1. Un articolo di Martin Wolf sul Financial Times, almeno nelle sue premesse, parrebbe avvalorare (in buona parte), sul piano storico ed economico, l'analisi compiuta su questo blog e, più ampiamente, ne "La Costituzione nella palude".
Wolf, dopo aver sintetizzato lo scontento tedesco per le politiche BCE di QE e di interessi negativi, evidenziandone la natura essenzialmente politica, e la contraddittorietà se non l'infondatezza sul piano economico (almeno nell'evidenziare le effettive responsabilità per la deflazione, o mancata re-flazione, nell'eurozona), soggiunge:
"Tutto ciò si accorda con la visione convenzionale tedesca. Come argomenta Peter Bofinger, un membro "eretico" del Consiglio di esperti economici della Germania, tale tradizione risale a Walter Eucken, l'influente padre dell'ordoliberismo del dopoguerra. In questo approccio, la macroeconomica ideale ha tre elementi: pareggio di bilancio in (quasi) ogni periodo; stabilità dei prezzi (con una preferenza simmetrica per la deflazione); e flessibilità dei prezzi.Questo è un approccio ragionevole per una piccola economia aperta. Risulta praticabile per un un paese più grande, come la Germania, con delle industrie altamente competitive di beni esportabili. Ma non può essere generalizzato all'economia di un intero continente, come l'eurozona. Ciò che funziona per la Germania, può non funzionare per un'economia tre volte più grande e molto più chiusa al commercio estero (ndr; supponiamo intenda "molto meno orientata alle esportazioni").Da notare che nell'ultimo trimestre 2015, la domanda effettiva nell'eurozona è stata del 2% più bassa che nel primo trimestre del 2008, laddove la domanda USA è risultata del 10% più alta. Questa forte debolezza della domanda latita dalla maggior parte delle lamentele tedesche. La BCE sta giustamente tentando di impedire una spirale deflattiva in un'economia sofferente di debolezza cronica della domanda..."
2. Vi risparmio l''ulteriore sviluppo di questi argomenti, che si incentrano sulla insostenibilità di un'intera eurozona che si trasforma in un "Germania più debole" (dal punto di vista della capacità mercantilistica), e sul conseguente surplus di risparmio che, mediamente (in una non troppo affidabile considerazione globale dell'eurozona), è raggiunto dal settore pubblico, da quello produttivo e dalle stesse famiglie, e che non si traduce in investimenti.
In sostanza, con un evidente bias implicito monetarista e post-keynesiano, (come abbiamo visto qui, p.2), Wolf descrive la secular stagnation, che più correttamente aveva analizzata Hansen, incentrando la sua analisi sul fenomeno deflattivo, o meglio della bassa inflazione: solo che poi ritiene un successo, sebbene parziale, il presunto livello, prossimo all'1%, dell'inflazione che avrebbe ottenuto Draghi con le sue policies monetarie espansive.
3. E qui, si scolla dalla realtà, sopravvalutando l'effetto BCE e dimenticando le cause strutturali della deflazione nell'eurozona, cioè definendo una debolezza della domanda focalizzata solo sulla "domanda di investimenti" (cioè sul riflesso della teoria supply side) e dimenticando il mercato del lavoro che, infatti, non menziona mai neppure per un momento (per non parlare dei commentatori che si abbandonano a un festival dell'illustrazione della legge dell'offerta&dell'offerta, arrivando a lodare la Germania, perché non è colpa sua se i PIIGS non sanno investire e far fruttare gli investimenti esteri degli altruisti tedeschi!).
Infatti, alla faccia del parziale successo richiamato da Wolf, questa è la situazione, aggiornata all'intero 2015, dell'inflazione nell'eurozona (rilevazione Eurostat):
Infatti, alla faccia del parziale successo richiamato da Wolf, questa è la situazione, aggiornata all'intero 2015, dell'inflazione nell'eurozona (rilevazione Eurostat):
4. Il fatto è che Wolf si basa su questo modello previsionale, che attribuisce molta parte della causazione della deflazione ai prezzi dei prodotti petroliferi-energetici (per cui eliminata la fase dei minimi, l'inflazione del 2016 dovrebbe approssimarsi all'1%); un modello che già a maggio 2015 aveva fatto "strillare" al ritorno dell'inflazione gli incauti ma interessati operatori finanziari:
A Wolf sarebbe invece bastato consultare il più recente bollettino Eurostat e verificare la fallacia del dichiarato "parziale successo" della BCE.
Cosa che gli avrebbe imposto di cercare ragioni molto diverse per spiegare le dinamiche dell'economia, dell'occupazione e degli investimenti dell'eurozona, constringendolo a esaminare gli effetti delle "riforme strutturali" (certo imposte dalla Germania, nella contingenza storico-politica, ma imputabili all'oggettiva applicazione dei trattati e alla concorde volontà applicativa di tutti gli Stati dell'eurozona). Proviamo a suggerirgli che la domanda effettiva, neppure limitandola alla sola considerazione degli investimenti, non può dipendere da politiche espansive della moneta da parte della Banca centrale che, come ammette ormai lo stesso Draghi, non si trasmettono all'economia reale; a meno di non ammettere l'errore delle "riforme strutturali", fiscali e del mercato del lavoro. Una "dritta": se non c'è domanda, gli impianti produttivi sono crescentemente sottoutilizzati e la domanda di energia, inesorabilmente, cala:
"Main statistical findings
Euro area annual inflation is expected to be -0.2 % in April 2016, down from 0.0 % in March.
Looking at the main components of euro area inflation, services is expected to have the highest annual rate in April (0.9 %, compared with 1.4 % in March), followed by food, alcohol & tobacco (0.7 %, stable compared with March), non-energy industrial goods (0.5 %, stable compared with March) and energy (-8.6 %, compared with -8.7 % in March).
5. Concludendo il discorso: non basta accusare l'ordoliberismo di inadeguatezza e farne l'oggetto della critica ad una politica "sbagliata", per l'intera eurozona, addossabile alla sola Germania.
L'ordoliberismo è, in realtà, il sub-strato essenziale di tutto l'assetto normativo e istituzionale dell'eurozona: anzi dell'intera impalcatura dei trattati "almeno" da Maastricht in poi: esso va molto al di là dei 3-principi-3 richiamati da Wolf e si riassume in un'idea della forte competizione (commerciale) tra gli Stati dell'Unione, e a maggior ragione dell'eurozona, improntata sulla stabilità monetaria - interna all'eurozona, su cui non influisce minimamente la svalutazione esterna perseguita da Draghi con il QE- e sulla stabilità dei prezzi unita all'idea della "piena occupazione" in senso neo-classico: cioè raggiunta attraverso la piena flessibilità verso il basso delle retribuzioni e, quindi, implicante qualsiasi, ma proprio qualsiasi, livello di disoccupazione compatibile col target inflattivo perseguito come "sano" e di equilibrio.
6. Forse Wolf dovrebbe sapere che, secondo lo stesso Draghi, l'area valutaria fondata sulla (sola) banca centrale indipendente, è fermamente fondata sui principi dell'ordolibersismo medesimo (che secondo lo stesso Roepke, non avrebbe una funzione politica diversa da quella della restaurazione strategica di un assetto istituzionale fondato sui mercati e sul sistema dei prezzi, cioè neo-liberista tout-court).
Infatti:
Questa conclusione sul ruolo dell'ordoliberismo (alquanto lineare per un osservatore non superficiale) può trovare un'autorevole interpretazione autentica nelle stesse complessive parole di Draghi:
- sia nella qualificazione della natura della BCE:
"In this context, it is worth recalling that the monetary constitution of the ECB is firmly grounded in the principles of ‘ordoliberalism’, particularly two of its central tenets:
- First, a clear separation of power and objectives between authorities;
- And second, adherence to the principles of an open market economy with free competition, favouring an efficient allocation of resources."
- sia nel costante e significativo invito all'effettuazione di riforme strutturali che altro che non sono che il completamento del mercato del lavoro auspicato come "essenza autosufficiente" della rivendicazione liberista.
7. Insomma, l'intero assetto istituzionale dell'eurozona è un manuale per la restaurazione della secular stagnation e l'esito deflattivo odierno ne è solo una conseguenza programmatica, imprudentemente data per scontata; la "colpa" della Germania non può perciò essere fatta consistere nel fatto che gli altri paesi-partners, che hanno dato vita a questo assetto fondamentale dei trattati europei, abbiano incondizionatamente e coscientemente aderito a tale visione. Cioè all'ordoliberismo.
Se questo è un problema, la BCE ne è magna pars. E la Germania solo uno degli attori principali che inscenano questo assetto istituzionale; ma né lei né gli altri, manifestano né la consapevolezza nè la volontà di por fine alla "recita".
“Non si potrebbe dimostrare, nelle classi colte d’Inghilterra che leggono il Times, un abbassamento della vista ogni dieci anni?” (Nietzsche, Umano troppo umano, II, Opinioni e sentenze diverse).
RispondiEliminaIl post mi sembra in sostanziale continuità e coerenza con il precedente, a dimostrazione di come si costruiscono verità favolistiche. Il retorico quesito è: Wolf omette di esaminare le dinamiche dell’economia prendendo in considerazione “variabili” come riforme strutturali, domanda aggregata complessiva, relazione inflazione/disoccupazione, perché è ignorante o perché gli conviene farlo? La risposta è scontata e, in tal caso, neanche a dirlo, anche Wolf recita. Sono stati necessari sei anni perché la stessa BCE ammettesse che il problema della crisi non era legato al debito pubblico, ma a quello privato. Subito dopo economisti dell’ultima ora e giornalisti economici illuminati alla Wolf si sono accodati con nonchalance. Devo presumere che dovranno passare ancora anni perché Wolf possa rispolverare quantomeno la curva di Phillip ed ammettere un’altra banale evidenza, ovvero che le politiche monetarie della BCE (al compito della quale Wolf attribuisce ovviamente un “contributo fondamentale”) non hanno alcun effetto in termini inflattivi e che le riforme strutturali affamano. Ma fino ad oggi noi siamo i “perdenti” e Wolf può continuare a sghignazzare vendendo la sua intelligenza al miglior offerente
E questo, tutto sommato, sarebbe anche il meno (perché sappiamo che il sistema mediatico deve svolgere un ruolo didascalico di decompressione, conservativa, delle pressioni centrifughe del sistema).
EliminaIl peggio è che esista una massa di commentatori-frequentatori "tipo" del FT, che accusa Wolf di essere ingiusto con la Germania che non starebbe alterando l'eurozona in quanto reinvestirebbe al suo interno il surplus che, comunque, rispetto agli altri membri UEM non sarebbe così "tanto" eccessivo (dimenticando che, questo recente attenuarsi degli squilibri commerciali intra-UEM, è l'effetto della "distruzione della domanda interna"; effetto indotto esattamente dalle politiche di correzione e che è proprio questo fenomeno che rende gli altri paesi UEM delle "Germanie permanentemente più deboli").
Aggiungiamoci che questo atteggiamento è condiviso, praticamente in tutti i paesi dell'eurozona, dalle classi "colte" che compongono l'opinione pubblica, e possiamo capire quanto l'opinione di massa non possa che rimanere ferma al fattore "corruzione"-se-so'-magnatitutto", potendo al massimo concepire un "le tasse stanno distruggendo la classe media".
Annamo bene!
Buonasera Presidente.
RispondiEliminaColgo lo spunto da questo post e dalle considerazioni conclusive, per rivolgerLe una domanda a metà strada tra lo storico/politico ed il giuridico, con netta prevalenza del primo fattore
Ho una risalente formazione giuridica e, a suo tempo, affrontai il tema della penetrazione del diritto cd. comunitario nell'ordinamento interno. Vado a memoria, quindi mi passerà qualche imprecisione. Se non ricordo male, l'affermazione della primazia del diritto di fonte (allora) comunitaria fu il frutto di una elaborazione giurisprudenziale per fasi, con contrastanti posizioni, almeno agli esordi, tra Corte Costituzionale e Corte di Giustizia Cee. In una prima fase, se non ricordo male, la Corte Costituzionale avocò a sè la verifica di compatibilità delle norme di derivazione comunitaria con l'Ordinamento interno, segnatamente con la Costituzione. Tanto, sull'implicito presupposto che non necessariamente le norme comunitarie fossero di sicura compatibilità con le norme ed i valori di rango costituzionale. Successivamente, complici anche le reprimende della Corte di Giustizia, la Corte Costituzionale si è progressivamente adeguata alla primazia del diritto di derivazione comunitaria, reiteratamente affermata dalla Corte di Giustizia, facendo ricorso al discutibile "grimaldello" dell'art. 11 Cost., consentendo il sindacato diffuso e, sostanzialmente, consentendo la disapplicazione delle norme interne incompatibili con le ormai sovraordinate norme comunitarie. Le chiedo se è possibile fornire una ricostruzione storico/politica della progressiva "cessione di sovranità giurisdizionale" da parte della Corte Costituzionale e se e quanto abbia contato in questo percorso la formazione culturale e politica dei giudici costituzionali. Credo, a tale ultimo proposito, che i primi giudici costituzionali avessero, non foss'altro che per ragioni anagrafiche, maggiore sensibilità per la tutela di quel mirabile lavoro di elaborazione e sintesi che ha prodotto il più avanzato e progressista articolato normativo dell'occidente.
p.s. È il mio primo commento ad un post. Mi perdonerà il finale accesso di enfasi, ma sono un quarantottino convinto
Ma questo blog è in sé (mediante una serie di post che si snodanoormai nel corso degli anni, con una molteplicità di approcci convergenti)una tale ricostruzione di un quadro storico, e politico-concettuale.
EliminaUn quadro che ha portato, sul piano giuridico, all'attuale, ma ormai consolidata, teoria della Corte circa la prevalenza del diritto europeo: la svolta forse più significativa si ha con la sentenza n.170/1984, (epoca niente affatto casuale,) che ammette la prevalenza anche con riguardo a norme costituzionali non costituenti "principio fondamentale", in quanto non attinenti ai "diritti inalienabili della persona".
Una volta fornita tale delimitazione e non avendola connessa alla "armonia complessa della Costituzione", si è in pratica rinunciato al sindacato sull'eguaglianza sostanziale degli effetti socio-economici derivanti dall'applicazione di trattati di liberoscambio in materia economica (che già in sé non sono astrattamente giustificabili alla luce dell'art.11 Cost., essendo per definizione ad effetti asimmetrici per i vari Stati aderenti), e si sono perciò scissi i "diritti della persona" dall'obbligo di realizzazione del modello socio-economico costituzionale. Cioè in pratica dagli artt.1 e 4 della Costituzione e dall'intera loro integrazione normativa con la Costituzione economica.
L'obbligo di attivazione contenuto nell'art.3, comma 2, della Cost., è stato in pratica reso un mero enunciato enfatico (e con esso il principio lavoristico), trasmodando nel mero sindacato di ragionevolezza: questo criterio di sindacato risulta del tutto estrinseco, meramente logico-formale, e inadatto a sindacare premesse teorico-economiche e finalità politiche ben connotate e proprie dei trattati, dei quali si è presunta, appunto estrinsecamente - come dinnanzi a una superiore sfera di discrezionalità insindacabile-, la ragionevolezza.
Il difetto di quest'ultima, su questo piano estrinseco (addirittura verbale-nominalistico) infatti non è mai stato oggetto di censura, riguardo al diritto europeo, disattivandosi qualunque operatività dei controlimiti: fino all'attuale atteggiamento sul pareggio di bilancio.
Esattamente quello che Caffè, spiegandolo accuratamente, riteneva non possibile sul piano dello stesso significato e finalità della Costituzione, e che Basso, Mortati (con le sue ben diverse enunciazioni dei controlimiti, intesi correttamente in un ampio senso sistematico), Ruini, Calamandrei, Ghidini intendevano escludere.
E tutto ciò risulta chiaramente nella ricostruzione operata ne "La Costituzione nella palude".
«Il diritto nato dal Trattato, che ha una fonte autonoma, per sua natura non può infatti trovare un limite in qualsivoglia norma di diritto nazionale senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che sia posto in discussione il fondamento giuridico della stessa Comunità.
EliminaDi conseguenza, il fatto che siano menomati vuoi i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione di uno Stato membro, vuoi i principi di una Costituzione nazionale, non può sminuire la validità di un atto della Comunità né la sua efficacia nel territorio dello stesso Stato.»
(tratto dalla sentenza emanata dalla Corte di giustizia in data 17 dicembre 1970, causa 11/70, Internationale Handelsgesellschaft mbH)
Ciò che non riesco a spiegarmi (in realtà me lo spiego eccome, ma esuliamo dal campo della razionalità giuridica) è come giuristi di valore abbiano anche solo potuto pensare di giustificare sul piano teorico una situazione di così palese inconciliabilità tra il sistema previsto dalla Carta, che erano chiamati a rispettare - applicandolo - e a far rispettare - cioè constatando se fosse effettivamente applicato o meno dalle altre istituzioni nazionali e, se del caso, denunciando apertamente la situazione di illegalità costituzionale -, e il sistema di matrice "europea".
Ora, non vorrei aver scritto e continuare a scrivere fesserie, ma, a mio umile avviso, chi, allora come (a maggior ragione) oggi, difende questo scempio si muove nel campo del "credo quia absurdum", perché non c'è alcuna razionalità umana che possa ammettere la coesistenza dei due ordinamenti in questione in chiave pacifica: è un aut aut, che da parte "europea" diventa un aut Caesar aut nihil.
E che diamine!
Visto che per lunghissimo tempo un formidabile motore dell’integrazione è stata la Corte di Giustizia, può essere utile ritornare alle origini, cioè al caso che ha stabilito (qualcuno direbbe "inventato") la c.d. primauté del diritto comunitario sui diritti statali. Mi riferisco al famigerato caso Costa v. Enel, a cui l’Italia può vantare il (dubbio) onore di aver dato origine. Questo interessante saggio ne ricostruisce la genesi, a partire da quello che ne rappresenta il prius logico, cioè Van Gend en Loos, che stabilì l’applicabilità diretta del diritto europeo in ambito nazionale. Il caso non maturò esclusivamente in asettiche aule di tribunali, all’ombra di un rigoroso rispetto della divisione dei poteri, ma fu, diciamo, molto atteso ed evocato sia dalla Fédération international pour le droit européen (la FIDE), un’associazione di giuristi “federalisti”, sia dal servizio legale della Commissione Europea. Come dice Vauchez: ”The fact that many actors of the Court itself did catch this multi-faceted call for a ‘judicial fiat’ coming from both the FIDE lawyers and the Commission Legal service is confirmed by the comment Robert Lecourt’s référendaire and active FIDE member made a few days before the actual decision: ‘When you know that a preliminary reference has recently been made to the Court (the case is under deliberation) concerning a possible direct “applicability” of article 12 (. . .), you understand the huge interest (. . .) not only for the Member States but for any individual if the Court is to give a positive answer to this question’. A landmark judgment was predicted; anticipations were stimulated.”
EliminaSe poi Van Gend en Loos dica ciò che gli si è poi attribuito, rimane assai discutibile (rinvio alla lettura del saggio). Anche l’atmosfera in cui maturò Costa merita di essere rievocata: “Among the promoters of this extensive reading of Van Gend en Loos were two members of the Milan bar who in 1963 engaged in the famous Costa v ENEL case, 43-year-old constitutional law professor Giangaleazzo Stendardi and 62-year-old lawyer Flaminio Costa. Far from being a rather irrational dispute over a contested 1,925 Italian lire bill issued by the Italian electricity company ENEL led by uncontrolled, litigious if not foolish, lawyers (as many of the accounts seem to indicate nowadays), their undertaking was grounded in a consistently activist conception of a European rule of law.
Their previous records and statements cast them as liberal lawyers (in the European sense of criticism of state intrusion in the area of both individual freedoms and economic market). Both of them had already repeatedly argued in various forms of intervention that individual standing before the two European Courts was a critical element for bringing about a Stato di diritto in Italy. At the time, Costa was calling for his government to accept ‘with no more delays the individual petition right before the European Court of Human Rights’. Stendardi had theorised the role of individual legal activism before courts as a quasi-substitute for political accountability, particularly at the European level. In various writings before and after the Costa case, he indicated that ‘it is not necessary to have a Parliament directly elected by the people for the citizen to be protected; it only requires the existence of procedure capable of protecting the individual vis-à-vis the [European] organization’. […] This strong belief in law as the paramount tool for citizens (more important even than the vote) was then naturally mobilised in this context against the December 1962 Italian nationalisation law. As a matter of fact, Stendardi, who had been adjunct professor at the private Milanese business school la Bocconi in the 1950s and was at the time an active member of the Italian liberal party in Milan, was highly critical of the ongoing process of nationalisation in Italy.”
E fu così che i liberali, che in Assemblea Costituente erano "quattro noci in un sacco", come ebbe a dire efficacemente il vecchio Togliatti, riuscirono a piantare un virus di portata europea in Costituzione, rispetto ai cui effetti devastanti la Corte Costituzionale ha dimostrato negli anni una cecità che si commenta da sola (basti ricordare la sent. 183 del 1973, in cui si ritiene estremamente improbabile ”l’ipotesi di un regolamento comunitario che possa incidere in materia di rapporti civili, etico-sociali, politici, con disposizioni contrastanti con la Costituzione italiana”, in quanto la ”competenza normativa degli organi della CEE è prevista dall’art. 189 del trattato di Roma” è limitata “a materie concernenti i rapporti economici”. Ah, beh, se si tratta "solo" di rapporti economici allora siamo tranquilli...).
EliminaE se famo sempre riconosce'...
EliminaAl di là della noiosissima aura celebrativa che da allora circonderà "l'impresa", l'intera storia dell'azione politica italiana manifesta questa propensione al rigetto della democrazia (perché in sostanza di questo si tratta) in favore del mercatismo giudiziario internazionalista.
E questa notazione ci consente di tornare al tema del post: concentrare le critiche sulla insostenibilità del modello €uropeo sulla sola Germania è un esercizio ipocritamente deresponsabilizzante.
L'ordoliberismo è un'espressione del liberismo che si differenzia dal mainstream anglosassone solo sul piano linguistico e di una certa assiologia cosmetica, che al più, proiettata nelle policies, assume un diverso ordine logico-istituzionale delle "mosse" da intraprendere.
Insomma, la scoperta di Wolf, e non solo, per cui si cinguetta allegramente "ordoliberismo tedesco!" e si intende dare una spiegazione al disastro in atto, può giustificarsi solo da una strategica negazione della storia dell'economia e delle istituzioni europee.
Perciò crediamo di poter rivendicare l'individuazione dell'essenza tattico-strategica dell'ordoliberismo, (a suo tempo già canonizzata nel "glossario"), come una chiave di lettura ancora molto più avanzata delle spiegazioni correnti in questa chiave fornite dalla cronaca attuale.
E l'essenziale complicità italiana nel fissare l'attuale €-paradigma, esempio forse unico di "lunga marcia" del neo-liberismo verso il potere assoluto (secondo i suoi noti mezzi di controllo), rifulgerà un giorno come uno dei massimi esempi di autolesionismo sistematico determinato da fanatismo ideologico unito ad una debolezza scientifico-economica praticamente inguaribile.
Siamo messi male, molto male, e finirà altrettanto malissimo...
Non solo. Questo vezzo di incolpare la Germania e' preoccupante perche' alimenta odio e risentimenti. Come dice il prof. Bagnai, il problema al limite non sarebbe la Germania che si fa i fatti suoi, ma degli altri Paesi, compresa l'Italia, che si vergognano di farsi i propri. E questo doveva essere il sogno europeo della fratellanza e della pace perpetua
RispondiEliminaCi deve essere un errore nella citazione di Wolf: "...stabilità dei prezzi (con una preferenza simmetrica per la deflazione); e flessibilità dei prezzi...".
RispondiEliminaForse intendeva flessibilità ( verso il basso ) dei salari?
Sottintende flessibilità "verso il basso": naturalmente dei prezzi, perché, nella concezione neo-ordoliberista (non c'è effettiva differenza ai fini delle politiche auspicate), il salario è un mero prezzo e il lavoro, appunto, una "merce" soggetta alla esclusiva legge della domanda e dell'offerta, in presunta perfetta libera concorrenza...
EliminaLe riposto tutto il concetto perché la Sua interpretazione mi sembra errata.
Elimina"Tale tradizione risale a Walter Eucken, l'influente padre dell'ordoliberismo del dopoguerra. In questo approccio, la macroeconomica ideale ha tre elementi: pareggio di bilancio in (quasi) ogni periodo; stabilità dei prezzi (con una preferenza simmetrica per la deflazione); e flessibilità dei prezzi"
Purtroppo il link all'originale del FT non è più accessibile, essendolo solo ad una prima lettura (gratuita). Ma pur potendo aver errato nella traduzione veloce, risultano compatibili, in quanto riferiti a due fenomeni diversi, i concetti compresenti di "stabilità dei prezzi" (cioè assenza di variazione di inflazione che rimanga costante su livello "target") e "flessibilità dei prezzi": in funzione del contemporaneo svolgersi dell'equilibrio dinamico tra domanda e offerta (essendo la domanda, cioè le assunzioni, una costante auspicata, ed essendo la flessibilità verso il basso l'unico modo di ripristinare il livello di occupazione..."preferenziale esportativo").
EliminaCome un pugno di psicopatici si possa autoproclamare "organizzazione anonima a responsabilità nulla" al fine della creazione della nuova comunità globale, senza un minimo di coscienza e resistenza da parte di 7 miliardi di persone rimane per me un mistero.
RispondiEliminaOrdoliberismo non solo tedesco, ma neanche solo europeo.
L'adattabilità del liberalismo è pari solo alla sua semplice ed esaltata irrazionalità.
Ma noi, che abbiamo letto Hegel, sappiamo che dietro alla più imbecille irrazionalità c'è obbligatoriamente la più cinica ed inumana delle razionalità.
È necessario comprendere che il "piano Kalergi" va ben oltre ad una minaccia identitaristico-razziale europea di un alienato, e che getta - come si nota da tutta la produzione di Paneuropa! - polvere negli occhi paludando il distopico e tirannico progetto mondialista strutturato sul liberismo e il suo omologo istituzionale, il federalismo.
Le cui migrazioni ed invasioni sono prima di tutto un'inevitabile causa oltre che fine.
E non parlava solo di una "Paneuropa"... come, del resto, non era solo il cosmopolita Conte ad auspicare questa restaurazione post-modernista.
Interessante il link alla legge Riveira: è da assumere che, essendo i vasi globalisti inevitabilmente comunicanti, si tratti della stessa ideologia che agita le acque in €uropa e che, per molti suoi aspetti, conduce al movimento Brexit. Credo che l'introduzione di un voto per i migranti de facto, cioè a prescindere da ogni rispetto di precedenti leggi nazionali sulle condizioni di entrate nel territorio statale, sia la inevitabile nuova frontiera.
EliminaE' del tutto ovvio che ciò darebbe il colpo finale al welfare, rendendo inarrestabile la logica delle "risorse limitate" e del conflitto intergenerazionale. Alternativamente agitato insieme con la truffa in-cre-di-bi-le per cui gli immigrati pagherebbero le nostre pensioni (prima ancora di aver versato contributi per lo più irrisori, dato il tipo di occupazione in cui sono oculatamente impiegati e escludendo, dal calcolo della fruizione pro-capite della spesa pubblica universale e specifica, l'intero carico familiare, non occupato per definizione: questo nella migliore delle ipotesi...).
Questi sono matti.
EliminaNon mi venite a dire che serve solo per "distrarre"...
No no, sono proprio convinti ed i matti siamo noi, a quanto pare. Sul suolo italico c'e' pure un "Comitata Giordana Bruna" (!) che organizza incontri e vagheggia la tutela di diritti fondamentali. A scuola. Per essere al passo coi tempi, proporro' al Presidente di mutare il blog in Quarantotta!
Elimina@Bazaar
EliminaNon sono matti e non serve solo per distrarre: anche in USA va avnti il processo che istituisce i simboli al posto dei fatti (così cocciuti) e dei dati che, come dice Bagnai, sono i migliori amici dell'uomo.
CHE PESCI PIGLIARE
RispondiElimina(otc .. )
Anche la pesca ha le sue tecniche: alcune raffinate fatta di lenze, mulinetti, esche e galleggianti, altre solo apparentemente più cruente pensando al mare “rosso” delle tonnare paragonate a quello dei macelli intensivi per produrre hamburger dello zio Donald.
Verrebbero da considerare quali quelle usate sui laghi dell’Elvezia dove sono incerti tra trote fario (Salmo trutta farius) e salmerini (Salvelinus alpinus) e nel guano della palude del “bianco di Carrara” è più salubre pensare a qualche scapinata in montagna dove scimmie cosi verdi non se ne sono viste mai.