mercoledì 15 febbraio 2017

DEBITO SOVRANO RISK WEIGHTED, BANCHE CENTRALI INDIPENDENTI E IL "MISTERO" DELLA FINANZA PRIVATA SOSTITUTIVA DELLA SOVRANITA' DEMOCRATICA


https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg2rgFa-nCuIBBNWTghf1a2FHmXzHgZuQ8N9oVZoQ3Az682Wbpyd1N6K8Us0eHYLC9nGHHKq1F1KeZeZwVOeVpedkFA1ADwAlC1cixX1j77E84amLTk2Jhk_7PYOF2fVlkj0H_dInnx7Mh8/s1600/ufficio_reclami.jpg

1. In premessa ringraziamo, per l'ennesima volta, Arturo che non solo è l'acuto "filologo" multidisciplinare che continua a segnalare le fonti più rilevanti che confermano il discorso qui svolto, ma lo fa da un livello di comprensione che rischiara la fenomenologia come scienza cognitiva unificante di ogni serio approccio alle scienze sociali. 

2. In questa occasione cerchiamo di sviluppare una dimostrazione unitaria del filo che lega, in modo consequenziale, la finanziarizzazione delle società (ex) democratiche dell'eurozona con il punto di approdo, solo in apparenza inatteso e, per taluni, sorprendente, della futura (ed imminente) regolazione €uropea dei titoli sovrani come risk weighted assets
Questa finanziarizzazione passa, come s'è visto, per la sottoposizione istituzionale, per via di trattato internazionale, autoffermatosi al di fuori dei limiti dell'art.11 Cost., dell'attività finanziaria dello Stato, e quindi in definitiva del suo perseguimento dei fini che concretizzano la sovranità costituzionale, ai "mercati"
S'è altrettanto visto come tale assoggettamento dello Stato sovrano, per via di trattato contra Constitutionem, si stabilizzi in un insieme di politiche obbligate che non solo rendono lo Stato debitore di diritto comune, - laddove la sua sovranità si esprimerebbe normalmente nel non "doverlo" essere-, ma che conducono l'intero substrato sociale di tale Stato, cioè la comunità dei cittadini, nella condizione crescente di debitori, soggetti, con il crescere inevitabile di questa "esposizione", dapprima alla vincolata riduzione del reddito e del conseguente risparmio, e poi, inevitabilmente, all'escussione del loro patrimonio a garanzia di questo credito verso il settore finanziario.

3. Cerchiamo perciò, di precisare la radice normativa "internazionalistica" di questo meccanismo implacabile, quantomeno per dare risposta a chi non riesce a comprendere come esso si sia innescato e stia sempre più agendo, ed anzi, esaltando le aspirazioni "idealistiche" enunciate nel Manifesto di Ventotene, come se fosse coerente contrapporle, (invece che porle alla sua base), alla prevalenza dell'ordine sovranazionale dei mercati come nuovo detentore della effettiva sovranità.
Questo passaggio dimostrativo ci consentirà altresì di capire quale visione della sovranità, appunto ricollocata al di fuori del suo fondamento costituzionale, giunga a far pronunciare a un leader politico come Bersani, senza suscitare particolari reazioni mediatiche o culturali, una frase come "La prima cosa che dobbiamo dire all’Europa, ai mercati, al mondo, agli italiani è: quando si vota". 
Come accade, cioè, che il principale momento costituzionalmente previsto di esercizio diretto della (ormai molto teorica) sovranità popolare sia apertamente subordinato, nella sua opportunità circa il "se" e il "quando", ad una primaria responsabilità verso l'UE e i mercati, giungendo solo all'ultimo posto il renderne conto al popolo italiano, che di questa sovranità è il titolare in base all'art.1 Cost.?

4. Partiamo da questo interrogativo per risolvere un problema che, in un certo senso critico, Zagrelbesky, si pone ma esclusivamente come registrazione di un effetto e al di fuori di qualsiasi indagine, anche solo normativa, circa le sue cause.
Il suo ragionamento è tratto da uno scritto che, già nel titolo, pare porsi il problema della sovranità: G. Zagrebelsky, "Fondata sul lavoro. La solitudine dell'art. 1", Torino, Einaudi, 2013, pp. 53, 67-69.
Qui il momento descrittivo degli effetti: 
"[...] l'economia finanziarizzata, con i suoi "prodotti" immateriali (quelli gli operatori finanziari offrono agli ingenui risparmiatori o ai troppo furbi speculatori) e con le sue "operazioni" finanziarie (quelle che si decidono in consigli d'amministrazione che non rispondo a nessuno), s'è sciolta da questo legame [con l'interesse generale]. Essa ha scavato un solco che la divide dalla vita concreta delle collettività, sulle quali essa scarica il peso dei suoi fallimenti, mentre tiene per sé, per la ristretta nuova classe che la muove, gli effetti dei suoi successi. L'economia della finanza non adempie alcuna funzione sociale, è parassitaria, saprofita."

E qui, il clou del mistero
"Il dominio dei mercati finanziari ha cambiato la nostra vita, *senza che nemmeno che [sic] ci si accorga di come ciò è avvenuto*. Per correre dietro alla speculazione finanziaria - "ce lo chiedono i mercati", "i mercati non capirebbero", "i mercati hanno bisogno", ecc. - la sovranità dei popoli è stata messa sotto tutela, la democrazia è stata impoverita, i diritti compressi o negati, la coesione sociale lacerata e, per venire al nostro tema, il bene-lavoro ha perso il suo valore di fondamento della vita sociale ed è diventato un effetto secondario o eventuale". 

5. Di certo, Bersani e Zagrelbesky, il primo dando per scontato (e incontestabile) il consolidamento di tali effetti, il secondo stigmatizzandoli, ma non sapendo indicare come ciò sia avvenuto, dovrebbero o potrebbero facilmente conoscere la radice istituzionale di essi.  
Arturo ce ne aveva offerta una sintesi fenomenologica sulla diretta derivazione dai trattati europei:
"Il divieto di finanziamento monetario è fondamentale per assicurare che il raggiungimento dell’obiettivo primario della politica monetaria (principalmente il mantenimento della stabilità dei prezzi) non sia ostacolato. Inoltre, il finanziamento del settore pubblico da parte delle banche centrali attenua gli incentivi per una *disciplina di politica fiscale*. Tale divieto deve pertanto essere interpretato estensivamente in modo da assicurare una sua rigorosa applicazione ed è soggetto solo ad alcune esenzioni limitate contenute nell’articolo 123, paragrafo 2, del trattato e nel Regolamento (CE) n. 3603/93." 
Non è ancora abbastanza chiaro? 
b) Prendiamo allora il regolamento 3603/93, considerando 8, che chiarisce la ratio dell'eccezione rispetto al principio generale: "considerando che, nei limiti fissati dal presente regolamento, l'acquisizione diretta, da parte della banca centrale di uno Stato membro, di titoli negoziabili del debito pubblico di un altro Stato membro non può contribuire a sottrarre il settore pubblico alla *disciplina dei meccanismi del mercato* se l'acquisizione è effettuata unicamente ai fini della gestione delle riserve valutarie;"
6. La conclusione è che le denunce di effetti di cui non si indicano mai le cause (in tutto il libro non si fa menzione né un vago accenno né all'euro né ai trattati europei) e che si concludono invariabilmente col più Europa, risultano del tutto inutili per individuare una qualunque soluzione e, anzi, rafforzano le difficoltà da cui si vorrebbe uscire.

Oggi, come abbiamo ancora una volta visto nel post precedente, la prospettiva della nuova disciplina dell'eurozona di riqualificazione dei titoli sovrani come risk weighted assets, è solo lo sviluppo coerente di questa finanziarizzazione e di questa disattivazione della sovranità degli Stati, sottraendola ai popoli che ne sono i detentori in base alle Costituzioni democratiche.

6.1. Ancora una volta Arturo segnala i fondamenti teorico-economici e istituzionali di tale inevitabile step ulteriore in questa univoca direzione (inserisco nel suo commento la traduzione in italiano dei brani in inglese):
"Sulla proposta di nuovo regolamento, segnalo, fosse sfuggita a qualcuno, la pregevole intervista a Marco Zanni realizzata da Messora.
Vale la pena linkare anche l'intervento di Benoît Cœuré di cui parla Zanni: il nostro ammette candidamente che la rischiosità del debito pubblico dei paesi dell'eurozona dipende esclusivamente dall'assetto istituzionale di quest'ultima
"E nelle economie più avanzate, come altrettanto nella maggior parte dei modelli macroeconomici, il debito degli Stati è concepito anch'esso come sicuro.
Sussiste un'effettiva piena unificazione (ndr: intesa come armonizzazione nei fini) tra il bilancio della banca centrale e quella dell'autorità fiscale, tale da rendere il debito governativo risk-free in termini nominali.
La banca centrale può gartantire il suo pagamento in liquidità e per il suo pari valore in tutti gli Stati del mondo. Perciò non c'è alcun rischio di credito connesso ai  sovereign bonds, sebbene essi possano tuttavia comportate un rischio di inflazione se la banca centrale è sollecitata dal governo a finanziare deficits inflazionari.  
Nell'area euro, tuttavia, questa stessa relazione istituzionale non può applicarsi.
Si ha una banca centrale e diciannoce differenti autorità fiscali, i paesi membri non assumono la responsabilità per il debito di ciascun altro, e alla Banca Centrale Europea, per ottime ragioni, è vietato dal Trattato "il "finanziamento monetario", che significa l'acquisto diretto del debito dei vari Stati membri ".

E quali sono queste "very good reasons"? 
Presto detto: "Il debito sovrano nell'eurozona è così esposto al rischio di credito in un modo in cui non lo sono le altre economie avanzate"
E ciò accade invero per un disegno intenzionale. La costruzione dell'eurozona - la proibizione di finanziamento monetario racchiusa nel trattato UE, la “no bailout clause”– è deliberatamente intesa a incoraggiare i mercati a differenziare tra i debiti sovrani dell'eurozona basandosi sulla loro sostenibilità fiscale.
L'idea è che l'esercizio della disciplina di mercato appresterà un continuo controllo sulle azioni dei governi, che condurrà a sua volta a politiche più solide (ndr; tali nella visione dei mercati, cioè dei creditori finanziari, secondo la logica del loro profitto, quindi sul piano delle garanzie di restituzione del capitale e della vantaggiosità dei rendimenti, accettabili come interessi reali positivi, quindi superiori all'inflazione).
Insomma, la cara dottrina delle banche centrali indipendenti, effettivamente "nuova" solo in apparenza, secondo cui lo Stato deve mettersi in mano ai mercati finanziari, severi ma infallibili giudici della "soundness" delle politiche pubbliche.
Basterà (si domanda Arturo) quanto sopra per risolvere finalmente il "mistero" di Zagrebelsky o continueremo ancora a lungo a sentire il ritornello finanza kativa/Europa buona?

7. Poiché c'è da ritenere che il mistero possa ancora a lungo rimanere tale, per avere qualche probabilità in più di una "improvvisa" di realizzazione (se non in Bersani, almeno in Zagrelbesky, che almeno scorge delle criticità nella sovranità lasciata ai "mercati" finanziari),  traduciamo anche il brano linkato (sempre da Arturo) relativo alla "apparenza" della novità della dottrina delle banche centrali indipendenti (la teoria è esplicitata in modo eloquente, ma non è per questo attendibile nei suoi vari passaggi, rinviando al riguardo alla trattazione della dottrina della BC indipendenti sopra linkata):
"La Commissione sulla valuta e gli scambi si focalizza sull’inflazzzione (chi l’avrebbe detto!):  
L'inflazione è una "modalità di tassazione non-scientifica e dissennata" (v. qui, pensiero ripreso da Einaudi, in "addendum") che produce costi della vita più elevati e consequente "malessere del lavoro".
“In secondo luogo le banche, in particolare le banche di emissione, devono essere indipendenti dalla pressione politica al fine di agire esclusivamente “entro le linee di una finanza prudente"(Resolution III, 28). 
Più specificamente, i tassi di interesse devono salire al fine di restringere il volume del credito disponibile. Invero, "se il saggio controllo del credito porta al denaro "caro", questo risultato aiuterà di per sè a promuovere l'economia" (Resolution VII, 29). La commissione è consapevole che queste misure accrescono il costo della restituzione del debito flottante. Tuttavia afferma:
“non vediamo ragioni del perché la comunità nella sua capacità collettiva (cioè i Governi) dovrebbero essere soggetti a qualcosa di meno della normale misura di restrizione del credito che riguarda i membri individuali della comunità"  (Resolution IV, 28).”
 
Cioè lo Stato deve mettersi in mano ai mercati finanziari: lo sappiamo benissimo che il senso dell’indipendenza delle banche centrali è questo, ma le conferme fan sempre piacere.
Ovviamente “a  Brussels si è già concordi sul fatto che “E' altamente desiderabile che i paesi che hanno deviato da un effettivo gold standard debbano ritornare ad esso,” [Resolution VIII, 19].”

8. Passiamo a Genova:  
“La necessità della  political independence of central Banks allo scopo di condurre una finanza prudente è proclamata nella seconda risoluzione della Commissione per la moneta. Comunque, la Commissione di Genova, espande la necessità di cooperazione e coordinamento tra banche centrali al fine di ottenere la stabilità monetaria. See Resolutions III and XII of the Currency Commission. Il principio del free trade è centrale per la Commissione sui Cambi.
Così, nella misura in cui ci sia un deficit nel bilancio annuale di uno Stato, che è finanziato creando moneta fiduciaria o credito delle banche, nessuna riforma delle divise è possibile e nessun approccio all'istituzione di un gold standard è fattibile
La più importante riforma di tutte è quella di portare al pareggio la spesa annuale dello Stato, senza la creazione di nuovo credito non rappresentato da nuovi assets. 
Il pareggio di bilancio richiede adeguata tassazione ma se la spesa pubblica è così elevata da portare la tassazione a un punto che va oltre ciò che può essere prelevato dal reddito di un paese, la tassazione potrebbe condurre ancora all'inflazione.
Ridurre l'inflazione del Governo è il vero rimedio.
Il pareggio di bilancio dovrà essere esteso al punto da rimediare un deficit della bilancia dei pagamenti esterni, attraverso la riduzione dei consumi interni. [Resolution VII, 3]” Questa “distruzione” della domanda interna però mi ricorda qualcosa…:-)

8.1. D’altra parte tanta severità è inevitabile: “La Conferenza è dell'opinione che la severa applicazione dei principi sopra delineati è la condizione necessaria per il ristabilimento delle finanze pubbliche su solide basi.
Un paese che non si adegui al più presto nell'esecuzione di tali principi è condannato senza speranza di ripresa economica (doomed beyond hope of recovery).” 
Anche questo catastrofismo non mi risulta del tutto nuovo… 

9. Ecco appunto: queste sono le indicazioni delle Conferenze di Bruxelles e Genova del 1920 e del 1922, con le quali i banchieri centrali e gli esperti economisti del tempo volevano curare la "ripresa" economica del "primo" dopoguerra
E l'inflazione non è la "più ingiusta delle tasse": ma era, e rimane, in relazione inversa con il livello di disoccupazione (se si rammenta che i disoccupati non hanno alcun reddito), mentre, entro limiti fisiologici, è in relazione diretta con gli investimenti (nell'economia reale) sul proprio territorio nazionale.
Poi venne la crisi del 1929 e si accorsero che non riuscivano a venirne a capo con queste grandi ideone.
Ma sono le stesse del Manifesto di Ventotene (a saperlo leggere entro le sue linee ispiratrici einaudiane) e, naturalmente, dell'€uropa della pace e del benessere...

10. A proposito, c'è qualcuno che si illude ancora che si possa riformare tutto questo?
Sarebbe come chiedere uno sconto sul prezzo a un venditore di auto dopo aver acquistato, pagandola interamente, l'auto, ed averla usata per alcuni anni e centinaia di migliaia di kilometri. Se l'auto si rivela un bidone, non puoi aspettarti, a quel punto, che NON ti dicano: "il contratto è eseguito, il prezzo è stato liberamente pagato e ormai non accettiamo reclami".
Semmai, voler curare l'€uropa col "più €uropa" (o "da dentro", che è la stessa identica cosa) significa pagare un sovrapprezzo per il bidone.
Appunto: i titoli pubblici come risk weighted assets e la istituzionalizzazione della Trojka come "grande riforma"

11 commenti:

  1. Apporto qualche minimo contributo per risolvere il “mistero di Zagrelbesky”.

    Con la Risoluzione sull'Unione Economica e Monetaria (doc. A 3-99/90) il Parlamento Europeo:

    “A) considerando che l'Unione: economica e monetaria costituisce un obiettivo della Comunità dichiarato reiterato dal 1969 fino al suo inserimento nel Trattato CEE mediante l'Atto Unico ed esplicitamente ribadito dai Consigli europei di Hannover, Madrid e Strasburgo,

    B) considerando che un'armonica realizzazione di tale obiettivo è strettamente legata a un'accelerazione dell'Unione politica della Comunità, con una revisione dei trattati che determini un rafforzamento del ruolo del PE; considerando che l'Unione politica s'impone tanto più in considerazione della riunificazione della Germania e degli sviluppi in corso nei paesi dell'Europa orientale…

    C) considerando che il completamento del grande mercato interno non potrà produrre in maniera costante e permanente tutti i vantaggi che si aspettano i cittadini se non verrà rapidamente consolidato da un'Unione economica e monetaria in cui l'uso progressivo di una moneta comune (l'ECU) finirà per portare a una moneta unica…

    G) considerando che l'Unione monetaria deve garantire la stabilità monetaria e favorire il progresso economico e sociale, e che tali finalità potranno essere garantite attraverso un SISTEMA EUROPEO DI BANCHE CENTRALI, la cui autonomia dovrà fondarsi su basi giuridiche chiare,

    H) considerando che il Sistema europeo di banche centrali (SEBC) DEVE GODERE DEL PRIVILEGIO ESCLUSIVO DELLA CREAZIONE MONETARIA e quindi della capacità di utilizzare, senza alcuna autorizzazione preventiva, tutti gli strumenti di cui le grandi banche centrali moderne dispongono oggi par influenzare i mercati monetari…”

    E soprattutto:

    “M) considerando che, PER EVITARE CHE LE AUTORITÀ NAZIONALI NUOCCIANO ALL'OBIETTIVO DELLA STABILITÀ MONETARIA e alla convergenza delle politiche macroeconomiche degli Stati membri, DEVONO ESSERE ADOTTATE NORME SEVERE CHE LIMITINO RIGOROSAMENTE il finanziamento monetario dei disavanzi pubblici E PROIBISCANO IL SALVATAGGIO AUTOMATICO, da parte della Comunità, DEGLI STATI MEMBRI IN DIFFICOLTÀ FINANZIARIA…

    5. PLAUDE alla decisione delle autorità degli Stati membri DI PROIBIRE IL FINANZIAMENTO MONETARIO DEL DISAVANZO PUBBLICO E L'INTERVENTO AUTOMATICO DELLA COMUNITÀ IN SOCCORSO DEGLI STATI MEMBRI CHE VERSANO IN DIFFICOLTÀ DI BILANCIO…

    9. considera necessario creare un sistema europeo di banche centrali che decida autonomamente come attuare gli obiettivi della politica monetaria definiti dal Consiglio e approvati dal Parlamento…; onde evitare che le autorità nazionali nuocciano all'obiettivo della stabilità monetaria e della convergenza delle politiche macroeconomiche degli Stati membri, DOVRANNO ESSERE ADOTTATE SEVERE NORME CHE LIMITINO RIGOROSAMENTE IL FINANZIAMENTO MONETARIO DEI DISAVANZI PUBBLICI E PROIBISCANO IL SALVATAGGIO AUTOMATICO DELLA COMUNITÀ, DEGLI STATI MEMBRI IN DIFFICOLTÀ…”. (segue)

    RispondiElimina
  2. Il 3 aprile 1990 Europe/Documenti pubblicava un documento con il quale informava che nel corso del Consiglio informale tenutosi il sabato 31 marzo in Irlanda, i ministri dell'economia e delle finanze dei paesi della Comunità avevano esaminato l'evoluzione verso l'Unione economica e monetaria sulla base di due documenti preparati in vista della convocazione della Conferenza intragovernativa previta per dicembre, uno della Commissione europea e l’altro del Comitato Monetario delle Comunità.

    Europe/Documenti pubblicava quindi questo secondo rapporto dal titolo “L'unione Economica e monetaria al di là della prima tappa - Orientamenti per la preparazione della Conferenza intergovernativa”.

    A pag. 2, punto 4), intitolato “I principi di una sana politica di bilancio”, veniva riportato testualmente quanto segue:

    “… I seguenti elementi potrebbero essere incorporati nel Trattato:

    Gli Stati membri adottano politiche di bilancio conformi ai principi della disicplina di bilancio. Per il Comitato monetario, questi principi sono i seguenti:

    (i) OGNI FINANZIAMENTO MONETARIO ED OGNI FINANZIAMENTO OBBLIGATORIO DEI DEFICIT PUBBLICI DEVE ESSERE ESCLUSO. Ciò significa che i governi non devono aver accesso al finanziamento da parte della banca centrale e che gli istituti finanziari non devono essere obbligati ad acquistare titoli di Stato per finanziare il deficit del settore pubblico. Le operazioni del SESC su titoli di Stato interverrebbero solo per motivi inerenti alla politica monetaria.

    Il rispetto di questo principio proteggerà il buon funzionamento della politica monetaria, ma CONTRIBUIRÀ ANCHE A GARANTIRE CHE I GOVERNI SIANO SOTTOPOSTI ALLE CONDIZIONI DEL MERCATO QUANDO PRENDONO A PRESTITO. Inoltre, quando un governo prende a prestito nella moneta di un paese terzo, nessuna banca centrale dovrà essere tenuta a convertire il prodotto di questo prestito nella propria moneta.

    (ii) Ogni stato membro deve assumere la responsabilità della propria gestione di bilancio e deve assicurare che è in grado di rispettare i propri impegni. Dev'essere chiaro che i paesi membri non garantiscono i debiti di altri paesi membri. QUESTA REGOLA DEL "NO BAIL OUT" PERMETTERÀ DI ASSICURARE CHE I MERCATI FINANZIARI ESERCITINO UNA DISCIPLINA SU OGNI STATO MEMBRO CHE CONDUCA UNA POLITICA DI BILANCIO CHE NON SAREBBE APPROPRIATA IMPONENDO CONDIZIONI DIVERSE SUI SUOI PRESTITI, o, in casi estremi, rifiutando di imprestare…”.

    Gli Stati in balìa dei mercati. Questa è la solidarietà €uropea, del benessere e della pace. Il buon Gustavo risolverà mai il mistero?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie per questa ulteriore documentazione che consente di dare una totale continuità alla volontà manifestata nei trattati: la prima fase, infatti, a partire dal Trattato di Roma, doveva infatti durare 12 anni dal 1957 e, in perfetta coerenza, sfociò immediatamente nell'impegno pre-negoziale di dar vita all'unione economica e MONETARIA e le regole cui questa doveva attenersi sono sempre state le stesse.
      Da allora e senza soluzione di continuità.

      E non poteva essere diversamente, dato che, come abbiamo visto in precedenza, (in particolare nei post dedicati a Einaudi apologeta di Erhard), "L'europa che non poteva altro che essere liberista" era stata teorizzata come tale ab origine.
      Con tutto il suo apparatnik di banca centrale indipendente, monetarismo hayekiano, odio verso lo Stato sociale e democratico e TOTALE ASSENZA DI QUALUNQUE TRACCIA DI SOLIDARIETA' E COOPERAZIONE TRA GLI STATI.

      Elimina
  3. Mentre i governanti italiani sono contenti di svendere allo straniero i gioielli italiani chiamandoli "investimenti esteri", in Francia si mettono decisamente di traverso.

    Fincantieri, missione francese di Bono per Stx

    L'Italia è stata commissariata con il golpe su Berlusconi nel 2011, solamente che l'esecutore non si chiama Troika ma Monti prima ê i governi PD dopo. Una Troika tutta italiana completamente al servizio della Germania è del UE che è ancora peggio.
    Poi sè si pensa che nel 2011 il sistema bancario italiano era ancora stabile è l'Italia non ebbe bisogno di nessun finanziamento tutto questo è di una gravità inaudita.
    Comunque non penso che riusciranno ad affossare l'Italia.

    RispondiElimina
  4. Bersani ha anche detto che bisogna garantire la fine della legislatura “all’Europa e ai mercati” (pure, buoni ultimi, “agli italiani”, a cui forse sarebbe invece il caso di garantire il rispetto della Costituzione).

    Se ci si deve meritare la sospirata “fiducia” dei mercati effettivamente le elezioni possono diventare un impaccio.

    Lo illustra chiaramente la stabilizzazione degli anni Venti, su cui merita forse spendere ancora qualche parola, usando, per esempio, un memorandum riservato del 26 dicembre 1927 compilato da Benjamin Strong, all’epoca governatore della FED: “Anche mettendo in conto questi punti particolari [le discussioni sul livello della stabilizzazione] , non ho mai partecipato a una trattativa importante che fosse condotta in maniera così soddisfacente come questa. La ragione veramente sta nel fatto che l’Italia adottò le varie misure preliminari necessarie alle trattative e le eseguì con grande vigore e successo prima di arrivare alla decisione. La maggior parte degli altri paesi che hanno stabilizzato, con la sola eccezione dell’Inghilterra [sic!], non sono riusciti a raggiungere lo stesso risultato in anticipo, e devo dire che vi sono prove di grande autocontrollo e capacità di sacrificio, tali da consentire di realizzare questo programma, secondo i connotati lineari che ha assunto, senza tanti “se” e “ma” e riserve.” (G. G. Migone, Gli Stati Uniti e il fascismo, Feltrinelli, Milano, 1980, pag. 197).

    Eh, quando c’era Lui, caro Bersani…

    Non fosse chiaro il discorso, così lo spiega Migone alla pagina successiva: “E’ interessante rilevare come l’autocontrollo ammirato da Strong non consisteva che nei poteri autocratici di cui disponeva Mussolini e che già i partners della Banca Morgan aveva confrontato favorevolmente alle più complesse ed incerte procedure delle democrazia parlamentari europee. Analogamente, lo spirito di autosacrificio a cui egli fa riferimento consiste in realtà nei sacrifici imposti a quelle classi e quelle categorie che erano state colpite dal processo di disinflazione, oltre che dalla repressione dello stato fascista.
    Si può, dunque, concludere che il disegno dei banchieri privati americani viene condotto a buon fine dai rappresentati delle principali banche centrali sotto la leadership di Strong – che non manca di compiacersi per il fatto che la stabilizzazione avviene “letteralmente ed esattamente” secondo le indicazioni che egli aveva offerto a Mussolini e a Volpi, in occasione della sua visita a Roma, 18 mesi prima – e malgrado qualche inconcludente tentativo di opposizione di Montague Norman. I prestiti concessi all’Italia nei mesi precedenti sono garantiti dal consolidamento della lira italiana, ma soprattutto dal processo di stabilizzazione del regime e del rapporto di forza fra le classi sociali su cui esso poggia, secondo il disegno di ricostruzione e restaurazione che la finanza americana portava avanti con coerenza in tutta l’Europa
    ”.

    RispondiElimina
  5. Il libro di Migone, che non mi stancherò mai di raccomandare, ha l’enorme pregio di attingere a documenti di prima mano - a cui a quanto pare l’autore riuscì ad avere accesso grazie a Raffaele Mattioli - che mostrano, con brutale franchezza, quale logica stia dietro alle amene chiacchiere su “fiducia” e “riforme” e quanto essa sia radicalmente incompatibile con la democrazia.

    Tra l’altro il libro è stato di recente tradotto in inglese e fornito di una deliziosa prefazione metodologico-autobiografica, da cui scopriamo che all’epoca della ricerca l’autore era un left-wing liberal Catholic e di cui merita riportare un estratto (The United States and Fascist Italy, Cambridge University Press, NY, 2015, pagg. xxi-xxii): “But for that first question, concerning the swift and enduring approval of the Mussolini coup, with a naiveté at the time totally unencumbered by any Marxist culture, I had no simple reply. My initial preoccupation was to avoid the generic pitfall of so-called diplomatic history, still rampant in Italy and elsewhere: an exclusive focus on diplomatic documents, what A. J. P. Taylor would define as “what a clerk writes to another clerk.” I realized from the very beginning that American diplomats reporting from Rome, though consistently more than positive, indeed enthusiastic, about the budding Fascist regime, were only a part of the explanation. Focusing mainly on the press led me to the right path. The editorials of the New York Times, rather than the Boston Evening Transcript – of course to be compared to many other sources – gave me the temperature of those in command rather than the obvious silliness of an ambassador. His name was Richard Washburn Child, future editor of the Saturday Evening Post, biographer, and staunch propagandist of Mussolini, flattered out of his mind by a prescient visit, in itself significant, by the dictator and deeply affected by a high-flying Roman aristocracy most ambassadors liked to socialize with. After all, newspapers had editors and owners, not devoid of interests and relationships beyond journalism, who liked to travel, accustomed to formulating a point of view toward any international development of a dimension that could not be ignored, in spite of the isolationist mood prevailing on the other side of the Atlantic. I gradually discovered that the American ambassador and his successors were not individual tenors but part of a chorus. And that chorus, with very few politically marginal discordant views – as proved by John Diggins’s accurate exploration of printed sources – only briefly ceased to sing after the murder of Giacomo Matteotti, a Social Democrat who turned out to be Mussolini’s bravest opponent in Parliament, which shook the regime in the mid-1920s. The music resumed until and beyond the invasion of Abyssiniain the mid-1930s.
    This clearly required a set of explanations not immediately available to a curious graduate student. That liberal naiveté perhaps served me well. When I paid a visit to Raffaele Mattioli, his question was “Are you a Marxist?” My answer was clearly in the negative, but also that, by reading documents produced by central banks and investment bankers rather than Marx and Engels, maybe I was about to become one. This answer seemed to satisfy the old man, who then helped me gain further access to otherwise-sealed banking archives.


    Dai, con questi chiari di luna una risata ogni tanto ci vuole. :-)

    RispondiElimina
  6. Caro Arturo, è proprio vero che ogni tanto ci vuole una risata. E che sia.

    Il Luigino nazionale ci riporta alcune osservazioni che un certo C. Mc Guire dell’Institute of Economics di Washington scriveva in un proprio volume del ’26 dal titolo “Posizione economica internazionale dell’Italia”. In detto scritto, con riferimento ai prestiti richiesti dall’Italia, Mc Guire osservava:

    “… L’Italia deve, per fermo, limitare l’aumento dei prestiti fatti all’estero. Noi non intendiamo dire che si debba opporre una barriera automatica contro le ordinarie operazioni di credito necessarie per condurre in porto il pagamento delle importazioni. Queste operazioni debbono crescere alquanto a mano a mano che il volume del commercio internazionale cresce e che il reddito nazionale aumenta. Fintantoché l’incremento delle operazioni ordinarie di prestito è proporzionato alla maggiore attività economica del paese, non vi può essere grande pericolo che l’Italia si carichi di un peso troppo forte.

    Ma non è irragionevole pensare che il debito privato contratto all’estero, sia in conto corrente, sia a scadenza lunga, non debba essere lasciato crescere rapidamente. La linea della minore resistenza per l’Italia è di continuare a far largamente debiti all’estero per scopi sia pubblici, sia privati. Se si bada solo alla teoria che nuovi prestiti esteri renderanno possibile una produzione più economica, si può giustificare, a primo aspetto, qualunque cifra di nuovi indebitamenti. Non bisogna però scordare che l’obbligo di pagare all’estero interessi esercita una cresciuta pressione sui cambi e che, se le desiderate migliorie interne potessero compiersi senza ricorrere a prestiti esteri, la situazione nel suo complesso risulterebbe sostanzialmente più forte. Vi è, invero, oggi scarsezza di mezzi liquidi in Italia; e questo fatto stimola e sembra giustificare il ricorso a nuovi crediti esteri.

    L’ITALIA SI TROVA, TUTTAVIA, ALLA VIGILIA DI UN PERIODO DI RIAGGIUSTAMENTI FINANZIARI E DI DEFLAZIONE. Quando il periodo di depressione avrà termine, il mercato monetario italiano si troverà grandemente sollevato e l’emissione di prestiti interni a più moderati saggi di interesse diventerà nuovamente possibile così come è stato di altri paesi posti in condizioni simiglianti. Tutt’al più, i prestiti esteri possono soltanto prolungare il periodo di inflazione e posporre l’avvento della stabilità finanziaria; non possono ovviare alla necessità di un equilibrio definitivo di prezzi e di un aggiustamento negli affari…

    I debiti esteri pubblici e privati dell’Italia sono grandemente cresciuti in conseguenza della guerra senza un corrispondente miglioramento della potenza produttiva del paese; e quasi tutti questi debiti, eccetto quelli verso governi esteri, sono stati contratti a saggi relativamente alti di interesse. Carichi crescenti di interesse, se non siano frenati diventeranno minacciosi per la conservazione dell’equilibrio finanziario; e gli indebitamenti in conto corrente, se non siano consolidati, turberanno permanentemente la stabilità dei cambi. Ove si tenga conto delle incertezze relative al futuro del commercio italiano e dei guadagni per rimesse di emigranti, servizi resi a forestieri e simili, ogni sforzo dovrebbe ovviamente essere fatto nei prossimi anni per ridurre il carico degli interessi pagabili all’estero. Se gli interessi dovuti ai detentori esteri di titoli di prestito italiani, pubblici e privati, continuano a crescere, il paese finirà di non potere sfuggire a gravi difficoltà di cambio nel giorno in cui i carichi annui dei debiti di guerra comincieranno ad avvicinarsi al massimo… (segue)

    RispondiElimina
  7. Luigino, però, non era d’accordo con tale analisi e così si esprimeva in proposito:

    “Di solito, si rimprovera agli stranieri (americani del nord), di volerci far prestiti per potere dominare le nostre industrie e di volerci infliggere un loro cosidetto tipo-oro allo scopo di garantirsi meglio il servizio dei prestiti che intendono farci; e si ha da molti l’impressione che le banche degli Stati Uniti concepiscano l’Europa (e l’Italia con essa) come un territorio quasi coloniale in cui impiegare ad alto frutto i capitali esuberanti al loro paese (NdF: ma va, Luigino, nessuno pensa queste cose!)

    Quanto ai prestiti consolidati, fa d’uopo distinguere tra prestiti di Stato e prestiti privati. È nota la destinazione del prestito emesso dallo Stato italiano negli Stati Uniti per mezzo della ditta Morgan. Il valsente fu trasferito in natura ossia in oro od in certificati d’oro alla Banca d’Italia contro cancellazione di un equivalente debito dello Stato verso la Banca. Oggi quella somma è proprietà della Banca d’Italia e fa parte della sua riserva metallica. Lo Stato ha il carico degli interessi (7 milioni di dollari all’anno) e dell’ammortamento (1,5 milioni di dollari) del debito contratto. A quest’onere non corrisponde nell’economia nazionale nessun diretto incremento di reddito. L’ITALIA DOVRÀ FARVI FRONTE CON UNA RESTRIZIONE DEI CONSUMI O DEI RISPARMI FATTI SUL REDDITO GIÀ ESISTENTE (NdF: ovvero deflazione, ma è robetta di poco conto).

    Tuttavia, se il prestito era la condizione necessaria per ricostituire la riserva aurea ad un livello sufficiente a consentire la ripresa futura dei pagamenti metallici, esso sarà stato il meno oneroso ed il più giustificato di tutti i prestiti esteri… Non ci deve indurre in timore il malo esito del prestito Magliani dei 644 milioni di franchi-oro, fatti venire d’Inghilterra e d’altrove con gran sacrificio nel 1851 e nel 1882, quando si volle abolire il corso forzoso ed emigrati dippoi senza lasciare alcuna traccia di bene, quando il cambio ricominciò a salire. Affinché ciò non succeda, basta che la circolazione cartacea fiduciaria sia, dopo la ripresa dei pagamenti metallici… governata in modo da non eccedere la quantità necessaria agli scambi interni al livello prescelto dei cambi. Il che dipendendo esclusivamente da noi, L’ONERE DI INTERESSI E DI AMMORTAMENTO DEL PRESTITO MORGAN APPARIRÀ LIEVE IN CONFRONTO AL VANTAGGIO DELLA CONSEGUITA STABILITÀ MONETARIA… (segue)

    RispondiElimina
  8. Per i prestiti privati, altro è il discorso. Sia che il loro valsente sia speso dai debitori privati contraenti sia che essi lo cedano, come consentono recenti decreti, al tesoro, la loro sostanza economica si riduce all’importazione di una data quantità di merci pagate colla cessione al venditore straniero del credito aperto all’estero a favore del debitore. Il prestito di 10 milioni di dollari contratto da una società elettrica a New York non fa importare 10 milioni di dollari in oro in Italia. La società non ne trarrebbe alcun pro, ché con i dollari-oro essa non paga in Italia operai, non compra macchine o cemento o filo di rame. Essa può utilizzare direttamente i dollari avuti in prestito per comprare all’estero macchine o filo di rame, ovvero può cedere i dollari ad altre ditte…affinché i cessionari possano con essi pagare merci o macchine importate.

    Il prestito estero ha sempre avuto questo significato: consentire l’esportazione di merci dal paese mutuante e l’importazione di merci nel paese mutuatario senza corrispondente importazione od esportazione di merci o servigi in pagamento. Nel momento in cui il prestito si contrae, crescono le esportazioni dagli Stati Uniti ed aumentano le importazioni in Italia. Gli Stati Uniti si contentano di essere pagati con la promessa di un certo numero di annualità di dollari scaglionati nel tempo; e sembra che essi, per l’incremento delle esportazioni, abbiano quella che si suol dire una bilancia «favorevole», il che in questo caso significa possedere un credito di più. L’Italia importa merci e le paga con quella tal promessa; e si dice perciò anche che essa ha una bilancia «sfavorevole», ciò volendo significare che sono cresciute le sue importazioni senza necessità di esportare subito altrettanta merce in pagamento.

    Nel momento in cui si indebita, l’Italia ha perciò una bilancia commerciale “sfavorevole”; e l’ha “favorevole” nel momento in cui si sdebita.

    Conclusione: I DEBITI PRIVATI ALL’ESTERO SONO VANTAGGIOSI QUANDO VI SIA AFFIDAMENTO CHE ESSI DARANNO LUOGO AD UN INCREMENTO DI PRODUZIONE NETTA NAZIONALE ALMENO UGUALE ALL’ONERE DI ANNUALITÀ PASSIVA DEL DEBITO…” [L. EINAUDI, La Riforma Sociale», marzo-aprile 1927, 97-111].

    Penso che da troppo tempo l’Italia è alla mercé di gente del genere

    RispondiElimina
  9. Una piccola "rimebranza" storica (forse in parte OT).

    Dal resoconto stenografico della Camera dei deputati del 7 luglio 1893. Esame del ddl sugli istituti di emissione.

    [...]

    Prampolini. Ho chiesto di parlare per una dichiarazione che vuol essere anche una vera protesta...

    Presidente. Parli.

    Prampolini. "Veramente la protesta si dovrebbe estendere a tutta la legge. Ma [...] io protesto contro il nuovo benefìcio che si vuole accordare agli azionisti, i quali, per quanto possano versare in condizioni poco favorevoli di fronte a quelle degli anni scorsi, tuttavia stanno sempre molto meglio di tanti altri cittadini che non hanno mai avuto e non hanno alcun favore dal Governo.
    Ricordo che più volte ho chiesto alla Camera provvedimenti per i disoccupati: e non ho potuto ottener mai nulla!
    Il Governo non ha fatto che rispondermi di non poter far niente! (Rumori).
    Perchè non venite a proporre che i piccoli proprietari, che al pari dei lavoratori si trovano in condizioni miserevolissime, non paghino le tasse ? Soltanto agli azionisti delle Banche si permette di non pagarle?
    Questo dimostra una sola cosa: [...] la giustezza di quella teoria socialista, la quale ritiene che il Parlamento non faccia che gli interessi della borghesia, non è che un comitato d'affari dell'alta borghesia. (Rumori vivissimi).

    Presidente. Ma, scusi, non dica di queste cose, e non offenda la Camera!

    Prampolini. Io non offendo nessuno. Faccio la constatazione di un fatto indiscutibile.

    [...]


    RispondiElimina
  10. "...lo Stato deve mettersi in mano ai mercati finanziari: lo sappiamo benissimo che il senso dell’indipendenza delle banche centrali è questo, ma le conferme fan sempre piacere."

    Giusto per ricordarne una, l'idea che l'€ avrebbe abolito il vincolo esterno va proprio in questa direzione. Riprendo Goofynomics da qui e qui.

    "E poi, il costo del lavoro potrà sempre cambiare, le politiche fiscali nazionali e comunitarie potranno assorbire parte degli shock e aiutare gli aggiustamenti, e il vincolo della bilancia dei pagamenti scomparirà. (Michael Emerson)". Tradotto:

    "...i nostri amichetti ci stavano dicendo che sarebbe stato possibile indebitarsi con l’estero senza limiti. In termini analitici (leggetevi il post sulla Grecia se non lo avete fatto: leggetelo, e rileggetelo) è infatti contabilmente sempre vero che:

    X – M = S – I

    Quindi dire che il saldo fra risparmio e investimento “non sarebbe stato vincolato a livello nazionale”, cioè che un paese non sarebbe più stato tenuto a finanziare i propri investimenti con il proprio risparmio, equivale a dire che il vincolo esterno non avrebbe più vincolato le singole economie nazionali, cioè che non sarebbe più stato necessario finanziare le proprie importazioni con le proprie esportazioni."

    Ma questo ovviamente fintanto che I>S, ossia fintanto che c'è qualcuno che è disposto a finanziare il deficit, ossia:

    "E come sarebbe stato possibile svincolare S da I o X da M? Ma ve l’ho detto tante volte (al mid-term goofy dell’anno scorso, in L’Italia può farcela, ecc.): perché S. Mercato Privato avrebbe dato i soldi a tutti e soli quelli che ne avrebbero avuto bisogno ed erano in condizioni di restituirli."

    In sostanza il mercato finanziario avrebbe determinato, o si vorrebbe che determinasse, sulla base delle sue informazioni, o più prosaicamente interessi, nient'altro che il livello di importazioni che un paese si sarebbe potuto permettere. Al far notare questa cosa a Fabio Scacciavillani mi sono visto rispondere "Esatto". Le conferme fan sempre piacere.

    RispondiElimina