domenica 7 gennaio 2024

LA TRAPPOLA DELL'ODIO DEGLI "AGENTI DI INFLUENZA". LA MANOVRA DELL'ANTISOVRANO - (Storia e fondamenti della restaurazione del capitalismo liberale - 1)


Ripubblico il post del 28 agosto 2017 per un motivo di "non secondaria importanza": la situazione nel frattempo è ulteriormente degenerata. Perché? 
Ma perché ogni parvenza di soluzione individuata circa 7 anni fa, non è stata tentata, nei fatti, dalla comunità nazionale: vicende sopravvenute ci mostrano che nessuna comunità nazionale, nel mondo occidentale, ha realmente tentato. Il caro, vecchio, paradigma malthusiano di "pestilenze, guerre e carestie" sembra piuttosto in pieno dispiegamento mediante una poderosa "novazione" con l'uso e l'abuso di nuove tecnologie inscindibili, ormai, dalla pressione "finale" della restaurazione liberale...
Quel filo che poteva essere seguito, come "reazione immunitaria" del corpo sociale, diremmo dell'Umanità, di fronte alla minaccia della sua incombente, per quanto lenta, ma inesorabile distruzione (per bollitura...), non è stato mai realmente afferrato. Forse neppure è stato mai possibile. 
Mancano, perché sono state meticolosamente distrutte con pazienza e spietate accelerazioni (e che accelerazioni!) troppe "risorse culturali" collettive; c'è un eccessivo e crescente gap tra consapevolezza intuitiva e razionale che dovrebbe essere normalmente espressa dal corpo sociale minacciato e dis-umanizzato, da un lato, e "capacità di assedio" delle forze dell'elite cosmopolita che guida la restaurazione del capitalismo liberale e del suo ordine internazionale del mercato, dall'altro. 
Stiamo assistendo, per dirla sempre con le parole di Polanyi, alla Grande Ri-Trasformazione, tanto innaturale e neo-antropologica, da configurarsi, sempre più come totalitarismo
Per questo riproporremo una serie di post che comporranno, quantomeno nelle intenzioni, un percorso che possa, comunque, nell'attualità sempre più drammatica, e anche nel crescente sfavore dei rapporti di forza all'interno del conflitto sociale, essere "disponibile", qualora la resistenza al neo-totalitarismo liberale (non è affatto un ossimoro, ma anzi una definizione tra quelle più accuratamente censurate, nelle neo-scienze sociali che albergano nel motore pulsante delle "centrali" di ri-plasmatura dell'essere umano che caratterizzano, appunto, il totalitarismo) inizi a manifestarsi ed a prendere finalmente vigore.
Le parti in corsivo sono aggiunte che ho apportato per anticipare ed attualizzare l'ampiezza necessaria di ogni discorso di riscatto dello Spirito dell'Uomo, mai come oggi profondamente minacciato.

1. C'è un concetto "base" che torna prepotentemente alla ribalta in questi giorni, di fronte al dilagare della sovraesposizione mediatica di accadimenti come gli sgomberi di immobili, occupati commettendo illeciti penali non "giustificabili" secondo alcuna interpretazione costituzionalmente (cioè democraticamente) orientata, ovvero come la violenza sessuale di gruppo posta in essere da stranieri, probabilmente a loro volta illecitamente presenti sul territorio nazionale (e, nel caso, oltretutto, in danno di altri stranieri che invece erano più che lecitamente entrati come turisti, categoria di consumatori di cui si esalta l'oggettiva utilità in termini di saldo attivo delle partite correnti dei conti con l'estero, salvo poi contraddire questa auspicata propensione produttiva del territorio italiano attraverso destrutturazione e degrado permanenti perseguiti con l'austerità fiscale che incide su ogni livello di gestione del territorio. Fenomeno che è il naturale corollario degli obiettivi intermedi di pareggio strutturale di bilancio - ovvero di riduzione pro-ciclica del deficit all'1,5% ma a tappe forzate più vincolanti -e della privazione della sovranità monetaria imposti dall'appartenenza alla moneta unica).

E non vuole la democrazia (a meno che questa non assuma la forma "liberale", cioè ridotta a mero processo elettorale idraulico che azzera ogni reale possibilità di scelta popolare dell'indirizzo politico da seguire), perché (come dice Barroso, una volta per tutte, richiamando il ruolo imperituro de L€uropa nelle nostre vite quotidiane) la considera inefficiente dal punto di vista allocativo.
E ciò in quanto, appunto, le risorse (monetarie) sono limitate, corrispondono ad un dato ammontare di terra-oro come fattori primi di ogni possibile attività economica, e la titolarità, preesistente e prestabilita, della proprietà di questi fattori precede ogni calcolo economico: cioè legittima un equilibrio allocativo che riflette una Legge naturale a cui asservire ogni attività normativa e amministrativa dello Stato, e rende un diritto incomprimibile il ritrarre un profitto da questa titolarità incontestabile, anche a scapito dell'interesse di ogni soggetto umano che non sia (già) proprietario di questi fattori della produzione.
Il merito che si auto-attribuisce il capitalismo è quello di attivare una capacità di trasformazione delle risorse (limitate) per moltiplicare i beni suscettibili di essere acquisiti in proprietà (questo sarebbe il dispiegarsi dell'ordine del mercato, fin dai tempi della teorizzazione ecclesiastica), essenzialmente oggetto di consumo, e di permettere, nel corso di tale processo, l'impiego lavorativo di moltitudini di esseri umani che, in tal modo, sarebbero in grado automaticamente di procurarsi i mezzi di sostentamento.

2. Di conseguenza, come trapela anche da autori (neo)neo-classici (cioè neo-liberisti) del nostro tempo, (eloquente in tal senso è "La nascita dell'economia europea" di Barry Eichengreen, che ho avuto modo di rileggere questa estate, non senza un certo disagio sulla disumana dissonanza cognitiva che ne emerge), il profitto è l'unico motore possibile della società e della sopravvivenza della specie.
Pertanto, i governi debbono esclusivamente preoccuparsi di garantirne la continuità (e ce ne accorgeremo presto, ancora una volta, quando si dovranno "fare gli investimenti" per risolvere la "crisi" dell'acqua), assicurando, nell'unica dialettica considerata razionalmente ammissibile, l'esistenza istituzionale di un mercato del lavoro che vincoli, a qualsiasi prezzo sociale, la massa dei lavoratori non-proprietari a condizioni di mera sussistenza.

3. La moneta gold standard, o qualsiasi soluzione similare, ed anche più rigida, come l'euro, che rendono le politiche di stabilità monetaria indipendenti da ogni altro obiettivo politico (qui, p.17.1.), sono perciò un totem irrinunciabile innalzato sull'altare dell'unico diritto possibile e legittimo, essendo tutti gli altri diritti degli odiosi privilegi clientelari frutto di clientelismo e corruzione, (come ci illustrano con alti lai indignati contro la "giustizia sociale", intesa come "corruzione legalizzata", Spinelli, Hayek e Einaudi).
E l'unico diritto legittimo è, naturalmente, quello al profitto derivante dalla "data" allocazione delle risorse limitate in capo ai pochi grandi proprietari; i quali, in termini di equilibrio allocativo ideale, dovrebbero anche essere gli unici proprietari.
Qualsiasi alterazione di questo equilibrio è considerata razionalmente intollerabile e pone in pericolo l'equilibrio allocativo efficiente che, dunque, è prima di tutto un assetto di potere politico.
Lo Stato che abbia deviato da questo assetto, ponendo in essere divergenti condizioni di redistribuzione di tali risorse, ex ante (o ex post: ma queste ultime sono dotate di un'ambiguità che le rende asservibili anche ad obiettivi del tutto opposti a quelli della tutela del lavoro, come ci insegnano Pikketty, qui, p.8, e l'Unione bancaria), deve "ricostruire", anche con ampi e notevoli interventi, prolungati per tutto il tempo necessario, la razionalità indiscutibile di questa Legge sovrastatuale e perenne.

4. Come si ricollega tutto questo agli episodi di reato (e di loro difficoltosa repressione) posti in essere da "immigrati" a vario titolo nel territorio nazionale?
In modo alquanto coerente con il funzionamento progressivo del sistema di ripristino, accelerato dall'€uropa, dell'assetto allocativo efficiente.
L'euro costringe alla svalutazione del tasso di cambio reale e consente che ciò si realizzi unicamente attraverso la riforma incessante del mercato del lavoro-merce (come spiega benissimo Eichengreen parlando del gold standard), cioè al fine di porre in condizioni di progressiva "mera sussistenza", l'insieme dei soggetti non proprietari estranei al controllo dell'oligopolio concentrato e finanziarizzato (una condizione di "classe" che eccede di gran lunga quella del solo lavoratore dipendente, qui, p.4).

5. Il costo politico di tale continuo aggiustamento, in costanza di suffragio universale (condizione mantenuta obtorto collo e in vista di una sua definitiva e formale abolizione), può essere sopportato solo "sostituendo" le classi sociali impoverite, e in precedenza titolari delle aspettative di tutela sociale apprestate, (formalmente ancora oggi), dalla Costituzione, con un adeguato contingente di soggetti "importati", se e in quanto siano sradicati, per inconciliabile tradizione culturale, e divergenti radici storico-politiche, da questo precedente assetto sociale democratico.
Questi nuovi "insediati" sono dunque preferibilmente (cioè intenzionalmente) prescelti in quanto inclini a considerare la comunità di insediamento come un'organizzazione aliena, i cui precetti normativi fondamentali debbano, al più presto, cedere di fronte alla pressione numerica dei nuovi arrivati e delle loro esigenze primarie (rivendicate esplicitamente come le uniche da considerare, a detrimento di ogni situazione di crescente povertà degli autoctoni, che si lasciano governati dalla condanna a un senso di colpa inemendabile).
L'intera operazione di reinsediamento demografico è pianificata e incentivata attraverso organizzazioni - private ed espressione del perseguimento degli interessi dei grandi gruppi economici che dominano il diritto internazionale privatizzato- che inoculano e rafforzano, nei gruppi etnici reinsediati, questa idea di ordinamento giuridico arrendevole e di aspettativa incondizionata alla redistribuzione ex post di risorse in danno delle classi più povere e deboli in precedenza viventi sul territorio da "trasformare".

6. "Agenti di influenza" (NB: la fonte linkata è ufficiale tratta dal glossario della Sicurezza nazionale-governo.it), appositamente predisposti sia all'interno del sistema mediatico dello Stato nazionale di "accoglienza", che operanti nell'organizzazione, reclutamento e agevolazione del reinsediamento, si preoccupano essenzialmente di rafforzare e rendere irreversibile l'idea che le leggi statali nazionali che vietano comportamenti incompatibili con l'ordine pubblico e l'interesse generale della comunità "ricevente", e da trasformare a tappe forzate, siano sostanzialmente immorali o troppo difficili da applicare e perciò necessariamente da fare oggetto di urgenti riforme (ad es; il cosiddetto ius soli), o, ancor meglio, di desuetudine: cioè di accettazione diffusa della loro inapplicabilità in nome di un prevalente "stato di necessità" che si fonda sull'inevitabile "scarsità di risorse".

7. Senso di colpa indotto in via propagandistica dagli "agenti di influenza" e scarsità di risorse, come parametro ormai meta-normativo e sovra-costituzionale, costituiscono un combinato tale che si ottiene anche l'effetto più ambito, come evidenziava Rodrik, da parte delle elites timocratiche che guidano l'operazione: lo scatenarsi del conflitto sezionale tra poveri importati, cittadini esteri, e cittadini impoveriti soggetti all'accoglienza in funzione di fissazione deflattiva dei livelli retributivi. 
Ovviamente, e lo rammentiamo ai più attenti lettori, ma in realtà dovrebbe essere chiaro a chiunque avesse a cuore, ormai, la propria sopravvivenza, il conflitto sezionale può porsi, all'interno della comunità politica, tra l'intero substrato popolare costituente uno Stato e qualsiasi minoranza che, venga eletta, persino dalle "corti", come portatrice di un'esigenza di tutela che prevale, - per apodittica affermazione di urgenza assoluta, dichiarata dal sistema mediatico controllato dalle elites -, su qualsiasi concetto e principio, al vertice delle previsioni costituzionali, e cioè sugli interessi lavoristici tutelati prioritariamente dalla Costituzione stessa

Il porre i vari pezzi di non-elite uno contro l'altro, scardina ogni senso di reazione alla manovra aggressiva di classe condotta dalle oligarchie cosmopolite, e alla sottrazione della sovranità democratica, che, appunto, (così Luciani, p.7) si caratterizzava (in un passato recente, ma abbastanza lontano da non essere più centrale nella formazione delle generazioni di cittadini nati grosso modo dopo il 1980) su una "concezione ascendente", cioè per la sua titolarità "di popolo", e sull'idea di Nazione; l'unica storicamente tale da individuare in senso coesivo e solidale una comunità sociale sufficientemente univoca per determinare gli interessi comuni che la sovranità persegue per sua natura (qui p.11.3 e, prima ancora, come rammentava Lord Beveridge, cfr; p.5 infine).

7.1. L'attitudine distraente del conflitto sezionale, - ma anche la sua immensa forza conformativa della cultura e della psicologia di massa, in quanto compiuta con martellante sforzo multi-mediatico, date le "forze materiali sterminate" (Gramsci, qui, p.6) di cui dispongono le elites cosmopolite -, si manifesta, per la verità in tutto il mondo occidentale, in modo da amplificare il potere degli agenti di influenza delle elites; queste hanno buon gioco nello stigmatizzare quell'odio che hanno accuratamente infuso e alimentato nel corpo sociale delle non-elites. Il meccanismo comunicativo-pedagogico viene portato fino al punto da delegittimare ed inibire, - nei fatti narrati in modo da forzare etichette di condanna ipocritamente "etica" -, quelle che sono esattamente le reazioni naturali, quasi meccanicistiche, che avevano inteso deliberatamente suscitare
Il senso di colpa, in precedenza diffuso a livello di preparazione mediatico-culturale dell'operazione, può quindi essere addebitato al corpo sociale aggredito, o, oggi più che mai, al "genere" - (maschile, bianco ed "etero", epitome di ogni male contro cui riversare ogni possibile frustrazione determinata, invece, dal sistema capitalista liberale sulle masse dei lavoratori e delle lavoratrici, scientemente deprivati del sostegno di ogni struttura sociale antropologica e politica, dalla famiglia alla effettività della loro partecipazione politica) -, in base a "fatti" che corrispondono anch'essi alla meccanica calcolata dell'intolleranza che si intendeva evocare.

8. Il cerchio si sta chiudendo, dunque.
L'unica risposta rimasta è la consapevolezza. E la consapevolezza ci riporta alla rivendicazione della effettiva legalità costituzionale. Oltre di essa c'è solo il territorio di nessuno dello stadio pre-giuridico dei puri rapporti di forza, come ci avvertiva Calamandrei, rapporti imposti dall'ordine internazionale dei mercati.
Il conflitto sezionale che questo ordine mira a portare alle sue conseguenze estreme non deve essere l'inganno finale con cui si autodistrugge la sovranità democratica, in una trappola innescata da odiatori dell'umanità, tanto apparentemente astuti quanto, in sostanza, rozzi e primordiali.

8.1. Basterebbe rammentare due semplici passaggi. Il primo, già citato, è di Rodrik (qui, p.4):
"...riportiamo un significativo brano di Dani Rodrik che, sebbene riferito alle dinamiche dei paesi in via di sviluppo, per le condizioni create dal liberoscambismo sanzionato dal vincolo esterno "valutario", ci appare eloquente anche per la Grecia e, di riflesso (mutatis mutandis, in una sostanza però omogenea), per tutti i paesi coinvolti nell'area euro.
Da rilevare che questa spiegazione ci dà ben conto dei sub-conflitti "sezionali" (p.11.1.), in funzione destabilizzatrice della democrazia, che fanno capo ai "diritti cosmetici" e alle identità etnico-religiose-localistiche, conflitti che sono una vera manna per le elites:
"Le conseguenze politiche di una prematura deindustrializzazione sono più sottili, ma possono essere più significative.
I partiti politici di massa sono stati tradizionalmente un sotto-prodotto dell'industrializzazione. La politica risulta molto diversa quando la produzione urbana è organizzata in larga parte  intorno all'informalità, una serie diffusa di piccole imprese e servizi trascurabili. 
Gli interessi condivisi all'interno della non-elite sono più ardui da definire, l'organizzazione politica fronteggia ostacoli maggiori, e le identità personalistiche ed etniche dominano a scapito della solidarietà di classe.
Le elites non hanno di fronte attori politici che possano reclamare di rappresentare le non-elites e perciò assumere impegni vincolanti per conto di esse.
Inoltre, le elites possono ben preferire - e ne hanno l'attitudine- di dividere e comandare, perseguendo populismo e politiche clientelari, giocando a porre un segmento di non elite contro l'altro.
Senza la disciplina e il coordinamento che fornisce una forza di lavoro organizzata, il negoziato tra l'elite e la non elite, necessario per la transizione e il consolidamento democratico, ha meno probabilità di verificarsi.
In tal modo la deindustrializzazione può rendere la democratizzazione meno probabile e più fragile."
9. Il secondo è di Chang (qui, pp.8- 8.1.):
"I salari nei paesi più ricchi sono determinati più dal controllo dell'immigrazione che da qualsiasi altro fattore, inclusa la determinazione legislativa del salario minimo.
Come si determina il massimo della immigrazione? 
Non in base al mercato del lavoro ‘free’ (ndr; cioè globalizzato) che, se lasciato al suo sviluppo incontrastato, finirebbe per rimpiazzare l'80-90 per cento dei lavoratori nativi (ndr; oggi è trendy dire "autoctoni"), con i più "economici", e spesso più produttivi, immigranti. L'immigrazione è ampiamente determinata da scelte politiche. Così, se si hanno ancora residui dubbi sul decisivo ruolo che svolge il governo rispetto all'economia di libero mercato, per poi fermarsi a riflettere sul fatto che tutte le nostre retribuzioni, sono, alla radice, politicamente determinate."
...
I vari Paesi hanno il diritto di decidere quanti immigranti possano accettare e in quali settori del mercato del lavoro (ndr; aspetto quest'ultimo, che i tedeschi, ad es; tengono in grande considerazione).
Tutte le società hanno limitate capacità di assorbire l'immigrazione, che spesso proviene da retroterra culturali molto differenti, e sarebbe sbagliato che un Paese vada oltre questi limiti.
Un afflusso troppo rapido di immigrati condurrebbe non soltanto ad un'accresciuta competizione tra lavoratori per la conquista di un'occupazione limitata, ma porrebbe sotto stress anche le infrastrutture fisiche e sociali, come quelle relative agli alloggi, all'assistenza sanitaria, e creerebbe tensioni con la popolazione residente.
Altrettanto importante, se non agevolmente quantificabile, è la questione dell'identità nazionale.
Costituisce un mito - un mito necessario ma nondimeno un mito (ndr; rammentiamo che lo dice un emigrato)- che le nazioni abbiano delle identità nazionali immutabili che non possono, e non dovrebbero essere, cambiate. Comunque, se si fanno affluire troppi immigrati contemporaneamente, la società che li riceve avrà problemi nel creare una nuova identità nazionale, senza la quale sarà difficilissimo mantenere la coesione sociale. E ciò significa che la velocità e l'ampiezza dell'immigrazione hanno bisogno di essere controllate".
Stupri e occupazioni di immobili sono qualcosa che, dunque, corrisponde ad un effetto ben prevedibile dell'operazione che si sta ponendo in essere: l'obiettivo è proprio quello di "porre sotto stress le instrastrutture fisiche e sociali" della comunità statale "attaccata", per distruggerne ogni "identità nazionale" per mezzo di una ben preparata condanna mediatico-moralistica e, attraverso di essa, ogni "coesione sociale"
E' questo valore, infatti, il principale ostacolo al pieno ripristino dell'ordine internazionale dei mercati (cioè dell'assetto allocativo efficiente che predica il solo diritto al profitto di pochi proprietari).

10. Riforme in stato di eccezione permanente, accoglienza illimitata, distruzione definitiva della legalità costituzionale sono tutt'uno, dunque, con la cinicamente calcolata visibilità mediatica dei reati commessi dagli immigrati. E ciò, quand'anche "per contrappunto", cioè con ben calcolata forzatura "woke", si tentasse di non menzionare, in modo sistematico, la cittadinanza dell'autore, in modo da suscitare, con una facilmente squarciabile censura di facciata, un maggior richiamo "suggestivo" sul fatto in sé
E questa enfatizzazione - diretta o indiretta - della cronaca nera (la distinzione tra "destra" e "sinistra" può praticamente ridursi a questo aspetto squisitamente mediatico), risulta intenzionalmente evocativa dell'odio che intendono addebitarci, per poi reprimerlo anche con la forza delle armi. Armi di ogni tipo: il primo sono gli agenti di influenza che, secondo la teorizzazione che ne fa la stessa intelligence, sono destinati a influenzare e controllare l'azione dei governi presso cui tali agenti operano, rispondendo a interessi e direttive ostili alla Nazione infiltrata.
Non ci cascate.
Difendete la Costituzione democratica: con tutti i mezzi che essa offre. Il primo, però, e il più importante, è dentro di voi.

5 commenti:

  1. In riferimento ad una mia domanda sul blog Goofynomics le chiedo se può illustrare i vincoli dell'Italia nel porre dazi sui prodotti Cinesi. Un altro commentatore mi ha detto che il ricavato dei dazi va in Europa e che la materia è di sola competenza europea . E' corretto ?

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    1. Sì i dazi verso paesi terzi sono considerati (direttamente) risorse proprio. E, in tal senso, sorgono varie divergenze tra la nostra Corte dei conti e la Commissione UE, nel determinare il livello della nostra (persistente) contribuzione netta (visto che i dazi li preleviamo a nostre spese di polizia fiscale e sul nostro territorio...o equivalente).

      La politica daziaria (o comunque c.d. "quasi-tariffaria") è una strana materia: la Commissione la reclama per sé, mentre, in teoria, noi, come stati sovrani aderenti al WTO, avremmo una certa autonomia decisionale.
      Ma si ritiene, ormai che tale autonomia violerebbe l'art.31 TFUE.
      E allora si risolve che l'UE pure si siede nelle sedi WTO e fa/"consiglia" quello che...conviene ai tedeschi (ed infatti, ci ritroviamo con la rivoluzione griiiin).

      Inoltre, teoricamente, l'art.32 TFUE, par. 1., lettere, in particolare b), c) e d) avrebbe già dovuto consiglare, secondo un'elementare lotica economico-fiscale, alla Commissione/Consiglio, di imporre dazi alle merci cinesi.
      Ma, per via dell'ormai patetico interesse tedesco (e di quello del "lusso" francese), si ritiene valida principalmente la lettera a): cioè, allo stato, promuovere gli scambi...con la Cina "favorisce" la concorrenza tra gli Stati membri (e anche con i paesi terzi).

      Insomma, nell'illusione di far ripartire, in un futuro sempre più remoto, la giostra mercantilista tedesco-olandese, diciamo, pure verso i paesi dell'estremo oriente, si tarda ad imporre dazi: principalmente perché si rischia, poi, collateralmente, di doverli prelevare sulle merci/prodotti (es; auto elettriche, et alia) la cui produzione sia stata delocalizzata in Cina, o triangolata, che so, dal Viet-nam, tramite un assemblaggio in Cina.

      E non parliamo della componentistica e dei materiali importati dalla Cina e che vengono assemblati (in auto elettriche) nei paesi dell'est Ue (senza euro specialmente). Questi ultimi, se si imponessero adeguati dazi, collasserebbero. E dietro a loro, il residuo di dominance esportativa dei tedeschi.

      Quindi, l'UE si è incartata nella globalizzazione, e non può fare la guerra commerciale alla Cina, anche se la subisce in modo crescente; e invece può fare la guerra tout-court alla Russia, suicidando il proprio manifatturiero.
      E lasciando campo libero a quello cinese, in definitiva.
      Il che, a pensarci bene (o male), fa ritenere che tutto questo rischio di guerra convenzionale, o nucleare, tra USA (che stanno manovrando questo disastroso assetto commerciale con la geo-politica) e Cina, sia molto più uno spauracchio ad usum europoidorum...

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  2. (Molto bella la citazione di Kundera). Qui invece volevo parlare di uno studioso lucido e coraggioso, senz’altro fra i pochi a parlare chiaramente, che purtroppo ho conosciuto un po’ tardi: Aldo Bernardini, un internazionalista:

    “Sotto questo profilo, non si verterebbe nelle “limitazioni di sovranità” letteralmente contemplate dall’art. 11 Cost., bensì nella nozione transitiva, di per sé non prevista dalla norma costituzionale italiana, di “trasferimenti di sovranità” (a quale ente “sovrano”, dovrebbe chiedersi...) e meglio “di competenze”, dagli organi italiani, previsti in via generale dall’ordinamento e anzitutto dalla Costituzione, agli organi “interni comuni”. Se questa ricostruzione, che è l’unica plausibile (anche perché la fase esecutiva “terminale” dei processi “interni comuni” torna sotto l’impero delle singole sovranità statali), viene posta alla base del ragionamento, non vi è dubbio che la formula dell’art. 11, seconda clausola, Cost. non ha nulla a che spartire. Naturalmente, anche un “trasferimento di competenze”, che si tentasse in futuro di fondare su una nuova norma costituzionale, potrebbe scontrarsi con princìpi fondamentali basilari della Costituzione, come quello di sovranità popolare dell’art. 1, 2 co., Cost. o semplicemente fondamentali, quale quello di universalità dell’art. 11 Cost..
    Ma, a questo punto, è necessario prendere atto che il fenomeno (della ora esaminata c.d. souranazionalità) finirebbe per esulare da quello delle ordinarie, vere e proprie, organizzazioni internazionali, che appunto si esauriscono sul piano dell’ordinamento internazionale. Le “limitazioni di sovranità” che esso comporta, o comporterebbe, rappresenterebbero pur sempre - lo abbiamo già affermato - un salto di qualità rispetto a quelle implicate da ordinarie organizzazioni internazionali. Non ritengo agevolmente dimostrabile che l’art. 11 Cost., il quale certamente riguarda il primo tipo di organizzazioni internazionali e i relativi vincoli, sia idoneo ed in realtà abbia inteso esprimere al contempo anche il secondo, e ben più aggravato, tipo. Se non come forzatura ex post, per costruire artificialmente una giustificazione di eventuali operazioni poste in essere: queste, se effettivamente realizzate, senza dubbio vanno riconosciute - ad un dato stadio di effettuale, sostanzialmente incontrastata attuazione - come affermate in fatto, ma sotto questo profilo (se appunto la base costituzionale non può rinvenirsi neanche nell’art. 11 Cost., contro ogni opposta affermazione) stabiliscono, accanto a quella generale dell’ordinamento italiano, una seconda legalità, che è stata imposta, nella rottura della consequenzialità normativa di quell’ordinamento “generale” e quindi del conclamato stato di diritto, per una conspiratio dei supremi organi costituzionali e della maggioranza (o quasi totalità) delle forze politiche. Con l’inevitabile conseguenza della formazione di un complesso normativo sempre invalidabile all’interno e claudicante sul piano esterno. Sembra ovvio che la stessa legittimità naturalmente e originariamente propria dell’ordinamento (generale) dello Stato venga in qualche modo incrinata da tale seconda legalità che si pone in parallelo.” (A. Bernardini, La sovranità popolare violata nei processi normativi internazionali ed europei, ESI, Napoli, 2001, pagg. 83-4).

    Se si cercano conferme della diagnosi di totalitarismo, l’enormità della distorsione delle norme e della realtà è una delle più ovvie e inequivocabili conferme: “Il permanere della fattualità dipende dall’esistenza di un mondo non totalitario.” (Arendt, Le origini del totalitarismo).

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    1. Guarda l'anno: 2001.
      Quando si arrivò a "Euro e/o democrazia costituzionale" e a "La Costituzione della palude", diciamo un tantinello più storico-economici e giuridicamente sistematici rispetto al (pur elegante) concettualismo giuridico da te citato, voci del genere erano già sparite (lo scritto di Caianiello qui https://orizzonte48.blogspot.com/2013/04/la-costituzione-e-il-punto-di-non.html commentato, era del 2004).

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