione che il
potere parta dal popolo ma non si fermi in esso, mentre il punto che premeva
mettere in rilievo era …la permanenza dell’esercizio di questa nel popolo,
come contrassegno essenziale ed ineliminabile del regime democratico che si
intendeva instaurare…” [C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico,
I, Padova, 1969, 141].
3.1 Bisogna sottolineare, peraltro, che in sede di
Assemblea Costituente non furono solo le forze di sinistra a voler mutare detta
formula, ma anche rappresentanti
liberali, come l’on. Luciferoche spiegò in modo cristallino le ragioni che
avrebbero dovuto portare, a scanso di futuri equivoci, alla scelta del verbo “appartenere”:
“… Può sembrare la questione sottile, ma è
una questione concettuale;…Quindi credo che la Costituzione democratica debba chiaramente sancire il concetto che la
sovranità, cioè il potere, non solo appartiene al popolo, ma nel popolo
costantemente risiede… Ed allora bisogna impedire qualunque interpretazione che un
giorno possa far pensare a sovranità trasferite o comunque delegate…” [R. LUCIFERO, Assemblea
Costituente, seduta pomeridiana del 22 marzo 1947]. Non
esistono più i liberali onesti di un tempo.
4. Il popolo, quindi, eletti i propri rappresentanti, non
si spoglia mai della propria sovranità trasferendola al Parlamento, ma continua
diuturnamente ad esserne il legittimo titolare. L. Carlassarre chiarisce
bene tale ultimo passaggio allorché precisa quanto segue:
“… La sovranità popolare
ha costituito fin dall’inizio il fondamento del sistema costituzionale
repubblicano che si andava a costruire, ha orientato l’intero disegno, ispirato
ogni concreta proposta. Nella Relazione di Meuccio Ruini al Progetto di
Costituzione il principio della sovranità
popolare - che deve rimanere "fermissimo" - appare
subito come il punto cardine cui ogni altra scelta
s'ispira, in particolare quella relativa alla posizione degli organi di vertice
dello Stato e ai loro rapporti: "…la sovranità spetta tutta al
popolo", che è "la forza viva" cui si riconduce ogni
potere degli organi dello stato, "l'elemento
decisivo che dice sempre la prima e l'ultima parola". Di conseguenza
il "fulcro dell'organizzazione costituzionale" è nel Parlamento,
"che non è sovrano di per sé stesso,
ma è l'organo di più immediata derivazione dal popolo …” [L. CARLASSARRE,
Sovranità popolare e Stato di diritto, in Costituzionalismo.it,
1-2].
La stessa dottrina, nel
lavoro appena citato, tiene perciò ad evidenziare come dagli atti dell’Assemblea
Costituente emerga costantemente “… la lontananza (dei Costituenti) da
ogni concezione che esalti la posizione degli eletti in forza della
legittimazione popolare…” [L. CARLASSARRE, Sovranità
popolare, cit., 28]. Venne quindi adottata una forma di governo
parlamentare tesa, per ovvi motivi, ad evitare “le degenerazioni del parlamentarismo” ”[così nella seduta di mercoledì 4 settembre
1946, Commissione per la Costituzione, II sottocommissione]. E la conferma di tale
discorso si ricava dalle parole dei Costituenti.
M. Ruini, per tutti, nello
stesso anno in cui entrò in vigore la Carta, in proposito confermò quanto segue:
“… Sovrano non è il Parlamento; è il
popolo…è il popolo che deve aver sempre la prima e l'ultima parola; ed anche se non fosse organo, ma
forza motrice, l'elettricità che muove la macchina, ci basterebbe per affermare
la sua sovranità…” [M. RUINI, Il
Parlamento nella nuova Costituzione, in Il centenario del Parlamento
1848-1948, Roma, Camera dei Deputati, luglio 1948, 407-411; “La
sovranità è nel popolo, non è nel Parlamento, e noi qui contiamo unicamente per
quel che rappresentiamo”, aveva tuonato R. LACONI,in Assemblea
Costituente nella seduta del 5 marzo 1947].
5. Posto ciò, in effetti “ogni altra scelta”
non potè che essere coerentemente calibrata dai Costituenti partendo proprio dal
predetto “punto cardine”, cioè dall’aver sancito l’appartenenza della
sovranità in modo costante ed inalienabile al popolo che, come tale, deve
considerarsi sempre “… nell’esercizio delle proprie funzioni, che non sono
soltanto quello di votare, ma altresì quelle di sorvegliare, controllare,
criticare e insomma fare quanto è necessario perché la sua vera volontà…si
traduca in azione politica…” [L. BASSO, Il Principe senza
scettro, cit., 171].
In tal senso, è indicativo proprio
il ruolo del popolo che emerge “… dalla Relazione sul potere legislativo di
Costantino Mortati. Esponendo i tipi concettualrnente possibili di ordinamenti democratici
moderni… egli distingue in primo luogo "i sistemi nei quali al popolo è
affidata una funzione di pura e semplice preposizione alla carica dei titolari
degli organi costituzionali elettivi (che danno vita alle forme meramente rappresentative)"
dai sistemi, invece, "in cui il popolo designa anche, in modo più o
meno esplicito o diretto, gli indirizzi politici , e quindi appare come organo
di espressione di una concreta volontà politica". La nostra Costituzione sicuramente non ha inteso dar vita a
una forma "meramente rappresentativa" ….
Circa le forme "in
cui è prevista la possibilità dell'accertamento in ogni momento della
corrispondenza tra la volontà del popolo e quella degli organi rappresentativi,
e quindi è prevista l'adeguazione tra le due volontà per mezzo della riduzione
della durata normale di vita degli organi elettivi", descrive i" mezzi
tipici" destinati a mantenere l'accordo, i mezzi tipici per
Mortati sono: "il principio della responsabilità politica del
governo innanzi al Parlamento, e la dissoluzione
delle Camere elettive in caso di presunto disaccordo con la volontà popolare…". [così, L. CARLASSARRE, Sovranità popolare,
cit., 28-29], dissoluzione che (si legge tra l’altro nella Relazione di
Mortati) “… può essere determinata o dalla
necessità di affrontare problemi di notevole importanza politica non agitati in
occasione della elezione del Parlamento in carica; o dal sospetto di mutamenti
intervenuti nello stato della pubblica opinione durante la legislatura (fra i sintomi
più caratteristici sono da ricordare i risultati di elezioni parziali …”.
6. Ciò che i Costituenti intendevano affermare è che, se
la sovranità appartiene al popolo e se, come diretta conseguenza, la
Costituzione avrebbe dovuto adottare un regime parlamentare non “meramente
rappresentativo”, è gioco forza dedurne che sarebbe stata indispensabile
in ogni momento una rispondenza tra la composizione del Parlamento (dal quale
ogni Esecutivo dipende) e la reale configurazione politica del Paese. D’altronde, sarebbe
un ossimoro giuridico predicare “l’appartenenza” permanente ed inalienabile della
sovranità al popolo (che deve avere sempre “la prima e l’ultima parola”)
se a quest’ultimo fosse concesso di votare soltanto una volta e per tutte i
propri rappresentanti e poi gli fosse impedito, per il prosieguo della
legislatura, di poter continuare ad esercitare la propria sovranità.
La costante e permanente appartenenza
della sovranità al popolo, pertanto, implica di necessità “… che gli organi
dello Stato, cioè lo Stato-apparato, debba essere interprete
fedele della volontà popolare secondo quanto prescrive appunto l’art. 1
della nostra Costituzione…la formula usata da questo articolo [implica]
delle conseguenze giuridiche, e pensiamo che proprio una conseguenza giuridica sia quella
relativa alla necessaria corrispondenza fra la reale volontà popolare e gli
organi a cui il popolo affida l’attuazione di questa volontà,
in modo particolare, naturalmente, le assemblee parlamentari…Per queste ultime l’essenza dello Stato democratico esige…che la corrispondenza
sia il più possibile perfetta, cioè che le assemblee parlamentari siano la
fotografia il più possibile fedele dei contrasti di opinioni e di tendenze
politiche che esistono nel Paese. E in concreto possiamo ritenere
che l’ordinamento italiano accolga questa esigenza. Infatti, il rapporto fra l’Italia,
cioè il popolo italiano, e la Repubblica, cioè gli organi statali, sarà
veramente democratico…quanto più il Parlamento sarà lo specchio fedele del
popolo…” [L. BASSO, Il Principe senza scettro, cit.,
172].
7. In sostanza, è possibile convenire con lo stesso Basso
che “… noi viviamo in un sistema
di presunzioni: presunzione di fiducia che il Governo abbia dalla Assemblea e
presunzione di consonanza fra la volontà dell’Assemblea
e la volontà del paese; ma presunzioni che durano fino a
prova contraria …” [L. BASSO, Il colpo di Stato di De Gasperi, cit.].
Che la nostra Carta Costituzionale postuli tale consonanza presuntiva
di volontà fra corpo elettorale ed Assemblea legislativa è possibile ricavarlo,
secondo Mortati, da due istituti presenti in Costituzione. Infatti i diritti
del Parlamento si basano sulla presunzione che esso interpreti sempre la
volontà popolare, e la nostra Costituzione ha voluto che fosse possibile
controllare questa coincidenza creando a tale scopo proprio due strumenti: l’appello
al popolo mediante il referendum popolare (ovvero, il controllo al quale
una parte ha diritto di sottoporre le decisioni dell’Assemblea allo scopo di
verificare se realmente la volontà dell’Assemblea coincide con quella del corpo
elettorale), e il potere del Capo dello Stato di decretare lo scioglimento
delle Camere allorché ritenga che detta coincidenza non sussista più.
7.1 In particolare, con riferimento allo
scioglimento anticipato dell’Assemblea, è da notare che sin dall’edizione del
1952 del suo Istituzioni di diritto pubblico Mortati ebbe ad affermare (con
ciò confermando quanto già relazionato in sede di Assemblea Costituente) che “…
l’istituto di armonizzazione fra rappresentanti e rappresentati, fra
Parlamento e corpo elettorale, che meglio appare adeguato alla struttura
propria del regime parlamentare, è quello già ricordato dello scioglimento
delle Camere elettive…Per quanto riguarda LA FINALITÀ DELLO SCIOGLIMENTO, ESSO IN REGIME
DEMOCRATICO NON PUÒ ESSERE CHE UNA: L’ACCERTAMENTO DELLA CORRISPONDENZA DEL
POPOLO E QUELLA DEI SUOI RAPPRESENTANTI”, ciò sempre in ragione della “… accentuazione del
potere politico del corpo elettorale in armonia con la
trasformazione prodottasi nelle democrazie moderne, le cui manifestazioni non paiono più contenibili
nello schema della pura rappresentanza, e che risulta dall’ampia possibilità
offerta di scioglimento delle Camere, nell’intento di fare dell’appello del popolo IL
MEZZO NORMALE DI SOLUZIONE DELLE CRISI COSTITUZIONALI …” [C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico,
I, Padova, 1952, 314-315; 323].
7.2 D’altronde, bisogna considerare che, per far in concreto
sentire la propria voce, il popolo (riunito in “corpo elettorale” inteso quale “…
parte dell’elemento personale dello stato fornito di poteri di
partecipazione all’attività politica statale…attinente alla determinazione ed
allo svolgimento della direzione politica…”, così C. MORTATI, Istituzioni
di diritto pubblico, II, Padova, 1969, 399-400) non ha altri strumenti se
non quello del voto.
Mortati, ancora, espone in
modo magistrale questo concetto nel seguente passaggio, allorché sostiene che quanto
ai mezzi “… offerti ai cittadini per consentire un loro intervento nell’attività
dello stato (diritto di petizione e di iniziativa popolare) è da osservare
come essi si rivolgono in manifestazioni di mero desiderio, in nessun modo
vincolanti, e rivelatisi all’esperienza pratica sforniti di concreta efficacia.
Sicchè
(se si prescinde dal diritto di resistenza, strumento per sua natura
eccezionale ed aleatorio nei risultati) la sola arma efficiente affidata ai
cittadini politicamente attivi…è quella del voto per l’elezione dei componenti
i corpi preposti alla direzione politica dello Stato…”, di
modo che “… In mancanza di un potere popolare di revoca degli eletti…
...la consonanza fra
eletti ed elettori è affidata alla funzionalità, tutt’altro che efficiente da
noi, di quei congegni (come il presidende della repubblica) cui dovrebbe
essere affidato il compito circa la permanenza della consonanza stessa, e
quindi L’EFFETTIVITÀ DEL REGIME DEMOCRATICO VOLUTO INSTAURARE…” [C. MORTATI,
Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova, 1969, 442].
7.3 Quanto appena detto, secondo i rilievi
formulati al riguardo ancora da L. Basso, è (o dovrebbe essere) assolutamente
“… normale una volta che si consideri la sovranità come spettante al
popolo reale e tutti gli organi governativi come strumenti di attuazione della
sua volontà: è normale, cioè che il Capo dello
Stato, custode del rispetto della Costituzione, sciolga il Parlamento,
cioè praticamente chieda al popolo di scegliersi altri rappresentanti quando ritenga che quelli esistenti non rispecchino più
fedelmente la volontà, siano cioè dei rappresentanti infedeli…” [L. BASSO,
Il Principe senza scettro, cit., 173]. Piaccia o no, la sovranità
popolare è principio omnibus, al di là delle interpretazioni patafisiche della
Costituzione che vengono ululate ormai da anni.
Quindi, anche quando si
appuri una “frattura” fra rappresentanti e corpo elettorale, cioè si palesi una
crisi di rappresentatività dell’organo elettivo per mancata corrispondenza fra Parlamento
e corpo elettorale dovuta a mutamento della situazione politica all’interno del
Paese, il Capo dello Stato diviene l’interprete diretto del corpo elettorale e non
può non prendere atto del rinnovato contesto dall’alto del suo ruolo di organo neutro
e di garanzia.
7.4 Non a caso, Meuccio Ruini, sin dalla propria Relazione al progetto di Costituzione,
si preoccupò di affermare in materia di scioglimento delle Camere ad opera del
PdR, che “… Più grave e
penetrante d'ogni altro intervento è poi la facoltà del Presidente della
Repubblica di sciogliere le camere…L'affermazione di Mirabeau che “lo scioglimento è il mezzo
migliore di lasciar modo di manifestarsi all'opinione pubblica, che non ha mai cessato di essere la sovrana di tutti i
legislatori” riecheggia oggi nella dichiarazione di Blum che “lo scioglimento
delle camere è la chiave di volta di un ordinamento democratico…” [M. RUINI, Relazione al progetto
di Costituzione presentata all’Assemblea il 6 febbraio 1947]. L’autorevolezza dell’intervento di Ruini non fu ovviamente
un caso isolato.
7.5 Ed infatti, in Assemblea, dipanatasi la discussione in
ordine alla previsione o meno del potere in capo al Presidente della Repubblica
di sciogliere le Camere (considerata l’importanza dell’atto) e risoltasi poi nel
senso di ammetterlo, non vi fu dubbio alcuno che detto potere fosse visto dai
Costituenti come uno strumento per ristabilire “un equilibrio che è venuto
meno”. Ma lasciamo che a parlare siano ancora i nostri Padri Costituenti:
“… Il potere di
scioglimento è considerato, da tutti, il mezzo caratteristico del meccanismo
per ristabilire un equilibrio venuto meno,
per creare un nuovo rapporto di fiducia che si è rotto fra la maggioranza
dell'Assemblea e il Governo o per accertare la corrispondenza fra gli orientamenti
popolari e quelli degli organi rappresentativi, in base al sospetto di mutamenti
intervenuti, nello stato della pubblica opinione, durante la legislatura, o per affrontare problemi di considerevole importanza
politica, non agitati nel corso della campagna elettorale, ecc. È l'intervento
della volontà personale del Capo dello Stato nel Governo, nel Parlamento, nel
Paese: possibile sempre, specie in momenti delicati e complessi e con l'esistenza di
forze politiche frazionate...” [Così V. LA ROCCA, Assemblea Costituente, seduta del
12 settembre 1947];
“…
Sciogliere le due Camere significa constatazione della esistenza di un contrasto tra il paese ed i suoi
rappresentanti…” [A. ROMANO,
Assemblea Costituente, seduta del 21 ottobre 1947];
“…
Non c'è nessun dubbio che nel sistema della nostra Costituzione lo scioglimento
anticipato sia una necessità. Si potrebbe pensare diversamente se avessimo
ammesso il sistema della legislatura breve, ma con Camere che durano cinque o sei anni e con la mutevolezza
della pubblica opinione in Italia, sarebbe impossibile immaginare un sistema
diverso. Lo scioglimento è inevitabile…” [P. ROSSI, Assemblea Costituente,
seduta del 24 ottobre 1947].
L’on. Aldo
Moro, nella stessa seduta del 24 ottobre 1947, sostenne in modo che non può
dare adito ad alcun fraintendimento: “… Dichiaro che il nostro Gruppo, ritenendo
che il potere di scioglimento delle Camere
sia uno strumento indispensabile per adeguare la rappresentanza popolare ai
reali mutamenti dell'opinione pubblica, al di fuori della durata normale delle
legislature, voterà in favore dell'articolo 84 (poi l’attuale
art. 88 Cost.) e contro tutti gli emendamenti modificativi…”.
In sostanza, l’Assemblea convenne
sui contenuti e le riflessioni esposti da Costantino Mortati (vera anima
giuridica dell’Assemblea) nella propria Relazione menzionata sopra al p.5.
7.6 Nonostante l’evidenza e la concordanza delle
parole sopra riportate, bisogna tuttavia constatare, secondo la dottrina, che:
“… Stranamente oggi trascuriamo alcuni
degli aspetti più classici dei poteri di garanzia del Presidente, che ha, sì,
il dovere di prendere atto di una maggioranza parlamentare idonea a sostenere un governo, ma anche quello di accertarsi che
tale maggioranza non sia in contrasto con quella espressa dal corpo elettorale o
comunque che non ci sia una “frattura” consolidata (per esempio
attraverso diverse elezioni e prove referendarie) e inaccettabile (per l’evidenza dell’opinione pubblica) fra
la maggioranza parlamentare e l’orientamento prevalente del Paese” [Così A. SPADARO, Poteri del Capo dello Stato, forma di governo
parlamentare e rischio di “ribaltone”, in forumcostituzionale.it;
nello stesso senso si vedano, tra gli altri, P. BARILE, I poteri del
Presidente della Repubblica, in Rivista trimestrale di diritto pubblico,
1958, VIII, fasc. 2, 332 ss.; V. CUOCOLO,
Istituzioni di diritto pubblico, Milano, 1992, 381; L. CARLASSARE, Il
Presidente della Repubblica (art. 88-91), in Commentario della
Costituzione, a cura di G. BRANCA, Bologna, 1983, 12-13 e 61-64P. COSTANZO, Lo scioglimento
delle assemblee parlamentari. II, Studio sui presupposti e i limiti dello
scioglimento nell’ordinamento repubblicano italiano, Milano, 1988, 93].
Pertanto, volendo riassumere,
si può dire che in base a quanto si evince dai lavori dell’Assemblea Costituente
e secondo le convincenti ricostruzioni dottrinali, lo scioglimento delle Camere
da parte del Capo dello Stato deve essere giustificato anche per un vizio funzionale nel rapporto tra corpo elettorale e
Camere, vizio che di solito si manifesta in itinere (ovvero dopo
la formazione di un primo Esecutivo) e che configura quello che la dottrina ha efficacemente
definito come “sopravvenuto difetto di rappresentatività”, ovvero il
venir meno della “rappresentatività dei rappresentati” [così
A. RUGGERI, Crisi di governo, scioglimento delle Camere e teoria della
Costituzione, in forumcostituzionale.it, 6].
8. Orbene - per tornare al presente e volendo
esporre quella “prova contraria” alla “consonanza tra volontà dell’Assemblea e la volontà del Paese” di cui
parlava Basso - appare innegabile che almeno dal 2016 ad oggi,
ed in particolare dall’indomani dei risultati del referendum costituzionale, il sentimento politico del
Paese sia sostanzialmente mutato, soprattutto nei riguardi di quelle forze
politiche (ci si riferisce in primis al PD, ed i suoi satelliti vari,
nonché al M5S) che oggi si appresterebbero ad appoggiare il nuovo esecutivo.
Al di là della decenza (se proprio
non può esigersi coerenza) che anche in politica non guasta e della quale,
francamente, nella fattispecie si rinvengono dosi modestissime (tali da far
apparire di per sé già inaccettabile all’opinione pubblica un connubio tra
forze che per anni in pubblico si sono letteralmente disprezzate ed insultate, con
strascichi che la cronaca ci indica non di rado anche giudiziari), bisogna infatti
evidenziare come ad oggi quelle stesse forze politiche assise in
Parlamento dopo le consultazioni politiche del marzo 2018 paiono non
rispecchiare più fedelmente la volontà del corpo elettorale.
E tali considerazioni non discendono
da meri sondaggi elettorali, ma si basano fenomenologicamente sui risultati pubblici
delle ultime consultazioni (segnatamente, amministrative ed europee) che
nelle more si sono susseguite e che hanno notoriamente registrato tutte un clamoroso
calo di consenso popolare proprio per le compagini politiche in parola che, a
quanto pare, al di là delle dichiarazioni di facciata, oggi sarebbero
accomunate solo dalla preannunciata benedizione de L€uropa
(che tanta pace e prosperità deflattiva, come sappiamo, ha portato al nostro Paese).
Viene da chiedersi, in tal senso,
come possa il corpo elettorale accettare gli improsvvisi mutamenti di “indirizzo
politico” esternate tanto da parte del “nuovo” Presidente incaricato quanto da
parte di forze politiche che per anni si sono dichiarate (almeno in pubblico) del
tutto alternative l’una all’altra e che in pochi giorni, al solo scopo di
evitare le urne e dare l’ultima parola al legittimo Sovrano, stanno inscenando
un autentico vaudeville affannandosi ad
approntare improbabili quanto consuete e distopiche (se riferite alla democrazia sociale necessitata imposta
dalla Carta) convergenze di programma.
9. Il discorso non muta quand’anche, per assurdo, non si
vogliano considerare i “fatti sopravvenuti” di cui si è detto.
Bisogna infatti
rilevare, sempre in punto di diritto, che il nuovo esecutivo verrebbe
appoggiato da forze che alle elezioni politiche del marzo 2018 – ed in
virtù della nuova legge elettorale che ammette le “coalizioni” - non
hanno singolarmente riportato la maggioranza relativa più alta. La coalizione
di centrosinistra ha infatti ottenuto il 22,8% dei voti (con il PD quasi al 19%)
ed il M5S il 32,7%, mentre era stata la coalizione di centrodestra ad aver
riportato il 37% dei voti. E la legge elettorale, come ha rilevato la dottrina,
per quanto imperfetta sia, non è una variante trascurabile della forma di
governo.
E’ stato osservato, sul punto, che “… In questo stadio dell’evoluzione della forma di governo
parlamentare italiana, i limiti o vincoli costituzionali che incontra il capo
dello Stato sono due a) alla luce delle indicazioni della Carta, il
governo della Repubblica deve avere la fiducia della maggioranza dei componenti
delle Camere; b) alla luce del sistema elettorale…
la
maggioranza delle Camere che sostiene il governo deve essere coincidente con
quella espressa dal corpo elettorale … in
assenza della seconda condizione, il governo – pur godendo della
fiducia parlamentare - non gode però della fiducia del corpo elettorale e…inevitabilmente rischia di inserirsi nella tradizione italica
legata al malcostume del trasformismo politico...” [A. SPADARO, Poteri del Capo dello Stato,
cit., 5].
9.1 Nello
stesso senso, è stato anche evidenziato che “… la formazione di un nuovo
Governo, in passato… giudicata incondizionatamente possibile… è stata negli anni a noi più vicini ammessa unicamente in
quanto idonea a prendere corpo in seno alla stessa maggioranza di partenza
(l’Autore,
in nota, riporta il caso della nascita del I Governo D’Alema ed alla
motivazione nella circostanza data dal Capo dello Stato del proprio operato);
il che, a quanto pare, vale come dire che, in presenza di consistenti
alterazioni strutturali che investano la coalizione di governo (e, dunque, la “formula
politica” cui essa dia luogo) e/o di parimenti sostanziali mutamenti
riguardanti l’indirizzo politico, non resterebbe che andare diritto al voto, ALLA
VERIFICA DELLA CONSONANZA POLITICA TRA ELETTORI ED ELETTI: come suol dirsi,
della rappresentatività dei rappresentanti…” [A. RUGGERI, Evoluzione del sistema politico-istituzionale
e ruolo del Presidente della Repubblica, in forumcostituzionale.it, 8].
In definitiva, e concordando con la dottrina citata,
pare che non possa negarsi che “… il vincolo suddetto (ovvero quello della “formula politica”)
abbia basi normative (addirittura in un principio fondamentale dell’ordinamento),
NEL QUADRO DI
UNA RICOSTRUZIONE DELLA COSTITUZIONE COME “SISTEMA”, CHE PORTI DUNQUE A RIVEDERE
GLI ENUNCIATI DI NATURA ORGANIZZATORIA ALLA LUCE DEGLI ENUNCIATI DI VALORE.
Ammettere il superamento della “formula politica” in occasione di crisi di
governo sopravvenute al fatto elettorale può alimentare OPERAZIONI DI TRASFORMISMO POLITICO
che, forse, potranno anche considerarsi consentite in base ai disposti degli
artt. 92 e 94 cost., isolatamente considerati, non pure però, a mia opinione,
in base alle norme di valore della Carta, e segnatamente a QUEL VALORE
DEMOCRATICO CHE DÀ SENSO, UN SENSO REALE E NON MERAMENTE DI FACCIATA, ALLE
ESPRESSIONI DI VOTO DEL CORPO ELETTORALE
Ed è dunque da chiedersi
se preservare la legislatura - costi quel che costi - debba
essere la cura principale (diciamo pure, una sorta di chiodo fisso) del Capo
dello Stato, come invero parrebbe esser stato (e seguitare ad essere), così
come, da una prospettiva più ampia, è da chiedersi se seguitare stancamente a
ripetere ed a fare utilizzo di taluni schemi teorici ispirati al pur innegabile
principio della salvaguardia dell’autonomia delle istituzioni e della politica
renda davvero un servizio a queste ultime, laddove
di contro certe manifestazioni di trasformismo politico…portano unicamente ad
aggravare la disaffezione e la sfiducia dei cittadini nei riguardi dei
governanti ed a rendere perciò sempre più marcato lo scollamento dei partiti
dalla società cui pure appartengono…” [A. RUGGERI, Evoluzione del sistema politico-istituzionale,
cit.].
Ma
tant’è, sembra ormai che la “… democrazia [sia] fraintesa, alterato
il ruolo del popolo sovrano, rovesciato il pensiero dei Costituenti…” [L. CARLASSARRE,
Sovranità popolare, cit., 28].
10. Se andasse veramente in porto l’operazione politica di
cui si discute (l’ennesima), come potrebbe non insinuarsi nel Popolo, a questo
stadio oramai avanzato, il dubbio (o la conferma, per i cittadini più coscienti)
che a decidere delle sorti dell’Italia sia ormai da decenni quella “oligarchia
sovrana” del “governo sopranazionale dei mercati”
denunciata da L. Basso già negli anni ‘60?
E come si potrebbe, appunto,
evitare che cresca “… la sfiducia
nei pubblici poteri che, dietro la facciata delle istituzioni apparentemente
democratiche, [vanno] sempre
più distaccandosi dal “popolo sovrano” - vero “principe senza
scettro” - per concentrarsi nelle mani di una ristretta oligarchia
formata dai vertici economici, politici, ecclesiastici e burocratici...”?
[L. BASSO, L’opposizione senza scettro, in Astrolabio, 29
maggio 1966, n. 22, 12-14].
Questi sono gli ulteriori interrogativi
che, in calce alla breve riflessione esposta, si possono rivolgere – nelle
incerte contingenze odierne, ma anche per quelle immediatamente venture - a
tutti quegli organi cui è affidato il compito di garantire il rispetto
sostanziale della nostra Carta costituzionale.
11. Il fondato timore, tuttavia (salvo auspicabile smentita), è che anche in
questa occasione “… Le istituzioni di
garanzia e di vertice politico rimang(a)no … ancorate a una prioritaria, se non unica preoccupazione:
ribadire gli obblighi derivanti dall'appartenenza della Repubblica all'Unione
economica e monetaria europea...” e che “Dunque, lo scenario politico italiano (potrebbe risultare) incomprensibile se non si menziona, o almeno non si
comprende, questa priorità assoluta (nuova Grund-Norm di aperta
de-costituzionalizzazione ordinamentale)...”. C’è
da augurarsi (ma forse solo con l’ottimismo della volontà) che a prevalere non
siano ancora “quelli che non credono nelle costituzioni”.
Quanto appena detto, secondo i rilievi formulati al riguardo ancora da L. Basso, è (o dovrebbe essere) assolutamente “… normale una volta che si consideri la sovranità come spettante al popolo reale e tutti gli organi governativi come strumenti di attuazione della sua volontà: è normale, cioè che il Capo dello Stato, custode del rispetto della Costituzione, sciolga il Parlamento, cioè praticamente chieda al popolo di scegliersi altri rappresentanti quando ritenga che quelli esistenti non rispecchino più fedelmente la volontà, siano cioè dei rappresentanti infedeli…” [L. BASSO, Il Principe senza scettro, cit., 173].
RispondiEliminaCiao a tutti :) (grande post come al solito)
Mi ricordava qualcosa…….
Anonimo5 gennaio 2017 16:03
Come ha detto con nitore "classico", anche se ahimè tremendamente astratto, Lorenza Carlassare (Nel segno della Costituzione, Feltrinelli, Milano, 2012, pagg. 55-6) "l'appartenenza continua della sovranità al popolo stabilita all'art. 1 della Costituzione" implica che gli organi dello Stato siano "lo strumento attraverso il quale il popolo esercita la sua sovranità".
Visto che cita anche Basso, rara avis di questi tempi, facciamolo anche noi (Il principe senza scettro, Feltrinelli, Milano, 1998 [1958], pagg. 177-8): "il rapporto fra l’Italia, cioè il popolo italiano, e la Repubblica, cioè gli organi statali, sarà veramente democratico, come vuole il primo articolo della Costituzione, quanto più il Parlamento sarà specchio fedele del popolo. Che questa consonanza sia postulata dalla nostra Costituzione emerge però anche da altre disposizioni, e perlomeno da due istituti espressamente disciplinati, cioè il referendum abrogativo e lo scioglimento anticipato delle Camere. Il referendum abrogativo è in pratica un diritto di appello al popolo sovrano contro le decisioni dei suoi rappresentanti in Parlamento e tende precisamente a verificare se la maggioranza parlamentare ha interpretato esattamente la volontà popolare [...] Tutto ciò del resto è normale una volta che si consideri la sovranità come spettante al popolo reale e tutti gli organi governativi come strumenti di attuazione della sua volontà: è normale cioè che il popolo annulli con il referendum abrogativo le decisioni che non approva, ed è normale che il Capo dello Stato, custode del rispetto della Costituzione, sciolga il Parlamento, cioè praticamente chieda al popolo di scegliersi altri rappresentanti, quando ritenga che quelli esistenti non ne rispecchino più fedelmente la volontà, siano cioè dei rappresentanti infedeli.”.
http://orizzonte48.blogspot.com/2017/01/parlamentarismo-stato-di-eccezione.html?showComment=1483628601070#c6451752161526902687
Ciao Luca :-)
RispondiEliminaCiao Max, tutto bene?
RispondiElimina“è cioè consentito approntare un “Governo con maggioranza purchessia”?
ho letto che per gli iscritti M5s c’è il voto sulla piattaforma Rousseau
naturalmente concordo con questo:
8. Rimane un interrogativo: ma la democrazia diretta sarebbe "praticabile", cioè sarebbe una forma attuabile e non controllabile, in assenza di un "vincolo esterno"?
[ ]
9. Al riguardo, riportiamo, più sotto, quanto detto da Bazaar in un precedente post.
E va precisanto che, quanto, in tale ragionamento, vale per le "istanze liberali", vale altrettanto per le continue esigenze di rimescolamento sondaggistico in cui consisterebbe la democrazia diretta.
Laddove, appunto, l'agenda delle priorità da sottoporre a sondaggio sarebbe naturalmente, se non inevitabilmente, condizionabile dai poteri economici prevalenti di fatto.
In altre parole, ipotizziamo di svolgere un referendum su tutti i possibili punti di pubblica decisione "rilevanti": ma chi stabilisce il metodo di concepimento iniziale, la priorità e la stessa proponibilità dei quesiti?
Forse può disciplinare questi presupposti fondamentali una massa inconsapevole dei possibili condizionamenti dell'intero spettro mediatico, il quale, in realtà, programma automaticamente (sarebbero sprovveduti se non lo facessero) il controllo dell'informazione insieme con quello della controinformazione?
O forse, li potrebbe stabilire, (auto)affermandosi libero da ogni condizionamento dalle segnalate dinamiche del potere mediatico e dimenticando ogni memoria storica delle lotte per la democrazia nonché le formule istituzionali in cui sono state trasposte, un collettivo di individui colpiti dall'effetto Dunning-Kruger?
10. Si obietta: l'evoluzione storica, sociale e tecnologica comporta sempre nuovi problemi, specie in campo ambientale e di tutela del consumatore.
Ma davvero è così?
Davvero, esistono dei problemi che possono prescindere dal tipo di regolazione del mercato del lavoro e dall'azione di intervento politico-economico dello Stato nel promuovere l'eguaglianza sostanziale?
Le tutele del lavoro, della salute, del paesaggio, delle esigenze previdenziali e di istruzione (pubblica) di tutti i cittadini, che la Costituzione impone, perchè non basterebbero a garantire la soluzione anche di problemi che non sono altro che forme aggiornate, ma non nuove, di quelli che avevano ben presenti i Costituenti?
L'anelito alla democrazia diretta non si occupa di rispondere a questi ultimi interrogativi; anzi li ignora proprio.
E proprio per questo, non a caso, abbiamo visto, le oligarchie continuano a fregarsi le mani nell'ombra (dei media che controllano), al pensiero di poter predeterminare comunque l'agenda che consente di rimettere in discussione ogni caposaldo della democrazia lavoristica.
http://orizzonte48.blogspot.com/2015/11/democrazia-diretta-tra-vincolo-esterno.html
Si grazie ;-)
RispondiEliminaQuelli che non credono nelle Costituzioni purtroppo non solo prevalgono, ma costituiscono proprio la quasi interezza di tutte le forze politiche che attualmente siedono in Parlamento. E sottolineo tutte, anche le due forze politiche che hanno dato vita al Governo di cui Lei stesso ha fatto parte, e che hanno avviato e concluderanno una riforma costituzionale che taglierà con l'accetta il numero dei parlamentari al solo fine di risparmiare due spiccioli, senza essersi minimamente interrogati circa l'impatto che questa riforma avrà sul rapporto di rappresentanza tra elettori ed eletti, rapporto che una volta era tenuto in considerazione tale che la Costituzione originariamente neppure fissava un numero esatto di deputati e senatori, lasciando che questo venisse di volta in volta calcolato in ragione della popolazione.
RispondiEliminaChe il Parlamento rappresenti nella maniera più fedele possibile il popolo sovrano ormai non importa più a nessuno, importa solo che il Parlamento non metta i bastoni tra le ruote al Governo, a sua volta ridotto a mera agenzia locale di organismi sovranazionali secondo alcuni, ovvero a mera estensione del "premier" secondo altri...
e Basso lo sapeva:
EliminaFrancesco Maimone18 aprile 2018 16:48
Per tornare al tema del post, il Parlamento “non è più l'organo supremo del potere politico, ma si deve far finta che lo sia perché possa continuare a parlarsi di un potere democratico. IL POTERE EFFETTIVO, CHE TENDE A DIVENTARE SEMPRE PIÙ OLIGARCHICO, SI SERVE ORA DI CANALI EXTRA-ISTITUZIONALI per aggirare il Parlamento e PRENDERE LE SUE DECISIONI AL DI FUORI DI ESSO, soprattutto al di fuori del controllo di quella opposizione che rappresenta interessi antagonistici. Questo non significa che il parlamento non conta assolutamente più nulla; è sempre strumento d'intervento ed è una sede di lotta in cui bisogna essere presenti, ma bisogna riconoscere che il sistema opera per svuotarlo anche delle possibilità che gli sono rimaste…
Con il pretesto di rispettare antiche e venerande tradizioni, si lascia sussistere il parlamento press'a poco come era un secolo fa, e in tal guisa lo si riduce sempre più al ruolo di paravento dall'apparenza democratica, di vernice democratica che viene data su una società la quale tende, viceversa, AD ESSERE SEMPRE PIÙ OLIGARCHICA E SEMPRE MENO DEMOCRATICA…” [L. BASSO, Potere e Parlamento, in Potere e istituzioni oggi, Torino, 1972, 1-27].
“… La tendenza a trasformare il parlamento in una pura facciata, dietro la quale si consolida un vero e proprio regime oligarchico, è, in forme diverse, in rapido progresso. Un'analisi dei meccanismi in atto nei vari paesi sarebbe di estremo interesse, oltre che d'importanza pratica per una battaglia democratica. Per ora possiamo solo prendere atto di una cosa: la democrazia occidentale ha cessato di essere un modello” [L. BASSO, Il Parlamento come pura facciata?, in Il Messaggero, 12 luglio 1977].
Non c'è più bisogno nemmeno di distrarre il pubblico; sono denari che €SSI potrebbero risparmiare.
(Con questi presupposti ben noti, anche il mago Otelma indovinerebbe l’esito delle consultazioni. O forse no? )
http://orizzonte48.blogspot.com/2018/04/la-ratifica-il-parlamento-al-tempo.html?showComment=1524062918344#c4607081102797432904
Ringraziamo Francesco per questa boccata d’aria fresca, che ci ricorda la grandissima importanza che aveva la rappresentanza per i costituenti e per chi ne ha inteso e condiviso lo spirito.
RispondiEliminaDirei che la rappresentanza è sia bene strumentale, nel senso di garanzia, come diceva il vecchio Lavagna, rispetto alla complessiva attuazione della Costituzione, sia bene finale, in quanto anello fondamentale della complessa catena della “effettiva partecipazione”.
L’esegesi delle norme procedurali è anche un’occasione particolarmente proficua per cogliere la validità dell’insegnamento ermeneutico secondo cui il diritto non è solo forma, ma “la forma di un senso”, come dice Romano: “La norma — se si può continuare ad usare quest’immagine — deve essere guidata verso la meta, essa coglie nel segno non in maniera logica, ma teleologica. Per questo, per gli atti dell’applicazione della norma sono determinanti quelle rappresentazioni della meta che sono legate alla norma come modello di regolamentazione — cioè, la sua cosiddetta ratio —.” (J. Esser, Precomprensione e scelta del metodo nel processo di individuazione del diritto, ESI, Napoli, 1983, pag. 29).
Il problema si presenta ovviamente sotto tutti i cieli: “The pages of publications like The Guardian are replete with articles by “constitutional experts”, exploring the various arcane ways in which so-called “democrats” could manipulate constitutional and parliamentary rules and practice so as to frustrate the will of the people by preventing a “no deal” Brexit — and all this supposedly in the name of democracy!” (qui la fonte).
La funzione dei principi fondamentali è tra l’altro proprio quella di definire quella meta, esplicitandola ed impedendone l’individuazione in “precompresi” e non discutibili presunti imperativi funzionali: assicurare la governabilità ( o la stabilità che dir si voglia), attirare gli investimenti, rassicurare i mercati, fare le riforme, (salvare l’euro), eccetera.
Questo per dire che l’apparente rispetto delle norme procedurali tale è: apparente.
"...non resterebbe che andare diritto al voto, ALLA VERIFICA DELLA CONSONANZA POLITICA TRA ELETTORI ED ELETTI: come suol dirsi, della rappresentatività dei rappresentanti…”
RispondiEliminaQuesto argomento (e lo dico con la morte nel cuore) è debole, perché la formazione delle liste elettorali consiste essa stessa nella stesura di un elenco di soggetti 'amici' da parte di un segretario politico, espressione temporanea di potentati nazionali (schieramento Lega/FDI) o transnazionali (tutti gli altri) organizzati.
L'unico criterio per la scelta degli eventuali candidati è infatti la percezione contingente del segretario di raccogliere più voti candidando per es. Bagnai piuttosto che candidando Siri o Giorgetti.
Il tutto risulta poi aggravato dal sistema maggioritario (che per es. non permetterà mai a Casapound o ai comunisti di Rizzo di entrare in parlamento).
Mancando una via di accesso dal basso alla formazione delle liste elettorali (non ci sono più le sezioni dei partiti di massa), essendo utopia il 'veto astensionistico', sciogliere oggi le camere per 'verificare la rappresentatività dei rappresentanti' rimane in buona sostanza un mero rito elettorale per dare più seggi ai nominati di un partito rispetto ai nominati di un altro.
Il vero problema è che a nessun segretario di nessun partito politico interessa veramente l'osservanza sostanziale della Costituzione.
Come per i libri sacri oggi chi legge la Costituzione ci trova solo quello che ci vuole trovare! Voglio dire, un apostata, forse anche esperto di libri sacri, ci dice tutti i giorni che i poveri sono i palestrati clandestini.
Certo, la Lega di Salvini oggi rappresenta per molti versi il meglio dell'offerta politica, ma siccome CSM, Magistratura, Corte Costituzionale, PdR, Corte di Cassazione, parlamentari etc. etc. sono totalmente PUD€ (con alcune eccezioni che rimangono appunto tali) è perlomeno ingenuo credere che questa 'cupola' (come la definisce Veneziani) possa mai permettere a Salvini di raggiungere la maggioranza parlamentare giocando pulito.
Possiamo però resistere, svolgendo la nostra azione sociale come in questo magnifico blog, ed aspettare il "crollo dell'impero", sperando che in quel momento ci sarà un nucleo dirigente sufficientemente capace di fare la guerra.
In fondo l'Italia unita e repubblicana si è fatta grazie a Solferino, Sadowa, Sedan, Caporetto, 25 Luglio/Cassibile/8 settembre (quindi non certo grazie a brillanti vittorie).