1. Nell'approssimarsi di queste elezioni, forse decisive o, più probabilmente, momento estremo di una (finora) successful strategia conservativa, facciamo il punto-nave della società italiana, intesa come Stato-comunità, che si muove sulla traiettoria impressa dalle intenzioni della classe dirigente, sempre meno nazionale, che detiene il potere effettivo di governo.
Per definire tale punto-nave occorrono alcuni "punti di posizione", correlati a dei "punti cospicui", la cui esatta stima combinata ci fornisce la rotta effettiva (diversa, in quanto corretta in funzione della traiettoria effettivamente percorsa, rispetto alla rotta teorica, inizialmente dichiarata, e tanto più diversa in quanto la navigazione venga intrapresa trascurando, con negligenza o intenzionalmente, una serie di forze che influiscono fisicamente sul moto o sugli strumenti di sua rilevazione).
2. Appare possibile compiere un'operazione analogica di questo tipo rispetto ad un'intera società nazionale, nel cui interesse esclusivo dovrebbero agire i titolari delle istituzioni, secondo un solenne impegno previsto dalla Costituzione, all'art.54; una Nazione che, a tutt'oggi, risulterebbe ancora "entificata" in quella che un tempo poteva essere chiamata, (senza subire accuse di collettivismo - nazionalismo guerrafondaio - protezionismo- anti€uropeismo e via dicendo), Repubblica democratica fondata sul lavoro.
E spero di non avere dato luogo a notizie scioccanti qualificabili come fakenews.
3. Per definire il punto-nave, quindi abbiamo punti-cospicui e punti di posizione in abbondanza, costituiti da fatti storici noti e univocamente riscontrabili e da interpretazioni e precetti programmatici che li giustificano e li preparano in modo dichiarato.
Sappiamo, ad esempio, che il principale di questi "punti" consiste nell'intenzione restaurativa dell'ordine internazionale del mercato, perseguita attraverso una serie di trattati caratterizzati dal perseguimento dell'interesse economico, privato, del numero ristretto di individui "cosmopoliti" che sono titolari della proprietà e dei poteri gestionali che definiscono, momento per momento, il fenomeno sociologico, transnazionale, denominato "mercato", come ci insegna Galbraith, e che, appunto, tali trattati intendono massimizzare.
Il più immediatamente vincolante è il trattato istitutivo dell'unione economica e monetaria europea, che, a sua volta, è dichiaratamente volto (nelle dichiarazioni dei suoi sostenitori) a raccogliere la sfida della globalizzazione, anch'essa rigorosamente istituzionalizzata in un insieme coordinato di trattati e di soft law dettato da organizzazioni internazionali.
4. E perché lo sappiamo?
Perché lo affermano solennemente i suoi stessi promotori, all'interno di norme fondamentali e di analisi teoriche comunque interpretative di principi informatori di tali trattati e organizzazioni internazionali.
L'idea-guida, cioè l'obiettivo politico assunto a livello sovranazionale dalle elites cosmpolite che predeterminano, prima ancora dell'azione formale dei negoziatori investiti dai singoli Stati (operanti quindi, in una fase attuativa che già si colloca "a valle" della predeterminazione di tale obiettivo), è la restaurazione dell'ordine internazionale del mercato, quale definita da Karl Polany (qui, p.4).
Una restaurazione che, proprio in quanto tale, trova il suo modello istituzionale di riferimento nella "codificazione" compiuta nelle due famose Conferenze di Bruxelles (1920) e Genova (1922).
(Per inciso: i links sono indispensabili per coloro che, non hanno avuto modo di seguire le precedenti analisi).
5. L'ordine internazionale del mercato si incentra su tre "istituzioni" (qui, p.1.2.), intese come fatti normativi, come regole, che caratterizzano sopra ogni altra l'organizzazione strutturale del potere decisionale e gli obiettivi di quest'ultimo (la c.d. governance), nonchè gli strumenti stabili di loro perseguimento:
a) il gold standard o una moneta che, nei suoi effetti socio-politici conformativi, gli equivalga (funzionalità isomorfa), accompagnandosi al suo postulato-corollario della banca centrale indipendente dagli organi rappresentativi dell'indirizzo elettorale democratico, cioè "al riparo dal processo elettorale". Uno strumento istituzionale che, come illustrano Carli e Eichengreen nel post appena linkato, tende irresistibilmente a gerarchizzare la società che l'adotta in un'oligarchia timocratica dominante e in una massa, subalterna, di lavoratori-merce;
a) il free-trade, inteso come apertura normativizzata delle economie al fine di assoggettarle incondizionatamente al principio dei vantaggi comparati (qui, p.2), e quindi ai suoi effetti gerarchizzanti e verticistici rispetto alla pluralità delle comunità nazionali degli Stati coinvolti. Un paradigma pretesamente pacifista (che in realtà non lo è mai stato, né politicamente né militarmente, cfr; pp.7-8), in contrapposizione concettualmente arbitraria al "protezionismo" che, in chiave storico-economico, è un concetto unificabile solo arbitrariamente, in quanto riassuntivo di condizioni politiche e finalità di sviluppo industriale molto diverse tra loro;
c) la flessibilità del mercato del lavoro che, intrecciandosi con le due precedenti "istituzioni" in una situazione di economie istituzionalmente aperte, risulta anch'esso produttiva di gerarchizzazione sia sociale (cioè tra classi sociali interne ad una stessa comunità nazionale) che internazionale (cioè tra Stati, che come possono imporre la propria scelta delle produzioni a più alto valore aggiunto in base ai "vantaggi comparati", così possono anche scegliere di impiegare la manodopera più qualificata, resa flessibile e mobile, attingendola all'interno dell'intera area plurinazionale di libero scambio indipendentemente dalla sua provenienza da un altro Stato-ordinamento in cui tale manodopera si sia formata).
6. E la democrazia, diranno alcuni, in tutto ciò? E la promozione della redistribuzione della ricchezza prodotta e la connessa mobilità sociale?
Non sono in agenda: la rotta effettiva sconta tali fenomeni tatticamente, quanto al punto di partenza, promettendosi aumento del benessere economico e della qualità di vita, e proponendo così un modello di proiezione identificativa delle masse negli interessi delle elites, ma la destinazione è tutt'altra (la censura su questo "punto zero" della rotta e il conseguente "paradosso €uropeo", a onor del vero, pur tra mille difficoltà iniziano ad essere pericolosamente chiari alle masse dei "perdenti della globalizzazione").
7. La promessa, liberoscambista e globalizzatrice, di maggior benessere è una nota prospettiva immaginaria (mai verificatasi nella Storia economica, abbiamo visto), mentre il suo fine, la meta d'approdo, è, appunto, quella della restaurazione dell'ordine internazionale del mercato, cioè, per il tramite delle sue istituzioni gerarchizzanti, il dominio di un'elite timocratica.
Si conferma dunque che l'operazione restauratrice, com'è in fondo evidente sapendo che il suo paradigma è stato codificato (pur tra alterne fortune, tra cui si annovera, se non altro, la crisi del 1929), nel 1920-1922, è pura riproposizione della democrazia liberale, - quella che Gramsci definisce come caratterizzata da una legalità formale che dissimula il dominio ferreo, sul processo elettorale, del capitalismo sfrenato.
8. La sua efficacia politica non può dunque avere altro fondamento che l'uso sistematico, e abilmente dissimulato, mediante il notorio controllo culturale, accademico e mediatico, della dottrina della doppia verità, che tra Schmitt, Hayek e paradosso europeista, si compendia anche, e non secondariamente, in una tecnica normativa:
"In effetti, la
partecipazione al colpo di stato cileno del 1973 da parte di numerosi membri e
affiliati alla Mont Pèlerin Society, di cui von Hayek fu uno dei fondatori, è
una delle manifestazioni più note della dottrina neoliberista della doppia
verità, secondo la quale ad una élite si insegna la necessità di reprimere la
democrazia (concetto proveniente da Carl Schmitt, da von Hayek stesso definito
“il giurista della Corona” di Hitler), mentre alle masse si racconta di
“smantellare lo stato-balia” ed essere “liberi di scegliere”. Come spiega Mirowski (p. 445):
Milton Friedman
impiega buona parte della propria autobiografia a tentare di giustificare e
spiegare le sue azioni; in seguito, anche Hayek fu pesantemente criticato per
il suo ruolo. “Fu soltanto una
sfortunata serie di eventi eccezionali”, dissero, “non era colpa nostra”. Ma Carl Schmitt ha sostenuto che la sovranità
è definita come la capacità di determinare le eccezioni alla legge: “Sovrano è
chi decide lo stato di emergenza”. Il
dispiegamento della dottrina della doppia verità in Cile ha mostrato che i
neoliberisti si erano arrogati la sovranità per loro stessi".
b) la tecnica redazionale dei trattati, la cui riduzione al significato precettivo effettivo è resa intenzionalmente impenetrabile ai destinatari (cioè i trattati sono scritti in modo illeggibile, cioè tale da risultare incomprensibili, come ci ha spiegato Amato, insieme a tanti altri, in una famosa intervista del 12 luglio 2007):
D'altronde, l'adattabilità del liberismo economico in funzione del contesto geostorico ha dimostrato, anche nella storia contemporanea, di usare strumentalmente lo Stato come Leviatano, funzionalmente alla libertà del capitale e al contestuale asservimento del lavoro: dal neoliberismo imposto con la violenza nel Cile di Pinochet, all'ordoliberismo che, insieme alla retorica dell'irenismo kantiano del federalismo, è stato progettato per servirsi di un autoritario Stato burocratizzato volto all'instaurazione di un mercato libero da finalità sociali.[7]Dato il disgusto morale (o, forse, “estetico”) per le sovrastrutture ideologiche promosse dal nazifascismo, pare che a Friburgo l'élite abbia studiato una soluzione diversa e più correct; ma i fini sono strutturalmente i medesimi: la liberalizzazione dei capitali con ogni mezzo e l'asservimento dei lavoratori.Le proposizioni nell'ordoliberismo sono usate come fossero complementari – ad es. “libero mercato” e “giustizia sociale”, “stabilità monetaria” e “piena occupazione”[8] – mentre, per motivi strutturali, qualsiasi sovrastruttura giuridica non potrà obbligare gli organi di governo ad eseguire entrambi gli obiettivi, essendo per motivi “tecnici” mutuamente esclusivi. Poiché il capitale è naturalmente più forte del lavoro, la spoliticizzazione del governo delle comunità sociali permette di relativizzare l'ordine giuridico in funzione degli interessi del capitale del Paese dominante.
Infatti:
RispondiElimina“Si è lavorato a lungo, senza dubbio”.
Arturo2 settembre 2016 23:49
Si è lavorato a lungo, senza dubbio.
Un punto di svolta, nella storia della cultura giudica italiana, s’è chiaramente avvertito in occasione di quel convegno dell’Associazione dei costituzionalisti tenuto a Ferrara nel ‘91, durante il quale Bognetti potè proclamare con compiacimento che l’atmosfera era cambiata.
C’era anche un personaggio il cui peso nella storia italiana difficilmente può essere sottovalutata: Giuliano Amato. Il titolo del suo intervento era Il mercato nella Costituzione (Quaderni Costituzionali, a. XII, n. 1, aprile 1992, pp. 7 e ss.).
Che ci diceva il nostro? Dopo aver dato conto della profonda diffidenza della maggioranza dei Costituenti verso il mercato (difeso dai democristiani per ragioni più politiche che economiche), constatato che all’epoca della programmazione, negli anni Sessanta, ”giunse al suo culmine la cultura economica, e di progettazione delle istituzioni per l’economia, che aveva dominato la Costituente.”, osserva: “ proprio mentre questo accadeva giungevano invece d’oltralpe indirizzi, divieti e vincoli sintonizzati su una lunghezza d’onda totalmente diversa, quella del mercato e della sua difesa, dell’intervento pubblico volto non a interferire con esso, ma a dettare le regole per salvaguardarne la concorrenzialità e per ottenere, per questa strada, efficienza economica. Era la Comunità Europea a richiamarci a questo ordine nuovo e i richiami vennero, sempre più fitti e ineludibili, sul versante della politica industriale, che dovette perdere pian piano buona parte del suo bagaglio di incentivi, e su quello dello stesso ordinamento creditizio, dove sempre più le autorità monetarie furono costrette ad abdicazioni di potere e a lasciare che l’allocazione delle risorse venisse da convenienze valutate dagli stessi operatori.
E entrata così in Italia la cultura del mercato, la presa d’atto che c’è in esso non un pregiudiziale disvalore da contenere, ma un valore (certo non unico, mé pervasivo) da lasciare sviluppare.”
Per chi sappia adeguarsi, e adeguare, al nuovo corso si aprono verdi pascoli: ”Detto questo, e dando quindi per scontato un tempo (che è tuttavia già in corso) di rieducazione culturale, va anche aggiunto che le chiavi di cui ci stiamo dotando, chiavi che sono anche di interpretazione aggiornata della Costituzione, possono aprire più porte di quanto sinora si sia pensato. Se si assume infatti la concorrenza fra più operatori come un positivo veicolo di efficienza, se si assume inoltre che altrettanto può essere detto per la dialettica conflittuale del negozio fra privati quando essa abbia luogo in condizioni di equilibrio [qui mi viene in mente Steve Keen che suggerisce di leggere i "let's assume" degli economisti neoclassici come fossero altrettanti "let's pretend"], allora perché non pensare alla trasposizione di tali valori sul terreno dei servizi, degli stessi servizi sociali, dando qui un contenuto effettivo a «diritti», che sono oggi passiva sudditanza a farraginose burocrazie?”.
Il nuovo avanzava, e di strada “rieducativa” quanta ne ha fatta.
https://orizzonte48.blogspot.com/2016/09/la-riforma-non-si-deve-capire-ma-e.html?showComment=1472852981412#c3173442178850883875
In realtà sospetto che si tratti della "ratifica" di un evento avvenuto ben prima. Quello fu solo il "via libera" a livello accademico di un lavorio che aveva già dato frutti cospicui allla fine degli anni '70. Diciamo, l'ufficializzazione che occorresse registrare un nuovo linguaggio che seguisse la demonizzazione e, in sostanza, la riscrittura di "senso" della Costituzione in funzione di significati totalmente extratestuali...
EliminaI punti di svolta 'militare' a monte della "ratifica" furono:
Elimina1) https://en.wikipedia.org/wiki/Operation_Gladio;
2) 16 Marzo 1978;
3) Mani pulite.
Il punto 1) crea il contesto legale minimo (soft rule NATO) per condurre liberamente nel territorio della Repubblica 'rivoluzioni colorate' (ante litteram, vedi fatti di Reggio di Calabria nel 1970) utilizzando pezzi dell'amministrazione stessa dello stato, per il finanziamento/favoreggiamento occulto delle organizzazioni estremiste (in funzione anti-PCI/PSI e contro lo stato sociale e le sua politica estera non allineata), per rifornire il materiale delle bombe, cioè in sintesi per portare avanti il terrorismo interno e la stagione degli 'opposti estremismi'.
Il punto 2) fece invece capire in modo inequivocabile a tutti i politici dell'epoca che occorreva accelerare l'ingresso nello SME ed il 'divorzio'.
Il punto 3) segna l'inizio del processo di smantellamento dell'IRI e delle partecipazioni statali (privatizzate le quali lo stato ha perso ogni possibilità di condurre politiche sociali anticicliche attive, quindi di poter implementare la Costituzione).
Il resto ('belli atti' di convegni 'Amato like') sono come il 'res gestae' di Augusto, cioè pura apologia postuma di un colpo di stato violento (vedi 'lectio magistralis' del Prof. Canfora su youtube).
Magistrale.
RispondiEliminavero 48
RispondiEliminaC'è da stupirsi che le forze regressive ci abbiano permesso di erigere una Costituzione tanto socialista.
RispondiEliminaForse ci hanno lasciato il contentino, intanto erano certi di riuscire a prevaricarci.
Ma senza darci troppo vantaggio, infatti a garante della Carta misero proprio Einaudi, da subito.
E fu il paradosso, un sostanziale antisocialista messo a tutela del socialismo sostanziale.
E così via.
Perfetto.
Lenti e costanti, fino ai giorni nostri, e oltre... plasmando perfino la cultura, creando addirittura una falsa coscienza di massa.
Una strategia multidisciplinare dall'efficienza semplicemente indescrivibile.
Il socialismo non possiede queste armi tattiche, non gli sono proprie.
Nella logica deduttiva di Sherlock Holmes qui più volte richiamata, questa è, grosso modo, l'unica spiegazione che rimane in piedi ("una volta eliminato l'impossibile...").
EliminaIl "socialismo", come pensiero, ha armi umane ed intellettuali ben maggiori rispetto ad un pensiero barbaro e sommamente irrazionale come quello liberale.
EliminaSemplicemente i lavoratori, per definizione, non possiedono il capitale per promuovere questo genere di armi funzionali all'elevazione della condizione e dello spirito dell'umanità intera.
Se le istituzioni politiche della potenza egemone non sono in grado di temperare democraticamente i rapporti di forza dovuti agli squilibri sociostrutturali, queste degenerazioni sono inevitabili anche in paesi che obiettivamente hanno avuto nella Storia una marcia in più come il nostro.
Il problema va quindi ricercato nelle élite stesse, incapaci di aprire una vera dialettica interna per mancanza di quello spirito di scissione che fa di un uomo un uomo. Élite che in queste generazioni non sono riuscite a produrre uomini all'altezza: uomini in grado di dare supporto strutturale a quel pensiero intriso di umanità che è il socialismo: in pratica il grembo delle donne di questa classe non è proprio riuscita a generare uomini.
In definitiva si ha una non scontata prova empirica per cui l'appartenenza per nascita o cooptazione alle élite crea una classe dominante di inetti. Dissociati cognitivamente e con gravi sintomi psichiatrici tipici dei sociopatici gravi.
Quale miglior esempio se non l'Italia dei giorni nostri?
Si rischia di finire nella dietrologia, eppure il tema è affascinante.
EliminaL'approvazione della Costituzione può essere riferita a una difficilmente ripetibile monteplicità di elementi di debolezza e di strategia in capo ad Essi.
Tra questi, il primo è la gradualità con cui sanno muoversi, quando occorre. Come si poteva, negli anni '40, dopo l'esperienza fascista, nel bel mezzo di quella sovietica che tanti attraeva, appena finito il new deal roosveltiano ... insomma come si sarebbe potuto, in un periodo storico in cui l'intervento dello Stato nell'economia era considerato scontato, scrivere una Costituzione liberista? Troppo sarebbe stato lo stridore con il comune sentire.
In secondo luogo, l'Italia era in macerie. C'era la necessità di risollevarla, almeno fino al punto da creare un benessere sufficientemente diffuso da costituire uno stabilizzatore sociale, e questo non lo poteva certo fare il liberismo.
In terzo luogo, come evidenziato dai commenti precedenti di Danilo e Luca, c'era la sicurezza, rivelatasi fondata, di poter 'amministrare' e minimizzare i rischi di un possibile 'socialismo compiuto' ponendo uomini di fiducia ai vertici delle istituzioni, "legando" lo Stato a convenzioni internazionali di segno contrario (CECA/CEE/CE/UE in primis), impedendo una normale alternanza democratica, creando fattori di divisione sociale quali una diffusa corruzione, "rivolte" borghesi (vedi '68), la strategia della tensione etc...
In quarto luogo, un interesse strumentale a un transeunte aumento dei poteri dello Stato e dell'affidamento dei cittadini ad esso. Mi spiego meglio. Oggi lo Stato-apparato è un fedele ed efficiente esecutore di normative e indirizzi chiaramente oppressivi e contrari all'interesse generale. Le strade devono essere a pezzi ma l'autovelox deve esserci dietro ogni curva. L'attesa al pronto soccorso dev'essere insostenibile, eppure lo Stato è in grado di liquidare in poche settimane milioni di dichiarazioni redditi e IVA, incrociarne i dati con i pagamenti effettuati, chiedere il pagamento del residuo eventualmente mancante.
La tolleranza per questo stato di cose è favorita da un diffuso ricordo di un "altro" Stato, di ciò che lo Stato fu e - si pensa - potrebbe ancora essere: fornitore di servizi, costruttore di infrastrutture, acquirente di ultima istanza, ripianatore di debiti e dissesti, pagatore di stipendi e pensioni.
Se non si fosse passati da questo stadio, la tolleranza sarebbe molto inferiore, come lo era nei nostri avi, che, non avendo vissuto l'esperienza di uno Stato "dalla loro parte", senza remore consideravano i detentori del potere (sia pubblico che religioso) alla stregua di delinquenti.
Ti sei "guadagnato" un minipost di...riflessione collettiva :-)
Elimina“Forse ci hanno lasciato il contentino, intanto erano certi di riuscire a prevaricarci.
RispondiEliminaMa senza darci troppo vantaggio, infatti a garante della Carta misero proprio Einaudi, da subito.”
Già:
Prendiamo quindi le mosse dal famoso episodio della caduta del governo De Gasperi, di unità nazionale, nel 1947, con la celebre esternazione sull'esistenza e l'influenza decisiva del Quarto Partito nella vita politica del nostro paese.
L'episodio lo abbiamo visto qui rammentatoci da Arturo, e peraltro, Francesco ne aveva segnalato una (re)interpretazione storica compiuta da Napolitano ai nostri giorni, che si basa sul contesto ricostruito nella visione di Carli e che, quindi, tende ad attribuire una natura salvifica a quello sviluppo della politica italiana, esplicitamente connessa alla neutralizzazione della Costituzione economica (rectius della Costituzione tout-court, vista a priori e senza sfumature come "disconoscimento del mercato") e all'aspirazione verso il processo federalista europeo.
"Varrebbe certamente la pena di ricostruire più attentamente di quanto non si sia ancora fatto, il dibattito in Assemblea Costituente e i contributi di Einaudi, che peraltro abbracciarono campi importanti di interesse generale al di là dei "rapporti economici" (titolo III della prima parte della Carta) e del pur cruciale articolo 81. Interessante, e suggestiva, è l'interpretazione che in "Cinquant’anni di vita italiana" ci ha lasciato Guido Carli: secondo il quale «la parte economica della Costituzione risultò sbilanciata a favore delle due culture dominanti, cattolica e marxista», Ma nello stesso tempo, tra il 1946 e il 1947, «De Gasperi ed Einaudi avevano ricostruito in pochi mesi una sorta di "costituzione economica" che avevano posto però al sicuro, AL DI FUORI DELLA DISCUSSIONE IN SEDE DI ASSEMBLEA COSTITUENTE». Si trattò di una strategia «nata e gestita tra la Banca d'italia e il governo», mirata alla stabilizzazione, ancorata a una visione di "STATO MINIMO", e aperta alle regole e alle istituzioni monetarie internazionali." In effetti, benché, per usare le espressioni di Carli, quel che accomunava in Assemblea Costituente la concezione cattolica e la concezione marxista fosse «il disconoscimento del mercato», l'azione di governo fu già nei primi anni della Repubblica segnata da scelte di demolizione dell'autarchia, di liberalizzazione degli scambi e infine di collocazione dell'Italia nel processo di integrazione europea.
E con i Trattati di Roma del 1957 e la nascita del Mercato Comune, furono riconosciuti e assunti dall'Italia i fondamenti dell'economia di mercato, i principi della libera circolazione (merci, persone, servizi e capitali), le regole della concorrenza; quelle che ancor oggi vengono denunciate come omissioni o come chiusure sistematiche proprie della trattazione dei "Rapporti economici" nella Costituzione repubblicana, vennero superate nel crogiuolo della costruzione comunitaria e del diritto comunitario. Nell'accoglimento e nello sviluppo di quella costruzione, si riconobbe via via anche la sinistra, prima quella socialista e poi quella comunista (v. qui, per la integrale citazione del brano).
http://orizzonte48.blogspot.com/2017/12/breve-storia-della-rimozione-preventiva.html?spref=tw
Comunque se posso... (poi non commento più):
RispondiElimina“Per Robbins è evidente che socialismo e, quindi, Stato e democrazia sociale, sono strettamente legati allo Stato-nazione”.
Bazaar27 luglio 2016 15:51
Ricordando che fu Einaudi a fornire i testi di Robbins ad Altiero Spinelli tramite Ernesto Rossi, possiamo fare due considerazioni: innanzittutto che Einaudi e Robbins erano elitisti e antidemocratici convinti, ma erano degli intellettuali seri.
Considerando che Caffè definiva "acqua fresca" il povero Ernesto Rossi, e che Spinelli era parimenti infarcito di idee elitiste (cfr. Masini) e non si discostava molto da quest'ultimo per acume e preparazione intellettuale, emerge con chiarezza la cinica e perfida intelligenza di Einaudi (che già aveva inquinato di liberalismo il pensiero democratico di Carlo Rosselli): prendere due "sempliciotti" con militanza antifascista e usarli - mi si perdoni - come utili idioti per tinteggiare di rosso un progetto mostruoso già stigmatizzato mezzo secolo prima dai massimi rappresentanti del pensiero progressista, quali Lenin (1915) e la Luxemburg (1911).
In realtà tutto il pensiero liberale e federalista - si pensi in Italia al solo Albertini - è tanto profondamente antidemocratico quanto raffinatamente cosmetizzato a fruizione della plebaglia non "iniziata" al liberalismo classico.
Come non ricordare la pubblica protesta di Ernesto Rossi ed Einaudi contro lo Stato sociale del Rapporto Beveridge?
Ed infatti, sono proprio i nipotini di Einaudi, insieme ai federalisti a ricordarci il rapporto tra federalismo e incoraggiamento dei conflitti sezionali, cosmesi del conflitto sociale paludando quello tra classi e strategia della tensione a fini imperialistici.
Per chiosare, non farei passare in cavalleria l'asserzione di Robbins per cui « Correttamente si deve parlare dell’esistenza di un piano liberale, così come si parla di un piano socialista o ["O"!] nazionale. »
Per Robbins è evidente che socialismo e, quindi, Stato e democrazia sociale, sono strettamente legati allo Stato-nazione.
http://orizzonte48.blogspot.com/2016/07/hayek-monnet-robbins-le-ragioni.html?showComment=1469627487239#c920422613839239608
per quanto riguarda il “socialismo”:
Una nota sulla questione del "socialismo": il "socialismo" che emerge da questo dibattito - come sa chi segue questa discussione con costanza - non è "ideologico". Ha un fondamento fenomenologico che, tramite la dialettica, porta ad un'analisi di carattere scientifico dell'attualità.
Qui non si "crede" - quindi - nel "socialismo": dato il paradigma etico su cui si fonda la nostra Costituzione - ossia quello umanistico contrapposto a quello "elitista" - il socialismo fornisce culturalmente, come emerge dall'analisi filologica, le categorie adatte per il lavoro coscienziale e di "ermeneutica" che si produce in questi spazi, a partire dall'analisi economica del diritto.
La struttura che vuole edificare la Costituzione, da quella tipica dello Stato liberal-borghese alla democrazia sostanziale, vede due correnti di pensiero incrociarsi: il liberalismo sociale keynesiano e il socialismo ortodosso e rivoluzionario marxiano-kaleckiano.
Cosa significa? Che l'uso scientifico che si fa qua del "socialismo", presuppone l'identità tra l'essere democratico conforme a Costituzione e non esserlo.
Chi "crede" nel socialismo tendenzialmente "non crede" nelle Costituzioni (in rif. a Gramsci).
Questo è un laboratorio critico basato sulla fenomenologia: spogliarsi delle ideologia e della relativa falsa coscienza, è fondamentale.
http://orizzonte48.blogspot.com/2017/09/la-pioggia-il-territorio-dentro-luropa.html?showComment=1505215117783#c3656066681538042204
Certamente Luca e hai fatto molto bene ad evidenziare questo fondamentale aspetto che riguarda la parola "socialismo", specialmente dove questa venga utilizzata da sola e senza ulteriori "cosmetizzazioni" inquinanti.
EliminaÈ corretto e fondamentale ai fini divulgativi, infatti, non lasciare nulla al caso, o peggio, il dare per scontato.
Socialismo costituzionale o "sociocostituzionalismo", si potrebbe dire, ed è ció che intendo, poichè tutto il resto è acqua sporca.
A proposito del controllo accademico/culturale e della formazione impartita agli studenti, di cui abbiamo parlato anche in uno degli ultimi post commentando un passaggio di uno scritto di Cassese, riporto un altro esempio in alcuni passaggi di quanto affermato da Michael Joachim Bonell nel suo libro sulla comparazione giuridica e l'unificazione del diritto, oggetto d'esame all'università:
RispondiElimina"...Il crollo dei regimi socialisti dell'est europeo ha portato a un riavvicinamento tra questi paesi e il resto dell'Europa non soltanto sul piano giuridico ed economico, ma anche su quello più propriamente giuridico. [...] Ma anche altri paesi in fase di transizione da un'economia c.d. di piano a un'economia c.d. di mercato - a cominciare dalla stessa Federazione Russa - hanno avvertito il bisogno di adeguare la propria legislazione interna alle mutate condizioni socio-economiche, e per l'occasione si sono ampiamente ispirati oltre che a strumenti di diritto uniforme come la Convenzione di Vienna e i principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali, alle codificazioni di paesi occidentali quali in primo luogo il Bürgerliches Gesetzbunch tedesco...o lo stesso Uniform Commercial Code nordamericano. [...] a fronte di una crescente globalizzazione dei rapporti economici e sociali il movimento dell'unificazione del diritto può vantare indubbiamente significativi successi, ma al tempo stesso incontra anche delle resistenze tutt'altro che trascurabili."
E già da qui inizia a emergere il tema della globalizzazione come fenomeno naturale inevitabile necessitante il passaggio da un'economia di piano (e qui peraltro mi viene in mente l'art.41 comma 3 Cost. sui "programmi" mai attuato, anche se con le dovute differenze rispetto al modello sovietico cui fa riferimento Bonell) a un'economia di mercato, possibilmente ispirata ai principi UNIDROIT e alle codificazioni tedesche e americane... Globalizzazione che incontra delle resistenze, viene ammesso, ma l'impressione, leggendo, è che il problema siano queste. Ma continua:
"[...] Ancora oggi quella legislativa è la più diffusa forma o tecnica di unificazione, anche se...con la progressiva erosione della sovranità e pretesa di esclusività degli ordinamenti statali si affermano sempre di più...forme o tecniche alternative - il c.d. Soft law, strumenti privi di un'efficacia normativa diretta ma proprio per questo più agevoli nella preparazione e più flessibili nei contenuti. [...] assume...un'importanza sempre maggiore il diritto uniforme c.d sovranazionale. [...] L'esempio più importante è il diritto comunitario"
Qui invece è evidente il tentativo di "ammorbidire" e in qualche modo giustificare il processo in atto di erosione di sovranità (che a un lettore-studente non adeguatamente informato sui temi fondamentali analizzati su questo blog può comunque apparire qualcosa di negativo avendo presente (almeno) che "la sovranità appartiene al popolo") mediante l'uso degli aggettivi riferiti alla Soft Law, agevole e flessibile, termini che oggi il linguaggio mediatico induce a far associare ad efficienza ed efficacia e quindi la soft law viene vista ed è presentata come qualcosa di auspicabile e preferibile rispetto alla legislazione parlamentare alla luce delle sue caratteristiche e dei suoi effetti.. e l'erosione della sovranità e della pretesa di esclusività degli ordinamenti statali che ne è la naturale conseguenza (e non la causa della sua affermazione) non è poi così importante.
E ancora, qui a proposto dell'obiettivo di restaurazione (e mantenimento) dell'ordine sovranazionale dei mercati, iniziando a porre l'attenzione sulla connessa esigenza di una unificazione della disciplina dei rapporti commerciali, dice:
(continua)
"...di fronte all'inadeguatezza dei tradizionali diritti nazionali rispetto alle nuove esigenze degli scambi commerciali internazionali, gli stessi ambienti economici interessati hanno cominciato a sostituirsi ai singoli legislatori statali, dando vita, sotto forma di una fitta rete di clausole standard, di condizioni generali e contratti-tipo, ad una regolamentazione dettagliata e più soddisfacente dei propri rapporti d'affari." e "il loro contenuto [di queste regole], oltre ad essere fortemente unilaterale, era inevitabilmente legato a principi e concetti propri dei rispettivi paesi di origine [Europa e Nord America]." [...]
RispondiElimina"A livello europeo...venne istituita la <> - conosciuta anche come <> - composta di uno o più esperti di ciascuno Stato membro dell'allora Comunità europea ed in seguito Unione Europea (per l'Italia C.M. Bianca 1982-1992, M.J. Bonell 1982-2001, C. Castronovo 1992-2001) incaricata di elaborare <>" che "miravano al perseguimento di due obiettivi: nell'immediato, di essere utilizzati da contraenti di paesi diversi nella negoziazione e redazione dei loro contratti, da corti statali e tribunali arbitrali nella decisione di controversie e da legislatori nel predisporre normative in materia contrattuale sia a livello nazionale che europeo; a lungo termine, di contribuire all'armonizzazione del diritto dei contratti in generali nell'ue."
" Ancora più ambiziosa si presenta l'iniziativa dell'UNIDROIT per l'elaborazione di <>...destinati ad applicarsi ai contratti commerciali internazionali in generale ovverosia senza limitazioni geo-politiche, e come tali rappresentano una sorta di <> o restatement a vocazione universale del diritto dei contratti [...] Anche l'elaborazione dei principi UNIDROIT è avvenuta ad opera di esperti indipendenti. [...] Nonostante la loro natura di strumento di soft law, i principi UNIDROIT...riescono a dare un importante contributo allo sviluppo di un diritto autenticamente internazionale o <> dei contratti. [...] Il nuovo codice civile della Federazione Russa...oppure i codici civili dell'Estonia o della Lituania ma anche le recenti riforme del BGB tedesco o i progetti di riforma delle disposizioni generali sui contratti commerciali del codice di commercio spagnolo... si sono ispirate in tutto o in parte ai principi UNIDROIT. [...] anche nei paesi di common law le corti fanno sempre più spesso riferimento ai principi UNIDROIT... [...] Ma il contribuito di gran lunga più significativo che i Principi UNIDROIT forniscono...è il ruolo che svolgono in sede contenziosa. I principi vengono sempre più di frequente richiamati negli atti di citazione o nelle memorie difensive al fine di corroborare le argomentazioni ivi sviluppate e dimostrare che le stesse sono conformi a standard internazionalmente accolti. Inoltre...gli stessi giudici e soprattutto gli arbitri si richiamano nelle loro decisioni a vario titolo ai principi UNIDROIT. [Decisioni tra cui] Quelle in cui i principi UNIDROIT sono stati adottati quale legge applicabile al merito della controversia. [...] e per dimostrare che la soluzione adottata in base al diritto nazionale applicabile era conforme ai principi e agli standard più accreditati a livello internazionale."
(Continua)
Ed ecco la conclusione, qui viene il "bello":
RispondiElimina"Il successo dei principi UNIDROIT - osserva acutamente Francesco Galgano - potrà non piacere a chi è stato educato all'idea della statualità del diritto e confida nella formazione del diritto ad opera delle assemblee elettive. Tuttavia, se è vero che i principi UNIDROIT difettano di questa legittimazione democratica, è innegabile che contenutisticamente cercano di realizzare il giusto punto di equilibrio fra le ragioni dell'impresa [impresa...] e le esigenze del contraente debole: OPERA DI TECNODEMOCRAZIA...UNILATERALMENTE CREATA DALLA CLASSE IMPRENDITORIALE, OPERA DI TECNODEMOCRAZIA ILLUMINATA."
{M.J. BONELL, Comparazione giuridica e unificazione del diritto, in “Diritto privato comparato. Istituti e problemi”, Laterza, 2012}
Su quest'ultimo passaggio citato non c'è molto da commentare, essendo tutto così troppo evidente. Pochi esperti indipendenti sono da preferire ai parlamenti democraticamente eletti. Queste cose vengono insegnate all'università e le drammatiche criticità di tale realtà, pur esposte abbastanza esplicitamente, nella narrazione generale vengono presentate come modernità e progresso, quando invece sappiamo che sono funzionali alla restaurazione del modello socio-economico dell'Ottocento/inizio900. Ma quanti studenti oggi riescono a coglierlo? Pochi e sempre meno, purtroppo.
Quando si scende alla "democrazia" la si confonde ampiamente col tecno-pop che autodichiara di "sentirsi altruista" (forma ingannevole e proiettiva, di massa, della "mano invisibile").
Eliminahttp://orizzonte48.blogspot.it/2014/01/lautoinganno-del-tecnicismo-pop.html
Esercizio questo, in cui, come notava Barcellona, eccellono i giuristi e in particolare i civilisti: rigorosamente incapaci di distinguere tra democrazia sostanziale e "liberale", tanto da essere rimasti gli ultimi a dare credito al termine "sociale" in mezzo ai vocaboli "economia...di mercato" (e solo perché non gli capita, tra un atto di citazione e un grande arbitrato, di aver mai letto Einaudi, Erhard, Roepke e Hayek che spiegano il concetto e la sua cosmetologia).
L'interiorizzazione dell'idea accademica che il consumatore ("il contraente debole") possa ordoliberisticamente sostituire, in modo altrettanto cosmetico, il lavoratore, come centro del "favor" di tutela, rimuovendo (eppure la realtà al riguardo è sempre più dilagante) la sua condizione di svantaggio strutturale nel processo normativo autoregolato "di mercato" (e più che altro a livello pubblicistico, fiscale e monetario), procede dalla allegra ignoranza sul fatto che la nostra Costituzione fissa non solo il principio della piena occupazione ex parte laboris, ma lo fa sul presupposto di saper identificare coscientemente i fallimenti del mercato come una patologia immanente delle magiche tendenze degli operatori economici razionali (secondo una realtà che lungi dall'essere risalente si amplifica prepotentemente nelle cronache di ogni giorno).
Quando avremo una manciata di consumatori ipertutelati da fascine di prospetti e informative e una massa di working poors nutriti a junk food e dediti al sottoconsumo in debito non restituibile, beh, allora avremo il compimento di queste belle teorie: ratificare che la stessa titolatità della capacità negoziale è una roba per pochi che, però, sono capienti (per pagare gli onorari).
E così finalmente il paese sarà “credibile”.
RispondiEliminaQui c’è un punto delle relazione finanziarie che è stato messo a fuoco in modo molto chiaro da Lapavitsas (Social Foundations of Markets, Money and Credit, Routledge, Londra-New York, 2003, pag. 74): “What matters to the creditor is actual payment of the money sum agreed - how the borrower procures the money is ultimately unimportant. If the debtor had sufficient economic, social and political power to guarantee access to money necessary for repayment, his or her economic activities would be irrelevant to the creditor. The debtor could be inefficient or mediocre as a capitalist, without necessarily forfeiting the creditor's trust. The questions that matter to the creditor in this respect are unrelated to the technical and managerial aspects of the debtor's project. Does the debtor enterprise belong to a large group with a variety of interests across several markets? Do its owners participate in formal and informal industrialist groups? Do diey possess significant social and familial connections? Do they have political contacts and the ability to elicit help from the state? Power could guarantee repayment of the sums due regardless of the borrower's actual economic activities. Given a sufficiently powerful borrower, it would be rational for the lender to advance value irrespective of success in generating profits. Creditworthiness sustained by power relations is not necessarily worse than creditworthiness based on the quality of the borrower's investment project.”
Se questo è vero nelle relazioni private, figuriamoci quando parliamo di Stati. La “credibilità” non dipende quindi da progetti di virtuoso impiego delle somme prestate (la famosa “spesa produttiva”, sia essa pubblica o privata), come si cerca di raccontare, ma dalla garanzia che l’assetto dei rapporti fra governanti e governanti consentirà l’estrazione della rendita finanziaria dalla società. La “credibilità” è appunto il risultato di una forma di Stato di cui la letteratura sui c.d. “commitment problems” pubblici è volta a stabilire i termini ottimali.
E’ un filone interessante. Due brevi citazioni: “My third principal argument suggests that bureaucratic delegation [sta parlando dell’indipendenza della banca centrale] will improve credibility only if government creditors already have influence withina representative assembly. Much theoretical work on delegation and commitment makes the simplifying assumption that once a decision has been made to delegate, it can be reversed only at great cost. More recent work on the politics of delegation has demonstrated that this assumption is not always tenable in practice and that nominally independent government agencies often respond to pressures from partisan political principals.” (D. Stasavage, Public Debt and the Birth of the Democratic State, Cambridge University Press, Cambridge, 2003, pag. 19).
RispondiEliminaE giust’appunto il buon Adam Posen in un paper del ’95 (pag. 272): “Interestingly, from this standpoint, the anti-inflationary effect of the proposed European Central Bank should be quite large. Because financial supervision will not come under its responsibilities, the financial sector should rarely come into direct conflict with it. Moreover, the overwhelming majority of European national financial interest groups already support it explicitly in hopes that it will suppress their respective domestic inflations. As a symbol of European unity, and enshrined in a virtually sacrosanct international treaty, the European Central Bank is secure from attacks on its structure and existence to an extent no national central bank is ever likely to be. Finally, Europe's supranational federalism should limit influence upon its decisionmaking to the most organized and recognized interests.”
Lo dicevano così, tranquillamente…
Ma poi Mariolone e gli altri del cucuzzaro sono pure persone umane, socievoli e "di mondo"...sai con quante cene-convegni-post convegni e solide amicizie da coltivare intessono la loro vita "privata"?
EliminaGli ex parte contacts in USA sono un illecito: e già è questa un fictio-norma di "pericolo", del tutto inadeguata alla realtà "sociologica" delle normali "buone" frequentazioni tra persone dabbene...Mica interessate.
De Benedetti lo ha spiegato molto bene: e infatti hanno archiviato.