1. L'argomento è tra i più sdrucciolevoli e ingannevoli. Se non si ha ben saldo il concetto di democrazia e di mercato del lavoro come oggetto della tutela dello Stato per evitarne la mercificazione, se non si comprende più la lezione keynesiana, ci si cade con tutte le scarpe, come si suol dire.
Sentite questo ragionamento, ("Il web sta uccidendo la classe media"), che risulta della massima efficacia per distogliere l'attenzione dal problema del conflitto sociale, determinato dalla istituzionalizzazione del controllo neo-liberista o "offertista" sugli Stati ex-sovrani:
"...Negozi che muoiono, asfaltati da Amazon e le sue sorelle. Lavoratori che assistono all'inabissamento dei loro salari, prima parametrati ai cinesi, ora al software. Conclusione (sofferta e provvisoria): «Per quanto mi faccia male dirlo, potremo anche sopravvivere distruggendo solo la classe media composta da musicisti, giornalisti e fotografi. Ciò che non è sostenibile è la distruzione di quella che lavora nei trasporti, nella manifattura, nel settore energetico, nell'educazione e nella sanità, oltre che nel terziario. E una tale distruzione accadrà, a meno che le idee dominanti sull'economia dell'informazione non facciano dei passi avanti». Fine dell'innocenza. La reazione immediata a questo atto d'accusa è una scrollata di spalle: è il progresso, bellezza! Nella prima rivoluzione industriale i telai hanno fatto fuori gli operai tessili, oggi i computer rimpiazzano professionisti d'ogni ordine e grado. Ma ci sono differenze sostanziali.
Quando si è passati dalla carrozza all'auto c'era sempre un uomo al volante, mentre l'imminente driverless car farà a meno anche di lui. Prima i robot alleviavano il lavoro pesante dei colletti blu, ora l'algoritmo rende superfluo quello leggero e creativo dei colletti bianchi. E poi, fino a una certa data, più efficienza (dovuta largamente all'automazione) significava un'economia più florida. Magari uno perdeva il posto in manifattura e ne trovava un altro nei servizi. Neppure quelli sono più un rifugio. Un dato da mandare a memoria: dal dopoguerra al 2000 produttività e occupazione crescono di pari passo. Dopo, la seconda curva si affloscia perché le macchine corrono troppo in fretta, hanno bisogno di meno uomini e questi non ce la fanno ad acquisire le competenze per star loro dietro.
È il Grande Disaccoppiamento di cui parlano Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, due professori del Mit, in The Second Machine Age . Il Pil complessivo cresce, il salario medio no. Carl Benedikt Frey e Michael Osborne, docenti a Oxford, hanno calcolato che il 47 per cento dei mestieri attuali negli Stati Uniti è a rischio estinzione per l'informatizzazione. Lo strappo è violento e rapido. Lanier è tra i primi a infrangere il tabù per cui internet e benessere economico".
2. Dovrebbe essere evidente che un ragionamento del genere riposa su alcune premesse istituzionalizzate che, una volta verificate, lo smentiscono radicalmente e ne rivelano l'implicita premessa, che è poi il paradigma che si vorrebbe affermare, con l'aria di volerlo combattere.
Queste premesse sono le seguenti:
a) che il settore manifatturiero sia illimitatamente robotizzabile, in base ad uno sviluppo di crescenti investimenti innovativi, sempre più convenienti, che farebbero salire la produttività a scapito dell'occupazione;
b) che i settori "energetico", dei trasporti, dell'educazione e della sanità, possano soltanto essere settori di mercato privato e, in aggiunta, integralmente erogabili, nella decisione lasciata a operatori privati, mediante la "tecnologia dell'informazione"; cioè essenzialmente trasformando la prestazione umana di utilità, in cui consistono, in informazioni trasmissibili mediante la rete. Parliamo, per capirci, della diagnosi medica e della terapia ovvero dell'assistenza ospedaliera, della trasmissione progressiva di conoscenza secondo un percorso di cui occorre scegliere i contenuti e i gradi di crescente complessità, dello spostamento fisico delle persone che può rispondere a bisogni lavorativi essenziali o invece solo di impiego leisure del tempo libero;
c) in sintesi, che l'effettuazione degli investimenti sia indipendente dalla domanda aggregata effettiva; e, quindi, dal livello diffuso del reddito della comunità sociale di cui si ristruttura, secondo le nuove "inarrestabili" tecnologie, produttive di questi asseritamente "identici" prodotti o servizi, il mercato del lavoro (predicando perfetta flessibilità dei livelli salariali, svincolati dalla dinamica della produttività);
d) che, dunque, in modo sostanzialmente lineare, l'applicazione del capitale tecnologico sia sempre cresciuta;
d) infine, che questa crescita "lineare" si sia verificata sempre e comunque per effetto della spontanea evoluzione della produzione privata, nei vari settori di mercato.
3. Sul punto a), proprio in relazione alla realtà economica USA, ci giunge invece questa smentita: dopo il 2000 gli investimenti in capitale produttivo non aumentano, ma anzi, essenzialmente, crescono meno del PIL:
Quella che aumenta, invece, è proprio l'occupazione nel settore dei servizi e a scapito di quella nel settore manifatturiero, la cui "decimazione" non pare poter essere legata, appunto, a presunti massicci investimenti innovativi, che non risultano essere effettuati (come vedremo meglio poi parlando del settore dei servizi a "salario minimo"):
Tanto più che, negli USA, a partire dagli anni '50 (!), l'andamento decrescente dell'occupazione manifatturiera assume un carattere alquanto costante che smentisce una sua correlazione, in termini di significativa contrazione, con le innovazioni tecnologiche 2.0.:
4. E infatti, questo è l'andamento del contributo del manifatturiero USA al PIL, a partire dagli anni '60, che descrive una tendenza che precede di gran lunga, in modo del tutto autonomo, la information technology. E tale andamento ci dice anche che, sia pure assumendo come costanti le innovazioni tecnologiche di prodotto e di processo, alla contrazione dell'occupazione non è corrisposto un aumento della produttività (evidentemente meno occupati sono proprio meno impianti e, necessariamente, meno competenze specializzate nella manodopera; questa, notoriamente, è stata reclutata in funzione dei suoi minori costi retributivi, e della sua minore qualificazione di base, nei luoghi dove è stata progressivamente delocalizzata la produzione. Peraltro, indicando ciò, altresì, una "preferenza" per la concentrazione della produzione in settori non ad alta intensità di capitale):
"Curiosamente", l'innovazione tecnologica più recente, che pure non dovrebbe essere mancata, nel settore dei macchinari agricoli e della chimica nonché, degli stessi OGM, non ha determinato, proprio negli ultimi decenni del secolo scorso, un'equivalente riduzione dell'occupazione nel settore agricolo (che infatti si assesta, arrestando il suo precedente declino, proprio nel periodo di inizio della "nuova" rivoluzione tecnologica):
In sintesi: andamento dell'occupazione e del contributo del manifatturiero al PIL, segnalano proprio un fenomeno opposto a quello della sbandierata "disoccupazione tecnologica": la disoccupazione si verifica ma per l'opposta e "arcaica" tendenza a contrarre il costo della manodopera, considerando questa policy, promossa per via istituzionale (legislazione del lavoro e regime di liberalizzazione dei capitali) l'unico effettivamente decisivo nel determinare la "competitività" (cioè, la convenienza comparata di prezzo sui mercati internazionali).
5. Ma quel che è più interessante, per verificare la validità della teoria supply side che ci offre, appunto, lo scenario della robotizzazione-informatizzazione del mercato del lavoro, è il riscontro delle prospettive occupazionali più recenti del mercato del lavoro USA, conseguente alla crisi del 2008.
5. Ma quel che è più interessante, per verificare la validità della teoria supply side che ci offre, appunto, lo scenario della robotizzazione-informatizzazione del mercato del lavoro, è il riscontro delle prospettive occupazionali più recenti del mercato del lavoro USA, conseguente alla crisi del 2008.
Lo scenario che ne emerge racconta tutt'altro, rispetto alla teoria della robotizzazione:
Costruzioni, manifatturiero di beni non durevoli (quelli che risentono appunto maggiormente della concorrenza dei paesi a più basso costo della manodopera), e impiego pubblico, incluso quello "educativo", sono i settori più colpiti dalla crisi: e non pare certo perché si sia inserita la information-tecnology, dato che si tratta di contrazioni verificatesi più intensamente dopo la recessione, e obiettivamente accoppiate al calo dei redditi da lavoro che si accompagna alla espansione dell'occupazione nel settore dei servizi più "elementari" (addetti al settore del cibo e della distribuzione a bassi prezzi).
Cioè al perseguimento di un aumento della produttività che è quanto di più arcaico e tradizionale nello schema della teoria del valore neo-classica (pp. 5-6).
Abbiamo infatti l'espansione dell'occupazione nel settore meno tecnologico e meno "informatizzato" possibile, in cui sono state notoriamente riassorbite categorie di lavoratori che, in precedenza, avevano dignità di "impiegati", presso il governo o presso imprese...manifatturiere (che però hanno chiuso o delocalizzato: non si sono certo robotizzate).
6. Il problema secondo indicazioni più scientificamente fondate, sta nel mercato del lavoro incentrato sulla deflazione salariale, determinata da delocalizzazioni e precarizzazione, cioè dalla liberalizzazione dei capitali e dalla finanziarizzazione dei consumi (che devono trainare il PIL ma fruttare come "debito delle famiglie").
Il sistema si complementa con la valvola di sicurezza del salario minimo per (tentare di) riassorbire la domanda perduta, con la "strisciante" (sempre meno) de-scolarizzazione di massa, e la prospettiva di insolvenza finanziaria legata all'equilibrio della sotto-occupazione, ma con uno spiazzamento degli investimenti che è l'esatto opposto di quello assunto dalla teoria della robotizzazione e dell'innovazione 2.0.
Quando il mercato del lavoro, totalmente precarizzato dalla minor resistenza "politica" determinata dalla destrutturazione del manifatturiero - che abbiamo visto non avere molto a che fare con l'irrompere della web economy, quanto con l'adozione del sistema del capitale mobile e internazionalizzato- si affida al salario minimo, infatti:
"Significa che cresceranno proprio quei lavori (nei servizi destinati a consumatori di medio-basso reddito) che sono incentivati dal tipo di domanda aggiuntiva che genera tale aumento salariale "d'autorità"; una domanda orientata ai consumi sui servizi a bassa intensità di capitale, con un evidente spiazzamento degli investimenti, sempre più legati ad un settore che non risolve il problema della competitività e dei conti con l'estero.. Lo si può vedere qui:
7. Insomma, il mito della varie "intelligenze artificiali" che rendono superfluo l'uomo, non regge neppure al riscontro dei fatti addotti per giustificarlo, mentre le altre condizioni, sopra viste, che esso presuppone, non sono prese seriamente in considerazione neppure dai più seri e qualificati economisti USA, come avevamo visto qui:
In realtà, il fenomeno della perdita di posti di lavoro non più ricreabili, nel nuovo presunto trend di ripresa economica, investirebbe, per la verità da decenni, anzitutto il settore manifatturiero, (prima ancora dei "servizi"), laddove cioè la robotica ha spiegato i suoi primari effetti.
Ma le ragioni di questa perdita di posti di lavoro, se correttamente connesse a delocalizzazione e deflazione salariale, come evidenziano Stiglitz e Krugman, e come in realtà sottointende laYellen, (quindi, in definitiva alla liberalizzazione del mercato dei capitali), sono rinvenibili in fattori che incidono essenzialmente e gravemente sulla domanda; cioè la disoccupazione strutturale è dovuta a quell'output-gap che discende dall'idea che la diffusione della disoccupazione sia un "sano" elemento che rende elastico verso il basso, e quindi "virtuoso", il mercato del lavoro e che a ciò debba essere strettamente funzionale la limitazione dell'intervento-deficit pubblico.
Su questa idea rigidamente neo-classica, in ultima analisi, la versione dei fatti qui criticata, insiste come implicita necessità: dallo small business diffuso in dissoluzione, alla stessa scarsa (se non sprezzante) considerazione delle utilità (merit goods) che solo il settore pubblico può fornire, tutta la ideologia economica neo-classica congiura per una visione del mercato del lavoro e della domanda aggregata esclusivamente asservita al criterio della competitività realizzabile solo dai privati, accompagnata alla negazione di ogni valore dei beni e dell'interesse collettivi: che importa se gli USA, pieni di intelligenza artificiale, vanno in tilt ad ogni forte nevicata, per non parlare dei vari tornados?
Vogliono forse gli "zotici", per di più inadeguati professionalmente alle nuove frontiere della tecnologia, essere tenuti sempre al riparo dalla "durezza del vivere", anche nelle sue più, asseritamente naturali manifestazioni?
Stiglitz e la Yellen, più che guardare all'economia del tempo libero e agli standards normativi impositivi di forme di protezione ambientale (da riversare poi mediante traslazione sui prezzi), sanno perfettamente quale sia il valore da attribuire al ritardo di adeguamento delle infrastrutture pubbliche ed all'indebolimento delle "funzioni pubbliche" di presidio minimo del territorio, cose che nei capitalismi avanzati - invariabilmente neo-liberisti, se non tea-party- o sono intese come occasione di vantaggio del business privato, con costi crescenti per i cittadini-utenti, o semplicemente non sono più prese in considerazione come oggetto di politiche di spesa pubblica.
Ma le ragioni di questa perdita di posti di lavoro, se correttamente connesse a delocalizzazione e deflazione salariale, come evidenziano Stiglitz e Krugman, e come in realtà sottointende laYellen, (quindi, in definitiva alla liberalizzazione del mercato dei capitali), sono rinvenibili in fattori che incidono essenzialmente e gravemente sulla domanda; cioè la disoccupazione strutturale è dovuta a quell'output-gap che discende dall'idea che la diffusione della disoccupazione sia un "sano" elemento che rende elastico verso il basso, e quindi "virtuoso", il mercato del lavoro e che a ciò debba essere strettamente funzionale la limitazione dell'intervento-deficit pubblico.
Su questa idea rigidamente neo-classica, in ultima analisi, la versione dei fatti qui criticata, insiste come implicita necessità: dallo small business diffuso in dissoluzione, alla stessa scarsa (se non sprezzante) considerazione delle utilità (merit goods) che solo il settore pubblico può fornire, tutta la ideologia economica neo-classica congiura per una visione del mercato del lavoro e della domanda aggregata esclusivamente asservita al criterio della competitività realizzabile solo dai privati, accompagnata alla negazione di ogni valore dei beni e dell'interesse collettivi: che importa se gli USA, pieni di intelligenza artificiale, vanno in tilt ad ogni forte nevicata, per non parlare dei vari tornados?
Vogliono forse gli "zotici", per di più inadeguati professionalmente alle nuove frontiere della tecnologia, essere tenuti sempre al riparo dalla "durezza del vivere", anche nelle sue più, asseritamente naturali manifestazioni?
Stiglitz e la Yellen, più che guardare all'economia del tempo libero e agli standards normativi impositivi di forme di protezione ambientale (da riversare poi mediante traslazione sui prezzi), sanno perfettamente quale sia il valore da attribuire al ritardo di adeguamento delle infrastrutture pubbliche ed all'indebolimento delle "funzioni pubbliche" di presidio minimo del territorio, cose che nei capitalismi avanzati - invariabilmente neo-liberisti, se non tea-party- o sono intese come occasione di vantaggio del business privato, con costi crescenti per i cittadini-utenti, o semplicemente non sono più prese in considerazione come oggetto di politiche di spesa pubblica.
8. E ci piace riproporre, da quello stesso post, la sottolineatura di Cesare Pozzi, circa la prevalenza del fattore istituzionale, cioè delle decisioni politiche di chi "controlla" lo Stato, rispetto all'aspetto occupazionale:
D. Si sostiene che l'attuale disoccupazione diffusa, nei paesi a capitalismo "maturo", è essenzialmente dovuta agli effetti dell'applicazione delle nuove tecnologie nei modelli di impresa evolutisi negli ultimi anni: è una valutazione realistica o fuorviante?
R. La domanda sottende uno dei principali "bachi" della teoria ortodossa.
L'economia di mercato che la maggior parte dell'Umanità ha in cuore - perché è liberale, quindi non vincola il destino terreno dell'uomo alla sua dotazione iniziale di diritti, e promette un benessere diffuso su una quota mai raggiunta della popolazione di ogni Comunità - si basa su una particolare declinazione del capitale che ne enfatizza la dimensione artificiale e perciò può essere detta "capitalistica". Su questa falsariga se l'applicazione di nuove tecnologie riduce la necessità di occupare in alcuni mercati, apre lo spazio per nuovi mercati e per l'aumento del tempo libero.
Il problema della disoccupazione si crea a causa degli assetti istituzionali, quando sono il risultato di teorie normative che discendono da teorie economiche non coerenti con i propri presupposti (se si spacciano per liberali) e quindi male regolano tutti gli aspetti critici che si vengono a creare, comunità per comunità, lungo il tempo storico.
D. Se esiste una correlazione stimabile, rispetto all'intero mercato del lavoro, tra la diminuzione degli occupati e l'applicazione delle innovazioni tecnologiche, questo effetto non dovrebbe rallentare in un periodo in cui una vasta e prolungata recessione, dovuta a cause iniziali essenzialmente finanziarie e poi a politiche fiscali restrittive, determina naturalmente una caduta degli investimenti produttivi (lamentata in tutte le aree, dall'UE al Giappone)?
Il fatto che non ci sia questo rallentamento è il segnale che alla nostra crisi strutturale si sta rispondendo in questa fase generando la maggior pressione possibile sul lavoro in modo da consolidare l'idea che sia tornato una merce. Quando la situazione di rassegnazione si sarà affermata si cercherà di arrivare a un assetto di occupazione diffusa a basso reddito. E' significativo in questo senso l'enfasi che si è posta sui dati italiani relativi alla distribuzione del reddito (che sono tra i meno diseguali nel Mondo occidentale) rispetto al silenzio sul fatto che 85 persone possiedono quanto la metà più povera dell'umanità (che mi sembra in linea con quanto dico).
R. La domanda sottende uno dei principali "bachi" della teoria ortodossa.
L'economia di mercato che la maggior parte dell'Umanità ha in cuore - perché è liberale, quindi non vincola il destino terreno dell'uomo alla sua dotazione iniziale di diritti, e promette un benessere diffuso su una quota mai raggiunta della popolazione di ogni Comunità - si basa su una particolare declinazione del capitale che ne enfatizza la dimensione artificiale e perciò può essere detta "capitalistica". Su questa falsariga se l'applicazione di nuove tecnologie riduce la necessità di occupare in alcuni mercati, apre lo spazio per nuovi mercati e per l'aumento del tempo libero.
Il problema della disoccupazione si crea a causa degli assetti istituzionali, quando sono il risultato di teorie normative che discendono da teorie economiche non coerenti con i propri presupposti (se si spacciano per liberali) e quindi male regolano tutti gli aspetti critici che si vengono a creare, comunità per comunità, lungo il tempo storico.
D. Se esiste una correlazione stimabile, rispetto all'intero mercato del lavoro, tra la diminuzione degli occupati e l'applicazione delle innovazioni tecnologiche, questo effetto non dovrebbe rallentare in un periodo in cui una vasta e prolungata recessione, dovuta a cause iniziali essenzialmente finanziarie e poi a politiche fiscali restrittive, determina naturalmente una caduta degli investimenti produttivi (lamentata in tutte le aree, dall'UE al Giappone)?
Il fatto che non ci sia questo rallentamento è il segnale che alla nostra crisi strutturale si sta rispondendo in questa fase generando la maggior pressione possibile sul lavoro in modo da consolidare l'idea che sia tornato una merce. Quando la situazione di rassegnazione si sarà affermata si cercherà di arrivare a un assetto di occupazione diffusa a basso reddito. E' significativo in questo senso l'enfasi che si è posta sui dati italiani relativi alla distribuzione del reddito (che sono tra i meno diseguali nel Mondo occidentale) rispetto al silenzio sul fatto che 85 persone possiedono quanto la metà più povera dell'umanità (che mi sembra in linea con quanto dico).
9. Che è poi, in termini più generali, quello che riportava il post Flags of Our Fathers- 3, nel sottoriportato passaggio del giurista americano John W. Whitehead sull'Huffington post (edizione USA).
Se il territorio, e la stessa dimensione comunitaria della società che su di esso vive, con la sua necessità "indivisibile" di infrastrutture legate al benessere essenziale dei cittadini, viene abbandonato dalla mano pubblica e governato da quella "invisibile", se cioè si privatizzano, nella loro parte preponderante, sanità, istruzione, utilities e trasporti, non viene solo a mancare il benessere, ma la disoccupazione e la sottoccupazione divengono un fattore strutturale di controllo sociale, che non ha mai avuto bisogno delle presunte rivoluzioni tecnologiche per affermarsi:
“[...] Oggi viviamo in un sistema a due livelli di giustizia e di governance. Ci sono due tipi di leggi: uno per il governo e le imprese, e un altro per voi e per me (…) le leggi che si applicano alla maggior parte della popolazione consentono al governo di fare cose come controllarvi il retto durante una sosta lungo la strada, o ascoltare le vostre telefonate e leggere tutti i messaggi e-mail, o incarcerarvi a tempo indeterminato in una cella di detenzione militare (…) poi ci sono le leggi costruite per l'élite, che permettono ai banchieri che fanno cadere l'economia di camminare liberi [...]” , un pensiero al quale è accomunato anche il giurista di Harvard Larry Lessig, quando scrive che “viviamo in un mondo in cui gli architetti della crisi finanziaria cenano regolarmente alla Casa Bianca".
La sua critica alla tesi secondo cui la tecnologia non sostituirà il lavoro umano a mio parere lascia comunque un aspetto critico:infatti sebbene abbia fato bene a mettere in luce che senza domanda l'offerta non si sostiene da sola e che lo stato deve provvedere al lavoro(sostenendo appunto la domanda) la questione che resta aperta è Quale lavoro? in un contesto nel quale abbiamo robot che fanno ciò sempre meglio i lavori degli uomini e che ormai ci sconfiggono perfino a scacchi cosa dovremmo fare? diventare tutti ingeneri e controllare queste macchine? A differnza di altre volte oggi esistono robot di terza generazione che auto-imparano e sono dotati a differnza del passato, di efficenti intelligenze artificiali e che quindi in un futuro potrebbero perfino sostituire gli ingegneri. Cosa ci resta da fare? Il divertimento non so ancora per quanto possa funzionare, infatti già vediamo film di animazione e inoltre col miglioramento dei logaritmi di questi e con miglioramenti grafici potremmo avere in scena film con attori che sembrano veri ma che in realtà non lo sono.
RispondiEliminaQuesto è secondo me il punto fondamentale, anche con l'intervento dello stato che sosterrà l'offerta, che lavoro tocccherà fare a noi?
Mi farebbe un gran piacere se lei riuscisse a rispondere a questa domanda.
Basta pensare a chi in effetti:
Eliminaa) sia in grado di svolgere (e in base a quali presupposti di forma di governo, storicamente accertabili) la ricerca pura che porta alle nuove tecnologie;
b) a chi e, specialmente, in base a quale propensione al profitto, sia in grado di produrre e vendere effettivamente queste ultime; cioè sopportando il costo dell'intero ciclo di ricerca-applicazione-adattamento di processo al nuovo prodotto-fissazione di un prezzo remunerativo al costo marginale, entro un tempo di ammortamento finanziariamente sostenibile.
Da queste due domande, ne derivano molte altre.
Ma ci basti dire che senza lo Stato, e tutto l'apparato produttivo da esso apprestato, erogatore di utilità e beni indivisibili (e non "prezzabili") - che il mercato non produce per definizione (in base all'assunto degli stessi teorici dell'equilibrio neo-classico)-, non sarebbe neppure ottenibile la maggior parte dei progressi tecnologici.
Se non costruisco, col lavoro determinato dalla spesa pubblica, una strada, o non esercito un servizio pubblico di trasporto, che colleghino, a costi sopportabili, un ragazzo alla scuola dove può imparare; se poi non ho spalatori di neve o addetti ai servizi di protezione civile, o medici e infermieri che salvino le vite e ripristinino un fisiologico livello di salute, e insegnanti che consentano la diffusione graduale e diffusa di quelle conoscenze, ecc. ecc., insomma, se non ho un settore di società materialmente addetto al benessere dei consociati al di fuori del calcolo del mercato, questi fantastici mezzi tecnologici non sono inseribili nel processo produttivo e quindi sociale.
E tanto più è vasto questo settore di società addetto alla erogazione di beni e servizi pubblici, non altrimenti producibili in misura sufficiente dal mercato, tanto più probabile sarà l'inserimento di nuove tecnologie e prodotti, proprio perché fruibili: a) su larga scala (fattore culturale); b) a prezzi sopportabili (fattore della crescita diffusa del reddito).
Esistono gli aerei e hanno da decenni il pilota automatico: questo non ha eliminato le auto, che non hanno, a loro volta, eliminato i treni; e nè le auto nè i treni automatizzati possono funzionare se non con un crescente numero di esseri umani capaci di controllare il software.
Tanto più se, anche e proprio con le nuove tecnologie, posso estendere questi più evoluti sistemi di trasporto a un numero crescente di persone: il che, oltretutto, presuppone la crescente costruzione fisica di "reti" e infrastrutture. E così via...
(Ma di questo il post parla: spero sia più chiaro ora).
L'unico limite è, dunque, l'accesso effettivo per tutti alle conoscenze e alla conseguente potenzialità di scelta del lavoro: precondizioni che può garantire solo lo Stato, nel modo inevitabilmente integrale che implica la natura umana. In senso spirituale ma anche materiale: ineliminabile.
Poi si può anche pensare a una società senza esseri umani: Bazaar vi ha accennato...
Il modernismo reazionario e il culto di Gaia sono due facce della stessa medaglia, e sono espressione di una moralità antiumana, sociopatica.
EliminaIn Democrazia - intesa come realizzata sostanzialmente, ovvero intesa come insieme distinto di comunità sociali, integrate secondo art.11 Cost. nella forma di Stato-nazione e in cui il potere viene effettivamente socializzato - ossia il Sogno e non il Fogno, la "disoccupazione tecnologica" semplicemente non esiste.
Se il "potere" coincide con la quota di appropriazione del valore prodotto, è autoevidente che l'equa partecipazione alla vita economica, sociale e politica non può che avvenire anche con l'effettività dell'art.46 Cost. ipostatizzato per ogni popolo-nazione della comunità internazionale.
I popoli si organizzano in comunità e si danno delle leggi anche per temperare i rapporti di forza: il principale è quello tra capitale e lavoro, che vede strutturalmente sbilanciare nel conflitto distributivo la quota di valore prodotto dalla parte dei profitti a scapito di quella dei salari.
Non importa quanto valore prodotto per unità di fattore utilizzato, il punto è che questo sia diviso equamente: inizialmente per via normativa, in fine per dinamiche strutturali, quelle di un ordine così raffinato per cui ad ogni uomo viene garantita pari dignità - quindi - la medesima possibilità di crescere materialmente e spiritualmente insieme al resto della comunità sociale a seconda delle proprie vocazioni e delle proprie capacità.
Questa è la Democrazia.
Quello del federalismo di Spinelli, dei liberisti, e dei diversamente etici, è il Fogno reazionario dell'aristocrazia terriera e finanziaria: quello democratico sopra sintetizzato è, invece, il Sogno... rivoluzionario.
È anche utile collegare questa raccapricciante ideologia al neomalthusianesimo del Club di Roma et similia.
RispondiEliminaLa prima riflessione ci ricorda che l'ideologia è raccapricciante quanto lo è la moralità di chi l'ha propagandata.
Che, ricordiamolo, o ne è orgoglioso - «I'm proud of it!» - se è manifestamente reazionario, "liberale di destra", oppure "dolorosamente rattristato", constatando l'inevitabile distopia, l'impolitico e determistico destino «temodinamico» scientista, senza alternative, del "reazionario di sinistra", tipicamente decrescista e malthusiano. Che si sa, come da tradizione religiosa, è l'Uomo il «problema nel mondo», è l'Uomo che ha tradito Gaia e si merita l'abbattimento o una "vita di lavoro alienante" come giusta punizione per aver ascoltato il serpente che lo ha spinto a vivere «al di sopra dei propri mezzi».
Mezzi naturalmente scarsi.
Perché, come si sa, il conflitto tra classi non esiste... siamo tutti "agenti razionali" ma alcuni "sono più razionali degli altri", e debbono occuparsi dei "beni comuni". Ovviamente per "responsabilità"....
Privatizzeranno anche l'aria: chi non è compliant al sistema verrà asfissiato...
Almeno "strozzino" non avrà più un significato metaforico.
Si dà per scontato che se il valore della produzione viene distribuito completamente a chi controlla le leve tecniche del capitalismo, e costui possa decidere sulla vita, sulla coscienza, e sulla capacità riproduttiva del resto della comunità sociale, questo è conseguenza di un fattore esogeno: scarsità delle risorse naturali, progresso tecnologico, avidità genetica dei poveri cristi delle classi subalterne...
Che lo stesso concetto di proprietà sia una sovrastruttura di determinati rapporti di forza non pare venir preso più in considerazione.
Che questi rapporti di forza siano generalmente un'illusione, un prestigio che evaporerebbe nel momento in cui ci fosse coscienza sociale e di classe, non viene più in mente.
Il "parassita" che sta nella zucca svuotata dell'individuo fa il suo lavoro per rendere l'uomo una bestia, prima nello spirito che nelle sembianze.
Chi asseconda attivamente e passivamente questo monoteismo viene definito «responsabile».
Che, badate bene, come notava Strauss, con il liberalismo "responsability" non significa più "accountability", ma assume precipuamente il suo significato estensivo di virtuosa "coscienziosità".
Whitehead e Lessig semplicemente ignorano che i Dieci comandamente sono l'etica degli schiavi, non di coloro che sono responsabili.
Due morali, due legislazioni, una Legge.
Questa me l'appunto, perché vorrei tornarci sopra (specie parte in maiuscolo):
Elimina"Perché, come si sa, il conflitto tra classi non esiste... siamo tutti "agenti razionali" ma alcuni "sono più razionali degli altri", e debbono occuparsi dei "BENI COMUNI". Ovviamente per "responsabilità"....
NON PORTO I TACCHI (NI)
Elimina(otc .. tra scienza & fanta-scienza )
Un massaggio ai tacchini, magari s’accorgono di non ringraziare il forno per ringraziare ..
:-)
ps: s'ha da fare poesia satirica ..
La teoria della disoccupazione tecnologica, smascherata in modo certosino nel post, si rivela a conti fatti un’altra subdola semplificazione del liberismo. J. Rifkin fa proseliti anche in Italia pur se non citato dell’inviato del Venerdì. “Fin dai suoi albori, la civiltà umana si è strutturata in gran parte intorno al concetto di lavoro. Dai cacciatori-raccoglitori paleolitici agli agricoltori del Neolitico, all'artigiano medievale, all'addetto alla catena di montaggio dell'età contemporanea, il lavoro è stato una parte integrante della vita quotidiana. Oggi, per la prima volta, il lavoro umano viene sistematicamente eliminato dal processo di produzione; entro il prossimo secolo, il lavoro “di massa” nell'economia di mercato verrà probabilmente cancellato in quasi tutte le nazioni industrializzate del mondo. Una nuova generazione di sofisticati computer e di tecnologie informatiche viene introdotta in un'ampia gamma di attività lavorative: macchine intelligenti stanno sostituendo gli esseri umani in infinite mansioni, costringendo milioni di operai e impiegati a fare la coda negli uffici di collocamento o, peggio ancora, in quelli della pubblica assistenza” (J. Rifkin, La fine del lavoro Il declino della forza lavoro globale e l’avvento dell’era post-mercato, Mondadori, p. 23). Il tutto sviluppato in salsa deterministica.
RispondiEliminaTutte queste frescacce, ovviamente, per non dire che, usando un’espressione di Gorz, è “Il capitalismo stesso che abolisce massicciamente il lavoro” (Gorz, Miseria del presente, ricchezza del possibile, Manifestolibri, Roma 1998, p.95) attraverso la cancellazione deliberata del sistema di promozione e protezione “sociale” (dalla creazione del lavoro come obbligo dello Stato costituzionale alla sua tutela in atto). E lo fa perché cancella il concetto di persona (sostituendolo con un anonimo individuo) e soprattutto quello di società (sostituendolo con gruppo di consumatori solitari). Infatti, gli esempi da Lei indicati presuppongono indifettibilmente una “società” composta di persone, le quali per vivere bene – e godere del benessere - non necessitano solo di merci inanimate. Penso al campo della cultura - non si studia più seriamente musica, arte, teatro; penso al nostro patrimonio artistico ed archeologico totalmente abbandonato da decenni; penso al nostro patrimonio ambientale di cui ci ricordiamo solo dopo qualche tragica alluvione; penso alle periferie delle città totalmente dimenticate, alla mancanza di serie strutture sportive e di aggregazione sociale, ai servizi alla persona ed alla famiglia (mancano asili nido, servizi di assistenza domiciliare ad anziani e disabili). Gli edifici scolastici e pubblici cadono a pezzi, quelli nelle zone sismiche dovrebbero essere messe in sicurezza; la costruzione di alloggi popolari si è arrestata e quelli esistenti sono in condizioni pietose. Dovrebbero essere costruiti ospedali equipaggiati con le migliori tecnologie perché le cure migliori sono un diritto della persona, con azzeramento delle liste di attesa. A tutto ciò, per Costituzione, non può e non deve pensare “l’economia sociale di mercato”.
Tuttavia, per riprendere una frase di Touraine, “La modernità scarta l’idea di società, la distrugge, la sostituisce con quella di cambiamento sociale” (A. Touraine, Critica della modernità, il Saggiatore, Milano, p. 255).Perfettamente funzionale alla logica ed ai fini del mercato.
Breve addendum. Gli italiani aprano bene gli occhi e le orecchie: “… Anche la (effettiva possibilità di) scelta del lavoro è sin da subito tutelata dalla Costituzione: cioè essa tutela la natura “vocazionale” della scelta lavorativa, affinchè questa non risulti imposta dalle difficoltà insormontabili e quindi dalla costrizione compromissoria, su ciascun individuo, determinata dalle svantaggiate origini sociali, dalla disoccupazione e dalle cicliche crisi economiche. Tutelandosi la personalità e la dignità dell’uomo (art. 2 Cost.), attraverso il primigenio diritto fondamentale al lavoro, dunque, secondo la Costituzione, la scelta del lavoro deve poter essere tale da assecondare le qualità e le inclinazioni potenziali di ciascun individuo… A SUA VOLTA CIÒ PRESUPPONE ANCHE UN’ADEGUATA CAPACITÀ DEL SISTEMA PUBBLICO DELL’ISTRUZIONE DI FORNIRE TUTTE LE CONOSCENZE NECESSARIE PER NON LASCIARE INESPRESSE, A DANNO DELLA RICCHEZZA CULTURALE ED ECONOMICA DEL PAESE, LE QUALITÀ SOCIALI E PROFESSIONALI DI CIASCUN INDIVIDUO” (La Costituzione nella Palude, pag. 62-63). Principi e valori inauditi sono stati pensati dai nostri Costituenti, autentica poesia civile. Troppo eversiva la nostra Costituzione perché non si levasse rabbioso il “delenda carthago” dell’ordoliberismo
RispondiEliminaAnche Flassbeck ha dedicato diversi articoli (tre) alla confutazione di questo (come al solito) vecchissimo luogo comune: questo è il primo (in inglese ;-)).
RispondiElimina«Germany let the evolution of its wages lag in relation to the evolution of its productivity. It told its trading partners that they are living beyond their means. German wage moderation led to a situation in which other Eurozone countries were no longer competitive. As a result, the German trade surplus grew year after year, while trade deficits were accumulating in the partner countries. Germany’s policy was ‘successful’ because its partners had no means to defend themselves. It is no longer possible to depreciate their currencies. In the longer term, this situation is unsustainable. The deficit countries cannot cope with their ever-increasing debt levels. German wage moderation has become a danger to the existence of the euro zone.
EliminaFor the world and certainly for relatively closed economies such as the US or Europe, the result is entirely clear: declining real wages and real wages that lag behind productivity growth increase unemployment. When automatisation and robotisation (and the increases in productivity that go along with them) are not used to create additional demand, companies will have no other choice but to cut back on their workforce. This much is perfectly clear. There is, however, no logical reason for raising real wages by relying upon imperfect market processes that create major negative side effects (i.e. unemployment). We can do much better. It is entirely possible that the social partners, or the government itself if necessary, make sure that nominal wage growth corresponds to increases in labour productivity plus the inflation target. [La scala mobile!, ndr]»
Insomma, Rifkin è un cialtrone e delle capre sono coloro che lo promuovono.
Soprattutto Flassbeck ricorda anche lui come il modernismo tecnologico sia funzionale a cosmetizzare il conflitto distributivo e lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Come tutto il malthusianesimo e il movimento ecologista.
“Dobbiamo abituare la gente che l'istruzione sarà molto più lunga e costosa, le assunzioni a tempo indeterminato molte di meno, i tempi di lavoro più lunghi, i pensionamenti verranno posticipati. Le riforme non hanno solo un fine economico, ma anche e soprattutto sociale perché servono a modificare la mentalità lavorativa degli italiani” (Filippo Taddei, responsabile economico del PD, in linea con il pensiero della Lagarde, Espresso, http://espresso.repubblica.it/affari/2015/07/28/news/fmi-attraverso-la-crisi-cambieremo-la-mentalita-degli-italiani-1.222737). La disoccupazione tecnologica è un altro maledetto cavallo di Troia per far passare “il cambiamento sociale” (espressione eufemistica che, nel linguaggio neo-liberista significa “abitudine al digiuno perpetuo”): tutto è pianificato a tavolino nei minimi dettagli. Il tutto guarnito da rispettabilissimi intellettuali compiacenti da Quinta Colonna i quali indorano la pillola, come Rifkin, ma anche C. Offe e R. Dahrendorf che non perdono occasione per predicare il tramonto – come dato di fatto ineluttabile- della socialdemocrazia e del modello sociale fondato sul welfare
RispondiEliminaE dulcis in fundo: http://www.cdt.ch/mondo/cronaca/154964/polemiche-in-italia-il-cdt-svela-cosa-ha-detto-davvero-il-ministro-giannini
RispondiEliminaInutile dire che l'assunzione "a sinistra" di tutte queste belle idee, come valori programmatici incontestabili, presuppone:
Eliminaa) l'affermazione di un controllo mediatico totalitario dai contenuti tecno-pop;
b) la già avvenuta trasformazione in senso idraulico della democrazia, di cui sono sintomo lo svuotamento del processo elettorale con l'astensionismo e il sondaggismo predeterminativo di false alternative elettorali (cioè tutte interne a, e rafforzative di, un unico modello politico-economico, prestabilito in sede mediatica).
A questo meccanismo complessivo, non sfugge alcuna forma di rappresentanza politica, dato che il paradigma mediatico crea il controllo di una contrapposizione sistema-antisistema, la cui mera apparenza sfugge agli elettori, deprivati persino del linguaggio che potrebbe esprimere una comprensione razionale dei fatti.
Eloquente esempio di ciò sono la risoluzione del conflitto sociale nella questione ambientale e della tutela dei "consumatori" nonché il conflitto intergenerazionale, abbracciati dalla pseudo-opposizione sulla base della supina accettazione della "scarsità di risorse", che costituirà la nuova frontiera totalitaria delle politiche economiche future, in senso di una maggior intransigenza neo-liberista.
Ora la domanda è: chi NON si muove all'interno di questa dinamica?
Se la risposta è: nessuna forza politica rilevante (in termini elettorali), l'unico rimedio rimane quello di restaurare la conoscibilità dei fatti reali mediante la diffusione di conoscenze delle scienze sociali non tecno-pop.
Cioè, politicamente, un rimedio a effetto di lungo periodo e scarsamente praticabile.
Il che ci porta a considerare il brutale (e incompreso nelle cause) "collasso" sistemico, cioè il "finirà molto male", come l'unica previsione di cambiamento: intrinsecamente irrazionale e non correggibile se non per tentativi a posteriori.
La cosiddetta 'disoccupazione tecnologica' è semplicemente una balla: è la storia che lo dimostra, al di là di ogni apparentemente ragionevole 'ma oggi è diverso'. Con tutta la riconoscenza per il lavoro di Quarantotto, con cui mi scuso preventivamente per questa mia considerazione consapevolmente sommaria e provocatoria, impegnarsi troppo nel confutare pseudo-spiegazioni di tal fatta (parenti strette del 'decrescismo') rischia di avere l'effetto oggettivo opposto, ovvero accreditarle implicitamente ben oltre il loro infimo merito.
EliminaDall'invenzione della ruota in poi, l'evoluzione dei processi produttivi pullula di 'salti tecnologici epocali', i cui effetti cumulati avrebbero dovuto rendere da un pezzo disoccupata la stragrande maggioranza della popolazione.
Al netto della sempre insidiosa e problematica opzione della riduzione dell'orario di lavoro 'a parità di salario' (il part time lasciamolo a chi lo sceglie volontariamente), l'unica vera discriminante rispetto alla possibilità di compensare le quote di forza lavoro progressivamente 'licenziate' dallo sviluppo tecnologico è sempre stata e sempre sarà il mantenimento di un adeguato livello e tasso di evoluzione della domanda, funzionale al reimpiego delle stesse. Il che presuppone:
1) nel lungo termine, una crescita dei salari reali proporzionale a quella della produttività (ovvero, una risoluzione equilibrata del conflitto distribuitivo);
2) nel breve/medio termine, l'attuazione di politiche economiche pubbliche (in primis fiscali, industriali e di investimento) atte a sostenere e riorientare (sostituzione di consumi) adeguatamente la domanda, in risposta agli shock settoriali da 'ristrutturazione tecnologica'.
Tutto il resto non sono altro che deformi specchietti per le allodole - in cui il 'disinteressato' è direttamente proporzionale al 'decerebrato' (di stampo antropologicamente piddino) - e come tali andrebbero 'brutalmente' trattati
Diciamo che è una considerazione anche un po' contraddittoria, dato che "sommarizza" esattamente quanto già detto nel post e nei commenti. Cioè i contenuti che rischiano di accreditare i mostri (generati dal sonno della ragione).
EliminaMa per me fai bene. Chiunque si trovi a rileggere, e a rileggere, e a rileggere ancora, i concetti in questione, ne ricava quel giovamento che il post vuole apportare: non c'è niente di peggio della mancata interiorizzazione degli argomenti che smontano le supercazzole tecno-pop che i media continueranno imperterriti a diffondere.
Già. Siamo alle solite. Il vero punto (o, per non semplificare troppo, la 'condizione necessaria di fondo') è il controllo dell'agenda mediatica e della declinazione concreta dei suoi contenuti. Ma finché la baracca tiene, da lì non si passa (e, viste le manovre in corso, ho paura neanche dopo).
EliminaOT - Alcune parole di un appassionato della Costituzione che mi sembrano degne di nota (in aggiunta ad altre interessanti che lo stesso ha pronunciato un paio di sere fa in un'intervista a Ballarò sul rapporto tra moneta unica, corruzione e tagli al welfare, che mi hanno messo la pulce nell'orecchio). Metto in conto che sto scoprendo l'acqua calda, ma magari c'è qualcuno più distratto di me.
EliminaPare essersi letto "Euro e(o?) democrazia costituzionale" e "La Costituzione nella palude". E questo blog. Se ci è arrivato da solo, bravo lo stesso, ci mancherebbe.
EliminaMa non di meno, è posizione avanzata allo stato minoritaria, di cui giustamente richiama la difficile comprensione "diffusa" nel finale dell'intervista.
L'ho riletta con più attenzione. Notevole per lucidità e accuratezza di visione ed efficacia espositiva. Con questo signore sarebbe utile provare ad attivare un canale di comunicazione più diretto, tanto più se fosse farina del suo sacco.
EliminaNon c'è solo "Repubblica". Ad esempio, sottopongo all'attenzione del blog questo articolo:
RispondiEliminahttp://adapt.nova100.ilsole24ore.com/2015/04/02/come-incide-linnovazione-tecnologica-sul-futuro-del-lavoro/
ospitato sul sito del 24 ore. Ebbene, a me mi par di vedere una strana metodologia. Si parte da analisi comunque degne di attenzione, nonché dall'oggettivo riconoscimento delle diseguaglianze e dalla necessità di porvi rimedio, per poi conclcudere che (cito testualmente) "L’obiettivo deve essere quello di guidare i disoccupati verso una riqualificazione che permetta loro di acquisire nuove competenze effettivamente spendibili in un mercato del lavoro in continuo mutamento.". Vale a dire: ossia? Come lo riqualifichi un cinquantenne? O un operaio "low skilled"?
Con ciò affermandosi la mancanza di ogni alternativa alla "riqualificazione", cioè all'approccio supply-side (il "riqualificato" è solo un costo marginale diminuito nell'ambito del lavoro-merce); e dimenticando che il solo fatto di legare la dinamica salariale alla piena variazione della produttività genera di per sé la domanda che porta al rafforzamento delle filiere esistenti e alla creazione di nuovi mercati di beni.
EliminaSolo che per potersi "permettere" ciò, non si può semplicemente avere l'euro.
Cioè l'unica cosa che non può essere messa in discussione...
E infatti, in questo clima da manicomio, il titolare del bar di sotto, che dopo anni di garzonato, si è messo in proprio con sacrifici, mi ha confidato ieri che sta pensando di chiudere perché, tra il calo degli avventori, le tasse ed i debiti, non riesce ad andare più avanti. Il motivo? A suo dire perché negli anni passati “sesomagnatitutto”. Amen
RispondiEliminaA parte il simpatico e recente articolo di Zerohedge, che parla proprio dell'attuale star della tecnologia, "il computer" (e se qualcuno lo ha già linkato me ne scuso). A parte la recente notizia che il Pentagono, dopo anni di ricerche e investimenti, ha definitivamente accantonato il progetto "mulo meccanico" (che è solo un mulo, ma evidentemente non così facile da sostituire), vorrei ricordare la "informazione" sulla tecnologia.
RispondiEliminaPuntualmente anche qui gli espertoni, specie quelli "autorevoli" che comunicano su media "autorevoli", inanellano catene di bufale. Tra le tante ricordo la mitica stampante 3D con cui si poteva realizzare un kalasnikov: e perché non anche una motosega? Ma un fucile automatico fa più impressione.
Il motivo ufficiale è che l'informazione (pop) deve essere "sexy", ma questa pioggia di fandonie martella anche il concetto che "prestissimo" si potrà fare a meno della competenza umana. D'altra parte la pubblicità presenta il lato opposto dell'identico concetto: non occorre che tu sappia, basta che tu compri e avrai più magia di Harry Potter.
L'essere umano diventa completamente inutile sia come produttore che, in fondo, come consumatore: bastano i suoi soldi, o la sua carta di credito, finché qualche entità benefica glielo concede.
E una volta di più scopriamo che questa "informazione" sembra inesatta e cialtrona, mentre è perfettamente coerente e funzionale al frame.
Credo che tu abbia individuato il punto di fondo, il "take home message" di tutti questi articoli di servi prezzolati di un sistema che sembrano criticare: per loro, noi siamo inutili, anzi siamo dei parassiti. E come ogni parassita, va eliminato.
EliminaFallita la lotta del servo per affrancarsi / emanciparsi, ora è il padrone che, ripresa la piena proprietà del servo, lo vuole ammazzare di botte per sostituirlo con - a sua libera scelta - macchine o "lavoratori" più "complianti".
Lavoratori "compliant" senz'altro, certa gente non si fa illusioni sulle macchine mentre "sa" di poter sempre trovare in qualche angolo del mondo del "buon personale" "ancora come una volta" (signora mia, tutti quelli che conoscono usano le filippine...).
EliminaCome sempre leggo e, purtroppo, intuisco soltanto.
RispondiEliminaPerò mi sembra sotto gli occhi di tutti che i paesi a più alta tecnologia sono anche quelli in cui (mediamente) si sta meglio.
Non mi pare di conoscere paesi che classifichiamo come 'sottosviluppati' in cui si garantiscano i livelli di istruzione, sanità e libertà paragonabili a quelli occidentali (pur con tutte le tendenze del caso).
Ossia, se fosse vero che lo sviluppo tecnologico genera inevitabilemnte disoccupazione e quindi pevertà, i paesi meno sviluppati dovrebbero essere quelli con i redditi più alti e in cui si vive meglio (e non raccontatemi che sorridono tutti, che non si conosce lo stress, ecc ecc).
Questo implica che al più il livello tecnologico è non correlabile con il livello di benessere di uno stato.
"L'argomento è tra i più sdrucciolevoli e ingannevoli"
RispondiEliminaMi ci sono giocato delle amicizie, con gente che si riempie la bocca con la parola "Costituzione" ma crede ai robot. Non sono pentito: gli stupidi sono più pericolosi dei nemici.
Mi taccio, perché le risse le faccio sul mio blog.
Basta che guardi al commento appena sopra e puoi..ripartire di slancio (nella polemica)...
EliminaCredo che l'onda robot / machine learning / dati ecc come strumento per disintermediare e/o sostituire sia un'onda molto più forte e lunga di quanto lasciate supporre.
RispondiEliminaQuanto, con quale intensità e a quali settori possa essere applicata questa indicazione è sicuramente per me il punto centrale. Tuttavia devo anche sottolineare come la tecnologia spesso è limitata nella sua applicazione da un problema di intensità che spesso viene risolto in un periodo piuttosto breve di tesmpo. Permettendo quindi di disegnare, fin da adesso, scenari plausibili, almeno fino al punto di saturazione che generà il cambio di paradigma successivo.
Ad esempio, dato per esistente internet, un monitor e un audio, cosa mi impediva di avere negli anni 90 lo streaming di serie televisive online e invece dovevo andare ad affittare la cassetta?
Fondamentalmente una differenza di intensità nella velocità di trasmissione, intensità nella qualità del video, intensità nella gestione dei datacenter in cloud, intensità nella digitalizzazione delle riprese video.
Tutte cose che non sono altro che versioni più intense tecnologicamente di cose che già esistevano. E che quindi non sono altro che punti "più avanzati" su una traiettoria già esistente.