martedì 1 novembre 2016

ACCENTRAMENTO DEL POTERE NELL'ESECUTIVO: LE RISPOSTE DELLA "RIFORMA" (OLTRE LA LEGGE ELETTORALE)


 http://images.treccani.it/enc/media/share/images/orig/system/galleries/SCIENZE_SOCIALI/VOL_1/accentramento1.jpg

(L'immagine non c'entra? C'entra, c'entra: basta fare attenzione alle sue note a piè di pagina e leggersi bene il post...e i links.
E comunque mi pare irresistibile, visto che siamo nell'anno prima del divorzio tesoro-bankitalia e dell'inizio dell'ondata inarrestabile delle leggi "europeissime").

1. Una delle cose che più dovrebbe lasciare impressionata la nostra memoria, quantomeno "a breve termine" (sperabilmente), è la notevole coerenza e unidirezionalità con cui stanno agendo le forze che sono all'opera per smontare in tutti i suoi elementi fondamentali la democrazia sociale e keynesiana che, a quanto pare improvvidamente, è stata costruita dall'Assemblea Costituente.

Guardate qua come, nonostante le già mostrate e ondivaghe obiezioni alla riforma costituzionale, il Financial Times paia mandare un "pizzino" al nostro governo:
 

In soldoni: lo spread italiano "...è assurto al suo picco da Febbraio dopo che il primo ministro Matteo Renzi ha sfidato i tentativi di Bruxelles di porre un freno alla spesa pubblica del paese. Nell'ultimo bozza di bilancio per il 2017, Renzi, (di centro-sinistra), ha promesso di ridurre il deficit strutturale di bilancio al 2,3% del PIL muovendo da un impegno iniziale di portarlo all'1,8 assunto precedentemente quest'anno".

2. Vi ho tradotto la parte essenziale del discorso riportata nell'immagine per poterci poi riallacciare al..."semestre italiano" considerato un evento storico di riaffermazione dell'autonomia presunta della posizione italiana in €uropa e, invece, autoaffondatasi fin dal primo giorno.
Sulla (il)logica degli spread, all'interno di un'eurozona in cui il problema sono gli squilibri commerciali e finanziari privati che vanno corretti "distruggendo (per via fiscale) la domanda interna" (come diceva Monti), s'è detto tante volte, fino alla nausea. Ma non c'è verso di farlo capire ai "mercati" e ai giornaloni della finanza internazionale: certamente, perché non sono "interessati" a capire. 
Tutt'altro.

3. Ma la coerenza e unidirezionalità dell'azione destrutturante della democrazia in nome dell'€uropa, sono dimostrati proprio dall'inadeguatezza della posizione italiana anche quando possa apparire di "ribellione", peraltro da punire prontamente.
A seguito del noto discorso di "Telemaco", e della magnifica "eredità", in esso reclamata, dell'irenica costruzione €uropea, (discorso tenuto appunto all'apertura del semestre italiano del 2014), all'indomani di un'affermazione elettorale che si era presunto conferisse al governo italiano una posizione di forza, avevamo infatti osservato: 
"La vulgata pop della crisi, recentemente evolutasi in modo "generico" - o meglio atecnico, in quanto riferita a spesa pubblica, sostenibilità del debito pubblico e spread-, non va confusa con la "consapevolezza" effettiva della stessa, nei suoi integrali ed univoci legami con l'Europa della moneta unica.
Quest'ultima, a rigor di logica, costituisce null'altro che una eredità in pesante passivo, che qualsiasi Telemaco cum grano salis accetterebbe "con beneficio d'inventario"; cioè prendendone decisamente le distanze e non facendosi carico di debiti contratti da altri ("padri della Patria") e con un'imprudenza che ha fatto il gioco di creditori in ampia male fede (se non altro nel prestare, e nel non cooperare rispetto all'assolvimento delle obbligazioni che il trattato poneva, anche e specialmente, a loro stesso carico). 
Non pare affatto conoscere "benissimo" i nodi del problema. O almeno non tiene comportamenti che rivelino tale conoscenza.
Altrimenti, tanto per cominciare, non avrebbe fatto cenno alla patrimonializzazione dell'Italia, in replica al tedesco...che nel frattempo aveva abbandonato l'aula con una scortesia che Scultz, Scultz! (l'amico del giaguaro), in altri casi avrebbe stigmatizzato; ma non in questo ("strano" no?).
L'argomento in replica usato da Renzi è quello tipico del debitore "scaduto" (dai termini di pagamento), di fronte al creditore che avanza pretese eccessive ma, che si riconoscono comunque fondate. Cioè è una ricognizione di debito, avanzandosi semplicemente una rivendicazione di solvenza di fronte alla pretesa stessa. 
Il tedesco, usando un trito argomento di economia ordoliberista pop, ha fatto riferimento all'aumento del debito a seguito di aumento del deficit e all'influenza di ciò sulla crescita (in soldoni).
Se Renzi avesse "capito i nodi", avrebbe potuto replicare:
- che la sostenibilità del debito italiano è, secondo la commissione UE (!), la migliore tra i grandi paesi UEM, 
- che tuttavia le misure che hanno portato a questo risultato (che il crucco dovrebbe stamparsi bene nel capoccione semivuoto), stanno conducendo alla morte industriale italiana;
- che la crescita stimolata dal deficit è l'unica via possibile di fronte al molto più reale problema della pluriennale caduta della domanda italiana causata dalle politiche imposte dall'UEM;
- che il problema, in caso di  aumento del deficit pubblico, è semmai la domanda estera, cioè gli squilibri commerciali (debito privato) che proprio le violazioni tedesche citate dallo stesso Renzi avevano contribuito ad aggravare in tutta UEM con atteggiamento doppiamente violativo dei trattati;
- che il problema, dunque, era essenzialmente l'assetto della moneta unica e che, se non lo si affrontava, questa era a rischio e, perciò, al tedesco conveniva essere più conciliante e meno ignorante, perchè la sua Germania è quella che rischia di più in caso di euro-break.
Devo continuare?
Anche solo accennare ad una parte di queste argomentazioni avrebbe avuto un effetto NEGOZIALE effettivo ed incisivo, per la stessa ottica di rilancio dell'UE che Renzi invoca, non solo per l'Italia.
Ma per farlo occorreva avere una effettiva conoscenza dei "nodi"..."


4. Invece, come noi dovremmo ormai ben sapere, questi argomenti non sono tutt'ora tirati seriamente in gioco, dato che ci si fa un vanto che il deficit ottenuto, con la manovra "spendacciona", (e mal vista dai mercatoni parlanti tramite il FT), il più basso valore mai registrato in Italia dai tempi di Maastricht (almeno): e dunque, stiamo parlando della logica per cui riducendo il deficit, e l'intervento pubblico, si promuova la "crescita"; solo che questa logica viene comunque "validata" attenuandola "un pochino". 
Accettata tale premessa (pseudo-scientifica), si finisce inevitabilmente per accettare il contraddittorio sul fatto che "il problema italiano è il debito causato dall'eccesso di spesa pubblica".
Come pure sappiamo che a questa "attenuazione" italica della logica €uropea dell'austerità espansiva, - al netto dell'inserimento nei trattati del fiscal compact, che, abbiamo altrettanto visto, costituisce questione di lana caprina per un paese come l'Italia, con l'attuale art.81 Cost., nonché questa attuale giurisprudenza della Corte costituzionale- si propone un pronto ed efficiente rimedio: l'approvazione della riforma costituzionale per adeguarsi alla nuova governance €uropea e alle politiche €uropee, adeguamento esplicitamente indicato come "ragione" della riforma dal nostro governo proponente.

5. Sul punto, registriamo una voce del "no" che dice cose in buona parte condivisibili, e peraltro assodate, ma dimentica la questione €uropea, indebolendo il suo costrutto critico. Ve ne riporto la parte essenziale:
"...la riforma è mal pensata e mal scritta di per sé, a prescindere dalla legge elettorale: le modalità di composizione del Senato restano segnate da irresolubile contraddittorietà e le sue possibilità di effettivo funzionamento assai incerte; il procedimento legislativo si complica al di là di ogni ragionevolezza; 
; gli strumenti di garanzia (presidente della Repubblica, giudici della Corte costituzionale, membri laici del Csm, Statuto delle opposizioni) cadono nella disponibilità della maggioranza; la ripartizione dei giudici della consulta tra Camera e Senato è del tutto irrazionale; i rapporti Stato-regioni restano contraddittori e comunque sempre nella disponibilità del governo qualora decida di attivare la clausola di supremazia; il concreto esercizio della democrazia diretta è reso più difficile, mentre il potenziamento dei relativi strumenti rimane (l'ennesima) promessa".
...Facile dire che non si verificano pericolose concentrazioni di potere quando non ci sono i presupposti per concentrare il potere; difficile è dire lo stesso quando quei presupposti si verificano. L'Italicum è esattamente questo: uno strumento di concentrazione del potere che la nuova Costituzione non riuscirebbe a contenere
http://image.slidesharecdn.com/ilfascismo-120308114750-phpapp02/95/dopoguerra-e-fascismo-in-italia-61-728.jpg?cb=1331208023

Negli anni passati, la Costituzione è riuscita, sia pure con difficoltà, a impedire che forze politiche venate di autoritarismo avessero mano libera nel governare il Paese. Se oggi la stessa Costituzione non è riuscita a impedire il suo stravolgimento, è solo perché la sentenza che ne sanciva la violazione da parte del Porcellum è stata ignorata. Se la maggioranza non avesse potuto godere a tempo illimitato dell'illegittimo raddoppio dei seggi, oggi non si discuterebbe di riforma costituzionale".

6. Nel dibattito televisivo con De Mita, il premier ha chiesto di indicare quali fossero le norme della riforma che portassero a un rafforzamento del potere del premier e del governo rispetto al parlamento.
In realtà, anche avendo elementari conoscenze storiche, la risposta non era difficile da dare, tanto che il citato articolo del prof.Pallante le cita, (peraltro in modo avulso dall'€uropa e quindi indebolendone la denunzia). Si tratta de:
a) "il voto a data certa (che) consegna il calendario dei lavori parlamentari nelle mani del governo, così completando (con fiducia, decreti-legge, maxi-emendamenti, ecc.) il dominio dell'esecutivo sul legislativo";
b) "i rapporti Stato-regioni restano contraddittori e comunque sempre nella disponibilità del governo qualora decida di attivare la clausola di supremazia".

7. Le relative previsioni sono, la prima, l'approvazione delle leggi nei tempi prefissati unilateralmente dal governo, nell'art.72, comma 4, della "nuova" Costituzione riformata:
"Esclusi i casi di cui all’articolo 70, primo comma, e, in ogni caso, le leggi in materia elettorale, le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali e le leggi di cui agli articoli 79 e 81, sesto comma, il Governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che un disegno di legge indicato come essenziale per l’attuazione del programma di Governo sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera dei deputati entro il termine di settanta giorni dalla deliberazione. In tali casi, i termini di cui all’articolo 70, terzo comma, sono ridotti della metà. Il termine può essere differito di non oltre quindici giorni, in relazione ai tempi di esame da parte della Commissione nonché alla complessità del disegno di legge. Il regolamento della Camera dei deputati stabilisce le modalità e i limiti del procedimento, anche con riferimento all’omogeneità del disegno di legge".
La seconda, la "clausola di supremazia" (che meriterebbe un ampio discorso a sè), è contenuta nel "nuovo" art.117, comma 4:
"Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale".

8. Il primo articolo non avrebbe bisogno di ulteriori commenti, se non quello di rammentare come vi sia un precedente equivalente sul piano del precetto sostanziale che viene introdotto
"Mi riallaccio quindi al post precedente dove si parlava di involuzione anti-parlamentare. Chiara, ormai, come il sole (l'unico dubbio è se assimilare l'attuale momento ai tempi di Di Rudinì e Pelloux ovvero a quelli di Mussolini). Si vuole una forma di governo esecutivo-centrica e basta, con un parlamento ratificatore.
Ora: la legge n. 2263 del 1925 recitava (art. 6): 
"Nessun oggetto può essere messo all’ordine del giorno di una delle due camere, senza l’adesione del capo del governo."
(La legge di nonno Benito, proprio lei).

Mi si dica se, nei fatti, un ddl costituzionale presentato dall'esecutivo che ne pretende un'approvazione (quasi) integrale, dove si detta uno specifico contingentamento dei tempi di esame dei disegni di legge non si uniformi alla medesima ratio.
Ma a sciogliere i dubbi, ci pensa la lettera b) dell'articolo 10, del citato ddl Renzi-Boschi, che recita [ndr; si tratta della versione originaria del testo della riforma, poi modificata, ma non nella sostanza, nei passaggi parlamentari, fino alla forma sopra riprodotta]: "Il Governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare che un disegno di legge sia iscritto con priorità all'ordine del giorno e sottoposto alla votazione finale entro sessanta giorni dalla richiesta ovvero entro un termine inferiore determinato in base al regolamento tenuto conto della complessità della materia. Decorso il termine, il testo proposto o accolto dal Governo, su sua richiesta, è posto in votazione, senza modifiche, articolo per articolo e con votazione finale. In tali casi, i termini di cui all'articolo 70, terzo comma, sono ridotti della metà"...

9. Alla facile obiezione che esistano altri ordinamenti in cui sia inserita una previsione acceleratoria ex parte principis, fino alla predeterminazione di quel fondamentale momento di scelta che è la priorità dell'ordine dei lavori, propria dell'organo deliberante, e non di un organo "richiedente" che corrisponde a un diverso potere sul piano costituzionale, si può replicare che sì, esistono previsioni del genere.
Ma simili previsioni o non sono poste a livello costituzionale "formale", lasciando libero il Parlamento di riappropriarsi della propria autonomia di indirizzo politico.
Oppure sono in Costituzioni, come quella tedesca, che risultano improntate al concetto di indirizzo prevalente fissato dall'Esecutivo in quanto, in ossequio alla teoria ordoliberista della predeterminazione del più essenziale indirizzo politico da parte della fissazione "automatica" dell'equilibrio autonomo dei mercati, questo stesso indirizzo non possa realmente considerarsi la conseguenza delle indicazioni del processo elettorale.
Da notare, in ogni modo, che le esigenze acceleratorie e predeterminative dell'ordine e dei tempi delle deliberazioni parlamentari sollecitate dal governo, in Germania, sono regolate in modo meno perentorio e draconiano di quanto non risulti dalla norma di riforma attuale italiana (cfr; art.76 della Legge Fondamentale tedesca). 

Al processo elettorale (e a quello di elaborazione programmatica dei partiti che si rivolgono agli elettori), in questa visione, non compete, oltre il limite della discussione sulle libertà negative (nonché sui "diritti cosmetici"), di mettere in discussione la connaturata tecnocrazia interprete delle esigenze dell'ordine superiore del mercato e della formazione dei prezzi: anzi, la formazione spontanea dei prezzi è considerata il "voto permanente" (dei consumatori) cui è affidata ogni democraticità concepita nel campo economico e fiscale.

10. In questo schema di riduzione dell'autonomia dell'indirizzo politico proveniente dal circuito "elezioni-rappresentatività parlamentare della volontà del corpo elettorale", è evidente come si inscriva il modello della governance €uropea, quale espressamente enunciato nella interpretazione "autentica" fornita dal famoso "discorso di Barroso" nonché dagli auspici riformatori della Venice Commission.

Ed è questo aspetto di imposizione e orientamento €uropeista delle "ragioni della riforma costituzionale che - in raccordo con una legge elettorale che, per altro verso e con autonoma incisività, riduce la rappresentatività del parlamento in funzione, ossessivamente dichiarata, della governabilità (v.p.2.1.) -, risultano carenti le ragioni del "no" provenienti da più parti.
E non solo: ignorandosi questi aspetti, pure così eclatanti, si rende oggettivamente inattendibile ogni resistenza e opposizione alla "attuazione delle politiche europee" che si reclama solo a parole. 

Questa esigenza di "disciplinata" attuazione, infatti, rimane il clou innovativo, - di più profonda modificazione del "luogo" (cioè Bruxelles) e dei modi (non elettorali) di formazione dell'indirizzo politico fondamentale nonché della conseguente attività legislativa-,  apportato dalla stessa riforma costituzionale.

26 commenti:

  1. Quello della "governabilità" è uno degli slogan, inaugurato, o, meglio, ripreso, dalla Trilaterale, e poi destinato a perseguitarci per decenni.

    In quel saggio sul ventennale della Costituzione che ho citato, Mortati, che qualcuno ha avuto la faccia di bronzo di tirare in ballo fra i presunti padri nobili della riforma, afferma, pensate un po', che non c'è bisogno di alcun rafforzamento dei poteri del governo, perché i poteri necessari allo svolgimento delle sue funzioni in Costituzione ci sono già tutti. Non solo negli artt. 76 e 87, ma anche e soprattutto nell'art. 41: "Efficacia culminante, nel senso espansivo dei poteri di Governo, assumono poi i programmi ed i controlli, non già solo autorizzati ma imposti, secondo la logica del sistema, dall’ ultimo comma dell’ art. 41, che non possono, per la loro stessa natura, se non incentrarsi, entro le linee fissate dalla legge, nel potere esecutivo.” (C. Mortati, Considerazioni sui mancati adempimenti costituzionali in in Aa. Vv., Studi per il ventesimo anniversario dell’Assemblea costituente, Vol. IV, Vallecchi, Firenze, 1969, pp. 478).

    Il che però presuppone una corretta lettura del rapporto Costituzione-parlamento-governo. Quello che viene infatti spesso definito, sprezzantemente, come "eccessivo garantismo" della parte organizzativa, per esempio le molte riserve di legge, è solo il frutto della scelta di attribuire anche al parlamento, cioè alla rappresentanza popolare, un fondamentale ruolo attivo nella determinazione/attuazione dell'indirizzo politico-costituzionale, anziché farne prerogativa esclusiva del governo, come appunto in epoca fascista, esasperando una linea che era peraltro già propria del liberalismo. E non solo del liberalismo "statualista" continentale, come lo chiamano gli storici del diritto e come di solito si tende a pensare (anche a causa di una discutibile lettura compiuta da Orlando), ma anche inglese: "il segreto che rende efficace la costituzione inglese può essere individuato nella stretta unione, nella fusione pressoché completa del potere esecutivo con quello legislativo...............o il gabinetto riesce a legiferare, o scioglie l'assemblea. E' una creatura che ha il potere di distruggere il proprio artefice...........esso è stato fatto ma può disfare; pur dipendendo da un altro per la sua creazione, quando è all'opera può distruggere il creatore". Questo è Bagehot, tanto per la cronaca (che era pure un banchiere: sarà un caso?).

    Chiaro che una volta disattivato l'art. 41 e insieme tutto l'indirizzo programmatico costituzionale, soppiantato dall'esigenza di una pronta attuazione dell'"ordine pubblico economico" richiesto dai "mercati", la rappresentanza diventa un impiccio da neutralizzare il più possibile. E allora via con la partitocrazia, il consociativismo, l'instabilità, l'assemblearismo, il "dobbiamo sapere chi vince la sera stessa" e ovviamente, ciliegina sulla torta, la corruzzzzzzione. Meno male che ci sono i media a vigilare che, dopo un paio di decenni di alternanza senza alternative (bluff peraltro caduto con Monti), il dubbio che si trattati di slogan truffaldini non si diffonda.

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    1. Chiaro :-)
      Com'è chiaro che, approfondendo la GrundGesetz, ormai siamo a un ridicolo redde rationem, senza né capo né coda.
      Ci hanno imposto, con una paziente (e in ciò ammirevole) strategia, di rifare la costituzione in termini ordoliberisti e de-sovranizzati.

      Ma quando si deve andare al "dunque", ecco che i fautori de "l'ordine pubblico economico" in salsa €uropea, senza averci capito veramente nulla, si tirano indietro fiutando, con l'istintaccio del politico italiano - che fa "l'appello allo straniero" ma perché l'impulso di breve termine alla conservazione del potere è più forte dell'autopreservazione "olistica"-, che stavolta "è diverso": non sa perché, ma appunto "fiuta che potrebbe essere un suicidio politico.

      E vagamente, come nella fase del risveglio da un'ubriacatura ancora non smaltita, inizia a intravedere che s'è tirata troppo la corda.
      I terremoti, da sempre, vengono assunti come un potente "omen"...

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    2. Ma voi non capite: lo Stato è come una famiglia: domestico...

      I cittadini, come tutti gli animali utili al lavoro, vanno addomesticati.

      Questo bestiame che si aggozzoviglia nel trogolo del welfare state, aggratis, senza guadagnarsi il « pranzo » con il « sudore della fronte ».

      A dar giusto numero per far rispettare l'equilibrio demografico deve essere la salute data in « sorte »: l'evoluzione della specie!

      Gli animali vanno governati, ripulendo la stalla e razionando il nutrimento.

      Per tener bada alle faccende "domestiche" ci deve essere la "governante" teutonica: che bada al focolare domestico e, soprattutto, a nettare il prodotto domestico lordo.

      Alla Politica - come vuole la Legge naturale - ci deve pensare la « sanior pars »...


      (Torno a "rigovernare" i piatti)

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    3. Certo però che, ragionando un attimo, fa un po' sorridere pensare al fatto che, alla fin fine, chi abbia veramente "bisogno" siano loro piuttosto che noi. Sono loro che hanno bisogno dei nostri soldi. Se ci pensiamo un attimo, se domani tutti gli Italiani si stufassero, e ritirassero tutti i loro risparmi dalle banche, chi "cadrebbe" dal seggiolone? Noi o loro? Anche perchè fino a prova contraria, aldilà delle leggi su limiti contante, denaro elettronico ecc..., se accadesse ciò, ci sarebbero pesanti ripercussioni a livello economico (collasso banche ecc...) ma, alla fin fine, noi cittadini avremmo la possibilità di fare tutto normalmente. Pagare le tasse, pagare viveri e consumi ecc... Fa un pochino ridere quindi vedere come costoro "si prodighino" per migliorare (a parole) le nostre vite (facendo aumentare le tasse), la nostra esistenza. Un po' come quando ci "suggeriscono" di cambiare appunto la Costituzione, nata per evitare gli uomini soli al comando di vecchio retaggio fascista, per far si che invece di un uomo solo al comando, ci sia un partito solo al comando, cioè quanto accadeva... durante il periodo fascista. Oppure ci consiglino di inquinare di meno e tagliare le emissioni... facendo chiudere aziende, svendendo patrimonio industrie nazionali (Telecom, Eni, Olivetti), sobillando movimenti, giudiziari e non, contro certuni personaggi di settori "strategici" (medicale, elettronico, nucleare, pertrolchimico) ma che a lungo andare non avrebbero sbocchi (per noi certo, ma non per loro che tali aziende le hanno acquisite a prezzo di super saldo).
      Ci vogliono così tanto bene infatti che ci trattano come i galli, a cui prima tagliano la virilità, e poi una volta capponi ci mettono all’ingrasso, per soddisfarne gli appetiti... Sarebbe bello se tutti gli italiani capissero la messinscena… chissà, il referendum ci riportetà al nostro Vecchio splendore di… galli?

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    4. Tragicamente vero: come i galli o come i gatti...per addomesticare e rendere un giocattolo senza speranze la metafora del felino, ammirato solo se reso un innocuo "pet".
      Ed è proprio per impedirci di ritirare i NOSTRI soldi che ce li toglieranno tutti, "restituendoli" al mercato...l'unico proprietario ammesso da ESSI.

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  2. Buona sera.

    Riprendendo una felice intuizione di Giandomenico Majone, sappiamo già quanto nello stratagemma comunicativo del dibattito "de riforma" pesi l'aver espunto dal senso comune l'idea che si valutino gli eventi storici in termini di risultato piuttosto che SOLAMENTE in termini di processo: un patto, nell'età dell'euro, non è più un buon patto se ci fa stare meglio, ma è un buon patto se e perché lo abbiamo firmato. L'UE ci porta la pace perché ci ha fatto mettere attorno a un tavolo a crearla. #bastaunsì e usciremo, per dirla con Quarantotto, dalla Palude, indipendentemente da tutto quello che ragionevolmente e collateralmente potrebbe accadere. E un giorno riportare la Costituzione formale a quella che era prima di questa eventuale sciagura sarà visto come una blasfemia: si dirà che ha permesso all'Italia di uscire dalle secche del bicameralismo, seppure nella continuità del letame del capitalismo perfetto istituzionalizzato. È così, pace.

    Ma ai più che vedono come un successo i trattati €uropei e l'integrazione €uropea sfugge, o forse no, che in termini di processo allontanare DICHIARATAMENTE le decisioni dai cittadini, sottomettendo l'indirizzo politico al decidente e non al deliberante, significa cancellare formalmente la democrazia. In termini di processo conta, perché è un processo che non c'è più. Non lo vedono, pace.

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    1. ESSI lo vedono benissimo e anzi...non vedono l'ora (di formalizzare la sottomissione dell'indirizzo politico al decidente e non al deliberante).

      "Loro" non vedono processi perché non gli interessa neppure cosa decidano quando aderiscono ai trattati: gli interessa solo sapere che sedersi al tavolo è la consacrazione del potere.
      Quindi, "loro" li avviano e li compiono, i processi, come pura autoaffermazione di potere ancorché gli interessi che servono tali processi siano del tutto estranei a quelli per cui hanno, in teoria (sempre più vaga) ricevuto l'investitura.

      Forse, l'opinione di massa sta realizzando che, dati i risultati, qualcosa non funziona nel "processo", anche se "loro" non sanno spiegare perché (sia perché il processo non funziona, sia perché la massa se ne stia accorgendo. Forse).
      Forse: sia chiaro.

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  3. R€nzi a più riprese - con il suo codazzo - ci ha raccontato che “La legge elettorale col referendum non c'entra niente. L'Italicum secondo me è una buona legge elettorale e non essendo su questo il referendum non vedo come si possa continuare a collegarlo” [https://it.notizie.yahoo.com/renzi-la-legge-elettorale-col-180013647.html].

    Che vi sia però un solido connubio tra l’Italicum e la riforma costituzionale lo ha spiegato uno dei relatori di maggioranza della L. n. 52/2015, on. G. Migliore (PD):

    “… Innanzitutto, vorrei premettere che, come è stato osservato da molti, questa materia, la materia elettorale, è di assoluta rilevanza per la nostra democrazia ed essa ha pienamente rango costituzionale, pur non essendo una materia costituzionale. Voglio anche affermare IL SUO INDISSOLUBILE LEGAME CON LA RIFORMA IN ATTO DELLA COSTITUZIONE, CHE, IN BASE ALLA RIGOROSA APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 138, STIAMO MODIFICANDO IN QUESTO PARLAMENTO e in questa legislatura, con l'obiettivo anche di modificare il sistema del bicameralismo paritario, motivo per il quale è stata scelta la strada di modificare solamente la legge per la Camera [Seduta alla Camera n. 416 di lunedì 27 aprile 2015, pag. 6 reperibile all’indirizzo http://www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0416&tipo=stenografico#sed0416.stenografico.tit00100].

    E' lo stesso relatore a ribadire ancora: “… intendo mettere in evidenza LA STRETTA CONNESSIONE DI QUESTA RIFORMA, pur nella sua necessaria autonomia, CON IL PERCORSO DI REVISIONE DELLA CARTA COSTITUZIONALE che, nella rigorosa applicazione dell'articolo 138, stiamo parallelamente affrontando in queste aule…” [Seduta alla Camera n. 416 di lunedì 27 aprile 2015, cit., pag. 106]. Davvero non ne posso più di ascoltare menzogne.

    La nostra legge elettorale, invero, non poteva che essere la preferita da Bruxelles. Ci viene in soccorso ancora la Venice Commission 2.0 in un altro estenuante Paper di 273 pagine del 3 luglio 2013 dall’innocente titolo … “Legge elettorale” [http://www.eods.eu/library/VC.Electoral%20Law_EN.pdf], dove al significativo paragrafo “Scelta di un sistema di governance democratica” (pag. 200), nei punti da 110 a 114 ci viene sostanzialmente spiegato che in democrazia è più funzionale un sistema maggioritario, mentre non è vero che il sistema proporzionale sarebbe la “fase suprema” di un’elezione democratica.

    Il pacco neordolib€rista (legge elettorale+deforma costituzionale) è servito. Tutto è eterodiretto dalle legioni di Darwin. (segue)

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  4. Il sostegno alla vera democrazia costituzionale è stata sempre appannaggio di pochissimi:

    “… Oggi non si discute più…quale sia il sistema elettorale più adatto a far nascere un’assemblea che rifletta, come uno specchio, la fisionomia politica del Paese, ma al contrario qUALE SIA IL SISTEMA ELETTORALE CHE MEGLIO CONSENTA DI DEFORMARE QUESTA FISIONOMIA NEL PAESE. Poiché il partito di maggioranza sa di essersi notevolmente indebolito…esso si preoccupa di trovare un sistema che, falsando la volontà del Paese, gli conservi quella maggioranza di cui non può più disporre. Il problema attorno a cui si arrovellano i cervelli democristiani è ormai soltanto questo: data una determinata situazione politica del Paese, in cui il governo non dispone più della maggioranza dei consensi, trovare la legge elettorale che gli dia egualmente la maggioranza dei seggi.

    Come nel 1924, quando la rappresentanza proporzionale fu sostituita con la legge Acerbo, questo capovolgimento di indirizzo significa il CAPOVOLGIMENTO DEI PRINCIPI SU CUI SI FONDA LA DEMOCRAZIA PARLAMENTARE, la quale ha per presupposto appunto l’alternarsi delle maggioranze, cioè la possibilità data alla minoranza di diventare maggioranza, mentre le leggi elettorali basate sui cosiddetti “premi di maggioranza”, del tipo della legge Acerbo…hanno invece lo scopo opposto di perpetuare la maggioranza esistente, di creare UN BLOCCO MASSICCIO DI DEPUTATI NON SORRETTO DA UN’ADEGUATA FORZA NEL PAESE, e perciò stesso di sopprimere la funzione democratica del Parlamento e annullare la vita democratica del Paese.

    Nove mesi dopo le elezioni fatte con la legge Acerbo nasceva in Italia la dittatura fascista attraverso il colpo di forza del 3 gennaio, che la Camera, nata a sua volta da una legge antidemocratica, non poteva che avallare. IL CHE IN ALTRE PAROLE VUOL DIRE, OGGI COME IERI, CHE LA SOPPRESSIONE DELLA PROPORZIONALE indica la volontà del governo di PASSARE DALLA FASE DI DEMOCRAZIA PARLAMENTARE A QUELLA DI STATO-REGIME”
    [L. BASSO, Proporzionale e democrazia parlamentare, in Il Comune democratico, aprile 1952, n. 4, 101-102]. (segue)

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  5. E Lelio Basso poi aggiunge:

    “… Abbiamo sentito e sentiamo ripetere continuamente nel corso della polemica che si svolge intorno a questa legge elettorale che essa è fatta a garanzia della STABILITÀ DEL GOVERNO, PER DARE UNA MAGGIORANZA SICURA; e si ripete continuamente come un luogo comune, come qualche cosa di ricevuto, che il fondamento del regime democratico sarebbe il diritto della maggioranza, che la legge rafforzerebbe semplicemente questo diritto, questo diritto della maggioranza che sarebbe il substrato dell'ordinamento democratico. Ora io credo veramente che la dottrina costituzionalista più moderna abbia definitivamente superato questa concezione dell'onnipotenza della maggioranza, questa pretesa di porre a fondamento di un ordinamento sociale, civile, politico, di una convivenza nazionale, il principio che la maggioranza ha tutti i diritti e che la minoranza, perché minoranza, deve soltanto ubbidire, direi, anzi, che tutta la moderna dottrina, ciò che più importante, tutta la moderna pratica costituzionale si sono profondamente trasformate nel corso degli ultimi decenni soprattutto sotto questo riflesso. Mentre quando il tipo più diffuso di regime era la monarchia-costituzionale, si poneva al centro del diritto costituzionale, e cioè si riteneva che la Costituzione, il paese, lo stato, si reggessero su un determinato equilibrio fra questi poteri - l'esecutivo, che era tradizionalmente rappresentato dalla monarchia ereditaria, e il legislativo che era viceversa l'espressione della volontà popolare - non c'è nessun dubbio che oggi sia la dottrina costituzionalista e sia, ripeto, la prassi delle Costituzioni, hanno nettamente superato questo concetto, perché, fortunatamente, le monarchie - costituzionali o meno, son oggi definitivamente superate. (segue)

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  6. Oggi invece ogni Costituzione moderna, che risponda alle esigenze della vita moderna, considera che IL FULCRO DELLA VIA COSTITUZIONALE, IL CENTRO, IL PUNTO DI EQUILIBRIO DELLA VITA COSTITUZIONALE, NON È PIÙ QUESTO EQUILIBRIO FRA L'ESECUTIVO E IL LEGISLATIVO, inteso il legislatore come rappresentante della volontà indistinta di tutto il popolo, ma è viceversa L'EQUILIBRIO FRA MAGGIORANZA E MINORANZA, fra una parte del popolo e un'altra parte del popolo; diremmo, se volessimo introdurre il concetto in termini nostri, marxisti, FRA CLASSI DOMINANTI E CLASSI DOMINATE E OPPRESSE. Ma se non vogliamo tradurlo in termini marxisti, fra maggioranza parlamentare da cui si esprime il governo, che è quindi un tutt'uno con il governo, con coloro cioè che presiedono alla funzione esecutiva, e la minoranza che ha viceversa una funzione costituzionale di stimolo e di freno, a seconda dei casi, e di controllo dell'attività della maggioranza. Non vi è, dicevo, nessun dubbio, che la dottrina costituzionalista moderna ha posto a fondamento della vita costituzionale di uno stato democratico non più semplicemente il rapporto fra esecutivo e legislativo e non più semplicemente l’affermazione del principio maggioritario come espressione della volontà di tutto il popolo, ma un principio maggioritario e minoritario, cioè di un certo equilibrio che deve essere tenuto fra maggioranza e minoranza, equilibrio per cui la maggioranza legiferi con il rispetto della minoranza, con il rispetto dei diritti fondamentali che le Costituzioni moderne riconoscono alle minoranze…

    Lo scopo delle elezioni non [è] quello di indicare una maggioranza e di darle un largo margine perché essa possa meglio governare secondo i propri principi, ma [è] invece quello di INDIVIDUARE LE DIVERSE CORRENTI POLITICHE E DI ATTRIBUIRE A CIASCUNA IL SUO REALE PESO, IN MODO CHE IL GOVERNO POSSA POI TENERE CONTO DELLE DIVERSE ESIGENZE, E NEI LIMITI DEL POSSIBILE, CONTEMPERARLE. … se la presenza e la funzione della minoranza è di rilievo costituzionale (e, ripeto, non v'è dubbio che sia di rilievo costituzionale, talché la nostra Costituzione attribuisce diritti alle minoranze, e fra l'altro appunto quello di far convocare il Parlamento ai sensi dell’art. 62), essa minoranza deve essere presente con il suo peso effettivo. Se il rapporto minoranza-maggioranza, che è un rapporto fondamentale, basilare nella vita dello stato moderno è artificiosamente alterato, è artificiosamente alterata la base e la vita dello stato moderno. La minoranza viene privata delle possibilità, delle podestà, dei diritti, delle garanzie che la Costituzione le offre; LA TUTELA COSTITUZIONALE È PRATICAMENTE ANNULLATA…”.
    [L. BASSO, La violazione dei diritti del corpo elettorale, in Mondo Operaio, 20 dicembre 1952, n. 24, 7-10].

    €SSI vogliono che l’Italia proceda verso la rinascita della “Camera dei fasci e delle corporazioni”

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    1. Sarei (a naso), più propenso a vedere ESSI come nostalgici di Salandra (contraiamo debito con banche anglosassoni e mandiamo il surplus demografico del mercato del lavoro in guerra) e, prima ancora, di Bava Beccaris (abbattiamo a cannonate qualsiasi segno di vita della organizzazione dei working poors)...

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    2. "Lo scopo delle elezioni non [è] quello di indicare una maggioranza e di darle un largo margine perché essa possa meglio governare secondo i propri principi, ma [è] invece quello di INDIVIDUARE LE DIVERSE CORRENTI POLITICHE E DI ATTRIBUIRE A CIASCUNA IL SUO REALE PESO, IN MODO CHE IL GOVERNO POSSA POI TENERE CONTO DELLE DIVERSE ESIGENZE, E NEI LIMITI DEL POSSIBILE, CONTEMPERARLE"

      Ecco che in questa frase si condensa come non abbia capito nulla di democrazia chi usa il teorema di Arrow e il paradosso di Condorcet come critica della stessa. Entrambi nel rilevare le incongruenze del metodo democratico postulano il doppio turno come dato (dice Wikipedia: "Il paradosso di Condorcet ci dice che il sistema di votazione a maggioranza non è indipendente dall'ordine delle votazioni") e come risultato finale l'espressione di UN solo vincitore. Ma la democrazia è altro, e Arrow un liberista come la maggior parte degli studiosi di teoria dei giochi.

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  7. Non c'è dubbio. Direi che tali nostalgie si abbinano sempre con una buona dose di "sano" fascismo, inteso come riesumato strumento di assalto ai poteri dello stato da parte del capitalismo oligarchico.
    L'"ordine" prima di tutto.

    Si sa, i poveracci sono sempre stati carne da macello





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  8. Sono d'accordo, Presidente. L'impronta non è strettamente fascista, ma di quel ributtante liberalismo di fine secolo e poi post-giolittiano che, più ancora dell'autoritarismo da razza (già) padrona della Sinistra storica, rivela l'anima lurida del canagliume borghese italiano (e non solo italiano, a dire il vero).

    Ma il fascismo, al netto del suo grottesco apparato marchettaro e manesco, è la prosecuzione di quel liberalismo cialtrone con solo apparentemente altri mezzi.
    Ne raccoglie (e sbroglia) eredità, finalità di classe e crisi stessa - acuita dalla guerra e dall'avvento, anche istituzionale, dei soggetti di massa (vedi legge elettorale proporzionale con scrutinio di lista, vedi biennio rosso che riallaccia il filo reciso della settimana di sangue del '14 - ancora Salandra!).

    Ci tornano, allo Statuto, oh se ci tornano! In camicia nera ci tornano e ci zompano sopra per legge ordinaria, ma con un'operazione resa possibile dall'italic... ehm, scusate, dalla legge Acerbo.

    Perché scrivo cose che qui tutti sanno? Perché credo che a questo alludesse Francesco (impossibile, ormai, lo stato monoclasse? Ok, allora corporazioni - il cui processo istitutivo, va ricordato, inizia da una bella passeggiata del "Buce" a Pal. Vidoni: a Fra', chetteserve? non è solo roba da prima Repubblica).

    Ma scrivo il risaputo (qui, risaputo, qui!) soprattutto per il gusto di dannare la memoria di questi mentecatti, di questa eterna feccia liberaliforme camaleontica: "Einaudi fascista coi fascisti" (Bagnai).

    Hanno usato anche Benito che quasi, poraccio, mi fa pena adesso. L'eterno fascismo italico non è quanto intendeva Sciascia, ma questa merda senza tempo coi suoi servi coprofagi, che Dio li maledica!

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    1. Non è poi così scontato quello che in effetti implicava Francesco; e gliene do atto, a mente fredda.
      Quindi è pure giusto il tuo richiamo "all'ovvio in questa sede".

      Sul ritorno del corporativismo e sulle sue relazioni con l'ordoliberismo, sarà opportuno tornare, approfondendo...

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    2. Attendo con ansia, ché mi manca un passaggio (il legame sta forse nel ruolo dello Stato che, come dicevate non so più quando, c'entra sempre e varia solo nella declinazione di tale ruolo e nell'interesse cui si piega? O nell'istituzionalizzazione del diritto privato che, cacciato dalla porta dello stato totalitario - di pretta teorizzazione fascista - ne rientra dalla finestra come espressione dell'interesse dominante? O nella scomparsa del Lavoro, fagocitato dal sistema corporativo?). Attendo, dunque.

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    3. Ho utilizzato di proposito il termine fascismo identificandolo non caso con lo “strumento di assalto ai poteri dello stato da parte del capitalismo oligarchico”, ciò che era allora ed è esattamente oggi.

      Nell’assumere detta espressione bassiana ho utilizzato un’analisi marxiana del fenomeno fascista (che sottende il concetto di lotte di classe nonché le ineliminabili e necessarie contraddizioni tipiche del capitalismo). In base all’analisi marxiana, il fascismo non può considerarsi come un fenomeno eccezionale né irripetibile, ma cangiante ed a vocazione totalitaria al mutare delle situazioni geopolitiche. Il fenomeno storico nacque là dove le vecchie istituzioni politiche (cerchiobottiste di Giolitti) non rispondevano più agli interessi della classe dominante, e sorse come la forma politica più opportuna a tutelare gli interessi sconvolti o minacciati di questa classe. Esso, in definitiva, fu la soluzione logica, dal punto di vista capitalistico, delle difficoltà e delle contraddizioni che l’hanno preceduto.

      E’ Basso che ci ricorda come quel particolare fenomeno storico del primo dopoguerra non sia stato quindi il prodotto “… della volontà malvagia di un gruppo di uomini che riesce a far violenza al corso naturale delle cose, ma è la risultante degli sforzi tentati su diversi piani delle forze sociali minacciate, per non essere travolte (allora, NdR) dalle rovine della guerra. Così come il compromesso liberal-democratico garantisce l’equilibrio delle forze sociali nei paesi prosperi attenuando i contrasti di classe e disciplinandoli sia attraverso il giuoco delle forze economiche sia attraverso la pressione sui poteri pubblici (attraverso il “riformismo”, quando ci sono margini sufficienti, NdR), così il fascismo esprime il solo equilibrio che sia ancora possibile in regime capitalistico nei paesi poveri o impoveriti dalla guerra e dalla CRISI, in cui il meccanismo del profitto sia venuto a spezzarsi e alla fase di prosperità sia subentrata QUELLA DI DEPRESSIONE (crisi e depressioni cicliche e necessarie per Marx, NdR), per cui il contrasto degli interessi, eliminato ogni margine di ricchezza e quindi di elasticità del tessuto sociale, deve essere dominato a forza e risolto unilateralmente a vantaggio della classe più forte. Esso è in definitiva la sola alternativa che il mondo capitalistico ha potuto trovare ai pericoli di una rivoluzione sociale, ma ha la stessa validità e legittimità storica del regime democratico, del quale continua i motivi più profondi” [L. BASSO, L’evoluzione del capitalismo fino alla seconda guerra mondiale, in Quarto Stato, 30 dicembre 1948, n. 1, 3-9]. (segue)

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    4. Di tale argomento, se non erro, abbiamo discusso altre volte allorché è stato citato nel blog “Ciclo totalitario” di L. Basso, che ritengo opportuno riprendere alla lettera:

      “… Le tendenze che agiscono nella vita politica e sociale di oggi sono della stessa natura di quelle che agirono all’indomani della prima guerra mondiale, MA IN UNA SITUAZIONE INTERNAZIONALE PROFONDAMENTE MUTATA. Siamo cioè in presenza di una NUOVA AVANZATA DEL CAPITALE finanziario verso LA MANOMISSIONE TOTALE DEI PUBBLICI POTERI E VERSO FORME DI GOVERNO TOTALITARIE, ma questa volta SOTTO LA GUIDA E PER CONTO DELL’AMERICA. La prima tappa era stata rappresentata dal fascismo, che, nato sotto la spinta di esigenze diverse, si affermò in definitiva come un momento della lotta condotta, dal capitale monopolistico per rendersi padrone dello Stato. Giolitti era stata l’ultima incarnazione della vecchia fase liberale, dominata ancora dal capitalismo di concorrenza e dall’industria leggiera. Certo aveva dovuto anch’egli tener conto delle nuove tendenze che cominciavano ad affermarsi pure in Italia, ma aveva sempre tentato di armonizzarle nel quadro di una concezione grosso modo liberale, in cui egli cercava di inserire anche le correnti popolari. Funzione di mediazione fra diverse correnti politiche, rappresentanti i diversi legittimi interessi di classi e di ceti, era in definitiva quella che Giolitti riservava allo Stato liberale, anche se poi egli vi assolveva in forma paternalistica, e, naturalmente, nel quadro dell’ordine sociale esistente …
      La prima guerra mondiale accentuò notevolmente lo sviluppo delle nuove forme capitalistiche: l’industria pesante (Ilva, Ansaldo, ecc.), la sua fusione col capitale bancario (Banca Italiana di Sconto, p. es.), il forte incremento della speculazione (Gualino) sono tutti segni che anche in Italia il capitale finanziario diventava il fattore dominante e tendeva necessariamente alla DIRETTA MANOMISSIONE DEI POTERI PUBBLICI PER POTER MEGLIO PIEGARE LA POLITICA DELLO STATO ALLE ESIGENZE IMPOSTE DALLA SALVAGUARDIA E DALL’ACCRESCIMENTO DEL PROPRIO PROFITTO…

      La prima differenza che balza agli occhi fra il dopoguerra fascista e il dopoguerra democristiano è che allora l’Italia entrava appena, si può dire, nella fase imperialistica e s’inseriva nel gioco delle potenze imperialistiche contrastanti. Il capitale monopolistico entrava cioè in concorrenza con il capitale monopolistico straniero; l’industria pesante italiana doveva difendersi dall’industria pesante più progredita e più potente di altri paesi. Perciò essa doveva essenzialmente ridurre i suoi costi, difendersi con barriere doganali e assicurarsi larghi ordinativi dallo Stato; al primo scopo mirava l’abbattimento della forza organizzata del lavoro, per la riduzione dei salari, al secondo l’autarchia, al terzo una politica di riarmo e di potenza, FINI TUTTI FACILMENTE CONSEGUIBILI ATTRAVERSO LA CONQUISTA DEL POTERE STATALE, che consentiva anche quella valvola di sicurezza che consiste nell’addossare alla collettività le perdite, attraverso salvataggi o attraverso una politica finanziaria manovrata. Questi erano, molto schematicamente, gli obiettivi del capitale finanziario italiano nel primo dopoguerra. (segue)

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    5. Oggi invece il capitale finanziario italiano È IN FUNZIONE DELLA POLITICA DEI GRUPPI AMERICANI CHE LO DOMINANO. Non si tratta più di conquistare e difendere il mercato italiano, ma di inserire i complessi italiani nella vasta manovra del capitalismo americano, il quale tende a creare dei grandi spazi, per avere larghi mercati di sbocco ai prodotti americani o ai prodotti delle industrie ch’esso controlla negli altri paesi. Questo significa che devono essere lasciate cadere le industrie che non interessano il capitale americano e che sono in concorrenza con altre industrie americane o europee ma sotto controllo americano: sono soltanto pochi grandi gruppi monopolistici (Fiat, Snia, Montecatini, Pirelli, ecc.) che possono attrarre capitale anglosassone ed entrare così nel gioco della finanza di Wall Street. La smobilitazione volontaria o lo schiacciamento delle altre industrie è una conseguenza di questa politica, che mira anche, per espresse dichiarazioni dei grandi esperti d’oltre Oceano, A CREARE NEI PAESI EUROPEI UNA MASSA DI DISOCCUPATI SUFFICIENTEMENTE VASTA PER DARE AL MERCATO DEL LAVORO QUELLA ELASTICITÀ CHE PUÒ INTERESSARE I CAPITALISTI CHE VENGONO QUI ALLA RICERCA DI PROFITTI PIÙ LARGHI DI QUELLI CONSEGUIBILI NEL PROPRIO PAESE (ove l’accumulazione del capitale segue un ritmo più celere delle possibilità di investimento), e che in Italia, per garantirsi questi profitti, giocano soprattutto sullo sfruttamento di una mano d’opera più a buon mercato.

      È chiaro che una politica di questa natura non può più poggiare su parole d’ordine nazionalistiche o imperiali, ma al contrario su parole d’ordine cosmopolite: L’UNITÀ DELL’EUROPA, o addirittura, la civiltà cristiana o LA CIVILTÀ OCCIDENTALE SONO I NUOVI MITI CHE IL CAPITALE MONOPOLISTICO ADOPERA PER LA CONQUISTA DELLE MASSE. Tuttavia, anche sotto questa nuova forma, anzi ora più che mai, il capitale monopolistico ha bisogno del DOMINIO INCONTROLLATO DELLO STATO: l’opinione pubblica non può essere ammessa a conoscere e a discutere i reali rapporti di sudditanza verso l’America, e d’altra parte le manovre finanziarie che comporta questa politica, onde allineare il nostro paese secondo gli schemi elaborati a Wall Street sono infinitamente più complesse di quelle che erano necessarie nell’altro dopoguerra. Senza contare che è più facile ubriacare e mobilitare l’opinione pubblica in favore di una politica di potenza che di una politica di asservimento …” [L. BASSO, Ciclo totalitario in Quarto Stato, 30 maggio-15 giugno 1949, 3-8].

      Vista in quest’ottica, tutta la costruzione €uropea è quindi intrinsecamente fascista nel senso specifico sopra precisato. L’Italia, quale sub-holding, si avvia a diventare una riproduzione frattalica delle geometrie istituzionali europee in funzione servente rispetto alle oligarchie capitalistiche internazionali (riforma costituzionale+legge elettorale analizzate dal Presidente ne sono la prova: marginalizzazione del parlamento, accentramento e verticalizzazione del potere in capo all’esecutivo nonché autonomia territoriale resecata sono i tratti più conclamati. Non si fa altro che migliorare e rendere più snella la catena di comando). (segue)

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    6. E’ evidente che oggi è inconcepibile un “biennio rosso”, una farsesca marcia su Roma o fenomeni di squadrismo tipiche di quel fascismo storico, non fosse altro che siamo stati deindustrializzati e quarant’anni di “socialdemocrazia” riformista hanno polverizzato ogni residua coscienza di classe. La vera egemonia gramsciana è oggi esclusivamernte appannaggio delle élites (che Marx lo hanno studiato benissimo), ed della loro solidarietà di classe.

      Tuttavia allora, come oggi, mediante la costruzione €uropea, il neocapitalismo reagisce alle proprie contraddizioni e crisi che affondano le proprie radici già negli anni ’70. L’ordoliberismo tattico (che, come sappiamo, è liberismo mimetizzato e cosciente dell’esistenza delle costituzioni democratiche) è la risposta su scala continentale a quella crisi e a quelle contraddizioni del capitalismo, mediante – ripeto - IMPOSSESSAMENTO DELLE ISTITUZIONI DEMOCRATICHE, le quali finiscono per diventare lo strumento principale per continuare ad assicurarsi profitto ad ogni costo (come sempre a danno dei lavoratori). In questo consiste l’interesse pubblico privatizzato, lo Stato privatizzato per destinazione capitalistica.

      Quanto al corporativismo storico fascista, sempre secondo una stretta analisi marxiana, esso è stato utilizzato dalla classe dominante per sopprimere il conflitto di classe: “La collaborazione è in atto. Bisogna costruire un fronte unico dell’economia, bisogna eliminare tutto ciò che può turbare il processo produttivo, raccogliere in fascio le energie produttive del paese nell’interesse della Nazione” (Mussolini nel ’23 dixit). La collaborazione di classe.

      Oggi assistiamo, in forme e modalità diverse, ad un neocorporativismo. Il caso Mirafiori e del “Progetto fabbrica Italia” di Marchionne, le riforme funzionali allo sfruttamento del lavoro a fini “competitivi”, gli attacchi degli ultimi anni al pubblico impiego, sono tutti fenomeni che rafforzano l’operazione diretta a far sentire tutti appartenenti ad un comune destino, tutti in un solo calderone.

      Oggi non vengono utilizzati apparentemente forme autoritarie, ma il consenso di massa, con i sindacati totalmente succubi degli eventi se non collaborativi. Chi si ribella è demonizzato. Hartz in Germania ha fatto le sue riforme da fame con il consenso dei sindacati. Lo spauracchio è la crisi e lo slogan “abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità”. Meglio un lavoro con i vaucher che niente. Non è questa un’altra forma di collaborazione di classe? Risultato: fine del conflitto e sconfitta (come sempre) dei lavoratori in balia del capitale.

      Spero di essere stato chiaro.

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    7. Era già chiaro :-)
      Basso risulta sempre utile, pur dovendosi, sul piano geo-economico, tener conto di vasti cambiamenti del capitalismo sovranazionale: ed è qui su questo punto che soccorre la questione del federalismo ordoliberista €uropeo.
      Cioè il tema che mi riservo di trattare in una prossima occasione.

      Perché questa questione ci fa comprendere che le similitudini col fascimo corporativista sono andate, nell'evoluzione €uropea, ben oltre le giuste indicazioni che Basso forniva nel suo tempo...

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  9. Non c'è dubbio, sono d'accordo con Lei, anche perché Basso - che era un genio- scriveva nel 1949. Non poteva conoscere e prevedere nei minimi dettagli l'evoluzione e la perversione dispiegatasi poi con il federalismo €uropeista, fenomeno europeo di cui aveva però intuito perfettamente i fini. La sua analisi resta di una lucidità impressionante

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  10. Oh, dunque, valide su tre delle ipotesi che avanzavo in modo corrivo e scorciato: Stato privatizzato per destinazione capitalistica (simmetricamente alla privatizzazione, oggi, del diritto internazionale) e soppressione del conflitto di classe per assorbimento/asservimento del Lavoro (come fattore e come soggetto storico) nel sistema (neo)corporativo.

    Scordavamo (si fa per dire) un soggetto: "collaborazione"... e subito corro alla Rerum novarum (e ai suoi successivi esercizi di riscrittura dell'identico, sino a un Francesco tutto pauperismo e carità, ma senza uno straccio di analisi strutturale - che sennò perde il lavoro...). Cattofascioliberismo, questa nuova immonda persona trinitaria...

    Grazie a Francesco (e a Basso!).

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