sabato 21 maggio 2016

L'ARTICOLO 1 DELLA COSTITUZIONE: BREVE STORIA DI "QUELLI CHE NON CREDONO NELLE COSTITUZIONI"**

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1. Finora abbiamo svolto il discorso facendo riferimento al rapporto dei "principi fondamentali" (artt.1-12) con la Costituzione economica (art.36-47): quest'ultima, in base ai lavori dell'Assemblea Costituente fornisce gli strumenti per attribuire, ai diritti enunciati nei principi fondamentali, quella effettività senza la quale ne viene meno la stessa giuridicità. 
L'attivazione degli strumenti di politica economica, fiscale e industriale (in senso esteso), previsti dalla Costituzione economica, definisce l'oggetto degli obblighi che rendono concreta ed effettiva la posizione di generale obbligo giuridico, incombente sulle istituzioni di governo della Repubblica italiana, in base all'art.3, comma 2, della Carta, che è la norma chiave per definirne la normatività come fonte superiore ad ogni altra e la cui formulazione è principalmente doviuta a Lelio Basso

2. Su tale natura di norma chiave, aveva, del resto, convenuto Calamandrei, con il grande merito di avere, attraverso il confronto con gli altri componenti dell'Assemblea Costituente, ampliato e reso concreta questa idea proprio sul piano politico-economico, assunto come strumentale al principio-cardine lavoristico (dalla fonte linkata: se vera democrazia può aversi soltanto là dove ogni cittadino sia in grado di [...] poter contribuire effettivamente alla vita della comunità, non basta assicurargli teoricamente le libertà politiche, ma bisogna metterlo in condizione di potersene praticamente servire”, e per far ciò occorre garantire a tutti “quel minimo di benessere economico”, far sì che le libertà cessino di essere dei “vuoti schemi giuridici e si riempiano di sostanza economica”, ossia che “le libertà politiche siano integrate da quel minimo di giustizia sociale, che è condizione di esse, e la cui mancanza equivale per l’indigente alla loro soppressione politica”.
“Ma il problema vero non è quello della enumerazione di questi diritti: il problema vero è quello di predisporre i mezzi pratici per soddisfarli, di trovare il sistema economico che permetta di soddisfarli. Questo è, in tanta miseria che ci attornia, l’interrogativo tragico della ricostruzione sociale e politica italiana", da "Costituente e questione sociale", p.152; notare: un discorso sul quale Bazaar, parlando dei diritti civili a radice internazionalizzata, ormai cosmetici, ha più volte insistito).

3. Ed è questo il nodo centrale della Costituzione, che si è andato perdendo sotto i colpi dell'€uropeismo restauratore dell'ordine internazionale dei mercati: perché tutti questi strumenti di politica economica, fiscale e industriale si imperniano, a loro volta, sulla tutela del lavoro. Basti pensare che, con l'UE e la sua Carta di Nizza dei diritti, siamo tornati al punto che il problema non è più la "soddisfazione" dei diritti sociali, ma persino la loro stessa "enumerazione": dato che la limitata attenzione dedicata ai diritti sociali e alla tutela del lavoro, soffre anche di formulazioni generiche e obiettivamente restrittive rispetto alla Costituzione del 1948.

Per i nostri Costituenti questa tutela è invece il fondamento stesso della Repubblica, sancito dall'art.1 Cost.; e aver scelto quegli strumenti, e non altri, è il frutto di una scelta consapevole, e ampiamente dibattuta (come illustra il secondo capitolo de "La Costituzione nella palude"), che aveva respinto l'idea di mercato autoregolantesi propria del liberismo, e dunque quella di lavoro-merce in essa insita, definendo l'economica liberista neo-classica "la scienza dell'800", a sottolinearne la natura fallimentare posta alla base delle crisi, economiche, sociali e politiche, che erano sfociate nelle tragedie belliche del '900.

4. Tratteggiato questo quadro generale sul corretto intendimento della Costituzione, più volte esposto, cerchiamo di portare l'attenzione sull'art.1. Esso, come premessa necessaria e sufficiente, secondo le parole dei Costituenti che esamineremo, proietta e rende logicamente consequenziale, lo sviluppo sistematico che abbiamo appena riassunto.
Premettiamo ulteriormente  una rapida precisazione, necessaria in quanto, in questi tempi di scarso studio e di cieca fede nell'effetto mediatizzato degli slogan emozionali e tecno-pop, si tende alla estrapolazione suggestiva per piegare il pensiero dei Costituenti alle più bizzare e contigenti esigenze di politiche, del tutto estranee al disegno del Potere Costituente primigenio. Tale potere veramente "originario", fino alla instaurazione di un nuovo ordinamento, necessariamente extraordinem e traumatica, rimane la fonte di diritto superiore ad ogni altra, sia di natura internazionale, sia posta in essere nell'esercizio del potere "costituito", e quindi derivato, di revisione costituzionale.
La premessa è che, per lo più, anche quando un membro della Costituente, - nel plenum, come in una delle Commissioni interne a quella dei 75 (l'organismo cui si deve la parte maggiore del lavoro di effettiva redazione del testo)-,  esprime un dissenso rispetto ad una soluzione poi deliberata in via definitiva, tendenzialmente lo fa per spingere verso una finalità condivisa, nello spirito di una realizzazione più stringente di idee e concetti che, nella sostanza della visione socio-economica, erano comunque largamente condivisi; questo eccettuati alcuni componenti, in testa il solito Einaudi, che parlavano un linguaggio, ed erano portatori di valori, antagonisti rispetto all'amplissima maggioranza dell'Assemblea.

5. In questo contesto storico e di cultura delle Istituzioni, è interessante vedere come il Presidente della Commissione (dei "75") per la Costituzione, Ruini, introdusse, nella sua relazione al plenum, l'art.1:
[Dalla relazione del Presidente della Commissione per la Costituzione Meuccio Ruini che accompagna il Progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della relazione.]

Era necessario che la Carta della nuova Italia si aprisse con l'affermazione della sua, ormai definitiva, forma repubblicana. Il primo articolo determina alcuni punti essenziali. Non si comprende una costituzione democratica, se non si richiama alla fonte della sovranità, che risiede nel popolo: tutti i poteri emanano dal popolo e sono esercitati nelle forme e nei limiti della costituzione e delle leggi; nel che sta l'altra esigenza dello «Stato di diritto». Bisogna poi essere ciechi per non vedere che è oggi in corso un processo storico secondo il quale, per lo stesso sviluppo della sovranità popolare, il lavoro si pone quale forza propulsiva e dirigente in una società che tende ad essere di liberi ed eguali. Molti della Commissione avrebbero consentito a chiamare l'Italia «repubblica di lavoratori» se queste parole non servissero in altre costituzioni a designare forme di economia che non corrispondono alla realtà italiana. Si è quindi affermato, che l'organizzazione politica, economica e sociale della Repubblica ha per fondamento essenziale — con la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori — il lavoro: il lavoro di tutti, non solo manuale ma in ogni sua forma di espressione umana.

6. Particolarmente interessante è il dibattito che si svolse nel plenum sullo stesso art.1, in particolare nella seduta del 22 marzo 1947. La lettura di questa intensa sessione pomeridiana è estremamente significativa. 
Ci limiteremo a riportare, sulla scorta della premessa sopra fatta del prevalente spirito di comune linguaggio e visione, l'intervento dell'on.Lucifero, un liberale (fu anche presidente del partito negli anni immediatamente seguenti alla Costituente), ma non un "antagonista" del processo costituente in senso democratico-sostanziale (cioè i "liberali", in pratica, non erano tutti uguali...)
La questione lessicale che si poneva e se la sovranità "risiedesse", "promanasse", o "appartenesse" al popolo: la sua preoccupazione era che, comunque, fosse chiaro anche in futuro che il popolo italiano non ne potesse mai essere "spossessato".
Non a caso, nella sopra riportata Relazione di Ruini, ovviamente anteriore al dibattito in plenum (ad esito emendativo), viene utilizzato il termini "risiede".
Nell'argomentare sul punto, Lucifero svolge alcuni chiarimenti oggi attualissimi e ci consegna dei timori "profetici":
Lucifero. "...trovai un riscontro nelle affermazioni dell'onorevole Togliatti, che in un primo momento a questo mio emendamento non si era dimostrato favorevole, e tanto più poi che nelle successive formule che sono state già presentate, vi è stato un passo verso il concetto che io sostengo trasformando quell'«emana» (che secondo l'onorevole Conti sapeva di profumo) nel termine «appartiene», che è più esatto.

Può sembrare la questione sottile, ma è una questione concettuale; e diventa una questione sostanziale quando si pensa alla esperienza dalla quale siamo usciti, cioè quando si pensa che ad un certo punto ci siamo trovati di fronte a gente che si è sentita delegare dei poteri popolari, li ha assunti e non li ha restituiti più se non attraverso quella tragedia che abbiamo tutti vissuto. Quindi credo che la Costituzione democratica debba chiaramente sancire il concetto che la sovranità, cioè il potere, non solo appartiene al popolo, ma nel popolo costantemente risiede. Ed allora bisogna impedire qualunque interpretazione che un giorno possa far pensare a sovranità trasferite o comunque delegate. Ecco perché al termine «appartiene», come pure al termine «emana», preferisco il termine «risiede».

Gli organi attraverso i quali la sovranità e i poteri si esercitano nella vita di un popolo, sono organi i quali agiscono in nome del popolo, ma che non hanno la sovranità, perché questa deve restare al popolo. Ecco perché è preferibile il termine «risiede» in confronto a quello di «appartiene».

Quell'«emana», originario, dà il senso di una sovranità che si può trasferire agli organi i quali la esercitano; quell'«appartiene» dà un senso di proprietà; mentre il termine «risiede» consolida il possesso; non la proprietà. Il popolo, cioè, rimane possessore di questa che è la suprema potestà democratica.

Può sembrare una sottigliezza, ma sottigliezza non è. La verità è un'altra. Esistono fra gli uomini due categorie di persone di fronte ai problemi costituzionali: quelli che credono nelle Costituzioni e quelli che non credono nelle Costituzioni
Per quelli che non credono nelle Costituzioni, cioè che pensano che il giorno che avessero la maggioranza farebbero quello che vogliono, un'affermazione di principio può sembrare una sfumatura, e non ha importanza; ma per coloro che, come me, credono profondamente nelle Costituzioni e nelle leggi, ogni parola ha il suo peso e la sua importanza per il legislatore di domani.
Noi ci dobbiamo preoccupare del documento che facciamo, guardando verso l'avvenire, cioè dando norme sicure ai legislatori di domani, in modo che la volontà di oggi non possa essere violata per improprietà di linguaggio, voluta o non voluta che sia.
7. L'esigenza di prevenire qualunque interpretazione "che un giorno possa far pensare a sovranità trasferite o comunque delegate" era straordinariamente corretta. 
Ma forse era, come in fondo abbiamo imparato (a nostre spese), non una semplice profezia, ma la consapevolezza, già attuale, che non solo, come si potrebbe affermare con una certa faciloneria, l'imperialismo sovietico, travestito da internazionalismo, potesse affermare la sua irreversibile presa di potere in Italia (un timore molto sentito all'epoca, ma anche molto più remoto di quanto non si credesse, alla luce di Yalta). L'accenno alla esigenza di preservare la "volontà" dell'oggi contro coloro che non credono nelle Costituzioni,  rivela la preoccupazione che forze estranee allo Stato di diritto, e quindi alle Istituzioni democratiche, portassero al trasferimento della sovranità dal popolo italiano ad altre "entità" (espresse presumibilmente dai mercati, che incarnano la maggior forza di fatto che la Costituzione ha inteso limitare: quindi, per definizione, forze estranee al fondamento del "lavoro" sancito dall'art.1 Cost.).

8. Un campanello d'allarme in tal senso, lo aveva fatto suonare proprio, indovinate un po', Einaudi, nella stessa sede dell'Assemblea Costituente. 
Nella discussione sull'art.1, nella seduta del 27 settembre 1946, ci aveva infatti anticipato questa dotta disquisizione giuridico-epistemologica, che allude in modo più che trasparente alla superiorità, su qualsiasi "Legislazione", inclusa la Costituzione, della "Legge" naturale avente fondamento scientifico (egli era in fondo, pur sempre, un laureato in giurisprudenza). La perplessità di Einaudi sull'art.1 è radicale; egli contesta la stessa legittimità scientifico-teorica del concetto di sovranità popolare, negando in definitiva la stessa opportunità di inserirlo in Costituzione. Ogni altra specificazione della sovranità popolare su cui si sono affaccendati il resto dei Costituenti, diviene così superflua; il carattere democratico, le sue forme e limiti, e, ovviamente, la sua base eretta sul "lavoro". Egli ne ammette solo una "utilità" funzionale e storicamente transitoria. Il vento della Storia può sempre cambiare...:  
Einaudi. [...] Scendendo al campo dottrinale, osserva, a proposito della premessa (dalla quale parte sempre l'onorevole La Rocca nelle sue osservazioni) del rispetto della volontà popolare e della sovranità popolare, che oggi effettivamente non c'è altra formula dalla quale partire; ma si tratta soltanto di una formula e non di una verità scientificamente dimostrabile. Essa appartiene al novero di quei concetti che si chiamano miti, che sono, in sostanza, formule empiriche, accettabili in vista di determinati scopi (per esempio: trovare il migliore governo, stabilire un clima di libertà, evitare qualunque tipo di tirannia) ma che possono anche cambiare. In altri termini la formula della sovranità popolare non appartiene al novero delle verità scientifiche, indiscutibili, dimostrabili, che risultano dalla evidenza medesima delle cose; è piuttosto un principio di fede, e le verità di fede sono discutibili, non si impongono alla mente, ma solo al cuore e alla immaginazione. Il mito della sovranità popolare, che trae origine dal contatto sociale di J. J. Rousseau, è quindi utile per il raggiungimento di determinate finalità pratiche e non si può prescinderne nella vita politica attuale, ma occorre tener bene presente che non è una verità scientifica."

Naturalmente "verità scientifiche", cioè Leggi naturali, sono solo quelle del mercato: e raggiunti certi "scopi", storicamente contingenti, la sovranità popolare può essere anche "cambiata".
La connessione stessa tra sovranità popolare e democrazia rimane così subordinata al principio di sua utilità rispetto alla realizzazione della Legge naturale, del mercato, assunta come verità scientifica: per questo, anche se la "appartenenza" al popolo della sovranità è scritta nella Costituzione, questa non è scientificamente "vera" ed è quindi soggetta ai cambiamenti dettati dalla "Legge naturale" (del mercato).
Il futuro covava già le uova del sovranazionalismo, beneficiario delle "cessioni" di sovranità, in chi apparteneva alla categoria di coloro che non credono nelle Costituzioni, come ci dice Lucifero. 
Tant'è che, intrapresa la strada del sovranazionalismo, sarebbero inevitabilmente giunti "quelli che non credono nelle Costituzioni, cioè che pensano che il giorno che avessero la maggioranza farebbero quello che vogliono".

24 commenti:

  1. PERSI & PERDUTI
    (otc ..)

    Dal “Principe senza scettro” descritto da Lelio Basso a Luigi Einaudi – 1° presidente della Repubblica – il “passo” sembra breve ma sostanziale ..

    Chissà oggi a Piazza del Popolo e domani a Piazza della Repubblica ..

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  2. Ma dai, Quarantotto, vuoi mettere con la Costituzione americana? Tanto con il TTIP sarà lei il nostro nuovo faro: e finalmente saremo "tutti diversi, unici e speciali", come potrebbe suggerirci uno spot hollywoodiano.

    Domanda: Arturo o qualche altro topo di biblioteca è in grado di dare lumi o di segnalare delle letture esaustive sul processo che portò proprio Einaudi a ricoprire la carica di Presidente della Repubblica? Ricordo che tempo addietro ci fornì delle indicazioni puntuali sui movimenti che portarono la Banca d'Italia e il cosiddetto quarto partito ad assumere una linea operativa particolarmente marcata in senso anti-socialista, cosa che portò poi a sviluppi politici anti-socialisti nei mesi a seguire. Magari è già pronto il seguito di quella storia...

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    1. Persino wiki ci fornisce una cronaca eloquente della vicenda
      https://it.wikipedia.org/wiki/Elezione_del_Presidente_della_Repubblica_Italiana_del_1948

      De Nicola, pur molto popolare tanto che la sua "rielezione appare scontata", non dava garanzie di "atlantismo", già nell'accettazione delle condizioni del trattato di pace: mentre Einaudi viene definito un "europeista ante litteram", candidato ad hoc, "nella prospettiva di una possibile Unione europea".
      Più chiaro di così...

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  3. Grande 48, è davvero tutto qui. Se non hai il lavoro e la certezza di potertelo procurare allora non sei libero. Un lavoro che ti dispensi dal ricatto del politico, del mafioso o dell'idraulico che non ti fa la ricevuta in cambio dello sconto. Se hai il lavoro puoi anche scegliere di essere cittadino esemplare. E la cosa bella è che succederebbe per la stragrande maggioranza delle persone.

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    1. Mi permetto Sergio Pezzulli,

      di ricordare di non "scivolare" verso la "cosmetica" che è la distruttiva della Carta.

      Che centra la ricevuta dell'idraulico, la mafiosità ..

      La centralità è la Costituzione economica (art.36-47) che consente dignità e libertà degli Appartenti

      Tiremm innanz !!

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    2. Anzi la ringrazio Poggio così provo a spiegare meglio. Quello che intendevo dire è che uno non ha tutta questa voglia di scendere a compromessi quando ha la possibilita di scegliere il proprio lavoro, magari per vocazione, e di vivere dove si sente a casa. Cioè quando lo stato restituisce la dignità (compresa informazione, scuola, sanità e (perché no) casa, arte, ecc. ecc.), allora le cose cambiano. E' un po come la tassazione: quando è troppa, lo stato guadagna di più se la diminuisce. Uno stato cosi migliora tutti. E i compromessi si fanno a tanti livelli. Dal cittadino che paga cash, al voto clientelare ecc. Questo accenno era per sottolineare la generalità dell'effetto virtuoso. Se lo stato serve i cittadini questi migliorano ed eleggono migliori politici. Non certo per listare le cose che non vanno. Lo so che l'idraulico non è il problema. E sulla corruzione, penso che in Italia sia meno grave che in moltissimi altri paesi. Il fatto che la percepiamo di più può solo essere interpretato come segno di minore ingenuità. Non le pare?
      Quindi non me ne frega nulla della mafia, cioè, non mi preoccupa più di quelli che privatizzano le ferrovie o le poste ... e nessuno fiata, oppure dove fanno l'austerità SENZA il vincolo esterno ... cioè di quelli che comandano dove vivo (e beyond), gli stramaledetti e adorabili inglesi.

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  4. Un pezzo splendido.

    Certo, arriverà sempre quello della democrazia filosofica per cui la scienza è la Legge del più forte e la Legge morale è demagogia.

    Quello della democrazia teologica converrà col fatto che ciò che è naturale è morale.

    Poiché la Legge del più forte è naturale, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo è morale.

    Quindi l'Assemblea Costituente è stato un accordo volto ad escludere le importanti ed immanenti rappresentanze dei fascisti, della finanza einaudo-pinochettiana, dei nazisti antisemiti, dei corleonesi, dello IOR (?) e... dei Savoia.

    E i Princípi Universali non sono un articolo di fede.

    (Fenomenologia della Costituente e sua riduzione eidetica: epochizzando le sovrastrutture ideologiche, rimane l'etica, ossia la coscienza....)

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    1. Un mitico Baazar (come sempre ..)

      " .. i Princípi Universali non sono un articolo di fede"

      ma di SCIENZA & CONOSC(I)ENZA e della CONSAPEVOLEZZA (CON)SEQUENZIALE

      Qui da '48 per questo .. un quadrivium

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    2. Pietà l'è morta. Il senso del ridicolo l'ha preceduta di parecchio

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    3. XII

      È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. [Non è che se ti chiami "democratico" e proponi la Legge Acerbo 2.0, non sei "fascista", ndr]

      [...]

      XIII

      I membri e i discendenti di Casa Savoia non sono elettori e non possono ricoprire uffici pubblici, né cariche elettive. [Godimento..., ndr]
      (abrogato dalla legge costit. 23-10-2002, n. 1) [Con l'euro tutto diventa possibile..., ndr]

      Agli ex re di casa Savoia, alle loro consorti e ai loro discendenti maschi sono vietati l'ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale.
      (abrogato dalla legge costit. 23-10-2002, n. 1) [Lenin il problema l'aveva risolto definitivamente, e, secondo alcuni analisti, è il motivo per cui Russia e Cina sono molto temuti, ad iniziare dal fatto che dal politburo e dai Servizi generalmente non escono pelandroni e lavativi..., ndr]

      I beni, esistenti nel territorio nazionale, degli ex re di Casa Savoia, delle loro consorti e dei loro discendenti maschi, sono avocati allo Stato. I trasferimenti e le costituzioni di diritti reali sui beni stessi, che siano avvenuti dopo il 2 giugno 1946, sono nulli. [libidine..., ndr]

      XIV

      I titoli nobiliari non sono riconosciuti.

      [...]


      Caro Poggio, come si fa a non essere intransigenti nel difendere la Carta?

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  5. Non a caso proprio i Savoia si stanno riorganizzando:

    http://www.monarchia.it/news_2016_70.html

    Ho letto che tale convegno avrà una valenza molto propositiva e rivolta al futuro. Io vedrò di andarci per capire a che punto di pretese siano giunti e quale strada giuridica intendano percorrere anche solo per riproporre la fattibilità di una restaurazione monarchica così chiaramente vietata in Costituzione.
    M.

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    1. Idea obsoleta.In passato vi erano tre pilastri:Monarchia,Aristocrazia e Democrazia-oggi solo UK-.Per gli altri-fra cui l'Italia-: USA,Stati-Nazione di fatto in estinzione e Corporation,pseudo democrazia (informe moltitudine).

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  6. Di conseguenza, “Coi primi (diritti di libertà) si mira a salvaguardare la libertà del cittadino dalla oppressione politica; coi secondi (diritti sociali) si mira a salvaguardarla dalla oppressione economica. Il fine è lo stesso, cioè la difesa della libertà individuale…Il compito dello stato a difesa della libertà non si racchiude nella comoda inerzia del laissez faire, ma implica una presa di posizione nel campo economico ed una serie di prestazioni attive nella lotta contro la miseria e l’ignoranza ….” In quanto “un uomo che ha fame non è libero perché, fino a quando non si sfami, non può volgere ad altri i suoi pensieri…” (Calamandrei, Costruire la democrazia, premesse alla Costituente, Le Balze, 103-105). La costituzione “economica” avrebbe dato risposta a queste esigenze, con buona pace dell’”idea” economica dell’Italia che ha l’attuale presidente del consiglio.

    Sul tema della sovranità, ne parlavo proprio venerdì con un collega il quale mi confessava di non sapere se votare sì o no al prossimo referendum costituzionale e di essere abbastanza confuso. Sembrano argomenti eterogenei, ma meno di quanto possa apparire. Io vi annovero anche quello della legge elettorale.

    Intanto, mi permettevo di osservare che, se la sovranità “appartiene” al popolo e non si esaurisce con il voto in funzione di delega spoliativa stile “arrivederci tra cinque anni”, ciò significa che la stessa appartiene “sempre” al popolo, H24, 365 giorni all’anno anche e soprattutto dopo il voto. Il popolo sono tutti i cittadini, nessuno escluso, ognuno di noi, e non una parte o alcuni gruppi (si chiama per questo democrazia pluriclasse). Concetto di cui gli italiani dovrebbero ricordarsi, come le istituzioni garanti di quella sovranità. Uno a caso … il Presidente della Repubblica, il famoso “leone dormiente” a guardia della Carta Costituzionale, che ha sempre il potere di sciogliere le camere nei casi in cui quella sovranità sia stata violata o ravvisi una frattura tra quanto ha espresso il popolo e quanto operato dagli eletti. A seguito della sentenza della Consulta n. 1 del 2014 (di cui in questo blog si è trattato, evidenziandone anche le contraddittorietà e l’occasione perduta), il Capo dello Stato avrebbe dovuto prenderne atto e sciogliere le camere. Ma del “leone dormiente” è rimasto solo il dormiente.

    Un parlamento sostanzialmente abusivo ha quindi approvato una legge elettorale scandalosa, tanto che la legge “truffa” degli anni ’50, in confronto, era acqua minerale. In quel caso, chi avesse ottenuto più del 50% (quindi già la maggioranza dei voti) otteneva il 65% dei seggi; se non si fosse raggiunto più del 50% dei voti, il premio non scattava (allora vi furono le barricate soprattutto al senato, risse con volo di oggetti contundenti, sedie divelte. Pertini, vista la gran confusione, chiese ad Einaudi di non promulgare la legge; Einaudi non solo la promulgò, ma sciolse anche il senato mandando tutti al voto!).
    Oggi (esattamente come nel periodo fascista con la legge Acerbo), chi al primo turno ottiene più del 40% (quindi già minoranza), si aggiudica il 55% dei seggi alla Camera. (segue...)

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  7. Ma c’è di più. Se nessun partito o lista dovesse raggiungere la quota del 40%, si andrà al secondo turno tra le due liste più votate e quindi… chi vince (anche se ha riportato, per esempio, il 20%) conquista ugualmente 340 seggi! La minoranza diventa maggioranza; resta la sovranità dei pochissimi (si chiama autoritarismo oligarchico). Ed il Capo dello Stato dormiente ha promulgato anche in questo caso (facevo osservare che la Costituente venne votata con il sistema proporzionale purissimo, perché tutto il popolo doveva essere rappresentato).

    Poi gli odierni abusivi si sono approvati a colpi di fiducia tecnica la riforma di 42 articoli della Costituzione (arrogandosi un potere costituente), dopo che nel 2006 il popolo sovrano, mediante referendum, aveva già detto no ad una porcata tale e quale diretta a rafforzare (come oggi) il governo, mettendo fuori gioco il Parlamento. Anche in questo caso il Capo dello Stato dormiente ha promulgato, dimenticandosi dell’art. 1 della Cost. e quindi della sovranità popolare.
    A proposito di (reiterati) comportamenti di chi non crede nella Costituzione.

    Alla fine, con il collega abbiamo brindato alla Costituzione. Spero che se ne ricordi al prossimo referendum!! Non ci farà uscire dall'€uro, ma sarebbe un bel segnale

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  8. gentilissimo barra caracciolo, su youtube c'è il video del contraddittorio tra uno studente catanese e il ministro boschi che nella risposta fa riferimento alla seconda sottocommissione terracini che votò favorevolmente sulla possibilità di accordare al governo di presentare riforme costituzionali - cfr https://www.youtube.com/watch?v=iQ7_2NDMs30 -

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    1. a) il commento è decisamente OT in questa sede;
      b) se per questo, in persona dello stesso Mortati, in seconda sottocommissione si proposero varie soluzioni alternative relative al problema di chi dovesse formulare la proposta di revisione costituzionale, affiancando all'iniziativa di "una camera" e del governo, quella di un numero qualificato di cittadini (si ipotizzò 500.000);

      c) sta di fatto che il testo dell'art.138 definitivamente approvato dal plenum non contiene previsioni sull'iniziativa legislativa di revisione costituzionale, e non per caso: l'iniziativa governativa, non esclusa, fu peraltro non esplicitata perché, per esigenze di cautela e di preservazione della piena democraticità del meccanismo, incidente sul Potere Costituente, esigeva, per contrappeso e a tutela delle effettiva rigidità della Costituzione, una più complessiva e articolata procedura rispetto all'attuale art.138;
      d) ed infatti, il principale sostenitore della (meramente) "concorrente" iniziativa del governo, cioè il relatore Paolo Rossi (futuro Presidente della Corte costituzionale) riassume il senso della discussione in commissione dinnanzi al plenum, richiamando un meccanismo a cui, in conseguenza dell'approvazione del disegno di legge di revisione, da parte delle camere in doppia lettura, SEGUISSE AUTOMATICAMENTE LO SCIOGLIMENTO DELLE CAMERE;
      e) si riteneva, cioè, che una volta che la maggioranza parlamentare avesse fatto il suo lavoro "politico" e si rimettesse al corpo elettorale per un referendum, - in assenza di un consenso parlamentare di due terzi, quindi in assenza di un allargamento eccedente le forze politiche che, in definitiva, coincidono col governo pro-tempore-, si dovesse andare a nuove elezioni politiche contestualmente al voto sulla modifica costituzionale;
      f) il progetto della sotto-commissione, dunque, nel contemplare l'iniziativa del governo, la identificava sostanzialmente, in una situazione di equivalenza politica, con quella della maggioranza parlamentare e prevedeva lo scioglimento delle Camere per garantire l'indipendenza del voto popolare proprio dall'influenzamento della precedente maggioranza politica "in carica" e supportante il governo.
      Tra l'altro, si presumeva che COMUNQUE LE CAMERE "REVISIONANTI" AVESSERO UN SISTEMA ELETTORALE PROPORZIONALE;

      g) il meccanismo di riequilibrio in questione fu ritenuto troppo complesso e non fu adottato.
      Rimangono perciò impregiudicate sia la questione della legittimità di un'iniziativa del governo, id est della maggioranza parlamentare pro-tempore, senza contestuale scioglimento delle Camere, sia quella del sistema elettorale presupposto come aderente alle esigenze di rappresentatività insite nel procedimento di revisione costituzionale (e questo a tacere di tutti gli altri problemi che, nell'attuale frangente, si pongono secondo la maggioritaria dottrina costituzionalistica).

      I lavori della Costituente o sono studiati e compresi nella loro integralità, oppure non servono nella estrapolazione decontestualizzata che nel post viene ritenuta non sostenibile.

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    2. Il sistema della "doppia legislatura", che tipicamente presuppone l'inziativa del governo, id est maggioranza parlamentare, ha varie formulazioni in Costituente (tra cui quella del voto definitivo sulla revisione della Costituzione da parte della Camera neo-eletta, diversa da quella proponente).

      Interessante questa sintesi della questione operata da Mortati nella seduta della sotto-commissione del 16 gennaio 1947:
      "Mortati osserva che il sistema proposto dall'onorevole Rossi è congegnato sul modello della Costituzione belga del 1921 e di quella spagnola del 1931, le quali presuppongono la duplice legislatura e lo scioglimento automatico, ma ammettono però, a differenza della proposta dell'onorevole Rossi, la possibilità di emendamenti alla proposta di revisione: la prima Camera si limita ad una dichiarazione di revisione e si scioglie e la nuova Camera statuisce senza limiti sul punto sottoposto a revisione. Se si accetta il presupposto che in sede di comizi elettorali si possa manifestare con particolare orientamento circa la riforma proposta, bisogna lasciare alla nuova Camera libertà di esame in base alle discussioni avvenute durante le elezioni. Ciò risponde del resto al postulato democratico dell'intervento popolare; altrimenti si porrebbe agli elettori un vincolo rappresentato dalla decisione della prima Camera. Converrebbe perciò adottare il sistema belga nella sua interezza. Ciò ha ritenuto opportuno precisare, a parziale modifica di quanto ebbe a dire nella seduta precedente."

      Insomma, rimane evidente che l'iniziativa della maggioranza-governo doveva portare a un'assunzione di responsabilità politica che si affidava al giudizio degli elettori, sacrificando immediatamente la composizione parlamentare, e la operatività delle cariche, delle camere proponenti e, con essa, la stessa fiducia al governo da queste espressa.

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  9. A proposito di maggioranza, democrazia e sovranità popolare, mi permetto di aggiungere “… Certo l’istanza democratica esigerebbe il consenso di tutti i cittadini, ma – riprendendo l’impostazione kelseniana sulla democrazia – non potendosi realisticamente aspirare ad utilizzare il principio dell’unanimità, diventa necessario ricercare un criterio destinato a determinare quale delle volontà singole espresse si debbono considerare preminenti. Ed escluso l’antico principio che distingueva la pars sanior attribuendole la preminenza, nei nostri ordinamenti non rimane che applicare l’altro criterio quello della pars maior: il principio maggioritario. Epperò – e qui il discorso si rende interessante – questo principio “non può essere accettato in modo puro e semplice”, vi sono quattro condizioni che è necessario far valere, ponendosi a fondamento di un ordinamento costituzionale. E che pertanto - aggiungo – qualora dovessero non essere più rinvenibili segnerebbero il passaggio ad un ordinamento costituzionale diverso, segnalerebbero una rottura di continuità costituzionale. Sono proprio le condizioni necessarie alla retta formazione della volontà popolare in un ordinamento costituzionale democratico individuate da Mortati che fanno emergere in tutta la loro drammaticità la crisi in cui oggi versiamo. Basta richiamarle in rapida successione. Per giustificare il principio maggioritario, scrive Mortati (C. Mortati, La costituente, cit., pp. 45 ss), è necessario:
    a) che la maggioranza sia organizzata in modo da esprimere una concezione di vita associata quanto più possibile unitaria e armonica. Per realizzare la quale è necessario promuovere la formazione di raggruppamenti organizzati in modo da mantenere il massimo di aderenza con i movimenti dello spirito pubblico e il massimo di influenza su di essi per ordinarli e convogliarli verso indirizzi politici ben determinati. Dunque, un ruolo essenziale deve essere esercitato da partiti politici e da formazioni sociali vitali e legittimate dal consenso popolare. Una condizione difficilmente rinvenibile in tempi di frantumazione di ogni corpo intermedio.
    b) che la maggioranza abilitata a prendere le decisioni rifletta, quanto più possibile la maggioranza dei titolari del diritto di voto. Specificandosi che è da evitare che la volontà governante rifletta le opinioni solo di una minoranza dei cittadini. Esigenza che rende possibile prevedere l’obbligatorietà del voto, la richiesta di maggioranze qualificate, la limitazione del numero dei raggruppamenti politici per evitare un’eccessiva frammentazione che possono dar luogo al fenomeno delle maggioranze relative. Dunque una richiesta di partecipazione effettiva e generalizzata alle determinazioni delle politiche nazionali, non potendosi accettare un astensionismo maggioritario. Quell’astensionismo che oggi invece domina incontrastato la scena e che induce a tenere ben distinte le maggioranza politiche (create artificialmente) da quelle dei titolari del diritto di voto. (segue)

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  10. c) che l’azione della maggioranza incontri freni e contrappesi che le impediscano di divenire tirannica. Ma quel che rileva è la specificazione. Mortati non pensa tanto a contrappesi istituzionali, bensì propriamente elettorali. Per evitare il rischio della tirannia della maggioranza giova introdurre sistemi di rappresentanza proporzionale. In questo caso, la distanza non potrebbe essere più profonda rispetto alle dinamiche politiche che si sono venute ad imporre dagli anni ‘90 e che hanno teorizzato un’altra forma di democrazia, quella maggioritaria. Rinunciando alla rappresentanza proporzionale come garanzia e fondamento di riequilibrio del principio maggioritario.
    d) che l’azione della maggioranza si svolga nel rispetto delle condizioni atte a garantire alla minoranza la possibilità di diventare in ogni momento maggioranza. A tal fine è necessario postulare una serie di principi organizzativi atti ad assicurare il più ampio dibattito, la maggiore libertà di propaganda delle idee a tutte le correnti politiche, a garantire l’eguaglianza di chance. Dunque, partecipazione, eguaglianza e apertura alle minoranze, a fronte dell’attuale forte insofferenza per il diverso e continua delegittimazione degli avversari politici, configurati come ostacoli alla realizzazione di programmi di maggioranza. Significativo appare anche il commento finale, a queste condizioni – ma solo a queste condizioni - il principio maggioritario non ripugna alla ragione “perché non favorisce nessuno, mettendo tutti sullo stesso piano”. Un abisso separa questo modello di democrazia retta dal principio maggioritario dal modello di “democrazia maggioritaria” escludente e autoreferenziale …” (G. AZZARITI, Revisione costituzionale e rapporto tra prima e seconda parte della Costituzione, http://www.nomos-leattualitaneldiritto.it/wp-content/uploads/2016/05/G-Azzariti-Revisione-costituzionale-e-rapporto-tra-prima-e-seconda-parte-della-Costituzione.pdf).

    Di quelle quattro condizioni evidenziate da Mortati non ne vige nemmeno una nell’attuale ordinamento.
    La riproduzione frattalica in campo nazionale delle “democratiche” istituzioni €uriste è la conclamata, sfacciata ed arrogante finalità degli attuali collaborazionisti. Hanno svuotato già da tempo e di fatto la democrazia costituzionale, lasciando un guscio; il completamento e l’adeguamento del guscio stesso al loro pensiero eversivo è il passo successivo. Addirittura meglio di quanto potesse sognare l’ordoliberismo.
    In ricordo della sovranità.

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    1. Concretamente: si potevano da subito immaginare, come "necessità" di sviluppo del dettato costituzionale, alla luce dell'evidente volontà dei Costituenti, una serie di soluzioni legislative (di attuazione diretta e vincolata dei principi fondamentali e della rigidità della Costituzione).

      1- Ad esempio, come cornice implicitamente ma necessariamente presupposta, la preferenza, del tutto evidente nel sistema costituzionale, per una legge elettorale proporzionale, ragionevolmente accompagnata da una soglia di percentuale di voto per l'accesso al parlamento.

      2- L'introduzione, per la revisione costituzionale, del sistema della "doppia legislatura", con qualche semplificazione in funzione del contenuto della "riforma"(al tempo, nel dibattito, la si ipotizzò ma, come al solito, non si poteva sospettare, nonostante gli avvertimenti di Ghidini, di Lucifero e altri, che il futuro avrebbe portato una così rilevante riaffermazione di forze restauratrici della democrazia fomale-filosofica a impronta liberal-liberista): supponendo una camera deliberante la revisione costituzionale, in 1a battuta, eletta con sisteme proporzionale "temperato", si poteva prevedere:
      2a) il referendum, con sistema di doppia deliberazione come attualmente previsto, per la modifiche "puntuali" della Costituzione (o per leggi costituzionali "additive" e organizzative, es; in tema di funzionalità della Corte cost.);
      2b) la deliberazione a doppia legislatura, con deliberazione delle più complesse, ma NON ILLIMITATAMENTE TALI, riforme costituzionali, da parte di una seconda Camera (intesa come "parlamento" nel suo complesso, come emerge dai lavori della Costituente), che fosse eletta con un proporzionale puro, come la stessa Assemblea costituente.

      3- Infine, sui LIMITI delle revisioni non puntuali e a rischio di alterazione sistematica della stessa Costituzione, un pronunciamento preventivo della corte costituzionale, che, dopo lo scioglimento delle Camere (che comunque, come atto di assunzione di responsabilità politica, rimane un atto dovuto), precisasse la generale ammissibilità di tale riforma o delimitasse le parti eccedenti una modifica che lasciasse inalterato l'impianto istituzionale e funzionale (cioè natura e contenuto dei poteri pubblici) obiettivamente voluto dagli originari costituenti.

      Si tratta di una serie di rimedi e di cautele sicuramente imperfette o perfettibili, perché in questo campo della politica che tende allo stato "puro" e quindi ad uscire dal quadro legale-costituzionale (precedente), è quasi impossibile trovare una soluzione univocamente "ottimale".

      Nondimeno, da queste linee di massima, si poteva e tutt'ora si può, fermare la deriva verso il fatto che "cambiare la Costituzione" sia un obiettivo positivo in se stesso, perché "cambiare, no matter what, è bello".
      Nella inconsapevolezza studiatamente diffusa dal vero potere di fatto: il sistema mediatico controllato dai grandi gruppi economici finanziarizzati.

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  11. Quel sistema mediatico che la ministra (nel video segnalato) annovera tra i pesi e contrappesi, quella libertà di stampa che "collabora a garantire la democrazia". A me ormai viene l'orticaria solo a vederli

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  12. In ogni caso, Presidente, io sono convinto che nonostante gli appelli e la levata di scudi dei costituzionalisti, questi ultimi non abbiano ancora preso coscienza (altrimenti non mi spiego come mai non ne parlino apertis verbis, facendo nomi e cognomi), oltre il contingente, il disegno sotteso a tutta questa follia. Il vero problema della deriva internazionalista e trattatista evoca, a me sembra, una sorta di inconscio nel quale non si vuole scavare o non si è capaci di scavare per la mancata conoscenza delle basi economiche (questo punto è stato da Lei affrontato più volte). Viene correttamente lamentata la violazione dell’art. 1 della Costituzione per via delle riforme oligarchiche prossime venture, ma non si ha il coraggio di approfondire con altrettanti vigore e forza intellettuale la questione della perdita di sovranità che, in fatto, è stata già bella che perpetrata per via delle “termiti comunitarie”. Così sembra che d’improvviso, per motivi inspiegabili, qualcuno un giorno si sia destato ed abbia deciso, in un raptus di follia, di mettere mano alla Costituzione nel senso rammentato. Mentre sappiamo che vi è un chiaro e ben preciso progetto che sta a base degli avvenimenti sui quali ci troviamo a discutere.

    Perché non si riesce a dire senza mezzi termini, nell’ambito della più attenta dottrina costituzionalistica, che il problema è principalmente il sistema €uro? Perché non si riesce a dire espressamente che la sovranità - al di là delle pur importanti riflessioni sulla legge elettorale e sulla riforma costituzionale – è già sostanzialmente evaporata e da tempo? Noi potremmo, in teoria, approvare la migliore legge elettorale e la migliore riforma costituzionale, ma questo non eviterebbe in concreto la limitazione di sovranità in presenza costante del vincolo esterno dato purtroppo come “evento di natura”. O si ha il coraggio di estirpare il cancro dalla radice (ma prima bisogna sapere che la patologia esiste), altrimenti anche la migliore delle riforme costituzionali (con i sacrosanti dibattiti che ne stanno a fondamento) rischia di configurarsi essa stessa come

    Io non Le nascondo sinceramente un po' di imbarazzo (che si trasforma in insofferenza) nel leggere le pur corrette elaborazioni dottrinali degli studiosi perché, alla fine e nel concreto, il problema ordoliberista – e dell’euro - non viene mai affrontato nella sostanza

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  13. Mi scuso per gli errori dovuti al "dolo d'impeto"; infatti mi è saltata all'occhio la notizia per cui la ministra ha distinto tra "partigiani veri" e non. Giornata nerissima in tutti i sensi

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  14. Vorrei fare una domanda OT a Quarantotto, mi scuso in anticipo con tutti:

    in un suo intervento recente (di cui ho visto il video su youtube) ha fatto riferimento ad un episodio, risalente a prima del '29, avvenuto ai tempi di Churchill (forse quando Churchill era ministro del Tesoro?). Ad un edificio a Piccadilly occupato dai minatori che vi si erano asserragliati e poi distrutto a cannonate e, in seguito, ricostruito.

    Posso chiederle qualche riferimento in più per individuare l'episodio storico che mi interesserebbe molto approfondire? Ho cercato su internet ma non ho trovato molto.

    Grazie in anticipo e saluti

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