Post di Bazar
«La
Camera dei deputati del Parlamento italiano ha approvato il cosiddetto “decreto
semplificazioni” che contiene le definizioni legali di blockchain, o meglio,
“tecnologie basate su registri distribuiti” (DLT) e degli smart contract,
con le relative linee guida.» cryptonomist.ch
1. L’agenda digitale presenta
sé stessa, come ogni programma di riforme
sociostrutturali neoliberiste,
come una forma di progresso tecnologico che semplificherà la vita
dei cittadini, pardon: utenti.
Questa
“agenda” è un documento programmatico che va ideologicamente inquadrato in
quell’ambito di provvedimenti volti alla privatizzazione dello Stato e al
controllo totalitario del lavoro e di tutte le attività e funzioni in cui
l’individuo sviluppa la propria personalità; ovvero, l’agenda digitale è
un’agenda politica.
Inquadriamo
innanzitutto il fenomeno della digitalizzazione nell’ambito privato.
La
secolare propaganda del progressismo liberale – trita e ritrita – si
presenta sempre con i medesimi ideologemi:
a) Il progresso scientifico
permette a tutti di vivere da borghesi benestanti (e se voi invece no – ça
va sans dire – è perché non meritate).
Chi
riceve il messaggio dà così per scontato che il consumo di massa non abbia a
che fare con particolari scelte politiche e che, a loro volta, queste scelte
abbiano a che fare con lotte tra classi o durissime dialettiche tra sezioni del
medesimo ceto, tra gruppi d’interesse.
I
consumi di massa possono essere ottenuti e mantenuti in almeno due modi che
possono avere risvolti politici e sociali contrapposti:
(I)
vengono aumentati
i salari in modo che la domanda aggregata cresca (tutti i lavoratori diventano
mediamente più ricchi e possono comprare beni volti a migliorare la qualità
della loro vita).
(II) vengono tenuti bassi i costi di
prodotti e servizi con un’elevata disoccupazione a esercitare pressione al
ribasso sui salari (generalmente col fine di competere sui mercati
internazionali, a beneficio di chi fa profitti con le esportazioni o a
beneficio di chi investe dall’estero. Quest’ultima figura preferisce la
svalutazione interna agli aggiustamenti di competitività tramite svalutazione
monetaria che erode gli eventuali utili da investimento: ogni riferimento all’euro non è
casuale).
Man
mano che i salari diminuiscono, i consumi di massa vengono mantenuti
artificiosamente alti tramite l’aumento del credito al consumo: i lavoratori
risparmiano sempre meno e si indebitano.
b) La tecnologia permette di abbattere
i costi semplificando i processi della produzione (e “la vita” tout
court… ).
Poiché
in una società veteroliberale – come quella contemporanea – vige il dogma della legge di Say, chi si dota di nuova tecnologia
ritiene che automaticamente abbatterà i costi e aumenterà i profitti.
Poco
importa se le nuove tecniche produttive messe a disposizione verranno
acquistate anche dai concorrenti e che la vera innovazione che dà vantaggi
competitivi è quella che nasce all’interno dell’impresa o, su tutto, dagli
investimenti dello Stato.
In
realtà, il punto è che chi non si dota della tecnologia prodotta e venduta da
oligopoli ben connotati nazionalmente rimane escluso dagli affari, ovvero dalle
relazioni sociali più importanti
per la sopravvivenza.
Si pensi ad esempio alle suite da ufficio o alla posta elettronica.
(Le
altre relazioni fondamentali per la sopravvivenza non sono quelle che si
occupano di produzione, ma di ri-produzione della vita: anche di queste il totalitarismo
neoliberale si sta già occupando)
NOTA:
quando vengono
venduti i prodotti ad alta tecnologia, non viene venduta la tecnologia in sé,
ossia, il know-how, il cui controllo costituisce il reale vantaggio. Il
soggetto-utente si trova quindi in una situazione detta di lock-in:
le sue attività sono esternamente vincolate da un fornitore che dispone
della tecnologia – e delle interfacce – per poter operare ed avere
rapporti economici e sociali. I costi dall’uscire dal vincolo sono
talmente alti da scoraggiare altre soluzioni.
c) L’innovazione è cool, à
la page – sempre e comunque – di qualsiasi tipo essa si tratti e qualsiasi
utilità essa abbia; è un sinonimo di moda, ma può contare anche sull’allure che
le conferisce il mito del progresso: la tecnologia è una moda che non ritorna
mai. (E alla quale, come abbiamo visto sopra, chi non si adatta è fuori, out. O fichi o perduti: non ci sono vie di mezzo).
2. In particolare, quando si ha a che
fare con l’informatica – intesa in senso ampio come disciplina che si occupa di
elaborare, gestire, archiviare e scambiare automaticamente le informazioni
digitalizzate – si parla di una tecnologia nei suoi fondamentali pressoché
invariata dalla sua nascita, ma che – grazie allo sviluppo dei materiali,
dell’elettronica, e delle scienze che ne permettono le applicazioni – è
diventata pervasiva tanto nella sfera professionale, quanto nella sfera
privata. E, con l’agenda digitale, la sua pervasività viene programmaticamente
estesa anche a quella pubblica.
Sugli
effetti sociologici ci sarebbe da discuterne diffusamente; ci si limita a far
notare che gran parte delle informazioni che profilano la persona – fisica o
giuridica che sia – viene mediata automaticamente da dispositivi elettronici
per poi essere digitalizzata e archiviata.
Ciò
che Internet e la potenza di calcolo permettono ora è soprattutto
l’incredibile quantità di livelli di astrazione che separano l’individuo dai
dati che scambia: questi dati vengono archiviati e duplicati un numero
indeterminato di volte su diversi – e perlopiù sconosciuti – dispositivi fisici
che sono gestiti automaticamente da software, anch’essi perlopiù
sconosciuti.
Gli
oligopoli che producono e controllano le infrastrutture fisiche ed informatiche
rappresentano un mercato altamente concentrato e caratterizzato da
significative barriere all’entrata: i clienti sono per lo più esternamente
vincolati (v. sopra) e le norme giuridiche tendono a blindare la
discrezionalità con cui de facto vengono gestiti i dati digitalizzati
che riguardano i portatori di interesse delle imprese o le relazioni sociali
dell’individuo. Ad esempio l’evoluzione delle norme sulla privacy non
rappresenta altro che un’evoluzione degli strumenti con cui gli oligopoli si difendono
giuridicamente dai danni che possono cagionare nella gestione dei dati a loro
affidati.
Insomma,
la struttura totalizzante del neoliberalismo digitale è presto descritta:
(a)
il capitale oligopolistico controlla sempre più il flusso delle informazioni;
(b)
il diritto si sovrastruttura secondo questi rapporti di forza;
(c)
la politica si appiattisce alle esigenze del capitale oligopolistico
rappresentato dalle istituzioni sovranazionali;
(d)
vengono recepite direttive e linee programmatiche da parte di organismi
sovranazionali e promulgate leggi a favore della diffusione della
digitalizzazione;
(e)
le informazioni danno strutturalmente un vantaggio competitivo al capitale
sempre più monopolistico;
(f)
il capitale sempre più monopolistico schiaccia politicamente sempre più
qualsiasi istanza lavorista, imprenditoriale e democratica in tutto il globo;
Si
torna ad (a).
Le
proteste e i rilievi del Garante per la Privacy non sono serviti ad evitare
l’avvio del sistema di fatturazione elettronica in Italia.
I
disagi sono enormi, come sempre capita quando l’interazione umana nella
gestione di servizi pubblici o privati è sostituita da interfacce
automatizzate.
Quello
che sta avvenendo socioeconomicamente – definito il capitale come «rapporto
sociale mediato da cose» – è il feticismo portato al parossismo: la relazione di dominio
fondamentale tra chi è proprietario e vive di rendita, e chi deve lavorare per
vivere, viene completamente mimetizzata e offuscata – oltre che da astrazioni
economico-finanziarie – da astrazioni di carattere tecnologico.
Diventa
di fatto impossibile personalizzare il potere economico e, di conseguenza, la
sua influenza sulle decisioni politiche diventa incomprensibile,
cristallizzando l’irresponsabilità assoluta di chi prende le decisioni che
contano: in breve, chi vive di rendita si assicura un potere politico sempre
più al riparo del processo democratico e un controllo assoluto su chi deve
lavorare per vivere.
4.
Elementi di «oppressione digitale»
La
tecnica non è neutrale:
nasce sociopoliticamente orientata per raggiungere gli obiettivi di chi ne
finanzia lo sviluppo e la diffusione.
4.1 Il primo elemento fondamentale da
considerare dalla prospettiva del conflitto è che la digitalizzazione di massa
– come tutte le grandi rivoluzioni tecniche – aumenta in modo importante il
potere dei proprietari dei mezzi di produzione sui lavoratori: la conseguenza
principale è la pressione esercitata sul livello dell’occupazione. In sintesi,
la retorica intorno all’agenda digitale ha come obiettivo principe aumentare la
disoccupazione; la produttività aumenta ma la quota di ricchezza che va a
remunerare il lavoro no: semplicemente l’automazione dei processi – senza
l’intervento delle istituzioni democratiche – distrugge posti di lavoro.
(Chiaramente,
seguendo questa traiettoria, chi, disoccupato, rimarrà fuori definitivamente
dal processo produttivo, verrà malthusianamente gestito)
4.2 Il divario digitale – digital
divide – non è altro che un elemento retorico parte del framing neoliberale che ha l’unico scopo di accelerare
– fate presto! – la diffusione di alcune tecnologie studiate per il
consumo di massa (non si sono mai sentite potenze imperialiste spronare a
colmare il divario tecnologico in ambito industriale o militare), la
difficoltà o impossibilità d’uso delle quali può essere addebitata a presunte
incapacità e ignoranza degli utenti: insomma, la solita strategia blame the victim.
(Se
non si hanno gravi problemi di relazione, chiunque preferisce interfacciarsi
con una persona umana piuttosto che con una macchina. Così, per inciso: dire
l’ovvio è notoriamente rivoluzionario)
La
tecnologia sottostante, la c.d. blockchain, nasce ab origine con
l’obiettivo di bypassare qualsiasi “certificatore terzo” che controlli
(vigili, redima: insomma, istruisca) qualsiasi tipo di transazione economica o
processo giuridico e politico.
Per
“certificatore terzo” rispetto alle parti in dialettica si intende il notaio,
il giudice, la banca centrale… insomma, lo Stato.
Lo
Stato è quell’ente costituito da innumerevoli istituzioni che esercita il
potere politico (la sovranità) in un determinato territorio.
Nel
modello di democrazia sostanziale delineato dalla nostra Costituzione, come
negli anni hanno spiegato le voci più raffinate del
costituzionalismo italiano,
lo Stato è ente strumentale all’esercizio della sovranità del popolo. È
intuibile che i detentori del potere economico non gradiscano un simile assetto
e siano ben disposti ad approfittare di ogni occasione per ribaltarlo sempre
più irreversibilmente.
Con
il ricatto del libero movimento di capitali, il movimento forzato di lavoratori
(emigrazione, immigrazione), e con gli accordi monetari la globalizzazione
finanziaria ha già sottratto (e non semplicemente “limitato”) importanti
prerogative sovrane agli Stati democratici. (Che non per questo sono sparite,
ovviamente: sono solo state rese democraticamente irraggiungibili).
Sono
pochi gli Stati che si sono sottratti dal cedere importanti porzioni di
sovranità agli oligopoli privati: tra questi ricordiamo la Russia, la Cina e
l’Iran.
Non
ci meraviglia quindi leggere sulle colonne dei giornali iraniani che: «la tecnologia blockchain
può aiutare a migliorare l’economia nazionale» – E che: «Questo è
possibile rinforzando l’infrastruttura della tecnologia blockchain con
l’aiuto del governo e del
settore privato». Così afferma Alireza Daliri, capo
di un dipartimento della scienza e della tecnologia iraniano.
Viene
poi ricordato che «secondo l’ultimo report dello Europe Union Blockchain Observatory and
Forum (EUBF) le blockchain, affinché realizzino il proprio
potenziale all’interno
delle istituzioni statali, queste devono concentrarsi sulla tecnologia
per costruire due cose: l’identità
digitale e la versione digitale delle
proprie monete nazionali.»
«L'identità digitale è la
componente fondamentale e un'area chiave su cui i governi devono concentrarsi»
– si legge nel rapporto – «Un altro elemento importante ... consiste nell’avere
versioni digitali delle valute nazionali sulla blockchain, ad esempio
attraverso le valute
digitali di banche centrali basate su blockchain (CBDC)».
Inutile
ricordare che monete emesse tramite la tecnologia blockchain sono per costruzione deflattive ed
emesse secondo un algoritmo
che elimina tecnocraticamente il conflitto intrinseco che ci dovrebbe essere
tra capitale e lavoro per regolare l’inflazione e, quindi, l’occupazione.
«Il
dominio delle leggi che si autoeseguono non avrà più bisogno di alcuna sanzione
statale, perché le funzioni di coordinamento del mercato mondiale bastano a una
integrazione pre-statale della società mondiale» Habermas, 2005
Uno
spazio per una dialettica politica volta a equilibrare il conflitto sociale è
fondamentale per chi si ritrova in posizione di svantaggio e rivendica diritti
economici, politici o sociali; per chi è in posizione di forza il conflitto
genera un’alea e preoccupazioni che disturbano la sicurezza della propria
posizione, la certezza del proprio privilegio.
Poiché
la concentrazione dei privilegi è direttamente proporzionale all’oppressione
che grava sui ceti che ne sono sprovvisti, le leggi, le politiche economiche e
sociali – e, in generale, tutte le istituzioni e gli istituti – risulteranno
sempre più vessatori verso questi ultimi. I ceti subalterni saranno però sempre
più motivati a reagire alla sottrazione di diritti, di tutele e di benessere.
Più
impersonale ed automatizzato risulta il meccanismo di oppressione, minori gli
spazi a disposizione degli oppressi ed i soggiogati per forme di opposizione
politica e sociale.
In
pratica la stessa depersonalizzazione della sociologia delle transazioni e
degli scambi è in re ipsa una forma di oppressione.
La
tecnologia è in se stessa strumentale, da una parte alla deresponsabilizzazione
di coloro che prendono decisioni politiche, dall’altra all’atomizzazione degli
oppressi, le cui relazioni sociali vengono mediate da interfacce impersonali
che annichiliscono sul nascere qualsiasi dialettica: ovvero non è più lo Stato
– inteso come ente in relazione dialettica con la comunità sociale nel suo
insieme – a mediare, quando serve, i rapporti sociali conflittuali, ma è il proprietario
della tecnologia che si fa Stato e mediatore occulto.
5.1
Traiamo da questo sito specializzato – ben rappresentativo della
propaganda volta a promuovere la tecnologia blockchain in tutto il mondo
– i termini essenziali in cui si pone il
conflitto politico all’epoca della digitalizzazione.
Secondo
l’autore, le blockchain offrirebbero:
«una
nuova forma
di democrazia,
realmente distribuita e in grado di garantire a tutti la possibilità di
verificare, di “controllare”, di disporre di una totale trasparenza sugli atti e
sulle decisioni, che vengono registrati in archivi immutabili e
condivisi che hanno caratteristica di essere inalterabili, immodificabili
e dunque immuni da corruzione.»
Gli
ideologemi neoliberisti emergono subito con chiarezza: il significante
“democrazia” svuotato da qualsiasi valore politico, il mito del controllo
disintermediato (o meglio, intermediato da coloro che monopolizzano i processi
transattivi e che esercitano – loro sì – un controllo diretto sugli operatori),
gli slogan demagogici di trasparenza e corruzione socialmente decontestualizzati.
Si
tratta, a dire la verità, di mitologie che si agitano fin dalle origini del
liberalismo. Godwin, lettore attento di Adam Smith,
si era fatto sostenitore di un ordine anarchico, in cui “la politica e la giustizia come istituzioni sociali possono essere
eliminate dalla società”, basato sull’introiezione, in chiave di interesse
individuale, delle leggi del mercato da realizzare grazie a una sorveglianza
reciproca continua (oggi si direbbe trasparenza): “il suo anarchismo democratico si trasforma direttamente in un
totalitarismo dal volto umano: quello della costrizione invisibile,
onnipresente, senza limiti, che la società fa pesare su se stessa” (P.
Rosanvallon, Le libéralisme économique, Éditions du Seuil,
Parigi, 1989, pag. 152).
Che
i dati personali possano essere resi disponibili in archivi immutabili e
pubblicamente condivisi è però un’ottima notizia solo per chi è proprietario
del panopticon, ovvero per colui che esercita un controllo diretto sugli
operatori.
5.2 «La Blockchain sta
facendo con le transazioni quello che Internet ha fatto con le informazioni e
lo sta facendo grazie a un processo che unisce sistemi distribuiti, crittografia avanzata e teoria dei giochi.»
La
“teoria dei giochi” è un altro fondamentale marker neoliberale; che la
“crittografia avanzata” e i “sistemi distribuiti” siano di fatto strumenti
tecnici usati per bypassare lo Stato, inteso come ente idealmente posto
al servizio degli interessi generali, per rimpiazzarlo con sistemi
automatizzati volti a trattare operatori ineguali con medesime regole, non emerge ovviamente dal marketing, ovvero
dalla propaganda.
«La
Blockchain è un nuovo paradigma per la gestione delle informazioni che
permette di garantire la reale immutabilità dei dati perché in grado di
garantire e certificare la storia
completa di tutti i dati e di tutte le operazioni collegate a ciascuna
transazione.»
Poiché
l’immutabilità dei dati è una caratteristica riservata ad operatori ineguali,
il punto fondamentale da evidenziare rimane che – per costruzione – le classi
di identità digitale riferibili ai ceti subalterni non godranno mai dei diritti
alla privacy e all’oblio dei dati riferiti alle loro persone, mentre chi
il sistema lo controlla potrà restare anonimo, invisibile, e sfruttare il panopticon
con tutta la discrezione e l’efficienza possibili.
5.3 «Trattandosi di un impegno
importante [risolvere i problemi matematici necessari per far funzionare
l’infrastruttura], come detto
con importante dispendio di energie, è un impegno che necessita di
essere remunerato
e incentivato. Nelle Blockchain “Private” o Permissioned
questo ruolo è svolto, in
funzione della goveranance,
dall’autorità che attiva la Blockchain stessa.»
La
questione dell’energia è determinante: per alimentare le infrastrutture che
permettono le blockchain servono enormi quantità di energia, il cui
impiego viene remunerato con una forma di rendita. È evidente che chi dispone
di grandi risorse finanziarie o chi controlla direttamente la produzione di
energia (spesso i soggetti coincidono) – investendo in queste
infrastrutture – avrà un’influenza sugli scambi del tutto incompatibile con
qualsiasi sistema socioeconomico basato su principi di equità.
5.4 «Le Blockchain Permissioned
possono unire i valori di
trasparenza, di immutabilità e di sicurezza delle Blockchain
garantendo a determinati soggetti come Banche, imprese e Pubbliche Amministrazioni la
possibilità di un controllo, anche rilevante e sostanziale, sulle modalità di esecuzione delle
transazioni.»
I
soggetti privati come gli istituti di credito potranno esercitare anche una
prerogativa sovrana come l’emissione della moneta sostituendosi agli Stati e
senza neanche aver la necessità di esercitare questa sovranità su un territorio
fisico.
I
soggetti privati e lo Stato, sempre più catturato e privatizzato, potranno
gestire in maniera stringente e senza alcuna partecipazione terza nel processo
decisionale – essendo avulso da qualsiasi dialettica politica – la regolazione
delle transazioni e dei dati ad esse associati.
5.5
L’attuale governo
ha ritenuto opportuno dare una definizione legale al «Distributed
Ledger Technology [l’archivio centralizzato ma fisicamente distribuito concepito] come [...]
un nuovo rapporto tra persone e informazioni.»
Il
“nuovo rapporto tra persone e informazioni” consiste in una totale
disarticolazione del rapporto tra soggetti titolari di diritti e informazioni
che li riguardano, con l’effetto di consentire, in pratica, l’espropriazione di
qualsiasi dato riservato dell’individuo, e quindi un controllo totalitario
sulle sue azioni e un monitoraggio costante della sua personalità: fatti in sé
già evocativi della qualità della tutela di cui godrebbe il cosiddetto «cittadino
digitale».
Ci
troviamo di fronte ad un enorme passo verso l’asservimento economico e
politico: un processo per cui il soggetto debole non è di fatto più titolare di
alcun diritto, ma solo di obblighi.
5.6 «Il processo di validazione
della Blockchain prevede una fase di verifica e di approvazione basata
su risorse di calcolo che vengono messe a disposizione dai partecipanti alla Blockchain
e che sono finalizzate alla risoluzione di problemi complessi o puzzle
crittografici e che permettono di disporre di un Consenso Distribuito e non più di un consenso basato
su un intermediario terzo o su un ente o istituzione centralizzata.
Coloro che partecipano alla risoluzione del problema e che dunque concorrono
alla validazione del processo e della transazione sono chiamati Miner e
il loro intervento, che necessita per essere svolto di importanti risorse,
viene remunerato
attraverso l’emissione di una moneta virtuale o cryptocurrency.»
Viene
quindi sottolineato che – poiché questi miner, i fornitori di
energia/potenza di calcolo, saranno per costruzione sempre più identificabili
con i grandi soggetti economico-finanziari – “l’intermediario terzo”, ovverosia
lo Stato “centralizzatore”, risulta così bypassato (lasciando il dominio
incontrastato agli oligopolisti). Ci troviamo di fronte al sogno del liberismo
più sfrenato e fanaticamente antidemocratico.
Il
“consenso distribuito” non ha alcuna attinenza ovviamente col consenso
democratico in senso politico – che al limite è tutelato e si esprime proprio
attraverso le istituzioni statuali – ma ha una valenza squisitamente
tecnico-procedurale per cui ciò che viene garantito altro non è che il controllo
sulle attività dei soggetti partecipanti. E chi controlla? Ovviamente i grandi
proprietari dell’infrastruttura e i grandi fornitori di energia.
5.7 «La crittografia che accompagna
il bitcoin e in generale le diverse declinazioni della Blockchain
permettono di gestire l’identità della cryptovaluta, con un
suo specifico codice ID,
un suo nome e cognome
e una sua storia.»
Nell’ecosistema
digitale il tema del controllo è quello fondamentale: è evidente che, per
analogia, l’identità della crittovaluta, essendo una banale chiave
crittografica (ovvero un codice alfanumerico), può essere associata tanto ad un
portafogli digitale quanto ad una persona (che magari questo portafogli lo
possiede: fondamentale nel caso in cui il contante venisse eliminato).
È
immediato capire che chi, direttamente o indirettamente, controlla in questo
sistema (la base dati, gli archivi), può avere accesso alla “storia” che può
consistere nella vita stessa di una persona.
Rimane
semplicemente da certificare la corrispondenza tra “nome e cognome” e “ID”,
l’identità digitale: come si fa a mettere in relazione un’identità digitale con
quella fisica di una persona, certificandone il legame?
Semplicemente
inserendo materialmente un supporto fisico su cui è memorizzata questa ID – che
non è altro che una sequenza di caratteri, ovvero di “bit” - direttamente nel corpo umano.
5.8 «la Blockchain Bitcoin
piuttosto che altre criptocurrency sono quanto di più tracciabile e sicuro
ci possa essere.»
Le
classi di identità che apparterranno a persone dei ceti subordinati potranno
essere tracciate nel modo più “sicuro” e preciso possibile. E, quindi, controllate.
«Se
poi si sostituisce il
concetto di curriculum associato a una moneta con il curriculum associato alla
storia di una materia prima, ad esempio nel mondo del fashion o
del food si può immaginare quali straordinarie potenzialità si aprono. Il chicco
d’uva che può raccontare tutta la sua storia, dal momento in cui viene colto al
momento in cui arriva sul tavolo del ristorante o nello scaffale del retailer.
E se si pensa che tutti coloro che partecipano alla Blockchain lo
possono vedere e che la storia, una volta approvata è immutabile e accessibile
a tutti, ci si rende conto che siamo davanti a una tecnologia che non porta
solo a un cambiamento di performance, ma un cambiamento di paradigma. La Blockchain non
risolve solo il Double Spending ma tutta una serie di temi legati all’identità univoca e sicura.»
Chiaramente
il “curriculum associato ad una moneta” può, come abbiamo visto, essere
“sostituito” “con il curriculum associato alla storia” di una persona umana.
La
“straordinarie potenzialità” volte all’oppressione segnano effettivamente, se
non “un cambio di paradigma”, un vero e proprio salto di qualità. In senso
orwelliano e totalitario.
FINE I Parte
Bisogna sfruttare i vantaggi tattici che abbiamo a disposizione. Una delle più grandi contraddizioni della blockchain è che per esprimere al massimo la sua "potenza totalitaria" deve essere "permissionless" in modo che gli allocchi che credono di essere su un piano di eguaglianza non si accorgano che in realtà il "consensus mechanism" si basa su one CPU one chance in caso di proof of work e one coin one chance in caso di proof of stake. Questo tipo di blockchain soffre di vari punti deboli: consumo di energia, scalabilità, throughput capacity, high volume e high frequency transactions (motivi tecnici che trovo superfluo spiegare). Ma il difetto fondamentale è che questo approccio si scontra con la "legge di Tim Wu" secondo cui ogni breakthrough tecnologico nasce come "open" per poi passare sotto il controllo di monopoli privati. Ed infatti JP Morgan si è subito indirizzata verso una soluzione "closed" di tipo permissioned. Non credo non siano in grado di comprendere che anche la soluzione permissionless/pubblica è sostanzialmente privata se si dispone di un mining pool sufficientemente ampio da controllare la catena, il loro problema è che giustamente percepiscono il possesso di dati come vantaggio competitivo e nel breve termine (l'unico orizzonte temporale di cui dispongono) è più facile ottenere tale vantaggio con soluzioni di tipo permissioned. Questo fa sì che si incartino da soli. Bisogna solo "aiutarli" e indirizzarli verso la soluzione permissioned sicuramente meno pericolosa il che ci permette in primo luogo di contenere i danni e poi di far notare l'ovvio: una blockchain permissioned è inutile.
RispondiEliminaPerfetto: «gli allocchi che credono di essere su un piano di eguaglianza».
EliminaChé poi il punto di partenza - che riassume queste "due puntate" - rimane il fatto che, per quanto la tecnologia possa sembrare utile ed interessante "come arma di difesa", questa rimane sempre contesa tra parti politiche e, una di questa, quella più potente economicamente, ha un vantaggio a prescindere dallo sviluppo di qualsiasi tecnologia.
Certo, tutto è dialettico e nessuno sviluppo sociopolitico può essere previsto con assoluta certezza, ma il punto è che i problemi sociali non si risolvono tecnicamente, ma politicamente.
Ma la tecnica ed il suo progresso sono fondamentali per risolvere i problemi materiali in cui versa l'umanità, no?
Certo! Ma questa è usata dalle classi egemoni per perpetuare i propri privilegi e, per farlo, questa - essendo alienata - sceglie di tenere l'umanità in una situazione sociale di perenne sofferenza.
Non sarà quindi lo sviluppo della tecnologia a fornire la soluzione dei problemi materiali della società, ma sarà la coscienza politica dell'umanità oppressa a far sì che i ceti subordinati desiderino, pretendano e lottino per la propria emancipazione. Emancipazione da raggiungere nonostante la Tecnica.
Solo la democrazia sostanziale permette che il progresso scientifico coincida con il progresso materiale e spirituale dell'umanità.
provo la stessa sensazione d' incredulità,amarezza e frustrazione del personaggio che pronuncia questa battuta,nella quale il futuro s'è concretizzato nel senso contrario di quello auspicato "Il futuro è già passato, e non ce ne siamo nemmeno accorti."
RispondiEliminaVittorio Gassman da "C' eravamo tanto amati"di Ettore Scola
'Rimane semplicemente da certificare la corrispondenza tra “nome e cognome” e “ID”, l’identità digitale: come si fa a mettere in relazione un’identità digitale con quella fisica di una persona, certificandone il legame?'
RispondiEliminaAlla fine credo si arriverà ad usare come "ID" un codice cloud basato sulle impronte vocali e/o digitali e/o della retina e/o sul DNA.
Tuttavia mi pare che i sociopatici del "panapticon dell’agenda neoliberale" abbiano sottovalutato i problemi tecnici.
Fin dalla sua concezione (vedi https://en.wikipedia.org/wiki/DARPA_LifeLog), l'idea di tracciare tutto quello che i singoli uomini vedono, ascoltano, dicono, scrivono, scambiano tra loro, dalla culla alla tomba, postulava che la tecnologia informatica avrebbe facilmente tenuto il passo con l'aumento esponenziale della quantità di dati da trattare (https://it.wikipedia.org/wiki/Legge_di_Moore).
Il cloud ha apparentemente risolto il problema della memorizzazione sicura (quindi distribuita e ridondante) dei dati (raccolti principalmente via smartphone e 'internet of things') ma non penso potrà mai risolvere quello del tempo di accesso ai dati.
Per quanto numerosi potranno essere i server del cloud planetario ci saranno molte centinaia, se non migliaia, di chilometri di distanza fisica tra di loro, per cui ci sarà sempre un significativo ritardo, necessario per raccogliere e validare i dati necessari all'elaborazione locale, che limiterà le applicazioni.
Non va poi trascurato l'aspetto mobilità.
Per esercitare efficacemente il controllo sui singoli uomini, tutti perennemente connessi in mobilità, la quantità di dati da scambiare via radio troverà un limite nella potenza radio, che non potrà mai arrivare a creare i livelli di densità di potenza di un forno a microonde all'aperto senza anche 'cuocere il corpo ed il cervello' degli utenti.
In conclusione questa distopia troverà il proprio limite nella fisica, nella psicologia (per le transazioni di piccolo importo da svolgere in tempi certi il contante rimarrà insostituibile) e nella fisiologia umana (prima ancora che nella mente dei sociopatici che la perseguono).
Grazie mille, non conoscevo l'esistenza del progetto LifeLog, altrimenti l'avrei linkato nell'articolo.
EliminaD'altronde il potere militare è strettamente collegato con il potere della classe dominante e, come nel caso di guerra, qualsiasi cosa possa essere fatta per vincere il conflitto, questa verrà sistematicamente fatta.
Per la classe egemone vale la percezione (da cui discende tutta l'etica elitista) per cui "o perpetuazione del potere e del privilegio, o morte".
Panopticon
RispondiEliminaCaro Bazar,
RispondiEliminaHo questo video del prof. Micali, fondatore di Algorand, e trovandolo molto chiaro lo invio sperando di far cosa gradita:
https://www.youtube.com/watch?v=Lbje18-zxc8&fbclid=IwAR1C-GQkfEzcPxLK13xNGNyvJw09snaOgahT4yM-t2qt-RGGUr7eve-7JC4
Quando si cominciò a parlare di Blockchain non mi piaceva affatto il ruolo dei miners e mi misi alla ricerca di altre soluzioni e nel 2017 incontrai Algorand, parlai col Prof. Silvio Micali e gli chiesi anche di tenere un seminario in italiano. Cosa che fece molto volentieri.
Dal video si può vedere che l’approccio è completamente diverso e spero che il futuro sarà anche con una blockchain democratica.
Cordiali saluti
Bravo il prof. Micali.
EliminaBorderless transactions.... Lottery on your own machine...
Security... Scalability...
Stessa tecnica oratoria dei reclutatori Stanhome.
In bocca al lupo.
Per me però che non ho mai preso la 'maria' gli interrogativi sono più di prima. Avendo inoltre diretto in passato l'ufficio commerciale di una azienda classificata dall'Agenzia delle Entrate come 'esportatore abituale' ho la netta sensazione che chi parla di blockchain non abbia mai partecipato ad una vera 'transazione internazionale' e neppure curato una qualunque pratica doganale.
Per esempio, il 'clearing' di queste presunte 'borderless transactions' chi lo fa?
(https://www.investopedia.com/terms/c/clearing.asp)
Se i privati non possono accedere ai servizi di 'clearing' una ragione c'è (voglio dire, chi non sa ormai che l'offshore è solo per grandi rentier transnazionali, multinazionali, 'alphabet agencies' e politici vari corrotti dagli uni e dagli altri?).
(https://en.wikipedia.org/wiki/Clearstream)
Ma poi a chi servono le 'borderless transactions'?
Certamente non ai lavoratori e neppure agli imprenditori onesti.
Per i lavoratori e-bay/paypal è già troppo e per un piccolo o medio esportatore basta la banca di fiducia.
Security poi?
Non esistono CPU (INTEL e/o AMD) senza 'backdoors' note a NSA e 'alphabet agencies'. Non esistono nemmeno più CPU veramente 'spente'.
NON ESISTONO POI SVILUPPATORI (inclusi quelli che lavorano su blockchain e bitcoin) CHE SAPPIANO COSA FACCIA REALMENTE UNA QUALUNQUE CPU PRODOTTA NEGLI ULTIMI 20 ANNI!
https://security.stackexchange.com/questions/192260/privacy-implications-of-intel-cpu-backdoors
https://www.eteknix.com/nsa-may-backdoors-built-intel-amd-processors/
La tecnologia non è MAI stata neutra.
Blockchain e bitcoin mi paiono proprio i nuovi cetrioloni progettati per fregare il risparmio residuo 'der popolo cojone risparmiato dar cannone' della deflazione.
Perfetto.
EliminaHo notato che anche sui social molti tecno-entusiasti non accettano di guardare "i loro giocattoli" da un'altra angolazione.
Come ricordavo nell'articolo sui bitcoin, il concetto di crittovaluta si trova già nei paper degli anni '90 dell'NSA.
E chi in primis ha bisogno di anonimato user friendly (leggi TOR), chi ha bisogno di effettuare pagamenti anonimi e noborder, sono proprio le alphabet agency che sono nel capitalismo sovrastruttura dei grandi complessi industriali e finanziari.
La tecnologia nasce militare e solo i gonzi credono che questa cessi la sua missione oppressiva col suo presunto uso "civile": significa non comprende che il motore dell'imperialismo è sempre la lotta di classe.
Quindi, in senso dialetticamente antagonista, ogni volta che un lavoratore cosciente prende in mano un oggetto tecnologico, lo deve usare come stesse maneggiando un'arma.