1. Dai commenti all'ultimo post emerge un'interessante questione, tutt'altro che secondaria.
Il discorso del post verte, infatti, sulla illusione di poter "rinegoziare Maastricht", ovverosia sulla tendenza a rinegoziare l'impostazione neo-liberista dei trattati, improvvisamente scoperta, quando ormai si è prestata un'acquiescenza difficile da superare nei rapporti di diritto internazionale.
N.B.: difficile ma non impossibile da superare, purchè la si saldi, senza ulteriori indugi, ad una rinnovata spinta verso la supremazia, non condizionabile, della legalità costituzionale: una linea di cui, appunto, non si scorge tutt'ora traccia.
2. La questione che vorrei sottoporvi ha a che vedere con una certa interpretazione della (ipotizzata in continuazione) crisi del capitalismo.
Su questo punto, l'equivoco sta nel pensare di poter opporre, al capitalismo sfrenato, un concetto univoco e unitario di "socialdemocrazia" (eloquente l'esempio del padre "europeo" Spaak, in cui "l'antibolscevismo ossessivo" si combina ad un "socialismo" portatore dell'idea di "combattere il comunismo a colpi di liberismo (cioè di disoccupazione"). E' difficile definire lo Stato del welfare, scindendolo dalle concrete realizzazioni legali nei vari paesi europei; come pure, scindendolo dalla costante azione limitatrice (proprio della socialdemocrazia) portata avanti ab initio dalla costruzione racchiusa nei vari trattati europei.
Su questo punto, l'equivoco sta nel pensare di poter opporre, al capitalismo sfrenato, un concetto univoco e unitario di "socialdemocrazia" (eloquente l'esempio del padre "europeo" Spaak, in cui "l'antibolscevismo ossessivo" si combina ad un "socialismo" portatore dell'idea di "combattere il comunismo a colpi di liberismo (cioè di disoccupazione"). E' difficile definire lo Stato del welfare, scindendolo dalle concrete realizzazioni legali nei vari paesi europei; come pure, scindendolo dalla costante azione limitatrice (proprio della socialdemocrazia) portata avanti ab initio dalla costruzione racchiusa nei vari trattati europei.
E ciò dall'inizio degli anni '50, come immancabilmente indicava Lelio Basso (p.2), e come, poco dopo, segnalarono i laburisti inglesi, (v. qui, pp. 4.1.-4.2.).
3. Tutto questo chiarimento per precisare che, in una ricostruzione storica esente da generalizzazioni schematiche, si debba tener conto del fatto che, - tranne il caso in cui la socializzazione del potere economico sia stata costituzionalizzata con estrema chiarezza (che pure si è rivelata insufficiente, di fronte al "fascino discreto" degli attacchi internazionalisti del "vincolo esterno")-, l'effettiva attuazione dello Stato sociale, estesa anche al ruolo dell'impresa capitalizzata e gestita dallo Stato nell'ambito di una programmazione economico-industriale di interesse nazionale, si è rivelata costantemente ondivaga, frammentaria e, comunque, costantemente instabile (come nel caso del Regno Unito, qui, p.5); e come, d'altra parte, attesta l'originarietà mercantilista dell'impostazione ordoliberista dello Stato federale tedesco.
4. Seguendo il discorso finora svolto (possibilmente allargato a quanto approfondito nei relativi links), ne discende quanto sia impreciso affermare che in Europa occidentale (quantomeno nel mitizzato "trentennio d'oro") si sia ricomposto il conflitto distributivo attraverso la politica e il suo primato sull'economia (...tanto meno grazie alla "presenza e ai soldi dell'URSS").
Questo assunto coltiva un'illusione pericolosa e si colloca già all'interno del linguaggio riaffermatosi con la successiva restaurazione. Ed avvalora l'idea (anch'essa rivelatasi interna allo stesso "linguaggio") della "Guerra Fredda" come effettiva minaccia alle democrazie occidentali, che tanto persuasivamente Paul Craig Roberts ha confutato.
Senza contare le nuove conferme emergenti dalla desecretazione dei JFK files:
Senza contare le nuove conferme emergenti dalla desecretazione dei JFK files:
JFK Files Reveal Bobby Kennedy And CIA Plotted False Flag War With USSR
Il primato della politica, come vedremo risulta essere più una formula sostanzialmente propagandistica che serve a "vendere" l'inganno dell'autosufficienza del processo elettorale per la realizzazione della democrazia: l'idea, cioè, che esista, o sia mai esistita, una sfera della politica autonoma e mediatrice rispetto alle "sterminate risorse" della timocrazia capitalista.
5. Ed invece, non si è mai verificato che la politica, come diceva Calamandrei, "allo stato libero" (fortunosamente animata da un'etica "superiore" ai rapporti di forza segnalati dal conflitto distributivo) - magari appoggiandosi ad una rilevante sponda col comunismo sovietico- abbia svolto un ruolo propulsivo limitatore della tendenza oligarchica a controllare lo Stato.
Semmai, è accaduto che la partecipazione popolare effettiva alla democrazia, in quanto scelta obbligata per la politica, (in vigenza del suffragio universale) a causa della (transitoria) debolezza di tale oligarchia, abbia prodotto la prevalenza del diritto, inteso come istanza di giustizia sociale. Cioè un limite legale "superiore" all'agire della politica.
Cioè si è avuto, per un certo periodo e in variabili forme, che le Costituzioni (positive, non quelle filosofiche ed "efficienti" metalegali), ed il loro sistema garantistico di gerarchia delle fonti, si siano poste al di sopra della politica.
E questa debolezza dell'oligarchia, e quindi una "legislazione", per una volta, avversa al potere costituito (qui p.2 per come descrive Gramsci il fenomeno), non erano tollerabili in quanto, sempre ed in ogni momento, anche nel trentennio d'oro, si è costantemente operato per ribaltarne il segno.
E una volta ribaltatolo, infatti, il "primato della politica" si rivela per quello che è: un tradizionale tentativo, idraulico, di offrire una facciata accettabile alla realtà dei rapporti di forza determinati dall'assetto proprietario dei mezzi della produzione (v. sempre il Gramsci citato, in relazione allla "realtà" del processo elettorale).
6. Tant'è vero che coloro che, oggi, reclamano questo "primato", e comunque ogni altra istituzione di garanzia della Repubblica italiana, trovano del tutto normale che si facciano dichiarazioni "pubbliche" di questo contenuto:
6. Tant'è vero che coloro che, oggi, reclamano questo "primato", e comunque ogni altra istituzione di garanzia della Repubblica italiana, trovano del tutto normale che si facciano dichiarazioni "pubbliche" di questo contenuto:
7. Dunque, in termini fenomenologici "il primato della politica" è una formula che indica solo le variabili condizioni a cui il processo elettorale può essere assoggettato al fine di limitare la distribuzione del potere economico alle masse "asservite". Fino al punto da teorizzare e realizzare, come si vede sopra, la totale irrilevanza della manifestazione di volontà del corpo elettorale che pure aveva fortemente respinto quel "mutamento di quadro politico".
8. Il discorso finora svolto consente perciò di meglio comprendere la risposta data da Bazaar al commento sopra citato, relativo alla interpretazione "di autosufficienza" (ai fini della democrazia sostanziale) del "primato della politica":
« ricatto economico (il "mercato"), politico (l'"alleato") e culturale (la "scienza") »
In categorie: Liberismo, Atlantismo/Occidente/DottrinaMonroe, positivismo.
Gran parte dello spazio riservato alla tradizione di lotta del movimento operaio, al pensiero marxiano riconducibile al metodo di Marx stesso, piuttosto che a gran parte del marxismo, è volto a fornire le categorie di interpretazione della realtà a partire dall'identificazione dell'agente primo del conflitto.
Qualsiasi dialettica che non ruota intorno al conflitto tra classe egemone e dominata, tra controllori e controllati - in breve - tra ceto padronale e classi asservite, non è una dialettica socialmente progressiva, volta allo sviluppo democratico e alla pace internazionale.
Il kratos puro è un potere primigenio, riferito ai rapporti di proprietà, che non comporta responsabilità.
Chi nasce o viene cooptato in quella parte della struttura sociale che corrisponde alla cosiddetta élite, diventa artefice di scelte politiche di cui non si prende la responsabilità.
Il concetto di responsabilità nel liberalismo - come fa notare Leo Strauss - è un precetto morale, come quello di liberalità stesso, assolutamente individualistico e di pertinenza della sfera privata: la responsabilità del padrone non consiste nel subire le conseguenze delle decisioni politiche (NdQ: che egli controlla), ma tutelare l'ordine sociale classista (generare profitto a scapito dei salari, insomma, farsi gli affari suoi- la libertà!); la responsabilità dello schiavo è servire diligentemente il suo padrone (produrre efficientemente, consumare il meno possibile, e crepare malthusianamente quando non più efficiente).
Il concetto di responsabilità come comunemente inteso ha senso tendenzialmente solo nell'ambito del diritto (ndQ: inteso come "diritto civile" cioè che pone al suo centro il contratto, come strumento egemone di esplicazione della socialità umana e di trasmissione della proprietà, in rigorose condizioni di eguaglianza formale, ossia nella sovrastruttura politico-giuridica, dove ad un'azione personale la collettività (sotto forma di ente statale) può rispondere con una sanzione: sanzione in termini legali ma anche in termini politici. Ad esempio, togliendo "il voto" o rendendolo irrilevante).
(NdQ; E il diritto penale, in questo tipo di ordinamento giuridico, serve essenzialmente a garantire l'ordine contrattualizzato, nella disparità sostanziale delle posizioni dei cittadini, rispetto alla trasmissione della proprietà e della ricchezza).
...
La guerra fredda è stata vinta ideologicamente dall'atlantismo liberale (positivista) ribaltando l'interpretazione storiografica: i "liberali" non sono mai stati (almeno in Europa) democratici rispetto ai "fanatismi" degli estremismi di destra e sinistra (finanziati da sempre dai "liberali" stessi).
Marx si professava democratico quindi denunciava il classismo antidemocratico del liberalismo borghese".
In categorie: Liberismo, Atlantismo/Occidente/DottrinaMonroe, positivismo.
Gran parte dello spazio riservato alla tradizione di lotta del movimento operaio, al pensiero marxiano riconducibile al metodo di Marx stesso, piuttosto che a gran parte del marxismo, è volto a fornire le categorie di interpretazione della realtà a partire dall'identificazione dell'agente primo del conflitto.
Qualsiasi dialettica che non ruota intorno al conflitto tra classe egemone e dominata, tra controllori e controllati - in breve - tra ceto padronale e classi asservite, non è una dialettica socialmente progressiva, volta allo sviluppo democratico e alla pace internazionale.
Il kratos puro è un potere primigenio, riferito ai rapporti di proprietà, che non comporta responsabilità.
Chi nasce o viene cooptato in quella parte della struttura sociale che corrisponde alla cosiddetta élite, diventa artefice di scelte politiche di cui non si prende la responsabilità.
Il concetto di responsabilità nel liberalismo - come fa notare Leo Strauss - è un precetto morale, come quello di liberalità stesso, assolutamente individualistico e di pertinenza della sfera privata: la responsabilità del padrone non consiste nel subire le conseguenze delle decisioni politiche (NdQ: che egli controlla), ma tutelare l'ordine sociale classista (generare profitto a scapito dei salari, insomma, farsi gli affari suoi- la libertà!); la responsabilità dello schiavo è servire diligentemente il suo padrone (produrre efficientemente, consumare il meno possibile, e crepare malthusianamente quando non più efficiente).
Il concetto di responsabilità come comunemente inteso ha senso tendenzialmente solo nell'ambito del diritto (ndQ: inteso come "diritto civile" cioè che pone al suo centro il contratto, come strumento egemone di esplicazione della socialità umana e di trasmissione della proprietà, in rigorose condizioni di eguaglianza formale, ossia nella sovrastruttura politico-giuridica, dove ad un'azione personale la collettività (sotto forma di ente statale) può rispondere con una sanzione: sanzione in termini legali ma anche in termini politici. Ad esempio, togliendo "il voto" o rendendolo irrilevante).
(NdQ; E il diritto penale, in questo tipo di ordinamento giuridico, serve essenzialmente a garantire l'ordine contrattualizzato, nella disparità sostanziale delle posizioni dei cittadini, rispetto alla trasmissione della proprietà e della ricchezza).
...
La guerra fredda è stata vinta ideologicamente dall'atlantismo liberale (positivista) ribaltando l'interpretazione storiografica: i "liberali" non sono mai stati (almeno in Europa) democratici rispetto ai "fanatismi" degli estremismi di destra e sinistra (finanziati da sempre dai "liberali" stessi).
Marx si professava democratico quindi denunciava il classismo antidemocratico del liberalismo borghese".
"E una volta ribaltatolo, infatti, il "primato della politica" si rivela per quello che è: un tradizionale tentativo, idraulico, di offrire una facciata accettabile alla realtà dei rapporti di forza determinati dall'assetto proprietario dei mezzi della produzione"
RispondiEliminaNon so perché… mi è venuto in mente questo commento:
Quarantotto25 gennaio 2016 13:12
Il che ci porta a dedurre, "giocoforza", che la più colossale forma di corruzione si attua nell'indurre gli Stati, dietro compenso e senza partecipazione democratica del corpo elettorale detentore della sovranità, a cedere il "torchio" al sistema finanziario; ovviamente, quando lo "stampare" sia già un potere-dovere nella loro conquistata titolarità pubblica.
Infatti, il corrispettivo offerto formalmente, la deflazione, non può obiettivamente essere sufficiente, per chi decide la cessione per conto degli Stati, a costituire un interesse e una convenienza ragionevoli e offribili ad un trasparente pubblico scrutinio.
Il relativo "costo", in termini di consenso e di crescita (come evidenziavano persino Carli, Sarcinelli e Spaventa), deve logicamente trovare una compensazione in altra forma.
Anche solo in termini di "de damno vitando": anche se, in tal caso, i rappresentanti dello Stato sarebbero soggetti a una vera e propria estorsione. Sulla quale avrebbero (avuto) il dovere di effettuare denuncia.
In tutte e due le ipotesi (compenso diverso da quello "di facciata" o costrizione mediante minaccia), si tratta della commissione di gravi reati (ex multis, artt.246 e 629 c.p.): più gravi della corruzione "ordinaria"
http://orizzonte48.blogspot.com/2016/01/corviale48-il-treno-per-yuma.html?showComment=1453723947400#c6492193320775754143
Associazione logico-deduttiva all'altezza del tuo prezioso ruolo di memoria storica :-)
EliminaInutile che ti ringrazi ancora...
"(E chi non arriva a fare la connessione non legga questo post...)"
RispondiEliminaPer chi abbia meno di 50 anni è difficile capire, deve andare ad intuito.
Io stesso in quegli anni (seconda metà anni ottanta) pensavo a Sacharov come ad un paladino della libertà e solo oggi comprendo pienamente che potentissimo grimaldello fu la sua campagna (sponsorizzata dagli USA) per l'abolizione dell'art. 6
(vedi http://www.dircost.unito.it/cs/pdf/urss_costituzione_1947_ita.pdf).
Gorbachev, con la sua disponibilità a trattare la riscrittura della costituzione con l'amico Sacharov (ed anche l'abolizione dell'art. 6) decretò di fatto la fine dell'URSS (chi perde la sovranità culturale, e Gorbachev l'aveva persa perchè credeva nel liberismo, perde poi ineluttabilmente tutte le altre).
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/12/10/il-pcus-pronto-riscrivere-la-costituzione-sovietica.html
L'attuale costituzione l'hanno infatti scritta le banche d'affari USA....
Sacharov ancora oggi viene esaltato in occidente e la EU ha anche istituito un premio in suo onore (!).
Basterebbe però leggere le carte del suo progetto di riforma costituzionale (sono esposte in un edificio apposito della fondazione Sacharov a New York) per capire di che 'tavanata galattica' si trattasse (cosa che conferma la nozione di senso comune che un fisico nucleare, per giunta padre della bomba H sovietica, non dovrebbe mai occuparsi di riscrivere una costituzione....).
Gorbachev è riuscito invece a passare indenne attraverso quel disastro genocidale che fu la dissoluzione dell'URSS ed il solo fatto che continui ad essere apprezzato solo in occidente (in Russia è invece molto disprezzato) la dice lunga su quali interessi abbia servito.
In effetti il problema di prospettiva e cultura storica di chi ha meno di 50 anni è enorme.
EliminaRammenterai la visione di Cesare Pozzi, per cui un certo grado di resistenza è opponibile solo FINO A CHE saranno "attivi" i baby-boomers.
Un bel problema di...ri-education, da risolvere tutto in salita e controcorrente (ed infatti le generazioni nate entro il vincolo esterno "regnante", sono come i salmoni e ESSI li aspettano al varco della mattanza...)
Ricordo il mitico "dissidente" - che riguardo commosso per chi ha una minima idea di cosa significhi il "mal di Russia" - che prima di crepare, dopo aver conosciuto i "liberali" e aver visto cosa hanno combinato alla Russia, ha riscoperto persino Stalin: meglio la sociopatia di Stalin della sociopatia del mondialismo liberal.
EliminaRiguardo i giovani sono assolutamente ottimista: il virus è stato creato e i primi contagiati iniziano a diffondersi...
Grazie per aver sviluppato l’argomento, la “variabile geopolitica” è esattamente quella che cercavo di introdurre. Gli strumenti materiali e simbolici forniti dall’URSS, non solo in termini di politica interna ma anche in relazione ai rapporti di forza con gli USA - e il “patto sociale” interclasse siglato con la Costituzione, hanno materialmente consentito ai lavarotori di esercitare quella “pressione ininterrotta” attraverso “forme politiche” (il Partito, il Sindacato, l’associazione) che ha permesso una progressiva “presa di coscienza dei propri interessi” http://orizzonte48.blogspot.it/search?updated-max=2017-11-18T18:22:00%2B01:00&max-results=6&start=4&by-date=false
EliminaÈ effettivamente avvenuto un progresso verso l’uguagliaza (pensate solo al diritto allo studio), la struttura sociale è effettivamente cambiata: cresce la classe media (ovvero si riduce la disparità tra ricchi e poveri), lo Stato implementa forme di ridistribuzione della ricchezza, la struttura economica è quella delle PMI. Oggi gli imprenditori si suicidano perchè non riescono a pagare i dipendenti. Si è effettivamente sviluppata una “cultura del lavoro” da nord a sud Italia, anche se variamente distorta e imperfetta, con tutte le difficoltà dovute alla “sfera d’influenza” liberista. Raggiunto il grado di potenza industriale negli anni ‘70 (G6) abbiamo provato a far valere la nostra sovranità (nominale) e il nostro status di potenza industriale per esercitare una politica estera autonoma consona all’interesse nazionale, ovvero la stabilità del Mediterraneo, con i risultati che sappiamo (Moro, Craxi, Berlusconi). Con il dissolvimento dell’URSS è venuta a scemare la “pressione ininterrotta” - soprattutto per mancanza di idee delle “élite” di sinistra, sostanzialmente incapaci di rispondere al neoliberismo (di cui ignorano evidentemente i meccanismi più elementari), mentre si apriva un’opportunità unica: cessava di esistere la ragion d’essere della NATO. Provvidenzialmente ci ha pensato tangentopoli (mito fondativo di castabruttacorruzione) a fare piazza pulita della I Repubblica, a spalancare le porte ai tecnici, a sostituire la politica con il “mercato” unico. per liberarci dal “vincolo esterno”, mi pare dunque necessario riaffermare il primato della politica, inteso come luogo in cui stringere un rinnovato patto sociale interclasse, che permetta di formulare una strategia valida, che tenga conto di tutte le variabili, non solo quelle economiche, per liberarci da questo giogo e acquistare finalmente piena sovranità.
Ciao Quarantotto, a proposito dell'Urss, io non lo sapevo e non ne avevo memoria, ma il 17 marzo 1991 in quel Paese è stato indetto un Referendum con il seguente quesito: "Ritieni necessario mantenere una Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) come federazione rinnovata di repubbliche uguali e sovrane, in cui i diritti e le libertà di ogni cittadino saranno pienamente garantiti?"
RispondiElimina"Il 76% dei sovietici votarono per mantenere l'URSS!
Anche se quel referendum fu strumentalizzato da alcuni leader nazionalisti (come in Ucraina), non c'è dubbio che al popolo veniva chiesto di esprimersi a "favore" o "contro" l'URSS, il suo sistema economico, la sua unione politica.
La prima nozione da trarre da quello scrutinio fu l'elevata affluenza dei sovietici: con l'80% degli elettori, 148 milioni di voti espressi.
La seconda che il 76,4% dei votanti optò per il mantenimento dell'Unione Sovietica, mentre solo il 21,7% sceglieva di rompere con l'URSS." Tratto dal sito:http://www.resistenze.org/sito/te/cu/st/custec17-014187.htm.
La stampa occidentale e in particolar modo quella italiana ne aveva dato notizia?
Il 17 marzo 1991, e giorni seguenti, nel "mondo libero", si parlava solo della positività di Maradona al controllo antidoping (l'antidoping, stranamente, gioca sempre contro la Russia...).
EliminaSull'URSS poco o nulla da registrare: almeno fino al 9 aprile, quando, chissà come e perché, la Georgia si dichiara indipendente:
https://it.wikipedia.org/wiki/1991
Unica fonte che si dilunga, sul ref. del 1991, per dirne tutto il male possibile, questo libro edito da Civiltà Cattolica, col punto di vista della "diletta nazione lettone" (secondo Woytila...)
https://books.google.it/books?id=7Ac5AQAAMAAJ&pg=PA418&lpg=PA418&dq=Urss,+il+17+marzo+1991+in+quel+Paese+%C3%A8+stato+indetto+un+Referendum&source=bl&ots=QIpDjZCfUx&sig=oJg0LHhdu3EuBw5i3ctCGGE3RLU&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwj27K-N1tfXAhVRKlAKHdvSCMsQ6AEIMjAC#v=onepage&q=Urss%2C%20il%2017%20marzo%201991%20in%20quel%20Paese%20%C3%A8%20stato%20indetto%20un%20Referendum&f=false
“In effetti il problema di prospettiva e cultura storica di chi ha meno di 50 anni è enorme.
RispondiEliminaRammenterai la visione di Cesare Pozzi, per cui un certo grado di resistenza è opponibile solo FINO A CHE saranno "attivi" i baby-boomers”.
Io ringrazio sempre lei Presidente:
“Poi il futuro ci riserverà una nuova generazione di sicuri ribelli: ma saltandone un paio”...
“Ma rimane un fatto anche questo congiunturale: stiamo parlando dell'Italia dei baby-boomers, che non aveva ancora introiettato completamente gli effetti dell'europeizzazione malthusiana e deflattiva a qualsiasi costo.
Non voglio elaborare oltre (lo fa già il blog): oggi le università non svolgono più quel ruolo di alimentazione della classe dirigente "acculturata". Proprio perché da un lato non preparano altro che a essere cittadini €uropei (attraverso una mistificazione ideologica che non colpisce solo le scienze sociali), e quindi servono essenzialmente a formare cittadini politicamente "più" addomesticati al pensiero unico; mentre dall'altro, proiettano nel mondo del lavoro "unità di precariato" incapaci di ricostruire un modello di società alternativo a quello in cui vivono (convinti della scarsità di risorse, della indiscutibile priorità del problema ambientale, e della internazionalizzazione come "opportunità", anziché come costo impostogli inerzialmente).
Persino quelli che non hanno preoccupazioni, in quanto "imboccati" sul sentiero familista, non sono più quelli di una volta: sono sempre di meno e sempre più rassegnati; ma non consapevoli.
In sintesi: direi che tutto sommato i baby-boomers sono l'ultima generazione che comunque, laureata o meno, è risultata in grado di produrre qualche traccia di sopravvivenza al sistema dell'istruzione, sapendola utilizzare, ma anche superare, col senso critico.
Poi il futuro ci riserverà una nuova generazione di sicuri ribelli: ma saltandone un paio...”
http://orizzonte48.blogspot.com/2016/05/lantica-incomprensione-delluropa-e.html?showComment=1463413456420#c7352158979895666962
"...il rischio di adattarsi su disegni bucolici e su prospettive idilliache, lasciandosi sfuggire le opportunità di cambiamento che una chiara assunzione di responsabilità e di impegno offrono al presente, produce, come è avvenuto nel decennio trascorso, costi sociali incalcolabili. C'è un enorme e urgente recupero di credibilità da attuare, perchè le persone comuni possano accrescere il proprio interesse e la propria partecipazione alla programmazione economica o alle promesse di un nuovo modello di sviluppo.
RispondiEliminaNaturalmente ogni epoca ha i suoi problemi e le sue richieste nel soddisfare i bisogni elementari ma vitali che, nell'Italia degli anni Settanta, comprendevano perfino quello del trovare il sale negli spacci, di condizioni decenti di trasporto, di servizi pubblici nella sanità e nell'istruzione, oltre a quelli classici della disoccupazione e dell'esclusione sociale. Ma allora come oggi a queste richieste concrete e pratiche si è dato risposta con eleganti disquisizioni sul ravvicinamento o allontamento della lira dal 'serpente comunitario', mentre efficaci misure per migliorare la vita quotidiana delle persone, di una efficace azione controspeculativa in settori vicini alle esigenze degli uomini comuni, sono rimaste nell'oblio."
Lezione di Caffè all'Università di Roskilde, da "Federico Caffè-Le riflessioni della stanza rossa" di B. Amoroso, Ed. Castelvecchi 2017, pag 91