(Non ho trovato immagini più coerenti con il titolo: accetto suggerimenti, peraltro...).
1. Cerchiamo di definire se e come esistano condizioni di ripristino della democrazia sostanziale, cioè quella "necessaria" accolta dalla nostra Costituzione, perchè, in sua assenza, la democrazia semplicemente "non è", come di dice Mortati, qui, p.4.1.; e non paia che tale interpretazione dell'essenza della nostra Costituzione sia una suggestione storicamente datata, subìta dal massimo costituzionalista italiano (Basso ci testimonia tutt'altro, sulla dialettica del processo costituente, qui, p.4.2.), dato che, simmetricamente, sono gli stessi massimi pensatori "liberali", Pareto, Mosca, Einaudi, a teorizzare che, la democrazia, appunto "liberale", debba necessariamente ridurre la rappresentanza popolare a "finzione" (qui, p.3).
2. Nel tentare di porre ordine su questo argomento, comincerei, - in una rapida rassegna compiuta col necessario punto di vista divulgativo-, dal pensiero di Rosa Luxemburg, traendo da un buon lavoro politico-filosofico (e quindi avulso dal pur fondamentale pensiero economico anticipatore della Luxemburg stessa, per la verità riattualizzatosi per l'imponenza delle forme attuali di imperialismo economico - o globalismo istituzionalizzato, e comunque evolutosi nell'analisi keynesiana di Kalecky). Si veda come, ad esempio, la formula, sopra citata, del democristiano Mortati, sia allineata sull'origine concettuale, e persino lessicale, fornita a suo tempo dalla Luxemburg:
"Un altro punto interessante della riflessione luxemburghiana riguarda la democrazia.
Per la borghesia, scrive Luxemburg, la democrazia diventa superflua o
addirittura di impaccio; al contrario per la classe operaia essa resta
sempre «necessaria e imprescindibile». Necessaria: «perché sviluppa
forme politiche che serviranno al proletariato come punti di partenza e
di appoggio per la trasformazione della società»; imprescindibile:
«perché solo in essa, nella lotta per la democrazia, nell’esercizio dei
suoi diritti il proletariato può diventare cosciente dei propri
interessi di classe e dei propri compiti storici».
Ma la democrazia non
può mai essere rappresentata, fermata, afferrata, come in una
fotografia. Infatti, scrive L., «il faticoso meccanismo delle
istituzioni democratiche possiede un potente correttivo appunto nel
vivente movimento delle masse, nella loro pressione ininterrotta».
La democrazia, come la rivoluzione, non può essere messa in stand-by,
perché è l’azione del proletariato, ma non può neanche essere
instaurata una volta per tutte. E qui sta il paradosso.
La demolizione,
aggiunge Luxemburg, la si può decretare, la costruzione la si può solo
fare: «Terra vergine. Mille problemi». La democrazia si può solo
esperire, imparare continuamente; essa è educazione politica, processo.
La
democrazia è rapporto sociale, è la forma di un problema, che è in
fondo il problema del potere, problema che deve sempre essere tenuto
vivo: essa è la sorgente vitale del conflitto, la lotta
politica, la pressione ininterrotta e perciò incontenibile da qualsiasi
forma istituzionale.
Si tratta come per lo sciopero di massa di «un
reale movimento popolare». Eppure resta aperto il problema della sua
afferrabilità concreta. Essa compare come un lampo al centro del momento
rivoluzionario e continua a dipendere sempre da quel momento."
3. Un piccolo addendum: se la Luxemburg, in un prudente approccio scientifico, non può essere compresa senza comprenderne l'analisi macroeconomica (evolutiva) del capitalismo, ne risulta perciò la sostanzialità del suo approccio economico-istituzionalista ante litteram e, dunque, l'estrema rilevanza della sua connessione con la successiva soluzione kaleckian-keynesiana ("...l’elemento più vivo della riflessione luxemburghiana...impone di sovvertire l’ordine della società capitalistica senza astrarre dalle sue istituzioni ma affrontandole faccia a faccia).
4. Anche Gramsci, che notoriamente, nella sua polemica con Togliatti, contrappone alla neo-ortodossia stalinista l'idea dell'Assemblea Costituente, fondata su un realismo storico-sociale legato alla necessaria via "nazionale" alla democrazia pluriclasse, si pone nell'ottica della trasformazione delle concrete istituzioni e, quindi, degli assetti storicamente e geograficamente oggetto della trasformazione rivoluzionaria (democratica):
"Gramsci, dal canto suo, pur
stando in carcere, vedeva la solidità del regime fascista, malgrado la
situazione economica divenuta pesante in conseguenza della grande crisi del
'29. Una crisi che, originata dagli Stati Uniti, stava infettando anche l'Europa,
ma in termini meno distruttivi.
A parte la Germania dove, anche in conseguenza
delle onerose riparazioni di guerra imposte a Versailles dai vincitori della
Grande guerra, disoccupazione e povertà dilaganti, unite alla radicalizzazione
violenta e all'instabilità politica, stavano gonfiando le vele a Hitler.
Il
dirigente comunista era dell'opinione che ci sarebbe voluta un'azione in
profondità per sgretolare le basi sociali e di consenso del regime mussoliniano
che erano ancora larghe.
Ed espose, in modo oggettivo e con tono distaccato,
queste sue analisi e posizioni demolitorie di quelle del Komintern, almeno per
quel che riguardava la situazione italiana, ai compagni del collettivo
comunista di Turi che, invece, pensavano che indicazioni e direttive dell'Internazionale
fossero sacrosante.
A nutrire le loro certezze, forse, era anche l'inconscia
speranza di ritrovare la libertà in breve tempo. Come riferisce il comunista
Athos Lisa, nel suo rapporto al centro
del partito nel 1933, redatto dopo la sua uscita dal carcere di Turi per
amnistia, per Gramsci la classe operaia doveva ancora conquistare i contadini e
altri strati sociali piccolo borghesi:
"La lotta per la conquista diretta del
potere è un passo al quale questi strati sociali potranno solo accedere per
gradi in quanto la tattica del partito li conduca passo a passo a constatare la
giustezza del proprio programma e la falsità di quello degli altri partiti
politici".
Perciò
"Deve fare sua prima degli altri partiti in lotta contro il fascismo la parola
d'ordine della 'Costituente' " non come fine ma come mezzo senza tema di
apparire poco rivoluzionari. "La Costituente - riferisce sempre Lisa le parole
di Gramsci - rappresenta la forma d'organizzazione nel seno della quale possono
essere poste le rivendicazioni più sentite della classe operaia
lavoratrice...dimostrando alla classe lavoratrice italiana come la sola soluzione
possibile in Italia risieda nella rivoluzione proletaria".
5. Se si avrebbe buon gioco nel dire che la "democrazia necessaria" di Mortati non coinciderebbe concettualmente con la rivoluzione proletaria, cui pure Gramsci attribuisce la natura di "fine", rimane il fatto, fenomenologicamente più importante, che la stessa realizzazione della Costituente, (che ovviamente Gramsci si potè solo limitare a indicare come soluzione), diede vita proprio a quel luxemburghiano processo di democrazia, di "pressione ininterrotta" e di sovversione della società capitalista incarnata dalla democrazia liberale, ovvero dallo "Stato borghese"; una "democrazia liberale" che le stesse Istituzioni di Mortati (qui. pp.11-11.2), nell'analizzare le forme di Stato, indicano più volte come superata irrevocabilmente dalla nostra Costituzione.
Dunque, l'attualizzazione storica del filo conduttore tracciato da Luxemburg e Gramsci, trova un riscontro nel "reale" (forse l'unico riscontro in Occidente) nel nostro processo costituente, portando ad una Costituzione che, senza troppe ombre di dubbio, delineerebbe la democrazia più avanzata mai concepita sul piano normativo.
Dunque, l'attualizzazione storica del filo conduttore tracciato da Luxemburg e Gramsci, trova un riscontro nel "reale" (forse l'unico riscontro in Occidente) nel nostro processo costituente, portando ad una Costituzione che, senza troppe ombre di dubbio, delineerebbe la democrazia più avanzata mai concepita sul piano normativo.
L'adesione pluriclasse a questo "socialismo possibile" accolto in Costituzione - di cui dà parimenti atto Mortati ed in modo inequivoco (qui, p.5) -, proprio in quanto coinvolgente le classi produttive in precedenza contrapposte, in una sintesi tra operaismo e promozione della mobilità sociale anche piccolo-borghese, è d'altra parte ampiamente attestata dalla diretta definizione dei più eminenti esponenti della Costituente.
6. La chiave di lettura, non a caso, è fornita dall'interpretazione autentica dell'art.3, comma 2, che, assunto come norma caratterizzante di tutta la Costituzione (su un piano anche e squisitamente macroeconomico, v. infra), rende conto del carattere socialmente rivoluzionario della nostra Carta: oggettivamente rivoluzionario nel pragmatico adattamento al "reale" storico-nazionale, (non dogmatico), quale assunto da Luxemburg e Gramsci: un senso potenziato, non attenuato, dal suo valore legalitario supremo.
7. Assumono così un senso compiuto, che non andrebbe mai dimenticato, le parole di Calamandrei (p.2.) sullo stesso principio dell'eguaglianza sostanziale che riecheggiano, oggettivamente, l'idea della democrazia come processo "necessario" di "pressione ininterrotta":
"Ma
c’è una parte della nostra costituzione che è una polemica contro il
presente, contro la società presente. Perché quando l’art. 3 vi dice:
“E’
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”riconosce
che questi ostacoli oggi vi sono di fatto e che bisogna rimuoverli. Dà
un giudizio, la costituzione, un giudizio polemico, un giudizio negativo
contro l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare attraverso
questo strumento di legalità, di trasformazione graduale, che la
costituzione ha messo a disposizione dei cittadini italiani.
Ma
non è una costituzione immobile che abbia fissato un punto fermo, è una
costituzione che apre le vie verso l’avvenire. Non voglio dire
rivoluzionaria, perché per rivoluzione nel linguaggio comune s’intende
qualche cosa che sovverte violentemente, ma è una costituzione
rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa
società in cui può accadere che, anche quando ci sono, le libertà
giuridiche e politiche siano rese inutili dalle disuguaglianze
economiche dalla impossibilità per molti cittadini di essere persone e
di accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma spirituale che se fosse
sviluppata in un regime di perequazione economica, potrebbe anche essa
contribuire al progresso della società.
Quindi,
polemica contro il presente in cui viviamo e impegno di fare quanto è
in noi per trasformare questa situazione presente...".
8. L'autore stesso della previsione costituzionale, cioè Lelio Basso (nella sua dichiarata connessione con la Luxemburg), si esprime in termini simili ma, naturalmente, molto più aperti sulla sua natura socialista (ribadiamo condivisa da Mortati nella sua accezione "scientifica"):
“… L’art. 3, secondo comma,
costituisce la norma fondamentale della Costituzione. La può sovvertire
tutta; essa può rovesciare tutte le norme giuridiche.
Ha in comune con
l’art. 49 la negazione del formalismo giuridico, è l’apertura di
possibilità di interpretazione realistica del diritto; impone allo Stato
di fare una serie di leggi per eliminare le disuguaglianze di fatto; se
si facesse veramente questo, se si rendesse possibile a tutti i
lavoratori l’effettiva partecipazione alla organizzazione politica ed
economica, ci sarebbe una società socialista, non ci sarebbe più il
capitalismo, lo stato di classe, non più una classe dominante e una
dominata.
Questo è diventato norma, LO STATO HA L’OBBLIGO DI FARE TUTTE
LE LEGGI CHE SPINGONO IN QUESTA DIREZIONE, E LE LEGGI CHE VANNO CONTRO
DI ESSA SONO INCOSTITUZIONALI. Questo articolo in un certo senso è la
smentita di tutta la Costituzione; cioè se non si realizza l’uguaglianza
di fatto, tutto il resto della Costituzione è falso (v. art. 3, v. art.
1).
È UNA NORMA "EVERSIVA", è un’affermazione all’interno della
Costituzione che la Costituzione è un inganno, perché afferma di
garantire dei diritti che garantiti non sono e che saranno garantiti
solo quando sarà realizzato l’art. 3.
È quindi una norma fondamentale
che nega il valore di tutte le altre e consente di dichiarare che il
nostro paese non è democratico e che finché l’art. 3, secondo comma, non
sarà realizzato, nulla è vero di ciò che è scritto nella Costituzione.
È
la base di articoli successivi: diritto allo studio, al lavoro, alla
sanità, a un salario equo, ecc. Il nostro paese ha bisogno di una
democrazia sostanziale…” [L. BASSO, L’esigenza di una democrazia
sostanziale e la nuova Costituzione repubblicana, in Dal fascismo alla
democrazia attraverso la Resistenza, Padova, Collegio universitario D.
Nicola Mazza, 1975, 108-112].
9. Sulle necessarie implicazioni che ciò comporta in termini di modello economico e di politiche fiscali e industriali ad esso strumentali, abbiamo l'ulteriore interpretazione "autentica" (qui, p.9) fornitaci dalla relazione della Presidenza della Commissione per lo studio dei problemi del lavoro del Ministero per la Costituente, un documento ripetutamente citato nei lavori dell'Assemblea, leggiamo:
“Fu esattamente detto che ad ogni forma di economia corrisponde un regime. E tutte le Sottocommissioni sono state unanimi, perciò, nell’auspicare che la nuova Carta costituzionale contenga almeno quei primi principii che, riconosciuto il lavoro come elemento della organizzazione sociale del popolo italiano, traccino le direttive della legislazione futura in materia di lavoro, in guisa tale che la dignità della sua funzione, la sua più ampia tutela ed ogni possibilità futura di sviluppo della sua posizione nell’ordinamento sociale siano assicurate.
Si è già rilevato che la Commissione ha considerato il lavoro come uno degli elementi ma non come il solo elemento rilevante della organizzazione economica e sociale. Da ciò bisogna dedurre il riconoscimento della proprietà privata dei mezzi di produzione, e quindi una tuttora persistente funzione del capitale privato nel processo produttivo.
La Commissione, nel suo complesso, tenuto anche conto delle risposte al questionario e degli interrogatorii, si è orientata verso un sistema eclettico che comprende così il principio della «sicurezza sociale» come quello del «pieno impiego», recentemente affermatisi in America ed in Inghilterra, con decisiva tendenza verso ogni forma di benintesa cooperazione.
La possibilità di occupazione nella attuale situazione non può essere creata che da una politica di spesa pubblica e da una politica di lavori pubblici. L’orientamento teorico della Commissione, come risulta anche dalla relazione della Sottocommissione economica, è volto verso le teorie della piena occupazione, in quanto essa risulti attuabile nel nostro sistema di produzione, teorie che stanno alla base dei piani Beveridge e consimili. La relazione rappresenta perciò una indicazione di politica economica che corrisponda alla realizzazione del principio giuridico del diritto al lavoro.”
“Fu esattamente detto che ad ogni forma di economia corrisponde un regime. E tutte le Sottocommissioni sono state unanimi, perciò, nell’auspicare che la nuova Carta costituzionale contenga almeno quei primi principii che, riconosciuto il lavoro come elemento della organizzazione sociale del popolo italiano, traccino le direttive della legislazione futura in materia di lavoro, in guisa tale che la dignità della sua funzione, la sua più ampia tutela ed ogni possibilità futura di sviluppo della sua posizione nell’ordinamento sociale siano assicurate.
Si è già rilevato che la Commissione ha considerato il lavoro come uno degli elementi ma non come il solo elemento rilevante della organizzazione economica e sociale. Da ciò bisogna dedurre il riconoscimento della proprietà privata dei mezzi di produzione, e quindi una tuttora persistente funzione del capitale privato nel processo produttivo.
La Commissione, nel suo complesso, tenuto anche conto delle risposte al questionario e degli interrogatorii, si è orientata verso un sistema eclettico che comprende così il principio della «sicurezza sociale» come quello del «pieno impiego», recentemente affermatisi in America ed in Inghilterra, con decisiva tendenza verso ogni forma di benintesa cooperazione.
La possibilità di occupazione nella attuale situazione non può essere creata che da una politica di spesa pubblica e da una politica di lavori pubblici. L’orientamento teorico della Commissione, come risulta anche dalla relazione della Sottocommissione economica, è volto verso le teorie della piena occupazione, in quanto essa risulti attuabile nel nostro sistema di produzione, teorie che stanno alla base dei piani Beveridge e consimili. La relazione rappresenta perciò una indicazione di politica economica che corrisponda alla realizzazione del principio giuridico del diritto al lavoro.”
10. Lo stesso Caffè, come sappiamo consulente di Ruini e co-redattore della c.d. Costituzione economica, conferma la centralità del principio di eguaglianza sostanziale e la necessarietà delle sue conseguenze politico-economiche:
"[Caffè]
esortava i responsabili della politica economica a ricordare che "E'
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale che limitano di fatto la libertà e l'eguaglianza dei
cittadini"...mentre "oggi ci si trastulla nominalisticamente nella
ricerca di un nuovo modello di sviluppo e si continua a ignorare che
esso, nelle ispirazioni ideali, è racchiuso nella Costituzione; nelle sue condizioni tecniche è illustrato nell'insieme degli studi della Commissione economica per la Costituente (1978)...".
11. Dopo questo excursus, torniamo all'interrogativo su quali siano (se pure esistano) le condizioni di ripristino di questa democrazia costituzionale.
Ebbene, la risposta non può che risultare dalla coerenza con la linea interpretativa del socialismo che passa per Luxemburg, Gramsci e il "reale-legale" della nostra Costituzione.
Si possono legittimamente accettare e argomentare anche altre soluzioni (in una sfera teorica di carattere essenzialmente politico-filosofico, ma ancora una volta avulse da solide basi macroeconomiche), ma si sarebbe costretti a ripercorrere, - a fronte di identici ostacoli posti dall'attuale restaurazione del modello di capitalismo sfrenato anteriore alla crisi del 1929, in forme solo posticciamente nuove -, le stesse difficoltà e le stesse criticità indicate appunto da Luxemburg e Gramsci, e di cui si rintraccia l'unica soluzione positiva, in senso normativo, nella nostra Costituzione.
Richiamiamo perciò, nella loro assoluta aderenza alla preconizzata evoluzione del capitalismo che ci troviamo a fronteggiare, le soluzioni "aggiornate" da Basso e che indicano l'attualità dell'alleanza pluriclasse di tutti i ceti produttivi attaccati e travolti dall'assetto internazionalista del mercato a oligopolio concentrato.
11.1. Della "reiterata" soluzione indicata da Basso offro un primo "estratto" più volte citato (p.4): la "struttura" offre connaturalmente la risposta di una lotta di classe...interclasse (in senso economico), coinvolgente tutti gli operatori economici degli "altri settori non monopolistici":
"...oggi il settore monopolistico (usiamo questa espressione nel senso che essa
ha oggi assunto nella polemica politica e non in senso rigorosamente
tecnico-economico che suggerirebbe piuttosto l’espressione di ‘oligopolio concentrato’) non soltanto si appropria del plusvalore
prodotto dai suoi operai, ma, grazie al suo forte potere di mercato, che gli
permette d’imporre i prezzi sia dei prodotti che vende che di quelli che
compra, riesce ad appropriarsi almeno di una parte del plusvalore prodotto in
tutti gli altri settori non monopolistici: sia in quello agricolo, sia in
quello del piccolo produttore indipendente, sia anche in quello delle aziende
capitalistiche non monopolistiche, dove il tasso di profitto è minore e spesso,
di conseguenza, anche i salari degli operai sono più bassi proprio per il peso
che il settore monopolistico esercita sul mercato.
Ridurre quindi, nella
presente situazione, la lotta di classe al rapporto interno di fabbrica,
proprio mentre la caratteristica della fase attuale del capitalismo è la
creazione di questi complessi meccanismi che permettono di esercitare lo
sfruttamento in una sfera molto più vasta, anche senza il vincolo formale del
rapporto di lavoro, è perlomeno curioso...
Una seconda tendenza destinata ad
accentuarsi sempre più in avvenire è quella relativa all’interpenetrazione di
potere economico e potere politico, cioè, praticamente, all’orientamento di
tutta la politica statale ai fini voluti dal potere monopolistico..."
11.2. La necessità, che attualizza, alle condizioni di sviluppo industriale e sociale della struttura economica italiana, le indicazioni di Gramsci, si compendiano in questa più ampia "profezia" di Basso, ormai avveratasi, che segnala la via della Costituente e, prima ancora, del ripristino del cammino attuativo incessante della nostra Costituzione e di cui riporto il passo saliente (rinviando naturalmente alla lettura integrale...per chi abbia più "motivazioni"):
"Quali siano queste trasformazioni di struttura abbiamo già più volte
indicato: esse vanno dal superamento dell’economia di concorrenza alla
conseguente distruzione della produzione indipendente, cioè non legata a
gruppi (v. p.14), sia essa piccola, media o relativamente grande, dall’abbandono
di certi tipi di produzione industriale alla trasformazione delle
culture agrarie in relazione alle direttive dell’imperialismo americano e
alle sue esigenze di sfruttamento di un solo grande mercato europeo,
dalla cartellizzazione e cosiddetta “razionalizzazione” dell’industria,
alla modificazione delle abituali correnti di traffico, dall’abbandono
di difese doganali alla rinuncia a sovranità nazionali, dalla
subordinazione dei poteri pubblici alle direttive dei monopoli fino alla
creazione
di un sistema di sicurezza del grande capitale capace di garantirgli la
tranquillità del profitto e di socializzarne le perdite.
Tutto questo processo è evidentemente destinato ad accrescere la
disoccupazione operaia, ad aumentare il livello di sfruttamento delle
masse contadine, e, in misura forse ancora maggiore, a sgretolare e
pauperizzare i ceti medi, a soffocare ogni libertà di pensiero e ad
avvilire intellettuali e tecnici al rango di servi dell’imperialismo.
Non importa se i nostri avversari si riempiono la bocca di formule
altisonanti di democrazia: la loro politica, più ancora di quella di
Hitler, è la minaccia più grave che abbia fino ad oggi pesato sulle
possibilità di sviluppo democratico dell’uomo moderno.
È chiaro perciò che la politica della classe operaia deve essere una politica capace di interessare non soltanto gli operai stessi, ma altresì tutti quei ceti - e sono l’immensa maggioranza della popolazione - che la politica dell’imperialismo distrugge od opprime sia economicamente sia spiritualmente (sempre qui, p.4 e peraltro nel solco di una precedente visione di Gramsci e Rosa Luxemburg) e coi quali noi dobbiamo ricercare i mezzi e le vie per creare un nuovo equilibrio di forze sociali che rovesci quello oggi in via di consolidamento.
È chiaro perciò che la politica della classe operaia deve essere una politica capace di interessare non soltanto gli operai stessi, ma altresì tutti quei ceti - e sono l’immensa maggioranza della popolazione - che la politica dell’imperialismo distrugge od opprime sia economicamente sia spiritualmente (sempre qui, p.4 e peraltro nel solco di una precedente visione di Gramsci e Rosa Luxemburg) e coi quali noi dobbiamo ricercare i mezzi e le vie per creare un nuovo equilibrio di forze sociali che rovesci quello oggi in via di consolidamento.
Dev’essere chiaro per tutti che le forze, che
oggi si sono insediate al governo del nostro paese, non hanno alcuna
possibilità di tornare indietro dalla strada su cui si sono avviate (qui, pp. 7-8 e qui) e
che è la strada del domino totalitario dello stato per conto dei grossi
interessi capitalistici; e che perciò la sola possibilità offerta a chi
non vuole soggiacere a questa nuova edizione del regime fascista che si
profila, è di opporvisi con tutte le proprie energie, non per tornare
indietro o per stare fermi, ma per allearsi con tutte le forze decise a
creare un nuovo equilibrio che segni un passo avanti sulla strada della
democrazia e del progresso."
Ciclo totalitario (3), «Quarto Stato», 1-31 lug.-15 ago. 1949, n. 13/14/15, pp. 3-6.
Ciclo totalitario (3), «Quarto Stato», 1-31 lug.-15 ago. 1949, n. 13/14/15, pp. 3-6.
Ciao Quarantotto trasportata ad oggi la frase conclusiva del grande Lelio Basso potrebbe essere letta così:
RispondiElimina"Dev’essere chiaro per tutti che la totalità delle forze politiche che si presenteranno alle prossime elezioni del nostro paese, non hanno alcuna possibilità di tornare indietro dalla strada su cui si sono avviate (qui, pp. 7-8 e qui) e che è la strada del domino totalitario dello stato per conto dei grossi interessi capitalistici; e che perciò la sola possibilità offerta a chi non vuole soggiacere a questa nuova edizione del regime fascista che si profila, è di opporvisi con tutte le proprie energie, non per tornare indietro o per stare fermi, ma per allearsi con tutte le forze decise a creare un nuovo equilibrio che segni un passo avanti sulla strada della democrazia e del progresso."
Ma secondo me è anche la sconfitta della galassia sovranista, divisa e lacerata al suo interno per troppa autoreferenzialità ( esclusa la tua persona e pochi altri) di tanti suoi personaggi in cerca d'autore e non certo in cerca della Democrazia perduta.
Abbiamo bisogno di tanti Gramsci, Basso, Mattei, La Pira, Fanfani, Pertini, Moro, Anselmi, ma questo non sarà possibile, in quanto loro venivano fuori dall'esperienza di una se non due guerre mondiali, tanti di loro avevano conosciuto il carcere, l'esilio. All'orizzonte solo tanti figli della Milano da bere.
Hai fatto bene a "ritradurre" per i duri di comprendonio che, per carenze culturali, o per ostinata obiezione di "storicizzazione", non colgono che la campana di Basso sta, più che mai, ancora suonando.
EliminaPer il resto, siamo alle solite.
Quando le istituzioni sono governate dai mercati, come chiariva Reichlin, lo stesso "mercato" politico, ha delle barriere (mediatico-finanziarie) talmente elevate che non possono che riflettere la struttura oligopolitistica dei mercati stessi.
E l'anarchia dei "piccoli" che ne consegue è solo un sottoprodotto "confermativo" della marginalizzazione (prima di tutto culturale) accuratamente perseguita.
Barriere all'entrata sul "mercato", ovviamente.
EliminaSecondo me quella della “storicizzazone” è una delle forme di permeismo più insidiose, perché può nascondersi dietro la verità, di per sé tanto indiscutibile quanto irrilevante, che nessuna situazione è identica a un’altra.
EliminaSe però tu non sai già *prima* quali sono gli elementi qualificanti del problema a cui la democrazia sociale vuole offrire una risposta, vagherai per la storia incapace di distinguere, in modo ovviamente criticabile ma controllabile, il contingente dallo strutturale. Per questo la priorità va data alle scienze sociali, che forniscono le categorie per poter poi interpretare la storia e far uscire la discussione dal pantano dei soggettivimi e dei dogmatismi.
Certo, alcuni esempi storici presentano invarianze piuttosto evidenti.
Ho letto di recente un libro sulla storia del c.d. Cartel des gauches francese. Come tutte le alleanze parlamentari di sinistra negli anni Venti si trovava nella “trilemmatica” necessità di evitare una rivoluzione senza però “noskeggiare il popolo” (ossia senza fare il macellaio col grembiule rosa), per riprendere un’efficace formula usata da Turati in una lettera alla Kuliscioff del marzo del ’20.
Non vi riporto tutta la penosissima storia, magari ve ne riferirò un po’ per volta alcuni snodi, ma non credo di sorprendere nessuno se dico che la dialettica politica si svolgeva principalmente fra parlamento, banca centrale e creditori esteri.
L’esclusione di una soluzione apertamente autoritaria ammorbidì un po’ la medicina, soprattutto grazie alla svalutazione del franco (lo raccontava Krugman qualche anno fa, senza peritarsi a definire “debole” il governo francese), ma l’epilogo fu comunque un bell’accordo di stabilizzazione con gli americani nell’aprile del ’26.
Nel settembre dell’anno prima, il nostro vecchio amico Benjamin Strong così commenta col segretario Mellon la situazione francese: “Or les embarras financiers du gouvernement français vont le conduire à chercher des ressources outre-Atlantique. Ce sera l’occasion de le forcer à signer enfin un accord sur les dettes qui devrait comporter des annuités croissantes: ainsi la France serait-elle contrainte à la courageuse réorganisation fiscale et à la remise en ordre de ses finances auxquelles elle ne s’est jamais résolue.”
Mannaggia al populismo: coraggio ci vuole!
Prosegue Jeanneney: “N’entend-on pas l’ambassadeur à Paris, Myron T. Herrick, expliquer sérieusement que l’État français, pour redresser son budget, devrait vendre les hôtels où sont logés les ministères: les appartements de fonction ne demeurent-ils pas souvent inoccupés à cause de l’instabilité ministérielle? On pourrait même aller plus loin: « Dans toute la France, il existe des biens improductifs, détenus par le gouvernement, d’une immense valeur vénale. Leur vente ne diminuerait pas mais stimulerait le cours des biens fonciers [..]. Le domaine public est formé de forêts, de fermes, comme de bâtiments et de terrains, au cœur de bien des villes, tout spécialement de Paris. Et je ne fais même pas mention des œuvres d’art, des musées et châteaux historiques… »”
E chi vuol storicizzare storicizzi.
E' decisamente confermato che le "rivoluzioni" del '700 (che coinvolgono proprio gli Stati protagonisti di questo grottesco entretienne) sono state fatte in questo coerente quadro, divenuto poi "integrato" nell'ordine internazionale dei mercati (dove alla punizione del gold standard, al più, può sostituirsi quella delle condizionalità che siano possibilmente ancora più pesanti:
Elimina"...l'assimilazione della borghesia capitalista all'aristocrazia, - prima meramente imitativa (cioè con l'idea della conservazione formale dell'aristocrazia, acquisendone lo status per via allocativa, cioè potendolo "comprare"), e poi direttamente fondata sulla "scientificità" sociale (divenuta poi asetticamente "matematica": Bazaar ne ha parlato tante volte) -, è una costante del mondo in cui viviamo da circa 200 anni, che rivela come la rivoluzione borghese sia molto meno innovativa, nella sostanza istituzionale, di quanto non si tenda a credere (almeno avendo riguardo alla visione essenziale fornitaci dalla Storia insegnata nei licei e data per scontata nel discorso mediatico...et pour cause, come sappiamo).
Questa sostanza fenomenologica dell'evoluzione politico-istituzionale, in cui non cambia la regola sostanziale di legittimazione al dominio istituzionale della società, ma cambiano solo i sistemi di accesso, considerati "razionali", all'accumulo di terra e oro, era perfettamente chiaro ai protagonisti dell'affermazione del capitalismo.
Ce ne dà conferma lo stesso Spencer, che da buon anglosassone empirista, (abbiamo già visto questa qualità in Robbins, rispetto ai tormentati teorici mitteleuropei che tanta fortuna hanno avuto nella fase "buia" in cui il capitalismo dovette rendere conto di se stesso alla compresenza fastidiosa del socialismo nelle sue varie proiezioni), ci fornisce questo folgorante aforisma, a suo modo fenomenologico:
"Il diritto divino dei re significa il diritto divino di chiunque riesca ad acquisire il predominio sociale".
http://orizzonte48.blogspot.it/2016/08/spencer-gramsci-e-il-regno-del-terrore.html
Dunque hai perfettamente ragione: studiare la storia senza conoscere diritto ed economia, - e all'interno di essi, le versioni scientificamente attendibili e non ideologiche e asservite-, è dannoso in quanto inutile.
Cioè si risolve in un'ermeneutica funzionale all'assetto contingente dei rapporti di forza che si intende strutturare.
""...l'assimilazione della borghesia capitalista all'aristocrazia, - prima meramente imitativa (cioè con l'idea della conservazione formale dell'aristocrazia, acquisendone lo status per via allocativa, cioè potendolo "comprare"), e poi direttamente fondata sulla "scientificità" sociale (divenuta poi asetticamente "matematica": Bazaar ne ha parlato tante volte) -, è una costante del mondo in cui viviamo da circa 200 anni, che rivela come la rivoluzione borghese sia molto meno innovativa, nella sostanza istituzionale, di quanto non si tenda a credere (almeno avendo riguardo alla visione essenziale fornitaci dalla Storia insegnata nei licei e data per scontata nel discorso mediatico...et pour cause, come sappiamo)."
EliminaDa umile studente di Storia concordo pienamente.
Il "mito" delle rivoluzioni borghese è molto fumo e poca sostanza: aveva ragione Marx quando leggeva il fenomeno come conquista delle stanze dei bottoni da parte di una classe in ascesa che, nonostante la recente ondata revisionista in storiografia, si limitò ad adeguare la sovrastruttura politico-culturale ai mutati (dis)equilibri del modo di produzione industriale.
Il "dorato Ottocento" che finisce a Sarajevo si regge sui pilastri economici magistralmente descritti in questa sede, coniugati politicamente in termini di oligarchia liberale: voto censitario, Stato guardiano notturno, globalizzazione a mezzo imperialismo, sterminate masse proletarie costrette a standard di vita infimi.
La tanto amata da €ssi democrazia liberale altro non è che un governo globalizzato di élite fondato sull'oppressione di classe a mezzo stabilità monetaria e dominio dei mercati. Solo il macello delle guerre mondiali e l'esistenza positiva del movimento operaio SOCIALISTA hanno posto le condizioni per rendere reale- almeno nelle premesse- la democrazia parlamentare, che passa sempre e comunque da:
- partiti di massa
- legge proporzionale
- repressione finanziaria
- stato sociale e paradigma keynesiano-kaldoriano vigente
Tolti tutti questi capisaldi, siamo tornati al "glorioso" Ottocento dei notabili e del gold standard rivisto e corretto dalle tecnologie informatiche, dal rimbambimento di massa e dall'assenza di qualunque terreno ideologico fertile per una lotta che sia al contempo di classe e di liberazione nazionale.
C'è del metodo in questa follia, e si chiama Capitalismo assoluto.
Non è un caso che il papà dello storicismo soggettivista in Italia, il Croce, considerasse la storia una forma d'arte. Vedi i commenti al post precedente sulla questione cultura.
EliminaEd infatti, mi proponevo di farne un post di "connessione" (sempre dovendo tradurre, però :-)
EliminaD'altronde Hegel, che qualcosa di filosofia della Storia ne sapeva, parla di Stato etico, fondando l'etica, che nasce da una Weltanschauung socialmente condivisa, sulle forme istituzionali reali.
EliminaMarx ricorda che "ad ogni forma di economia corrisponde un regime", ossia che ogni istituzione giuridica e politica è strettamente connessa (sovrastrutturata) ai rapporti di produzione.
Il relativismo soggettivista e permeista annichilisce in primis la coscienza.
D'altronde, come si evidenziava, nei 6 punti fondamentali della prassi neoliberista, campeggia l'inquietante ammonimento: « 5 - Metodi di lotta contro l'abuso della storia volti alla promozioni di pensieri ostili alla libertà »
Non permettere consapevolezza sul fatto che la Storia abbia - non solo una sua imperscrutabilità dovuta al Caso, al Fato, al Divino, agli umori della Natura, e via misticheggiando, ossia a quelle variabilità dei fenomeni contingenti, aleatori ed unici nei 4 assi cartesiani della geostoria, ma anche una dinamica prevedibile, scientificamente descrivibile e misurabile dovute alla Struttura sociale - è, come sappiamo, fondamento dell'oppressione e dello sfruttamento, perché non permette coscienza politica.
La buona propaganda permette allo schiavo di amare le proprie catene.
L'orwelliano "Hate Speech" è archetipale.
Nella Storia, l'insieme dei rapporti umani è un'essenza (un'Entità...) i cui fenomeni sono analizzabili scientificamente dall'economia, dal diritto, dalla sociologia. Dalla demografia...
Ragionando dialetticamente, la conclusione di Basso con i suoi apparenti risvolti interclassisti è, appunto, determinabile dal malthusianesimo: le politiche demografiche sovrastrutturate al capitalismo finanziario, proponendo la deindustrializzazione e la conseguente oppressione di tutti i ceti produttivi, individua il gruppo sociale antagonista nella classe produttiva tout court.
E il nemico, di conseguenza, nei rentier
p.s.
Certo che a leggere Antonio son soddisfazioni...
Sì...ad avercene di qualche decina di gggiovani come lui...
EliminaBene intendenti pauca ;-):
Elimina"Le difficoltà finanziarie del governo francese lo condurranno a cercare risorse oltre Atlantico. Sarà l’occasione per costringerli a firmare un accordo sui debiti che dovrà comportare annualità crescenti: la Francia sarà così obbligata alla coraggiosa riorganizzazione fiscale e al riordino delle finanze a cui non s’è mai decisa”.
“Non sentiamo forse l’ambasciatore a Parigi, Myron T. Herrick, spiegare seriamente che lo Stato francese, per risanare il suo budget, dovrà vendere i palazzi dove sono sistemati i ministeri: gli appartamenti non restano forse sovente vuoti a causa dell’instabilità ministeriale? Si potrebbe anche andare oltre: “In tutta la Francia ci sono beni improduttivi, posseduti dal governo, di un immenso valore venale. La loro vendita non deprimerebbe ma stimolerebbe i prezzi dei beni immobili. […] Il demanio pubblico è composto da foreste, aziende agricole, così come da edifici e terreni nel centro cittadino, particolarmente a Parigi. E nemmeno parlo delle opere d’arte, dei musei e castelli storici…”.
Che poi una qualche implicita immagine di come funziona, e magari dovrebbe funzionare, la società c’è in qualsiasi ricostruzione storica. La priorità del concettuale sullo storico costituisce solo un atto di onestà intellettuale e trasparenza argomentativa. Ed è l'unico mezzo per almeno tentare di non farsi condizionare dal "senso comune" egemonico.
Diceva infatti Gramsci di Croce (Q 10 (XXXIII), § 41): “È da vedere se, a suo modo, lo storicismo crociano non sia una forma, abilmente mascherata, di storia a disegno, come tutte le concezioni liberali riformistiche. […] Non essendo che raramente un politico pratico, il Croce si guarda bene da ogni enumerazione di istituti pratici e di concezioni programmatiche, da affermare «intangibili», ma tuttavia essi possono essere dedotti dall’insieme della sua opera. Ma se anche ciò non fosse fattibile, rimarrebbe sempre l’affermazione che è «vitale» e intangibile la forma liberale dello Stato […]. Come domandare che le forze in lotta «moderino» la lotta entro certi limiti (i limiti della conservazione dello Stato liberale) senza cadere in arbitrio e nel disegno preconcetto?”
Ultimo dettaglio: userei piuttosto l’espressione bassiana di "settore monopolistico" che quella di rentier come opposto a capitale produttivo, perché oggi anche le grandi multinazionali "produttive" sono comunque largamente finanziarizzate (lo documenta dettagliatamente, inter alios, Lapavitsas nel suo libro). Piccolo vs. grande, se preferite.
Spartitori della crescente rendita di monopolio (che è poi lo scopo stesso dell'oligopolio tendente inesorabilmente al "cartello").
EliminaE in effetti, "rentier" è un vezzo lessicale (un "omaggio") che peraltro può essere compatibile con la struttura oligopolistica dei mercati aperti (purché questa sia ben tenuta presente)
Francesco Maimone6 settembre 2016 17:48
RispondiEliminaPer Marx, cioè, LA RIVOLUZIONE SOCIALISTA TROVA IL SUO FONDAMENTO OBIETTIVO NELLE CONTRADDIZIONI DEL CAPITALISMO, il quale contiene, sì, una propria logica che assolve alla funzione che abbiamo sommariamente descritto, ma contiene altresì la sua negazione, la sua logica antagonista. In altre parole la contraddizione fondamentale del capitalismo è quella fra le forze produttive e i rapporti di produzione: le prime (strumenti di produzione, lavoratori, scienza, processi organizzativi, ecc.) sono sospinte dalle necessità imprescindibili dello sviluppo verso forme sempre più collettive, verso una crescente socializzazione, a cui dovrebbe corrispondere anche una socializzazione dei rapporti di produzione; questi invece, nella società capitalistica, sono subordinati alle esigenze del profitto privato, e si trovano quindi costantemente in tensione - e in tensione crescente - con il carattere sociale delle forze produttive…LA GRANDE FLESSIBILITÀ ED ELASTICITÀ DI CUI IL CAPITALISMO HA DATO PROVA, BEN OLTRE LE PREVISIONI DEI SUOI AVVERSARI, HA FATTO SÌ CHE QUESTA CONTRADDIZIONE FONDAMENTALE NON SIA MAI ARRIVATA AD UN PUNTO DI ROTTURA MA SI SIA DI VOLTA IN VOLTA PIEGATA AI COMPROMESSI CHE HANNO PERMESSO AL CAPITALISMO DI USCIRE DALLE SITUAZIONI PIÙ DRAMMATICHE: SI PENSI ALL’INTERVENTO PUBBLICO NELL’IMPIEGO DI MEZZI ANTICICLICI, SUGGERITO DALLE TEORIE KEYNESIANE, PER SFUGGIRE ALLA STRETTA CHE PAREVA MORTALE DELLA GRANDE DEPRESSIONE ECONOMICA…” [L. BASSO, La crisi del socialismo, cit].
“… La necessità di un funzionamento dell’apparato produttivo sempre più razionale ai fini del profitto. realizzabile solo attraverso l’intervento statale, si manifestò tanto nelle esperienze rooseveltiane quanto nelle teorie keynesiane, che parvero infondere, soprattutto dopo la tormenta della seconda guerra mondiale, una nuova linfa giovanile ad un sistema giunto invece ad una fase di avanzata maturità. Il neo-capitalismo, LA PIENA OCCUPAZIONE E IL WELFARE STATE FURONO LE ILLUSIONI CHE LA DURA REALTÀ DELLA CRISI IN CORSO HA DEFINITIVAMENTE DISPERSO. Ancora una volta il capitalismo mondiale si trova costretto ad affrontare LE SUE DRAMMATICHE CONTRADDIZIONI e a cercare nuove forme di equilibrio …” [L. BASSO, Introduzione al problema, in Multinazionali imperialismo e classe operaia, in Problemi del soclalismo, aprile-settembre 1977, 5-13]. (segue)
http://orizzonte48.blogspot.com/2016/09/sei-lezioni-di-economia-tra.html?showComment=1473176932905#c1822102088420334006
A proposito di "galassia sovranista", riporto il feedback che ho dato a Moreno, in merito ai gruppetti al di fuori degli spazi a noi noti:
RispondiElimina« Pochissimi giovani.
Tantissimi mutanti del vasto mondo della contaminazione complottologica auritiana, memmettara, antivaccinista, e stramboidi di vario genere.
Se non direttamente "brunoleonini".
Tutta gente che afferma di essersi - testuali parole - « fatta il culo », ma che non ha la minima idea di cosa significhi studiare.
La Costituzione del '48 non la capiscono fino in fondo neanche i costituzionalisti stessi: che unità ci può essere intorno ad una coscienza che non c'è?
Esiste un problema di ordine ideologico, educativo e morale allarmante.
Gli stramboidi che compongono gran parte del ridicolo antagonismo che si propone antisistema, sono ovviamente la componente più insidiosa del sistema stesso: la natura anticognitiva e divisiva di questi inquietanti settarismi sono il principale problema da affrontare.
La tradizione politica tipica della lotta della classe lavoratrice ed il poderoso armamentario analitico-cognitivo che vantava, è completamente perso, ormai, da generazioni.
La gente infarcita di cazzate da Mosler - a livello educativo, ovvero a livello di atteggiamento da tenere verso la scienza, prima ancora che in senso squisitamente "tecnico" - che va in giro per l'Italia a delirare come Testimoni della Moneta, sono un cancro. E lo sono perché, per ovvi motivi marxiani, l'euro è - stando con Engels - l'agente primo dell'oppressione in Italia.
La Costituzione non è un totem, un simbolo fine a se stesso da piddinismo alla Beningni: è in primis una sintesi etico-scientifica strumentale a riplasmare la struttura sociale (in termini propriamente marxiani).
Concetti come sovranità, unità nazionale, lavoro o diritti sociali, sono scientificamente e organicamente rapportati tramite concrete dottrine economiche, giuridiche e sociologiche orientate da una comune Weltanschauung etico-democratica.
Essere "sovranisti" non significa nulla nel momento in cui non vengono acquisiti questi principi fondamentali e non si è minimamente formati sulle scienze sociali come educazione civica vorrebbe. È nostro compito non avere "cittadini grillescamente informati", ma fare in modo di lottare politicamente con "persone coscienti".
Come organizzare e, soprattutto, "finanziare" il momento formativo?
È necessario realizzare una "scuola di partito" in un contesto in cui non esistono più né scuola né partito. »
Saremmo, nella sequenza logica operativa, costretti a fare come il Barone di Munchausen?
EliminaE purtroppo lo stesso insegnamento del diritto costituzionale ha perso, col venir meno della fisica presenza dei Costituenti, la sua scientificità per rifugiarsi in quell'esercizio della "dottrina giuridica" tanto ben definito da Pietro Barcellona.
In altri termini, se Mortati ci attesta che la Costituzione è oggettivamente "socialista", ciò implica un elevato grado di interdisciplinarietà tra scienze sociali, i cui contenuti, accolti esplicitamente nelle sue proposizioni precettive, non sono "laqualunque" e storicizzabili.
La cosa peggiore è quando un giurista accoglie, come criterio interpretativo extratestuale, la vulgata di altri esponenti de "lascienza" che il modello economico, e sociale, della Costituzione sia "superato" da eventi (e "situazioni di durata") presunti come "nuovi" e di cui il giurista non ha alcuna comprensione.
Comprensione che invece è dovuta e per di più agevolmente rintracciabile nella viva voce dei redattori delle norme: e questa voce ci dice che gli eventi sopravvenuti sono esattamente quelli "vecchi" che si voleva "neutralizzare" perché antisociali e dannosi per il "popolo sovrano".
Paradosso massimo: si reinterpreta la Costituzione, annullandola de facto, proprio in base all'accertamento dei fatti che ne costituiscono la più diretta violazione.
Il "che fare?" credo sia l'interrogativo primario arrivati a questo punto della riflessione. La confusione regna sovrana, e se si andasse a "scartare" (nel senso rurale del termine) il milieu cd. sovranista arriveremmo ad avere numeri limitati.
EliminaD'altro canto il grado di consapevolezza "militante" non dev'essere per forza di cose equivalente al livello del vertice dell'organizzazione rivoluzionaria: occorre un minimum comune, una linea di massa su cui impostare l'azione.
Posto che creare aggregati politici ad oggi risulta impossibile (scarsissima presa sulle masse, altissima probabilità di attirare stramboidi e affini con conseguente delusione generale), la strategia porta all'operazione culturale: il medium migliore per me resta la rivista cartacea, primo tassello di un'offensiva delle idee che alla lunga può gettare più d'un seme. La divulgazione fine a sé stessa ha fatto il suo tempo, e non so poi nel complesso quanto abbia colpito nel segno visti gli aberranti sproloqui dell'ambiente no-€ tutt'oggi esistenti. Quanti "seguaci" accettano- meglio, comprendono- l'esigenza della metodologia e dell'analisi proposta su questo glorioso blog? Caliamo un velo pietoso...
Naturalmente si torna anche qui ai problemi di struttura: come finanziarsi?
Se fosse facile fare egemonia, in fondo, non staremmo su queste gloriose pagine telematiche...
Da stramboide antivaccinista, la vaccinazione obbligatoria non è che una faccia del problema ordoliberista, la pressione dell’interesse privato di pochi che riduce in schiavitu i molti. OMS, EMA, BIGPHARMA, sono le istituzioni speculari di fmi, BCE, banche d’affari. Obbligo sancisce che non siamo più padroni dei nostri figli, che non abbiamo scelta. È la morte del futuro: se al proletario togli figli che gli resta? Se al borghese togli la famiglia, che gli resta? Solo il vuoto. Allora se il nostro governo non è in grado di reagire, ci aspettiamo che perlomeno la Consulta dia un segnale forte ed inequivocabile, che per il popolo italiano, nello spirito della Costituzione, obbligo vaccinale che ruba i figli agli italiani è inaccettabile e faccia della legge 119 carta straccia da rispedire al mittente.
EliminaE per quanto riguarda la Germania, Merkel, che capisce benissimo che gli usa sono la compagnia delle indie, scarica la merda sugli altri perchè non riesce ad uscirne, e da sola non ce la farà mai. Dietro la facciata di “alleato” si cela il nemico, lei lo sa meglio di tutti, perchè l’ha già vissuto con l’URSS. Come ci relazioniamo con gli USA, un ente di diritto privato che agisce come pubblico e ci attacca su tutti i fronti? Può la Consulta, dicendo NO all’obbligo vaccinale far scendere le azioni di bigpharma (e dunque colpire nel profitto, dove fa più male)? Può il nostro governo studiare misure per evitare o ridurre ritorsioni? Chi li aiuta, che non ci capiscono più una mazza? Siamo in guerra, ragazzi, e stiamo perdendo.
Appunto: una regolazione oggettivamente pro-mercato (per la sua indimostrata "necessità", così drastica e "urgente" sotto il profilo dell'interesse pubblico generale) come quella sui vaccini, non avrebbe speranza di sopravvivere in nessun ordinamento a Costituzione rigida con diritti fondamentali chiaramente enunciati.
EliminaMa ormai, tutto è possibile perché abbiamo superato la "soglia di non ritorno".
E "i mercati governano": cioè si sono appropriati della sovranità senza sostanziale resistenza - e, a quanto pare, comprensione- anche da parte della Corte costituzionale.
Chi dice che abbiamo superato la soglia di non ritorno? Gli stessi che sostengono che “non c’è alternativa”, infatti le possiamo interpretare come due facce della stessa medaglia: se CREDI che abbiamo superato la soglia, allora non penserai più a formulare delle alternative.
EliminaCaro Quarantotto, non voglio aggiungere una virgola al post. Il discorso è chiaro e meriterebbe in ognuno di noi un attento esame di coscienza.
RispondiEliminaPiuttosto vorrei tornare su un altro argomento trattato sul blog in lungo ed in largo in questi anni, e connesso a quello della democrazia, ovvero il problema mediatico-culturale, per proporre la voce di Hayek.
Quest’ultimo il primo gennaio 1980 scrive a Sir Antony Fisher e spiega chiaramente quale doveva essere la strategia per imporre il liberismo in tutto il mondo. Per il “futuro della civiltà”.
Il documento in originale si può leggere qui . Ho cercato di approntare una traduzione abborracciata, sperando di poter semplificare la comprensione; mi scuso per gli errori. Sentiamo cosa dice Hayek:
“Sono pienamente d'accordo con te che è giunto il momento in cui è diventato auspicabile e quasi un dovere estendere la rete di istituti del re dell'Istituto di Londra degli affari economici. Anche se ci volle del tempo per la sua influenza diventando evidente, ha ormai superato di gran lunga le mie più ottimistiche speranze. E almeno alcuni degli istituti che avete creato più di recente, soprattutto quello canadese, dimostrano che non si trattava di una mera fortuna speciale nel trovare persone insolitamente capaci di eseguirlo, ma che quando ripetuto, l'esperimento promette un uguale successo.
Quello che ho sostenuto trent'anni fa, che possiamo battere la tendenza socialista solo se siamo in grado di persuadere gli intellettuali, i marcatori di opinione, mi sembra più che ampiamente confermato. Se possiamo ancora vincere la corsa contro la marea socialista in espansione dipende dal fatto che siamo in grado di diffondere le intuizioni che si dimostrano molto più accettabili per i giovani, se giustamente esposte rispetto a quanto avessi sperato, in modo veloce e abbastanza esteso. Come continuo a dire, sono ottimista nel senso che se i politici non distruggono il mondo nei prossimi vent'anni, sono sicuro che poi una generazione nuova e meno fuorviata sarà in grado di prendere piede. Ma sono più sicuro che abbiamo vent'anni: mentre la crescente comprensione dei giovani mi rende speranzoso, quello che vedo accadere in politica mi rende più preoccupato per i prossimi dieci anni o giù di lì.
Il futuro della civiltà può davvero dipendere dal fatto che siamo in grado di catturare abbastanza in fretta l'orecchio di una parte abbastanza grande della prossima generazione di intellettuali in tutto il mondo. E sono più convinto che mai che il metodo praticato dall'Istituto di Londra è l'unico che promette tutti i risultati reali.
A volte sento che ciò che manca veramente di più è una comprensione da parte dei capitalisti stessi del merito di ciò che stanno facendo e del pericolo che essi e con loro siamo tutti di fronte. Sembrano condividere con i socialisti la convinzione che si tratta di una battaglia di interessi e non una battaglia di argomenti intellettuali che guidano l'evoluzione sociale. I tentativi di fare appello alla massa con la propaganda in cui a volte possono essere interessati sono inutili. Nessun sistema o propaganda sistematica può annullare gli effetti della predicazione di tre o quattro generazioni di giornalisti, insegnanti e letterati che hanno creduto onestamente nel socialismo. È solo attraverso quella classe si può sperare di influenzare l'opinione della maggioranza.(segue)
“A volte ho disperato che questo potesse essere fatto a tutti. Ma l'influenza che ora appare aver raggiunto trent'anni di lavoro dell'Istituto per gli affari economici [NdF, ciò significa che il giochino è iniziato negli anni ‘50, come spiegato nel post di Arturo sul sistema del "Network"] mi ha reso ancora più ottimista. Nella costruzione di quell'Istituto e nel provare la tecnica altrove si è sviluppata una tecnica con la quale si è proceduto nella giusta direzione più che in qualsiasi altro modo. Questo dovrebbe essere usato per creare istituti simili in tutto il mondo e ora avete acquisito l'abilità speciale di farlo. Sarebbe denaro ben speso se grandi somme potrebbero essere rese disponibili per un tale sforzo concertato. Se questa lettera può aiutarla in ogni senso in tali sforzi, siete naturalmente libero di usarla in ogni modo che ritenete desiderabile. I vostri sforzi avranno certamente la mia benedizione”.
RispondiEliminaE siamo alle solite: sessant’anni di sistema mediatico-culturale pilotato ad arte dalla borghesia ha praticamente cancellato ogni residuo anticorpo democratico. Se oggi parli di “democrazia costituzionale”, l’interlocutore ti guarda con l’occhio vitreo. Quando ci verrà concessa un’altra possibilità, sarà necessario ripensare radicalmente il sistema dell’informazione e quello culturale, al fine di adeguarli al dettato costituzionale.
Temo che per questo giro i giochi siano ormai fatti (anche se sottoscrivo, e sin da subito, l’idea di Bazaar).
Alla faccia delle accuse di complottismo!!!
EliminaConfessio est regina probationum.
Grazie veramente per la raccolta di questa fondamentale prova provata
(in realtà dovrebbero esserti grati tutti gli italiani ancora alfabetizzati).
Il commento merita ovviamente un post apposito...
Doppiamente bravo perché m’hai pure fatto tornare alla mente un articolo che avevo letto qualche tempo fa su una ricerca d'archivio sulle carte di James Buchanan dall'altra parte dell'Oceano, stessi anni.
Elimina"MacLean says that Charles Koch poured millions into Buchanan’s work at George Mason University, whose law and economics departments look as much like corporate-funded thinktanks as they do academic faculties. He employed the economist to select the revolutionary “cadre” that would implement his programme (Murray Rothbard, at the Cato Institute that Koch founded, had urged the billionaire to study Lenin’s techniques and apply them to the libertarian cause). [sic!!] Between them, they began to develop a programme for changing the rules.
The papers Nancy MacLean discovered show that Buchanan saw stealth as crucial. He told his collaborators that “conspiratorial secrecy is at all times essential”. Instead of revealing their ultimate destination, they would proceed by incremental steps. For example, in seeking to destroy the social security system, they would claim to be saving it, arguing that it would fail without a series of radical “reforms”. […]. Gradually they would build a “counter-intelligentsia”, allied to a “vast network of political power” that would become the new establishment."
Traduco subito: “MacLean afferma che Charls Koch riversò milioni nel lavoro di Buchanan alla George Mason University, i cui dipartimenti di law and economics somigliano più a think tank finanziati dal grande capitale che a facoltà universitarie. Koch usò Buchanan per selezionare i “quadri” rivoluzionari che avrebbero realizzato il programma (Murray Rothbard, al Cato Instituto fondato da Koch, aveva esortato il miliardario a studiare le tecniche di Lenin per applicarle alla causa libertaria). Fra loro iniziarano un programma per cambiare le regole del gioco.
I documenti scoperti da Nancy MacLean mostrano che Buchanan considerava la segretezza fondamentale. Diceva ai suoi collaboratori che “un segreto da cospiratori è indispensabile in ogni momento”. Invece di rivelare i loro obiettivi ultimi avrebbero proceduto con un gioco al rialzo [Qui ho tradotto così pensando a Caffè!]. Per esempio, per distruggere il sistema di sicurezza sociale, avrebbero affermato di volerlo salvare, sostenendo che non poteva sopravvivere senza una serie di “riforme” radicali [questa strategia mi fa menire in mente qualcuno :-). Ultimo di molti, ça va sans dire] […] Gradualmente avrebbero costruito una “contro-intellighenzia”, alleata a un “ampio network di potere politico” che sarebbe diventato il nuovo estrablishment.”.
Tutto targato MPS, ovviamente. Che "stranamente" gradiva poco la storia. :-)
I'm impressed. La realtà, come di prammatica, supera ogni deduzione logica. Decisamente: ESSI vivono
EliminaOggi la verita' purtroppo e' complottismo, in perfetto stile orwelliano. Per questo non ci si raccapezza piu'.
RispondiEliminaSiamo vittime del piu' spaventoso esperimento di ingegneria sociale che l'umanita' abbia mai conosciuto. Un inganno. Solo in questo modo €SSI potevano sperare di spuntarla
Ma tu pensa che grandioso cospiratore è stato il vecchio sociopatico. Certo è che ogni tanto, nella storia, il titanismo viene premiato.
RispondiEliminaNel frattempo... Hayek goes to Zimbabwe.
Il bacio della morte.
Alla prossima crisi il contante sparisce insieme alla ricchezza della specie umana. Tramite algoritmi.
La Grande Società.
Dagli ultimi commenti l'approdo al gruppo Bilderberg è un attimo.
RispondiEliminaNon, peró, alla versione di Estulin, alla quale mancano solo i rettiliani di Icke, ma a quella di Domenico Moro, davvero storicamente interessante:
https://www.amazon.it/gruppo-Bilderberg-Domenico-Moro/dp/8866261513
"Oggi la verita' purtroppo e' complottismo, in perfetto stile orwelliano. Per questo non ci si raccapezza piu'. "
Quanto è vero, purtroppo...
“La Costituzione del '48 non la capiscono fino in fondo neanche i costituzionalisti stessi: che unità ci può essere intorno ad una coscienza che non c'è?”
RispondiEliminaCaro Bazaar a me piace ogni tanto leggere vecchi post di orizzonte48… e leggevo questo:
Francesco Maimone28 luglio 2016 21:50
Nel 2015 ne sono state dette di simili (se non peggiori), a meno di non essere io ad aver preso un abbaglio:
“…Quel che la Costituzione non consente è che il mercato sia privo di regole e la sua pretesa sovranità venga opposta, come invalicabile, alla sovranità popolare, laddove questa sia chiamata ad attuare principi e valori costituzionali. Spesso lo si trascura, ma essa fu votata sia da un socialista radicale come Lelio Basso sia da un liberale come Luigi Einaudi, sia dal solidarista Giorgio La Pira sia dal liberista Epicarmo Corbino, sia dal comunista Concetto Marchesi sia dal liberale Benedetto Croce; fu votata da Giuseppe Dossetti ma fu anche attivamente ispirata da Luigi Sturzo – che pur della Costituente non faceva parte – cattolici entrambi ma portatori di divergenti concezioni del rapporto tra ispirazione religiosa e attività politica. I COSTITUENTI FURONO CONCORDI NEL FISSARE FONDAMENTALI REGOLE E VALORI COMUNI MA ALTRETTANTO CONCORDI – da cui talune disposizioni volutamente elastiche – NEL TENERE APERTA LA POSSIBILITÀ DI PERSEGUIRE INDIRIZZI DI POLITICA ECONOMICA E SOCIALE FRA LORO ALTERNATIVI, DESTINATI A PREVALERE DI VOLTA IN VOLTA SECONDO LE SCELTE OPERATE DAGLI ELETTORI. Ma nel contempo fissarono limiti invalicabili, che avrebbero reso impercorribili sia politiche stataliste che dovessero mettere in discussione le libertà economiche, sia politiche liberiste che fossero in contraddizione con gli obiettivi fissati negli artt. 3, comma 2, 4 e 41 Cost.. In breve: FU ADOTTATO QUEL MODELLO DI “ECONOMIA SOCIALE DI MERCATO”, la cui formula altre Costituzioni hanno espressamente scolpito nel testo costituzionale…” [Augusto BARBERA, Costituzione della Repubblica italiana, in Enciclopedia del diritto, Annali VIII, 2015 356].
Mi pare che dal 2015 faccia parte della Corte Costituzionale. Tutto rubricabile, ovviamente, alla voce “incomprensione”...
http://orizzonte48.blogspot.com/2016/07/hayek-monnet-robbins-le-ragioni.html?showComment=1469735426653#c1780613238348987978