giovedì 5 gennaio 2017

PARLAMENTARISMO, STATO DI ECCEZIONE PERMANENTE E AMMISSIBILITA' DEL QUESITO SULL'ART.18


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Mentre sul fronte delle politiche economico-fiscali (e non a caso, visto che dovremo presto pensare alle coperture e ai "piani di rientro") domina la "questione bancaria", cioè l'insolvenza posta a carico dei risparmiatori-contribuenti in (più) momenti, sostanzialmente inscindibili (e lo vedremo nel 2017-2018), l'attività parlamentare e "partitica" appare in una sorta di stasi che ricorda molto la quiete prima della tempesta.
Formalmente, l'attività politica sembra in stallo perché vige la parola d'ordine che occorre aspettare un paio di pronunciamenti della Corte costituzionale.
Uno è quello, atteso per il 24 gennaio, relativo alla "costituzionalità" della legge elettorale, c.d. Italicum
L'altro, ancor prima (l'11 gennaio), e ancor più rilevante in termini di valori costituzionalì, - in un Repubblica fondata sul lavoro (art.1) obbligata ad attivarsi per rendere "effettivo" il diritto relativo, con politiche economiche di pieno impiego (artt.3 e 4, comma 2, Cost. in relazione all'intera Costituzione "economica")-, è quello sull'ammissibiltà dei quesiti referendari sul jobs act.

2. Anzitutto, sull'Italicum la pronuncia della Corte potrebbe risultare di inammissibilità: tale legge, infatti, non solo non ha avuto applicazione in alcuna concreta elezione, ma risulta, secondo lo stesso Capo dello Stato, inapplicabile, dovendo essere quantomeno coordinata e "armonizzata" con il "Consultellum", de facto vigente per il Senato, e una vera "armonizzazione" non è compiutamente operabile dalla Corte. Questa allora, potrebbe fermarsi a rilevare il difetto di "rilevanza" delle norme denunciate, a rigor di logica. Ma se volesse superare questo non trascurabile aspetto pregiudiziale, con un certo "spirito pratico", potrebbe anche scendere del merito: in tal caso, però, essenzialmente per mostrare che non spetta a lei indicare soluzioni direttamente applicative che rimangono nella responsabilità del parlamento.

Sui quesiti del referendum la questione è ancor più "spinosa".

2.1. Il quesito più importante, quello sull'art.18, infatti, è in odore di inammissibilità ed oggetto di una dura lotta interna alla Corte, stando a quanto riportano i giornali, non sorprendentemente orientati, in maggioranza, ad accreditare l'inammissibilità sostenuta da esperti ESTERNI alla Corte.  
La tesi relativa sarebbe, in sintesi, (e salvo maggior approfondimento imminente), che il quesito, in particolare la parte di esso relativa al comma 8 (dell'art.18), inciderebbe non solo sulle parti della disposizione complessiva introdotte dal jobs act ma anche sulla parte ad esso sopravvisssuta, cioè sulla differenziazione delle soglie di esenzione (dalla tutela rafforzata dei licenziamenti mediante la reintegra), tra imprese "industriali" (per cui è di 15 dipendenti), e imprese agricole (per cui è di 5 dipendenti), differenziazione risalente alla versione "originaria" della previsione. 
In pratica, si dice, l'esito del referendum sarebbe quello non di abrogare la norma vigente ma quello di introdurne un nuova, divenendo inammissibilmente "propositivo" (a differenza di qualsiasi disciplina previgente, nel tempo, si avrebbe l'estensione della reintegra a tutte le imprese con almeno 6 dipendenti).

2.2. Tale obiezione, non ha, a rigor logico-normativo, molto fondamento: oggetto del referendum abrogativo è il testo di una norma (in tal caso articolata in più disposizioni coordinate), a prescindere dalla pluralità di fonti, che materialmente hanno dato luogo a "quel" testo (e all'unica fonte attuale "composita", materializzata in un unitario testo di portata normativa). 
Se quindi l'abrogazione investe IL TESTO di una norma, in una delle disposizioni coordinate a tutte le altre nella sua attuale formulazione letterale, sia pur derivante da più fonti, (comunque accorpate in un'unica disciplina come risultato attuale della pluralità di fonti), non pare corretto ri-scindere, in fase abrogativa, le fonti unificate nell'unico testo per sindacare l'effetto abrogativo: questo deve poter espandersi pienamente secondo il consenso maggioritario espresso dal corpo elettorale,  e ipotizzarne, forzatamente, un risultato "creativo" di una nuova norma. 
E ciò per la semplice ragione che l'effetto abrogativo di una delle disposizioni contenute in un'unica norma-disciplina articolata, disposizione legittimamente oggetto di richiesta di abrogazione, conduce sempre, immancabilmente ad un nuovo testo della norma complessiva e, quindi, a una nuova norma in senso materiale ("interpolando" la fonte nella sua attuale e inscindibile portata normativa). 
Non sta scritto in Costituzione che una complessiva norma, composta, come normalmente accade, di più disposizioni coordinate, provenienti INDIFFERENTEMENTE da una o più fonti succedutesi nel tempo, possa essere solo oggetto di abrogazione integrale o relativa all'ultima fonte confluita in quella vigente.

3. Ma questo ordine di problemi, ci riporta a una questione più generale e "pregiudiziale". 
Per comprendere l'insidia che deriva dallo stesso porsi questo quesito, ricorriamo ai profili di storia, istituzionale ed economica, che sono emersi dal dibattito su questo blog.

"Bello spunto, che mette in evidenza, tra l'altro, ed anzi conferma, l'incompatibilità sostanziale tra liberalismo e democrazia parlamentare, laddove, invece, la "vulgata" dominante vede (ancora) come l'uno padre dell'altra.

Non è invece così (e lo vediamo oggi), non era così (e lo vediamo leggendo criticamente i trattati di Roma ed il manifesto di Ventotene), non era così ancora prima (vedi il liberale Salandra e tanti altri come lui affascinati dalle sirene dell'autoritarismo fascista).

E non era così nemmeno "alle origini" in un certo senso.
Già alla fine dell'800, infatti, Sonnino si trovava ad affermare (nel celebre "Torniamo allo Statuto") che "In un Governo fondato quasi totalmente sull'elezione manca, nella alta direzione della cosa pubblica, la rappresentanza dell'interesse collettivo e generale". 
Il Passo citato ci dice già tutto: la composizione civile degli interessi particolari, che, a ben vedere, è alla base del confronto parlamentare deve cedere, ad avviso di Sonnino, il passo ad un preteso interesse superiore, che è visto addirittura come estraneo e sovraordinato ai meccanismi della democrazia rappresentativa, i quali, per loro natura intriseca, rappresentano addirittura qualcosa di opposto (i cattivi "interessi particolari"). 
Si tratta, in sostanza, di un perverso primato della politica che costituisce, puta caso, la "grundnorm" di un particolare "stato di eccezione", quello del "vincolo esterno" che diventa, da un punto di vista morale, una sorta di misura necessitata per, potrebbe ben dirsi, salvare la democrazia da se stessa (annullandola).
In quel testo si trovano, poi, tanti altri rimandi al nostro presente. Primo fra tutti il mito del "governocentrismo" come unica via per affermare il preteso interesse superiore. 
Il ritorno alla formula letterale del potere esecutivo in capo al Re, con conseguente rigetto della prassi parlamentare che si era consolidata, viene infatti giustificato da una visione di un potere esecutivo che deve (si citano le testuali parole) "nella sua azione di governo, mantenersi al di sopra e al di fuori dei partiti" (e come si collocano, oggi, le istituzioni €uropee? "Al di sopra e al di fuori dei partiti"!!!), e che non deve (si cita sempre dal testo) "favorire gli interessi della maggioranza piuttostoché quelli della minoranza [ ... ] ma considerare tutti i cittadini allo stesso modo tenendo conto del solo interesse generale dello Stato". 
Ben potrebbero vedersi, in queste parole, gli albori di quella che potremmo definire "morale della tecnocrazia": se il potere esecutivo, per ricondursi all'interesse superiore di cui è unico portatore, deve prescindere da ciò che un Parlamento democraticamente eletto rappresenta, ciò significa -e non potrebbe essere altrimenti- che l'unico modo in cui il secondo può coesistere col primo è vincolato alla presenza di un perenne stato di eccezione che ne neutralizzi la sostanza, riducendolo a mero organo ratificatore.
Insomma, la "dottrina" era già stata scritta.....
Guardando ai fatti di oggi, rimango sempre più convinto che Liberalismo e parlamentarismo tutto sono tranne che fratelli. E non c'è momento nella storia, dalla nascita delle prime democrazie ottocentesche, in cui il primo non manifesti, ad intervelli regolari, decisa insofferenza verso il secondo..."

3.2. Sottolinea Arturo (autore del post), con un commento di cui occorre apprezzare i links:
"Sono d'accordissimo, ma l'equivoco, se vogliamo chiamarlo così, mi pare semplicemente il frutto di una separazione fra storia filosofico-politica e storia giuridica.
Se si evita l'apologetica della prima e ci si concentra sulla seconda, la "normale" apribilità dello stato di eccezione (ricordo la citazione di Bin che avevo riportato qui e quella di Zagrebelsky qui, punto 1.4) e la prevalenza dell'esecutivo sui parlamenti (vedi la citazione di Bagehot riportata da Nania qui) risultano fatti acquisiti"


3.3. E infine vi ripropongo (sempre a fini di miglior conservazione dei più proficui dibattiti) le mie riflessioni indotte da questo importante scambio:
"Ci sarebbe da chiedersi perché i parlamenti siano stati, comunque, nel corso del tempo, anche esaltati dal capitalismo anglosassone, che è poi il modello di riferimento del sempre autorazzista spirito imitativo delle elites italiane.

Volendo farla breve, la ragione principale di tale concorrente "vena" della facciata etica del capitalismo liberoscambista, e implicitamente mercantilista-imperialista (come evidenziò Joan Robinson), è la CORRUTTIBILITA' delle compagini parlamentari (pre-orientativa delle deliberazioni assembleari: cose che, ancora oggi, vediamo divenuta una mitologia pop in serials USA come House of cards o "The Boss", di cui consiglio la visione a ci se lo fosse perso. Senza menzionare le "storiche" vicende dei rivolgimenti dell'Assemblea nazionale durante la Rivoluzione frencese...).

In sostanza, la prevalenza dell'Esecutivo conssegue a un certo qual consolidamento di rapporti di forza che si incentrano sui più eminenti operatori economici "tradizionali" e, in qualche modo, legati all'accumulo di terra-oro nel territorio nazionale.

Si tratta, ovviamente, di banchieri, della cui "morale" prevalente Bazaar ha evidenziato il ruolo essenziale relativamente alla fondazione delle regole pregiuridiche ritenute "fondanti" un ordinamento liberale, e delle grandi industrie di "prima generazione"; questo complesso consolidato, in quanto tale, tendeva, e tende (adeguandosi ai tempi e alle tipologie di media) a condizionare l'opinione pubblica e la legislazione "a valle" di essa.

In altri termini, nelle vicende storiche di superamento del c.d. ancien régime, gli operatori economico-finanziari, resa rispettabile la propria condizione, tendono irresistibilmente ad assumere funzione e ruolo delle vecchie aristocrazie (che hanno espulso dal potere) ed "occupano" le strutture istituzionali, cioè lo stesso Cabinet e le "filiere" pubbliche dell'esercito e della diplomazia (e della magistratura).

Se la burocrazia diviene così esponenziale dello Stato borghese-liberale, incarnato dalla tendenziale prevalenza dell'Esecutivo, lo diviene in un modo particolare: cioè, inevitabilmente autoconservativo di certi rapporti di forza "interni" alla classe capitalistico-mercantile.
Allora, in questa situazione, le forze nuove che operano sull'evoluzione dei traffici commerciali e delle filiere industriali, in chiave colonialista e mercantilista, entrano in concorrenza con l'establishment del capitalismo (pro-tempore) divenuto rispettabile (ma non meno attento a conservare la prevalenza nel conflitto sociale interno).

Per indurre politiche che siano anche protettive e promozionali dei nuovi settori emergenti, che spesso, in poco tempo, divengono i più lucrativi, questi ultimi tendono a comprare l'indirizzo legislativo tramite il parlamento, di cui si assicurano un crescente numero di esponenti eletti e foraggiati, nelle loro prese di posizione, dai nuovi flussi finanziari.

Sul punto, rammento questo post: http://orizzonte48.blogspot.it/2016/04/la-mano-invisibile-che-affida-la.html (relativo alla guerra dell'oppio; esempio paradigmatico che può essere esteso a molte altre successive ed analoghe vicende, anche negli Stati Uniti).

Questa, in fondo, è la logica dei checks and balances: essa presuppone cioè la possibilità di avvicendamento tra settori o fazioni del potere economico, storicamente mutevoli e in dialettica rispetto agli assetti autoconservativi interni alla classe oligarchica.

Dunque, sulla base di alcuni principi organizzativi quali l'idraulicità delle elezioni, garantita dal controllo dei media, e i meccanismi delle leggi elettorali (invariabilmente tesi a selezionare l'elettorato passivo), i parlamenti sono considerati accettabili come espressione della "Mano Invisibile" proiettata nel campo del controllo concorrenziale delle istituzioni: ma sempre ascrivibile ad una sola classe sociale...

Al di fuori di queste rigide condizioni, e spesso proprio per la inefficienza in termini di benessere collettivo di questi meccanismi delimitati, i parlamenti "entrano in crisi": cioè finiscono per rappresentare diversi gradi di un più esteso malcontento sociale.
Ed è allora che la solidarietà della classe finanziario-industriale viene ritrovata e si muove l'attacco sistematico ai parlamenti.

Inutile dire che la causa di ciò sono diversi gradi di compromesso: cioè allorquando si accetta il suffragio (più o meno) universale e/o accedono alla burocrazia esponenti di altri ceti sociali, o "peggio", si organizza il potere sindacale.

Il parlamentarismo va bene, dunque, purchè non si realizzi neppure un minimo di Stato pluriclasse e l'idraulicità elettorale sopporti soltanto stress soggetti all'agire di forze, in evoluzione, tutte interne all'oligarchia.

Oggi, dai veloci (e spesso violenti) arricchimenti coloniali, siamo passati all'affermarsi delle "nuove tecnologie" come dinamiche caratterizzanti questa dialettica, considerata accettabile e che, entro queti limiti, fa ancora conservare i parlamenti e i processi elettorali.
In pratica: solidali quando si tratta di scongiurare la "dittatura della maggioranza", in concorrenza, anche feroce quando di tratta di sostituire una "dittatura della minoranza" ad un'altra.

Il rapporto normale del capitalismo con le pubbliche istituzioni politiche, dunque, è la corruzione, che rappresenta l'applicazione del metodo concorrenziale al processo di formazione dell'indirizzo politico (si tratta, a ben vedere, di un corollario della formazione dei prezzi in regime oligopolistico).

Oggi, più tecnocraticamente (and out of political correctness), la designano "capture", ma il principio è sempre lo stesso.
La corruzione-brutta - quella delle classifiche promosse dai più grandi corruttori (su scala industriale)- è solo quando intermediari non appartenenti alle elites si inseriscono nel meccanismo ed alzano il costo della competizione politica "interna", rendendo "inammissibilmente" più incerto e oneroso un esito favorevole (cioè ottimo-allocativo paretiano).

"Non a caso, il Parlamento è un’istituzione dell’epoca liberale, mentre l’istituzione dell’epoca democratica è rappresentata dai partiti di massa: l’entrata in scena di questi ultimi avrebbe dovuto spostare il centro della vita democratica fuori del Parlamento, organo che quindi avrebbe dovuto essere profondamente modificato per adattarsi al nuovo scenario. Non è accaduto.

I risultati sono quelli da Lei puntualmente rilevati: scadimento dell’istituto Parlamentare a beneficio del Governo, con sostanziale concentrazione del potere oligarchico-capitalistico in capo a quest’ultimo (la scampata riforma costituzionale voleva non a caso sublimare quest’assetto).

Il problema è, manco a dirsi, spostare dal Parlamento alle masse il definitivo baricentro, in modo che le masse possano inserirsi negli ingranaggi della vita collettiva, cioè là dove sono in giuoco i loro interessi. Partiti e sindacati di classe, valorizzazione degli enti locali (Comuni), gestione diretta ed autonoma dei servizi sociali, culturali e servizi essenziali, oltre che dei sistemi informativi. Ma, soprattutto, democratizzazione del processo produttivo mediante gestione aziendale (art. 46 Cost., di cui i molti ignorano l’esistenza; le argomentazioni di Giannini, sul punto, andrebbero riprese alla lettera).

Non è utopia, è Costituzione italiana, norme precettive: artt. 1, 3, comma II, 4 e ss.. Sempre allo stesso punto andiamo a finire. Ma tanto che ce lo diciamo a fare…"

11 commenti:

  1. Come ha detto con nitore "classico", anche se ahimè tremendamente astratto, Lorenza Carlassare (Nel segno della Costituzione, Feltrinelli, Milano, 2012, pagg. 55-6) "l'appartenenza continua della sovranità al popolo stabilita all'art. 1 della Costituzione" implica che gli organi dello Stato siano "lo strumento attraverso il quale il popolo esercita la sua sovranità".

    Visto che cita anche Basso, rara avis di questi tempi, facciamolo anche noi (Il principe senza scettro, Feltrinelli, Milano, 1998 [1958], pagg. 177-8): "il rapporto fra l’Italia, cioè il popolo italiano, e la Repubblica, cioè gli organi statali, sarà veramente democratico, come vuole il primo articolo della Costituzione, quanto più il Parlamento sarà specchio fedele del popolo. Che questa consonanza sia postulata dalla nostra Costituzione emerge però anche da altre disposizioni, e perlomeno da due istituti espressamente disciplinati, cioè il referendum abrogativo e lo scioglimento anticipato delle Camere. Il referendum abrogativo è in pratica un diritto di appello al popolo sovrano contro le decisioni dei suoi rappresentanti in Parlamento e tende precisamente a verificare se la maggioranza parlamentare ha interpretato esattamente la volontà popolare [...] Tutto ciò del resto è normale una volta che si consideri la sovranità come spettante al popolo reale e tutti gli organi governativi come strumenti di attuazione della sua volontà: è normale cioè che il popolo annulli con il referendum abrogativo le decisioni che non approva, ed è normale che il Capo dello Stato, custode del rispetto della Costituzione, sciolga il Parlamento, cioè praticamente chieda al popolo di scegliersi altri rappresentanti, quando ritenga che quelli esistenti non ne rispecchino più fedelmente la volontà, siano cioè dei rappresentanti infedeli.”.

    Viene citato pure Crisafulli, con la sua consueta precisione (La sovranità popolare nella Costituzione italiana, Rass. Giuliana di dir. e giurispr., 1954 e in Studi in memoria di Vittorio Emanuele Orlando, Padova, 1955 ora in Stato popolo governo, Giuffrè, Milano, 1985, pagg. 143-4): "L’ordinamento costituzionale italiano, quale risulta dal testo del 1947, rientra dunque in un tipo sotto molti aspetti nettamente diverso da quello in cui era da classificarsi, invece, il precedente ordinamento monarchico statutario. Alla costruzione giuridica imperniata sul «dogma» della esclusiva sovranità dello Stato-soggetto, entro certi limiti adeguata al sistema di allora, deve oggi sostituirsi una diversa impostazione, centrata viceversa sul principio della sovranità popolare e sul conseguente carattere strumentale assunto dallo Stato-soggetto; che tenga nel debito conto tutte le caratteristiche strutturali del nuovo ordinamento: solo parzialmente rappresentativo, perché integrato e corretto da istituzioni di democrazia diretta; poggiante sopra una organizzazione della collettività popolare variamente e concretamente articolata; rivolto ad assicurare a tutti i cittadini una effettiva possibilità di partecipazione alla formazione della volontà popolare, ed a questa una efficacia preminente ed in ultima istanza decisiva nei confronti di ogni altra manifestazione di volontà delle istituzioni governanti (dello Stato-soggetto, cioè, e degli enti pubblici minori)."

    E con ciò “le risorse culturali” per rispondere alla questione pregiudiziale mi pare ci siano. ;-)

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    1. Purtroppo ne manca una, di "risorsa", che è invece il pane quotidiano di orizzonte48: l'elemento fondamentale dello "stato di eccezione" e il saperlo collegare con la questione del "principio di libero mercato" (e ovviamente non parlo di Crisafulli d'antan...).

      Se non si connettono i puntini dello sfacelo col "più €uropa", si finisce a dire che "è normale...", e a buon diritto (costituzionale), ma non si riesce a spiegare perché non lo sia più...

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    2. "è normale cioè che il popolo annulli con il referendum abrogativo le decisioni che non approva, ed è normale che il Capo dello Stato, custode del rispetto della Costituzione, sciolga il Parlamento, cioè praticamente chieda al popolo di scegliersi altri rappresentanti, quando ritenga che quelli esistenti non ne rispecchino più fedelmente la volontà, siano cioè dei rappresentanti infedeli."

      È normale, appunto. Ma la menzogna ormai diventa giorno dopo giorno come un'atmosfera sempre più densa, in cui la rifrazione è talmente forte da portarci sistematicamente fuori bersaglio. Ciò che è normale diventa rivoluzionario (in senso spregiativo, va da sé). Ciò che è normale deve venire dopo.

      Il referendum costituzionale del 4/12 si basava sull'autentica menzogna del fatto che i principi fondamentali non sarebbero stati toccati dalla riforma (vedi punto 2 ADDENDUM), e il bersaglio delle critiche come degli elogi divennero le procedure del parlamento. È normale che il parlamento serva al popolo per decidere, ma questo fatto deve venire dopo, perché è più importante che decida l'€uropa (o il governo, per come hanno impostato la propaganda i #bastanunsì, o la minoranza secondo gli #iovotono). È normale pensare che la singola banca serva a garantire il risparmio, ma questa idea semplice deve piegarsi al Disegno, mediato dai sacrifici umani rappresentati dall'equazione di Bazaar del suicidio 1 imprenditore = 1 risparmiatore. È normale insospettirsi, quando i banchieri tedeschi vengono a suggerirci di distruggere il sistema bancario italiano, quando vengono a consigliarci di privatizzare, di riformare il mercato del lavoro. Se non altro è normale pensare che gli interessi di un paese che confina col mare del Nord sono diversi da quelli di chi domina il mediterraneo occidentale.

      Stiamo subendo un grande cambiamento di paradigmi, il paradigma del futuro, come già sottolineato altrove nel blog, sarà uno solo: "tu sei il tuo padrone, penserai come lui perché sarà il solo modo per non tradirlo." per gli schiavi, invece per i padroni "rivaliti continuamente sul tuo schiavo come lui farebbe con te, non fargli capire da che parte sta."

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  2. Aggiungerei un riferimento a Cromwell - con le riserve del caso, necessarie quando si orienti la mira oltremanica - il cui decennio, soprattutto gli estremi di esso, ma pure la chiusura del Parlamento e l'Atto di Navigazione (connessi: col secondo "compri il primo" - lo stesso giochino di Elizabeth, qualche decennio prima); il cui decennio mi pare rappresenti plasticamente la dialettica interna a un'unica oligarchia che illustrava Quarantotto, forse in riferimento ad altre dinamiche storiche.
    Cosa c'entri la democrazia col parlamentarismo liberale (ante litteram, nei fatti che ho evocato, certo) rimane un mistero - o una barzelletta.

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  3. EREZIONI CUTANEE
    (otc, come sempre con qualche venia)

    Papule, macule, placche, ponfi, pustole, vescicole, bolle, foruncoli, eczemi, granulomi, pitiriasi emergono cutanee nel contatto di sostanziali istanze (fig. sociale: esigenze di componenti di una comunità che richiedono provvedimenti) leniti con l'in/solita pomatucola stero/idea sintetica a mitigar pruriti, gonfiori, arrossamenti di origine terza.

    Mi sa – ma potrebbe essere solo un'impressione settembrina – che abbiano sbagliato diagnosi: richiesto, quindi, consulto al villano stregone e al dottor sottile, esso si che sa (transitivo, aver sapore e odore) di sapere.

    Un'altra trincea delle Frasche: un altro Filippo corridoniense, una caporetto, un nuovo tre/monti e nuove lettere dal fronte mirando le stelle.

    Vabbè .. ri/tiremm innanz!

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    1. Anche erezioni pilifere (orripilazione) :-)

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    2. Caro Frank, padre dei tuoi figlioli, in effetti manca quell'erinosità emotiva e quelle volitività così care ..

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  4. Ma come si fa a non far trasformare una Democrazia necessariamente Parlamentare nel Parlamentarilsmo Liberale?
    Ora io capisco che noi abbiamo la Carta e i Garanti della lettura operativa della Carta. Ma alla fine anche i Garanti sono stati inghiottiti dallo stesso processo che ha inghiottito il parlamento, un processo di corruzione e amalgamazione inevitabile secondo Preve (che estende la cosa a tutto il mondo intellettuale ovviamente) e (solo secondo me) comunque sempre molto ma molto meglio che gli anglosassoni. Cioè, lo dico come posso, il ns impianto, la Costituzione, ha retto sempre meglio che altrove "nel rimuovere gli ostacoli" che la Restaurazione operata dal Capitalismo frappone sistematicamente alla Democrazia sostanziale.
    Però quando i Garanti non garantiscono la Carta viene distrutta e la Democrazia fallisce. E ora qui i Garanti non ci sono più (essevedeva da un pezzo).
    Sono spariti, imbelli e corrotti come la monarchia sabauda. Questo quadra con l'interpretazione frattalica, perché non fu dal Re che arrivò il cambio di rotta, ma dagli stessi gerarchi del GCF.
    Ora però ho un problema: il GCF non sta in Italia (credo). E chi sono Grandi e Mussolini e i gerarchi di oggi? Il problema della nuova restaurazione è che il potere è sparito e il Duce non c'è. Come visto col bomba, non c'è nessuno le cui dimissioni politiche possano significare il cambio di rotta indipenentente dal sostituto, come lo era per Mussolini "dimesso" dal GCF. Qui sono tutti intercambiabili. E forse, appunto, non sono nemmeno "qui"?
    Daltra parte, se l'8.9 corrisponde all'uscita dall'euro per l'Italia qualcuno dovrà pur comunicarcelo in italiano, spero. Se lo fanno come si deve, cioè per noi comuni mortali all'improvviso, ora ne staranno parlando.
    Vabbeh son sfoghi, perdonatemi.

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  5. Qui si sostiene che la corte boccerà il quesito sull'articolo 18 perché manipolativo. E che il quesito sia stato costruito apposta così per poter essere bocciato. Urge valutazione autorevole. (devo stracciare la tessera CGIL se bocceranno il quesito?)

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    1. Conosco: e ho già avuto scambio di idee con l'autore.
      "E' ben possibile ipotizzare suicidio: ma la "falla" sta nella giurisprudenza come evidenzia Onida"
      https://twitter.com/LucianoBarraCar/status/817315920037216256

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  6. …nessun tema nessun tema…il diem irae di Varoufakis riformerà la UEM entro il 2025…peccato che ormai si muoia anche nel breve periodo

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