PREMESSA
Dati i "tempi correnti" e le esigenze di "comprensione" e di recupero della democrazia "della verità" (quella che ci renderà "liberi") che si manifestano nell'oggi con grande forza, questo commento, se mai capitasse di leggerlo a qualche attivista e/o eletto del M5S, può tranquillamente servire come "breve corso" di formazione economico-giuridica in vista del contributo ai processi di decisione politica che si troveranno a dare.
Ed ha il vantaggio di essere del tutto gratuito, imparziale e disinteressato (oddio un interesse ce l'avrei: salvare la Costituzione democratica, del lavoro, keynesiana e dell'eguaglianza sostanziale, dalla più grande minaccia che abbia mai subito dalla fine della seconda guerra mondiale).
Magari ci scappa qualche altra buona dritta come la citazione del "diritto alla Resistenza" di Mortati a Piazza S.Giovanni, no?
Anche se poi la "formazione" di persone chiamate a esercitare una fondamentale funzione costituzionale, su aspetti tecnici, potrebbe essere affidata agli stessi tecnici che sono all'interno delle istituzioni -vincolati per Costituzione alla "imparzialità", art.97- ed "estesa" a tutti coloro che, a prescindere dalla forza poltica di appartenenza, ne sentissero il "lodevole" bisogno.
Quando inizialmente (era solo il 26 febbraio) mi accingevo a commentare questo, già noto, post di Massimo Fini, non avevo ancora visto questa intervista di Mauro Gallegati, ripresa anche dal FQ (e come poteva mancare?), quindi destinata alla massima pubblicizzazione per farne una presa di posizione se non ufficiale, altamente "significativa".
Dati i "tempi correnti" e le esigenze di "comprensione" e di recupero della democrazia "della verità" (quella che ci renderà "liberi") che si manifestano nell'oggi con grande forza, questo commento, se mai capitasse di leggerlo a qualche attivista e/o eletto del M5S, può tranquillamente servire come "breve corso" di formazione economico-giuridica in vista del contributo ai processi di decisione politica che si troveranno a dare.
Ed ha il vantaggio di essere del tutto gratuito, imparziale e disinteressato (oddio un interesse ce l'avrei: salvare la Costituzione democratica, del lavoro, keynesiana e dell'eguaglianza sostanziale, dalla più grande minaccia che abbia mai subito dalla fine della seconda guerra mondiale).
Magari ci scappa qualche altra buona dritta come la citazione del "diritto alla Resistenza" di Mortati a Piazza S.Giovanni, no?
Anche se poi la "formazione" di persone chiamate a esercitare una fondamentale funzione costituzionale, su aspetti tecnici, potrebbe essere affidata agli stessi tecnici che sono all'interno delle istituzioni -vincolati per Costituzione alla "imparzialità", art.97- ed "estesa" a tutti coloro che, a prescindere dalla forza poltica di appartenenza, ne sentissero il "lodevole" bisogno.
Quando inizialmente (era solo il 26 febbraio) mi accingevo a commentare questo, già noto, post di Massimo Fini, non avevo ancora visto questa intervista di Mauro Gallegati, ripresa anche dal FQ (e come poteva mancare?), quindi destinata alla massima pubblicizzazione per farne una presa di posizione se non ufficiale, altamente "significativa".
"(S)fortunatamente, passati due, tre, giorni, (gabbatu lu santu, e ce vole proprio), il quadro si sta tragicamente chiarendo.
E' PUD€ O NON E' PUD€?, ci eravamo chiesti solo, appunto tre giorni fa?
E' PUD€, ANZI PUDISSIMO, quello "remix" nouvelle vague, la più insidiosa...perchè appare "nuova" e quindi "castaspesapubblicaimproduttivacorruzionedebitopubblicobrutto".
E' PUD€ O NON E' PUD€?, ci eravamo chiesti solo, appunto tre giorni fa?
E' PUD€, ANZI PUDISSIMO, quello "remix" nouvelle vague, la più insidiosa...perchè appare "nuova" e quindi "castaspesapubblicaimproduttivacorruzionedebitopubblicobrutto".
Cara Sil-viar, hai proprio ragione "W L'€URO! Lasciate ogni speranza voi che non uscite! ...non hai scampo": non abbiamo scampo!
E non ci venissero a dire che "certe cose non le possiamo dire", semmai volessero usare questa scusa passe-par-tout, perchè non gli chiediamo di dire che si debba uscire dall'euro, MA SOLO DI NON FARE ANALISI "AFFRETTATE" PER "RASSICURARE I MERCATI" E L'ELETTORATO- QUEST'ULTIMO ALLARMATO PERO' DA LORO STESSI!- .
Molto più limpido e rispettoso dell'intelligenza degli elettori sarebbe, SENZA MENZIONARE L'USCITA DALL'EURO, DIRE LA VERITA' SU COME NON FUNZIONANO LE AREE VALUTARIE OTTIMALI IN ASSENZA DI MASSICCI TRASFERIMENTI (CHE NESSUN PAESE CREDITORE VUOLE MINIMAMENTE SOSTENERE) E SU QUALI IDEOLOGIE POLITICO-ECONOMICHE CI SIANO DIETRO.Esattamente come fa De Grauwe e lo stesso Blanchard, senza per questo poter essere accusati di essere "sconsiderati".
Perchè se non provo neppure a dire la verità, dei "fatti" (non filosofica o "onirica"), AVRO' AUTOMATICAMENTE UTILIZZATO, SENZA ALCUN DUBBIO, L'ENORME POTERE SUGGESTIVO ACQUISITO PRESSO L'OPINIONE PUBBLICA PER RAFFORZARE QUESTA IDEOLOGIA E QUESTO ASSETTO DI POTERE. ALTRO CHE CAMBIAMENTO!
Rammento (non a me stesso ma proprio a "loro") che in questo post del 10 febbraio 2013, avevamo detto: "specie se il governo che uscirà da queste elezioni praticamente inutili, dato il non-dibattito, surreale e ipocrita, che le sta precedento, avrà una limitata vitalità temporale, visto che non può far altro che proseguire "le cure che uccidono", senza prendere in esame l'unica ipotesi che persino i tedeschi ormai ci consigliano (grazie Ulrike e grazie...Carlo P.)!"
E vi re-invito a vedervi il video linkato dove Ulrike Hermann dice che alle attuali condizioni, "in cui uscire dall'euro provocherebbe un enorme danno ma...alla Germania", mentre all'Italia "non tanto grande come quello di continuare a seguire l'austerity", prima Monti e poi il nuovo primo ministro italiano dovrebbe andare là e dire alle Merkel o fai un compromesso (cioè accettare i famosi "trasferimenti" che alla Germania costerebbero 8-9 punti di PIL all'anno) o usciamo dall'euro, tutelando l'interesse nazionale.
E vi re-invito a vedervi il video linkato dove Ulrike Hermann dice che alle attuali condizioni, "in cui uscire dall'euro provocherebbe un enorme danno ma...alla Germania", mentre all'Italia "non tanto grande come quello di continuare a seguire l'austerity", prima Monti e poi il nuovo primo ministro italiano dovrebbe andare là e dire alle Merkel o fai un compromesso (cioè accettare i famosi "trasferimenti" che alla Germania costerebbero 8-9 punti di PIL all'anno) o usciamo dall'euro, tutelando l'interesse nazionale.
Assume un senso (di estrema Resistenza), allora, commentare il ""famoso" post di Massimo Fini, dato che non costituisce allora uno sfortunato "errore di percorso" ma rischia di diventare una cosciente enunciazione programmatica:
"Gli italiani non votano a caso, queste elezioni lo hanno ribadito, scelgono chi li rappresenta. In Italia ci sono due blocchi sociali. Il primo, che chiameremo blocco A, è fatto da milioni di giovani senza un futuro, con un lavoro precario o disoccupati, spesso laureati, che sentono di vivere sotto una cappa, sotto un cielo plumbeo come quello di Venere. Questi ragazzi cercano una via di uscita, vogliono diventare loro stessi istituzioni, rovesciare il tavolo, costruire una Nuova Italia sulle macerie. A questo blocco appartengono anche gli esclusi, gli esodati, coloro che percepiscono una pensione da fame e i piccoli e medi imprenditori che vivono sotto un regime di polizia fiscale e chiudono e, se presi dalla disperazione, si suicidano".
"Gli italiani non votano a caso, queste elezioni lo hanno ribadito, scelgono chi li rappresenta. In Italia ci sono due blocchi sociali. Il primo, che chiameremo blocco A, è fatto da milioni di giovani senza un futuro, con un lavoro precario o disoccupati, spesso laureati, che sentono di vivere sotto una cappa, sotto un cielo plumbeo come quello di Venere. Questi ragazzi cercano una via di uscita, vogliono diventare loro stessi istituzioni, rovesciare il tavolo, costruire una Nuova Italia sulle macerie. A questo blocco appartengono anche gli esclusi, gli esodati, coloro che percepiscono una pensione da fame e i piccoli e medi imprenditori che vivono sotto un regime di polizia fiscale e chiudono e, se presi dalla disperazione, si suicidano".
E qui mi nasce il sospetto immediato che non sappia bene di cosa stia parlando: infatti gli esodati sono in realtà aspiranti pensionati, cioè coloro che avrebbero voluto rientrare nell'ambito dei 19 milioni di pensioni che subito dopo stigmatizza, indicandole come il male d'Italia (forse pensa che la pensione la prendano solo gli odiati pubblici dipendenti). Dovrebbe essere per coerenza contento che vengano "puniti": lasciano il lavoro ai giovani (secondo Fini, che non ha capito il perchè dell'attuale disoccupazione e precarizzazione) e non gravano neppure sulla spesa pubblica pensionistica, che secondo Fini è alla base del "debito pubblico"!.
Ma poi, la domanda vera è: ma veramente i ragazzi non trovano lavoro e sono precari per via del fatto che sono pagati 4 milioni di stipendi pubblici e 19 milioni di pensioni, queste ultime in gran parte "da fame"? Ma allora queste ultime sono debito pubblico o no? E sarebbe debito pubblico "buono"? E lo sa in che misura la spesa pensionistica è anche dovuta alle "pensioni da fame"? Macchè, sulle montagne russe del pressapochismo la coerenza non esiste.
Ma poi, la domanda vera è: ma veramente i ragazzi non trovano lavoro e sono precari per via del fatto che sono pagati 4 milioni di stipendi pubblici e 19 milioni di pensioni, queste ultime in gran parte "da fame"? Ma allora queste ultime sono debito pubblico o no? E sarebbe debito pubblico "buono"? E lo sa in che misura la spesa pensionistica è anche dovuta alle "pensioni da fame"? Macchè, sulle montagne russe del pressapochismo la coerenza non esiste.
La risposta alla prima (precedente) domanda è: no, ma come glielo spieghi a Fini, sapendo che se non l'ha capito finora probabilmente non lo capirà mai? E come glielo spieghi ai militanti m5s che si abbeverano a cotanta conoscenza?
"Il secondo blocco sociale, il blocco B, è costituito da chi vuole mantenere lo status quo, da tutti coloro che hanno attraversato la crisi iniziata dal 2008 più o meno indenni, mantenendo lo stesso potere d'acquisto, da una gran parte di dipendenti statali, da chi ha una pensione superiore ai 5000 euro lordi mensili, dagli evasori, dalla immane cerchia di chi vive di politica attraverso municipalizzate, concessionarie e partecipate dallo Stato. L'esistenza di questi due blocchi ha creato un'asimmetria sociale, ci sono due società che convivono senza comunicare tra loro. Il gruppo A vuole un rinnovamento, il gruppo B la continuità. Il gruppo A non ha nulla da perdere, i giovani non pagano l'IMU perché non hanno una casa, e non avranno mai una pensione. Il gruppo B non vuole mollare nulla, ha spesso due case, un discreto conto corrente, e una buona pensione o la sicurezza di un posto di lavoro pubblico. Si profila a grandi linee uno scontro generazionale, nel quale al posto delle classi c'è l'età. Chi fa parte del gruppo A ha votato in generale per il M5S, chi fa parte del gruppo B per il Pld o il pdmenoelle".
In piena confusione socio-economica Fini dice poi che sono i pensionati che guadagnano più di 5000 euro al mese i cattivi (e vedremo tra un pò che tecnicamente neanche questo è vero, almeno se hanno versato i contributi secondo le aliquote ordinarie). Come pure gli evasori fiscali; anche se poi ha ascritto al gruppo A, dei "buoni", i piccoli e medi imprenditori che vivono in uno Stato di polizia fiscale", dimenticando che questo Stato li colpisce proprio perchè sono risultati evasori!
Ma allora coloro che non pagano le tasse (o "non riescono" a pagarle, ma per lo Stato è lo stesso) sono nella categoria A o B?
Si decidesse: ma evidentemente per lui, scatenare la guerra all'interno degli italiani, tutti pesantemente colpiti dall'euro-austerity, è più importante che essere coerenti. Immaginiamo un imprenditore che sia stato attinto da avviso di accertamento: fino al giorno prima, -in crisi di insolvenza per via del calo dei consumi interni o dell'impossibilità di esportare a costi relativi crescenti, determinati dall'euro e cioè dai tassi di cambio reale squilibati a permanente svantaggio dei paesi PIGS-, era nella categoria A; dal giorno dopo, non avendo in effetti pagato dei tributi, entra nella categoria B e può essere linciato dai colleghi del distretto (che magari sono perfettamente solidali con lui) perchè "evasore".
Ma allora coloro che non pagano le tasse (o "non riescono" a pagarle, ma per lo Stato è lo stesso) sono nella categoria A o B?
Si decidesse: ma evidentemente per lui, scatenare la guerra all'interno degli italiani, tutti pesantemente colpiti dall'euro-austerity, è più importante che essere coerenti. Immaginiamo un imprenditore che sia stato attinto da avviso di accertamento: fino al giorno prima, -in crisi di insolvenza per via del calo dei consumi interni o dell'impossibilità di esportare a costi relativi crescenti, determinati dall'euro e cioè dai tassi di cambio reale squilibati a permanente svantaggio dei paesi PIGS-, era nella categoria A; dal giorno dopo, non avendo in effetti pagato dei tributi, entra nella categoria B e può essere linciato dai colleghi del distretto (che magari sono perfettamente solidali con lui) perchè "evasore".
Ma andiamo con ordine:
1) gli stipendi pubblici non causano il deficit pubblico e quindi neppure causano l'incremento del debito pubblico.
Questo per il semplice fatto che il bilancio pubblico italiano è in saldo primario (avanzo) positivo da almeno 20 anni (con la sola eccezione di un modesto saldo negatico nei due anni successivi alla crisi-recessione dei sub-prime). Il deficit, e quindi l'incremento del debito ai livelli attuali, è determinato, piaccia o no, dall'onere degli interessi sul debito pubblico, il quale è a sua volta aumentato, provocando questo ammontare del debito, a partire dal divorzio Tesoro-banca d'Italia del 1981; tale divorzio ha innescato una gigantesca redistribuzione del reddito nazionale dal lavoro dipendente (privato e pubblico, cioè quello tassato con alte aliquote alla fonte e il crescente gettito è il maggior contributo attivo del bilancio pubblico) alla rendita finanziaria, ai titoli del debito pubblico, che è detenuto all'87% da soggetti diversi dalle famiglie (banche e investitori finanziari).
Il debito sopra al 100% è essenzialmente dovuto a ciò, tanto che, prima del "divorzio", era al 58% del PIL.
Questo per il semplice fatto che il bilancio pubblico italiano è in saldo primario (avanzo) positivo da almeno 20 anni (con la sola eccezione di un modesto saldo negatico nei due anni successivi alla crisi-recessione dei sub-prime). Il deficit, e quindi l'incremento del debito ai livelli attuali, è determinato, piaccia o no, dall'onere degli interessi sul debito pubblico, il quale è a sua volta aumentato, provocando questo ammontare del debito, a partire dal divorzio Tesoro-banca d'Italia del 1981; tale divorzio ha innescato una gigantesca redistribuzione del reddito nazionale dal lavoro dipendente (privato e pubblico, cioè quello tassato con alte aliquote alla fonte e il crescente gettito è il maggior contributo attivo del bilancio pubblico) alla rendita finanziaria, ai titoli del debito pubblico, che è detenuto all'87% da soggetti diversi dalle famiglie (banche e investitori finanziari).
Il debito sopra al 100% è essenzialmente dovuto a ciò, tanto che, prima del "divorzio", era al 58% del PIL.
2) Il totale dei dipendenti pubblici, in senso proprio, cioè lavoratori subordinati che abbiano un datore considerato "pubblica amministrazione" e con contratto dei relativi comparti pubblici (cioè quelli che lui odia a prescindere), non è di 4 milioni ma intorno ai 3,3 milioni, allo stato attuale, e da almeno 10 anni sotto i 3,5 milioni.
Ciò significa che è pari all'incirca al 5,6% della popolazione, mentre in Germania siamo al 5,47%, in Francia all'8% (e tra un pò, secondo l'etica "categoriale" di Fini potrebbero giustamente, e nonostante abbiano tutti questi impiegati pubblici, esseri umani di serie B, diventare i nostri nuovi padroni al posto dei tedeschi), mentre in Irlanda (il "modello" di ripresa dell'UEM, nelle "teorie" cialtroniche dell'austerity espansiva...dei profitti degli investitori esteri) è al 7,5%; invece in Grecia è al 3%, sì al 3! Forse a Fini può sorgere il dubbio (naaaaahhh) che con la crisi attuale il numero e persino l'esistenza stessa dei pubblici dipendenti non abbia nulla a che fare. Ma non pare che lui si preoccupi della attendibilità degli "indicatori" che utilizza.
3) Gli stipendi pubblici, poi:
Ciò significa che è pari all'incirca al 5,6% della popolazione, mentre in Germania siamo al 5,47%, in Francia all'8% (e tra un pò, secondo l'etica "categoriale" di Fini potrebbero giustamente, e nonostante abbiano tutti questi impiegati pubblici, esseri umani di serie B, diventare i nostri nuovi padroni al posto dei tedeschi), mentre in Irlanda (il "modello" di ripresa dell'UEM, nelle "teorie" cialtroniche dell'austerity espansiva...dei profitti degli investitori esteri) è al 7,5%; invece in Grecia è al 3%, sì al 3! Forse a Fini può sorgere il dubbio (naaaaahhh) che con la crisi attuale il numero e persino l'esistenza stessa dei pubblici dipendenti non abbia nulla a che fare. Ma non pare che lui si preoccupi della attendibilità degli "indicatori" che utilizza.
3) Gli stipendi pubblici, poi:
- non solo non rientrano in una spesa pubblica primaria che provoca deficit (perchè c'è il saldo primario, abbiamo detto, e quindi le entrate tributarie, pagate essenzialmente, al 93,7%, dai lavoratori dipendenti e dai pensionati, sono superiori alle spese);
- non solo con convertendosi in consumi (e il loro scarno risparmio, quando c'è), determinano il PIL esattamente quanto i consumi derivanti dai redditi privati, "autonomi" inclusi;
- ma hanno subito, più ancora dei lavoratori privati "contrattualizzati", una forte deflazione salariale: "...andamento delle retribuzioni lorde reali pro capite dei pubblici dipendenti dal 2000 al 2014. Risalta la crescita avvenuta nella prima parte del periodo, sino al 2006, in linea con quella del PIL, ed un calo dei redditi reali nel 2007 preludio di una caduta, dal 2009 in avanti, sempre più marcata per tornare nel 2014 a valori analoghi a quelli del 2002 (fig.7)".
- non solo con convertendosi in consumi (e il loro scarno risparmio, quando c'è), determinano il PIL esattamente quanto i consumi derivanti dai redditi privati, "autonomi" inclusi;
- ma hanno subito, più ancora dei lavoratori privati "contrattualizzati", una forte deflazione salariale: "...andamento delle retribuzioni lorde reali pro capite dei pubblici dipendenti dal 2000 al 2014. Risalta la crescita avvenuta nella prima parte del periodo, sino al 2006, in linea con quella del PIL, ed un calo dei redditi reali nel 2007 preludio di una caduta, dal 2009 in avanti, sempre più marcata per tornare nel 2014 a valori analoghi a quelli del 2002 (fig.7)".
Cioè, come ci dice la Corte dei conti, nello studio 2012, appositamente effettuato sul "costo del lavoro pubblico", da sei (6) anni, le retribuzioni pubbliche crescono meno dell'inflazione e, ora anche diminuite nei loro valori nominali, ritorneranno nel prossimo anno ai valori reali del 2002.
E questo invece che rendere felice il Fini, dovrebbe angosciarlo perchè significa calo dei consumi (e quindi della produzione e occupazione PRIVATE), e quindi decrescita-recessione accentuata, e calo del gettito tributario, cioè un minor avanzo primario.
E non venissero i "livorosi" a raccontare che si tratta di una "partita di giro" perchè il livello delle funzioni, prestazioni e servizi pubblici è ai minimi termini, in Italia, rispetto a quanto invece richiesto dalle norme costituzionali in relazione ai "diritti" spettanti alla generalità della cittadinanza e che lo Stato-ente pubblico non può rinuciare e erogare, specie con riferimento ai beni a fruizione indivisibile ed ai servizi di preminente interesse generale (polizia e sanità, tanto per non parlare dell'istruzione pubblica). E in mezzo al "giro" ci sta una creazione di valore la cui difficoltà di determinazione non ne elimina la indubbia esistenza (v. poi, nel finale, sub punto 9).
E questo invece che rendere felice il Fini, dovrebbe angosciarlo perchè significa calo dei consumi (e quindi della produzione e occupazione PRIVATE), e quindi decrescita-recessione accentuata, e calo del gettito tributario, cioè un minor avanzo primario.
E non venissero i "livorosi" a raccontare che si tratta di una "partita di giro" perchè il livello delle funzioni, prestazioni e servizi pubblici è ai minimi termini, in Italia, rispetto a quanto invece richiesto dalle norme costituzionali in relazione ai "diritti" spettanti alla generalità della cittadinanza e che lo Stato-ente pubblico non può rinuciare e erogare, specie con riferimento ai beni a fruizione indivisibile ed ai servizi di preminente interesse generale (polizia e sanità, tanto per non parlare dell'istruzione pubblica). E in mezzo al "giro" ci sta una creazione di valore la cui difficoltà di determinazione non ne elimina la indubbia esistenza (v. poi, nel finale, sub punto 9).
4) Le pensioni. Sul punto "principiamo" da un dato, attestato da un professore di economia studioso del sistema e RIFERITO ALLA SITUAZIONE ANTERIORE ALLA RIFORMA FORNERO: "La situazione del nostro sistema previdenziale, per ammissione comune è strutturalmente in equilibrio attualmente". A chi sostiene che però la fase di transizione al suo funzionamento a regime (contributivo ndr.)sarebbe troppo lunga, risponde: "I dati mostrano che non solo non è così, ma accade il contrario: il saldo tra le entrate contributive e le prestazioni pensionistiche previdenziali al netto delle ritenute fiscali è attivo per un ammontare di 27,6 miliardi di euro, pari all'1,8% del Pil"
Questo PRIMA delle riforma Fornero, che ha tagliato il costo dell'erogazione pensionistica di 3,2 miliardi - ma non certo l'ammontare del suo gettito contributivo.
Questo PRIMA delle riforma Fornero, che ha tagliato il costo dell'erogazione pensionistica di 3,2 miliardi - ma non certo l'ammontare del suo gettito contributivo.
Per la fase successiva alla "bella" riforma, caro Fini, questa è la situazione:
"La previdenza non è una tassa ma un modo di risparmiare. Da giovani, quando si ha la salute per lavorare, non si può spendere tutto quello che si guadagna, ma se ne mette da parte una fetta per la vecchiaia, cioè il contributo previdenziale...Il tuo assegno sarà calcolato in base ai contributi versati e all'età di pensionamento, solo così il sistema è equo e stabile. Perché si deve andare in pensione con i propri risparmi". Il nostro governo in maniera colpevole, utilizza argomentazioni teoricamente condivisibili, per raccontare una grande bugia: si sostiene, infatti, che per garantire l'equilibrio (che già c'era, anzi era un attivo ndr.) e l'equità, l'ammontare delle pensioni sarà correlato ai propri contributi versati durante la vita lavorativa.
Questo ragionamento potrebbe stare in piedi in un sistema a capitalizzazione, nel quale gli enti pensionistici pubblici accantonano i contributi dei singoli soggetti durante la vita lavorativa, per poi prelevarne i frutti al fine di erogare le pensioni agli stessi soggetti. Ma non è cosi: difatti, per far fronte al pagamento delle pensioni future, non è stata (e non viene) accumulata alcuna riserva.
Nel nostro Paese, il sistema pensionistico pubblico (Inps, Inpadap, ecc.) è strutturato secondo un criterio a ripartizione, nel quale i contributi versati da lavoratori ed aziende agli enti di previdenza, vengano utilizzati per pagare gli assegni di coloro che in quel momento sono in pensione. In altri termini, a dispetto dei sbandierati principi equitativi, con il sistema vigente ogni generazione non potrà percepire alcuna pensione commisurata ai propri contributi versati, ma era (è e sarà) condannata ad avere un assegno in linea ai contributi di quella che in quel momento lavora.
Risulta, peraltro, evidente che in un sistema così concepito, il flusso delle entrate (rappresentato dai contributi pagati da imprese e lavoratori) dovrebbe essere in equilibrio con l'ammontare delle uscite (le pensioni pagate). Equilibrio minato dal nostro attuale governo che, con le sue manovre recessive, ha affossato l'occupazione e, quindi, i contributi incamerati dagli enti previdenziali. Se si attuassero vere politiche di crescita (parola sconosciuta al vocabolario del Presidente Monti), l'equilibrio del sistema sarebbe garantito dall'aumento dei lavorati attivi, che con i loro contributi potrebbero mantenere tutti gli uomini e le donne che, dopo un'intera vita lavorativa, hanno maturato il diritto etico di godersi una pensione dignitosa e stabile.
Naturalmente Fini vuole diminuire i lavoratori attivi pubblici, e i loro stipendi, e quindi, non solo minare ulteriormente l'equilibrio contributivo, ma anche incrementare tale effetto attraverso il calo dei consumi generale e quindi della produzione e quindi della occupazione e quindi, sorpresa!, della contribuzione di tutto il resto del mondo del lavoro. E quindi anche del gettito fiscale (obbligando così ad inseguire ulteriori inasprimenti tributari, anche se la disoccupazione, da lui complessivamente auspicata, sarebbe a un punto tale da non fargli più trovare qualcuno con cui "illivorirsi").
E' il fenomeno del moltiplicatore fiscale (negativo) ed è esattamente il motivo per cui "debitopubblicospesapubblicaimproduttiva" risulta, nei suoi effetti, una sesquipedale stupidaggine, quando invece la crisi è dovuta all'austerità UEM e all'errore nel calcolo del moltiplicatore, secondo lo stesso FMI.
Questo ragionamento potrebbe stare in piedi in un sistema a capitalizzazione, nel quale gli enti pensionistici pubblici accantonano i contributi dei singoli soggetti durante la vita lavorativa, per poi prelevarne i frutti al fine di erogare le pensioni agli stessi soggetti. Ma non è cosi: difatti, per far fronte al pagamento delle pensioni future, non è stata (e non viene) accumulata alcuna riserva.
Nel nostro Paese, il sistema pensionistico pubblico (Inps, Inpadap, ecc.) è strutturato secondo un criterio a ripartizione, nel quale i contributi versati da lavoratori ed aziende agli enti di previdenza, vengano utilizzati per pagare gli assegni di coloro che in quel momento sono in pensione. In altri termini, a dispetto dei sbandierati principi equitativi, con il sistema vigente ogni generazione non potrà percepire alcuna pensione commisurata ai propri contributi versati, ma era (è e sarà) condannata ad avere un assegno in linea ai contributi di quella che in quel momento lavora.
Risulta, peraltro, evidente che in un sistema così concepito, il flusso delle entrate (rappresentato dai contributi pagati da imprese e lavoratori) dovrebbe essere in equilibrio con l'ammontare delle uscite (le pensioni pagate). Equilibrio minato dal nostro attuale governo che, con le sue manovre recessive, ha affossato l'occupazione e, quindi, i contributi incamerati dagli enti previdenziali. Se si attuassero vere politiche di crescita (parola sconosciuta al vocabolario del Presidente Monti), l'equilibrio del sistema sarebbe garantito dall'aumento dei lavorati attivi, che con i loro contributi potrebbero mantenere tutti gli uomini e le donne che, dopo un'intera vita lavorativa, hanno maturato il diritto etico di godersi una pensione dignitosa e stabile.
Naturalmente Fini vuole diminuire i lavoratori attivi pubblici, e i loro stipendi, e quindi, non solo minare ulteriormente l'equilibrio contributivo, ma anche incrementare tale effetto attraverso il calo dei consumi generale e quindi della produzione e quindi della occupazione e quindi, sorpresa!, della contribuzione di tutto il resto del mondo del lavoro. E quindi anche del gettito fiscale (obbligando così ad inseguire ulteriori inasprimenti tributari, anche se la disoccupazione, da lui complessivamente auspicata, sarebbe a un punto tale da non fargli più trovare qualcuno con cui "illivorirsi").
E' il fenomeno del moltiplicatore fiscale (negativo) ed è esattamente il motivo per cui "debitopubblicospesapubblicaimproduttiva" risulta, nei suoi effetti, una sesquipedale stupidaggine, quando invece la crisi è dovuta all'austerità UEM e all'errore nel calcolo del moltiplicatore, secondo lo stesso FMI.
Potrei a questo punto parlare della nostra spesa pubblica e di come non sia mai stata "eccessiva" nella Storia della Repubblica italiana, naturalmente se considerata nella sua dinamica con la crescita del PIL e quindi nella sua elasticità di crescita rispetto ad esso, elasticità sempre stata tra le più normali (e ora tra le più basse) del mondo occidentale. Per questo mi limito a rinviare allo studio effettuato, con ampi dati storici complessivi, dal Tesoro, sotto la direzione di Pietro Giarda.
Una lettura interessante, che Fini certamente non farà.
Una lettura interessante, che Fini certamente non farà.
Per i volenterosi che fossero curiosi di capire quanto menzogne ci vengano raccontate e quanti luoghi comuni da ciò insorgano, mi limito a riportare i brani dello studio in una versione più estesa, e già inseriti nella "Lettera a Bersani" in forma accorciata (per esigenze di spazio).
Ma non senza prima rammentare una cosa ovvia: il taglio della spesa pubblica per investimenti, in particolare i 4 punti annuali di PIL in meno registrati in progressione tra il 1980 e il 2010 bastano da soli a spiegare la stagnazione e l'output gap italiani in tale periodo. E ciò è avvenuto pacificamente proprio e solo in ragione dell'adesione italiana al vincolo europeo (SME e Maastricht-UEM):
1) Al pari della spesa complessiva, anche la spesa pubblica al netto degli interessi in rapporto al PIL si è sviluppata lungo un grande ciclo che la ha vista aumentare dal 22,5% nel 1951 al 44,0% nel 1993, con un rallentamento fino al 40,2% nel 1995, per risalire poi fino al 46,7% nel 2010.
Nella dinamica della spesa pubblica complessiva è di particolare rilievo la caduta della spesa in conto capitale e per investimenti pubblici, pure essa espressa da una quota stabile o crescente dal 1951 al 1970, poi in lenta ma continua riduzione. Negli ultimi vent’anni del secolo scorso la spesa in conto capitale assorbiva circa il 5% del PIL, mentre negli anni 2000-10 si è attestata nell’intorno del 4% medio annuo, scendendo al 3,5% nel 2010;
2) Il saldo primario, che nel 1951 era negativo per il 2,4% del PIL, è andato migliorando fino al 1960; è rimasto stabile attorno a zero per i primi anni Sessanta e poi ha iniziato a peggiorare raggiungendo un massimo del –7,8% nel 1975; si è stabilizzato attorno al –4% fino al 1985 e ha iniziato a migliorare fino al + 6% circa del 1997, si è mantenuto su livelli positivi fino al 2002, con le note vicende degli anni successivi che lo hanno portato vicino allo zero nel 2010;
3) si mostra, per gli ultimi 10 anni, il trend negativo nella crescita del PIL accentuato nell’ultimo decennio dalla recessione del 2009, anno nel quale il PIL in termini reali è caduto del 5,2%; mostra anche il grande ciclo dell’inflazione con tassi medi decennali saliti dal 2,5% all’anno negli anni Cinquanta, al 14,6% degli anni Settanta, poi in graduale riduzione dal 10% all’anno negli anni Ottanta, al 4,2% e 2,4% negli anni Novanta e nei primi 10 anni del nuovo secolo. Mostra anche il rallentamento della crescita della spesa pubblica e che il differenziale dei tassi di crescita negli ultimi dieci anni è pari quasi esattamente al differenziale che si era manifestato negli anni Sessanta del secolo scorso, un periodo ancora di forte crescita economica.
I tassi di crescita della spesa reale al netto degli interessi si presentano, nei sei decenni a partire dal 1951, su un trend fortemente decrescente. Il tasso di crescita medio di decennio è stato dell’8% negli anni Cinquanta e si gradatamente ridotto a poco più dell’1% all’anno negli ultimi venti anni.
4) si può porre in relazione il tasso di crescita medio triennale della spesa pubblica in termini reali con l’analogo tasso di crescita del reddito, separatamente per i due periodi dal 1954 al 1989 e dal 1990 al 2010.
Dall’ispezione delle figure e da semplici indicatori statistici si rileva che nel primo periodo la relazione tra crescita della spesa e crescita del reddito è più precisa e più forte dell’analoga relazione per il secondo periodo. Nel primo periodo prevale un trend autonomo, non spiegato, di crescita della spesa pari al 3,14% all’anno che prescinde dall’andamento del reddito, mentre nel secondo periodo tale trend autonomo è pari solo all’1,16% all’anno.
Inoltre, nel primo periodo è più forte il collegamento tra crescita del reddito e crescita della spesa rispetto al secondo: il coefficiente che lega le due variabili nel primo periodo indica che per ogni punto percentuale di crescita del reddito reale si ha una crescita della spesa pari allo 0,75% (in realtà è il fenomeno inverso: è la maggior crescita della spesa pubblica che porta a maggior reddito, ndr.); nel secondo periodo tale risposta è pari solo allo 0,34%. In entrambi i periodi la spesa pubblica cresce più rapidamente del reddito, sia per la componente autonoma che per la componente di dipendenza funzionale.
5) I tentativi di definire i fattori che influenzano la crescita della spesa pubblica nel tempo – e quindi spiegarne le ragioni – non hanno mai avuto troppo successo. Le spiegazioni originarie – riconducibili alle proposizioni di un famoso economista della scuola storica tedesca del 19° secolo (A. Wagner, 1882) – fanno riferimento alla relazione spesa pubblica-reddito, argomentando le ragioni per le quali la spesa pubblica sarebbe destinata, per sua natura, a crescere più rapidamente del reddito prodotto (cioè "ovunque" nel mondo, da secoli, e quindi anche senza "castacorruzionesprechi" e, invece, "debitopubblicobrutto"=inevitabile e comunque in Italia costantemente sostenibile, per "ammissione" della stessa Commissione UE);
6) sono note le proposizioni di W.Baumol (1965), che sottolineano il carattere peculiare dei processi di produzione pubblica, la loro forte dipendenza dal fattore lavoro e l’associato basso grado di progresso tecnico (quest'ultimo punto smentito da studi successivi ndr.); in unione con politiche retributive nel pubblico impiego che legano le retribuzioni pubbliche all’andamento delle retribuzioni del settore privato, ne deriva un bias strutturale per costi di produzione nel settore pubblico che crescono strutturalmente più rapidamente dei costi di produzione dei beni privati (convinzione smentita anch'essa dalla rilevazione dei costi delle aziende speciali pubbliche di ss.pp. allorchè privatizzate ndr.).
Nei tempi più recenti si è evidenziato il condizionamento della dinamica dei tassi d’interesse sulla spesa per interessi, legato all’accumularsi dei disavanzi nel tempo e alla separazione della sovranità monetaria dalla sovranità fiscale (cioè l'innalzamento del debito via interessi lo ammette, seppur con parole velate, persino Giarda! ndr.)...
7) La struttura della spesa pubblica ha avuto mutamenti rilevanti nel corso degli ultimi 60 anni che sono descritti in modo sintetico nella Tabella 3. Per un lungo periodo il peso degli interessi passivi sul totale della spesa è progressivamente aumentato, passando al 3,8% nel 1951 al 10,7% nel 1980 (fase iniziale dello SME ndr.), al 12,7% nel 1993 (effetto finale dello SME-divorzio, ndr.). Si è gradualmente ridotto fino all’8,8% nel 2010.
Nel corso del periodo in esame, si è drasticamente ridotto il peso delle componenti tradizionali dell’intervento pubblico, la fornitura di servizi pubblici, le spese per trasferimenti di sostegno alle famiglie e gli investimenti pubblici; complessivamente queste tre categorie di spesa assorbivano l’81,9% del totale nel 1951, il 59,8% nel 1980 e il 57% nel 2010. La quota dei consumi pubblici nella spesa complessiva è scesa dal 54,4% nel 1951 e si è stabilizzata a partire dal 1980 nell’intorno del 41% del totale; la quota degli investimenti pubblici è scesa dal 15,4% del totale nel 1951 al 10,8% nel 1980 e al 6,8% nel 2010 (a ragionarci, sono circa 4 punti annuali di PIL di investimenti, progressivamente "tagliati" e non sostituiti da alcuna voce della domanda aggregata ndr.). I numerosi programmi di sostegno di individui, lavoratori e famiglie assorbivano il 12,1% del totale della spesa nel 1951, il 8,1% nel 1980 e il 8,8% nel 2010.
8) principali cambiamenti occorsi nel periodo: spiccano per l’entità delle variazioni l’aumento della quota della spesa sanitaria e delle spese per servizi generali, che passano dal 42,0% nel 1980 al 44,8% nel 2000, al 47,6% del totale nel 2009 e, d’altro lato, la riduzione della quota della spesa per l’istruzione che scende dal 25,7% nel 1980 al 22,5% nel 2000, al 20,0% del totale nel 2009.
Per le altre funzioni, si osserva un aumento della quota delle spese per la protezione dell’ambiente che accompagna la riduzione delle quote delle spese per la difesa (dal 7,1% al 6,9%, peraltro in ripresa dal 2000 anno nel quale era scesa fino al 5,9% del totale), per l’ordine pubblico, sicurezza e giustizia (che mostrano un andamento in crescita passando dal 9,0% al 10,3% nel 2000, per poi scendere all’8,7% nel 2009) e per gli affari economici (in lenta e graduale discesa dal 7,3% nel 1980 al 6,7% nel 2009).
Il cambiamento nella struttura della spesa per consumi collettivi, con la crescita della quota della spesa sanitaria e la corrispondente riduzione della quota della spesa per l’istruzione, è stato molto significativo.
9) Misurare la costosità relativa dei consumi collettivi rispetto ai consumi privati è ambizione di tutti i sistemi statistici, anche se si tratta di una ambizione non facile da realizzare perché dei servizi collettivi si conoscono le spese sostenute dalle amministrazioni pubbliche, ma si hanno solo informazioni limitate sul volume fisico dei beni prodotti con quelle spese: nell’istruzione si conosce il numero degli studenti, ma non quanto è aumentato il valore del capitale umano; nella sanità si conosce il numero degli assistiti, ma non il valore della vita salvata; nella giustizia e nella sicurezza si conosce il numero dei giudicati o dei tutelati, ma poco di più.
E questa chiosa finale forse non servirà a Fini, ma magari a qualcuno dei suoi lettori aprirà gli occhi.
Nella dinamica della spesa pubblica complessiva è di particolare rilievo la caduta della spesa in conto capitale e per investimenti pubblici, pure essa espressa da una quota stabile o crescente dal 1951 al 1970, poi in lenta ma continua riduzione. Negli ultimi vent’anni del secolo scorso la spesa in conto capitale assorbiva circa il 5% del PIL, mentre negli anni 2000-10 si è attestata nell’intorno del 4% medio annuo, scendendo al 3,5% nel 2010;
2) Il saldo primario, che nel 1951 era negativo per il 2,4% del PIL, è andato migliorando fino al 1960; è rimasto stabile attorno a zero per i primi anni Sessanta e poi ha iniziato a peggiorare raggiungendo un massimo del –7,8% nel 1975; si è stabilizzato attorno al –4% fino al 1985 e ha iniziato a migliorare fino al + 6% circa del 1997, si è mantenuto su livelli positivi fino al 2002, con le note vicende degli anni successivi che lo hanno portato vicino allo zero nel 2010;
3) si mostra, per gli ultimi 10 anni, il trend negativo nella crescita del PIL accentuato nell’ultimo decennio dalla recessione del 2009, anno nel quale il PIL in termini reali è caduto del 5,2%; mostra anche il grande ciclo dell’inflazione con tassi medi decennali saliti dal 2,5% all’anno negli anni Cinquanta, al 14,6% degli anni Settanta, poi in graduale riduzione dal 10% all’anno negli anni Ottanta, al 4,2% e 2,4% negli anni Novanta e nei primi 10 anni del nuovo secolo. Mostra anche il rallentamento della crescita della spesa pubblica e che il differenziale dei tassi di crescita negli ultimi dieci anni è pari quasi esattamente al differenziale che si era manifestato negli anni Sessanta del secolo scorso, un periodo ancora di forte crescita economica.
I tassi di crescita della spesa reale al netto degli interessi si presentano, nei sei decenni a partire dal 1951, su un trend fortemente decrescente. Il tasso di crescita medio di decennio è stato dell’8% negli anni Cinquanta e si gradatamente ridotto a poco più dell’1% all’anno negli ultimi venti anni.
4) si può porre in relazione il tasso di crescita medio triennale della spesa pubblica in termini reali con l’analogo tasso di crescita del reddito, separatamente per i due periodi dal 1954 al 1989 e dal 1990 al 2010.
Dall’ispezione delle figure e da semplici indicatori statistici si rileva che nel primo periodo la relazione tra crescita della spesa e crescita del reddito è più precisa e più forte dell’analoga relazione per il secondo periodo. Nel primo periodo prevale un trend autonomo, non spiegato, di crescita della spesa pari al 3,14% all’anno che prescinde dall’andamento del reddito, mentre nel secondo periodo tale trend autonomo è pari solo all’1,16% all’anno.
Inoltre, nel primo periodo è più forte il collegamento tra crescita del reddito e crescita della spesa rispetto al secondo: il coefficiente che lega le due variabili nel primo periodo indica che per ogni punto percentuale di crescita del reddito reale si ha una crescita della spesa pari allo 0,75% (in realtà è il fenomeno inverso: è la maggior crescita della spesa pubblica che porta a maggior reddito, ndr.); nel secondo periodo tale risposta è pari solo allo 0,34%. In entrambi i periodi la spesa pubblica cresce più rapidamente del reddito, sia per la componente autonoma che per la componente di dipendenza funzionale.
5) I tentativi di definire i fattori che influenzano la crescita della spesa pubblica nel tempo – e quindi spiegarne le ragioni – non hanno mai avuto troppo successo. Le spiegazioni originarie – riconducibili alle proposizioni di un famoso economista della scuola storica tedesca del 19° secolo (A. Wagner, 1882) – fanno riferimento alla relazione spesa pubblica-reddito, argomentando le ragioni per le quali la spesa pubblica sarebbe destinata, per sua natura, a crescere più rapidamente del reddito prodotto (cioè "ovunque" nel mondo, da secoli, e quindi anche senza "castacorruzionesprechi" e, invece, "debitopubblicobrutto"=inevitabile e comunque in Italia costantemente sostenibile, per "ammissione" della stessa Commissione UE);
6) sono note le proposizioni di W.Baumol (1965), che sottolineano il carattere peculiare dei processi di produzione pubblica, la loro forte dipendenza dal fattore lavoro e l’associato basso grado di progresso tecnico (quest'ultimo punto smentito da studi successivi ndr.); in unione con politiche retributive nel pubblico impiego che legano le retribuzioni pubbliche all’andamento delle retribuzioni del settore privato, ne deriva un bias strutturale per costi di produzione nel settore pubblico che crescono strutturalmente più rapidamente dei costi di produzione dei beni privati (convinzione smentita anch'essa dalla rilevazione dei costi delle aziende speciali pubbliche di ss.pp. allorchè privatizzate ndr.).
Nei tempi più recenti si è evidenziato il condizionamento della dinamica dei tassi d’interesse sulla spesa per interessi, legato all’accumularsi dei disavanzi nel tempo e alla separazione della sovranità monetaria dalla sovranità fiscale (cioè l'innalzamento del debito via interessi lo ammette, seppur con parole velate, persino Giarda! ndr.)...
7) La struttura della spesa pubblica ha avuto mutamenti rilevanti nel corso degli ultimi 60 anni che sono descritti in modo sintetico nella Tabella 3. Per un lungo periodo il peso degli interessi passivi sul totale della spesa è progressivamente aumentato, passando al 3,8% nel 1951 al 10,7% nel 1980 (fase iniziale dello SME ndr.), al 12,7% nel 1993 (effetto finale dello SME-divorzio, ndr.). Si è gradualmente ridotto fino all’8,8% nel 2010.
Nel corso del periodo in esame, si è drasticamente ridotto il peso delle componenti tradizionali dell’intervento pubblico, la fornitura di servizi pubblici, le spese per trasferimenti di sostegno alle famiglie e gli investimenti pubblici; complessivamente queste tre categorie di spesa assorbivano l’81,9% del totale nel 1951, il 59,8% nel 1980 e il 57% nel 2010. La quota dei consumi pubblici nella spesa complessiva è scesa dal 54,4% nel 1951 e si è stabilizzata a partire dal 1980 nell’intorno del 41% del totale; la quota degli investimenti pubblici è scesa dal 15,4% del totale nel 1951 al 10,8% nel 1980 e al 6,8% nel 2010 (a ragionarci, sono circa 4 punti annuali di PIL di investimenti, progressivamente "tagliati" e non sostituiti da alcuna voce della domanda aggregata ndr.). I numerosi programmi di sostegno di individui, lavoratori e famiglie assorbivano il 12,1% del totale della spesa nel 1951, il 8,1% nel 1980 e il 8,8% nel 2010.
8) principali cambiamenti occorsi nel periodo: spiccano per l’entità delle variazioni l’aumento della quota della spesa sanitaria e delle spese per servizi generali, che passano dal 42,0% nel 1980 al 44,8% nel 2000, al 47,6% del totale nel 2009 e, d’altro lato, la riduzione della quota della spesa per l’istruzione che scende dal 25,7% nel 1980 al 22,5% nel 2000, al 20,0% del totale nel 2009.
Per le altre funzioni, si osserva un aumento della quota delle spese per la protezione dell’ambiente che accompagna la riduzione delle quote delle spese per la difesa (dal 7,1% al 6,9%, peraltro in ripresa dal 2000 anno nel quale era scesa fino al 5,9% del totale), per l’ordine pubblico, sicurezza e giustizia (che mostrano un andamento in crescita passando dal 9,0% al 10,3% nel 2000, per poi scendere all’8,7% nel 2009) e per gli affari economici (in lenta e graduale discesa dal 7,3% nel 1980 al 6,7% nel 2009).
Il cambiamento nella struttura della spesa per consumi collettivi, con la crescita della quota della spesa sanitaria e la corrispondente riduzione della quota della spesa per l’istruzione, è stato molto significativo.
9) Misurare la costosità relativa dei consumi collettivi rispetto ai consumi privati è ambizione di tutti i sistemi statistici, anche se si tratta di una ambizione non facile da realizzare perché dei servizi collettivi si conoscono le spese sostenute dalle amministrazioni pubbliche, ma si hanno solo informazioni limitate sul volume fisico dei beni prodotti con quelle spese: nell’istruzione si conosce il numero degli studenti, ma non quanto è aumentato il valore del capitale umano; nella sanità si conosce il numero degli assistiti, ma non il valore della vita salvata; nella giustizia e nella sicurezza si conosce il numero dei giudicati o dei tutelati, ma poco di più.
E questa chiosa finale forse non servirà a Fini, ma magari a qualcuno dei suoi lettori aprirà gli occhi.
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ALLORA SE E' COME LEI DECRIVE CHE PROBLEMA C'E'!!!
RispondiEliminaCOME AL SOLITO LA VERITA' E' FIGLIA DI NESSUNO!!!
Oh, se uno ragiona sul contenuto effettivo del post, il problema c'è eccome. Ignorando i principi economici e finanziari pubblici, nel modo che tutto il post illustra, si ottengono risultati nefasti e cioè stagnazione e recessione, nochè crescita del debito pubblico ai livelli attuali. Il problema è proprio quello che è stato fatto finora.
EliminaQuindi politiche sbagliate in Italia (in diversi contesti istituzionali), in tutto il mondo, hanno portato a una crisi da cui non sanno come uscire perchè si ostinano, pur sapendo ad applicare ricette sbagliate: tutta l'UEM sente gli effetti in corso ed inarrestabili dei vincoli di Maastricht e della conseguente austerity e non correggersi è un VERO GRANDE PROBLEMA. Per la democrazia e per la vita dei cittadini italiani. E per chi vuole capire. Per chi non vuole è inutile faticare a convincerlo
Sono contro il partito unico dell'euro. Sono per la sovranita' monetaria. Sono per una migliore gestione della spesa pubblica, con riduzione dell'orario di lavoro e degli stipendi. Sono per l'abolizione delle spettanze di fine lavoro che mediamente ammontano a 40 annualita'.Mentre si discute il debito pubblico ha oltrepassato la cifra di € 2.038 miliardi 50 miliardi in 2 mesi, forse qualche partita e' stata posticipata al 2013? Sono per i dati farlocchi del debito pubblico, dove ballano circa 350 miliardi. La menzogna e' figlia dell'infamia. E' notizia fresca che alla camera hanno firmato per 30 nuove assunzioni. Forse Fini si e' arrotondato la liquidazione?? Comunque complimenti per l'aricolo anche se non mi fiderei troppo delle cifre da lei citate !!!
EliminaComincio a credere seriamente nel contenuto dei " Protocolli dei savi anziani di Sion " siamo quasi in dirittura d'arrivo.Si va velocemente verso il Nuovo ordine Mondiale. Buona fortuna a tutti!!!
EliminaVedo che pur non fidandosi delle stime del tesoro e del FMI (dato che non ci si fida dei dati quando contrastano con radicate convinzioni), continua a confondere l'autonoma gestione delle camere, avulsa dalla pubblica amministrazione per dettato Costituzionale, e l'apparato delle funzioni e dei servizi pubblici erogati, sempre per democratica previsione costituzionale, a favore di bisogni collettivi dei cittadini per esigenze considerate insopprimibili (e sul livello delle cui prestazioni influisce in modo esiziale l'idea neo-classica di maastricht che occora neutralizzare lo Stato per privilegiare l'efficienza dei privati...e proprio su pensioni e sanità in primis).
EliminaIl "ballano" 350 miliardi può imputarlo a Bankitalia, al tesoro, e alla Commissione UE che sulle cifre di pubblico dominio e da atti ufficiali, ragionano per giustificare l'austerity. Quanto ai dati tendenziali dello studio Giarda, questo, essendo mirato alla spending review, aveva tutta la convenienza a mostrare settori e volumi non certo "ridotti" per poter incidere con i tagli. E d'altra parte i "differenziali" e le tendenze sono desunti dai bilanci pubblici approvati in parlamento ogni anno (e trasmessi alla commissione UE, che ha tutta la convenienza ad evidenziare, a sua volta, l'eventuale sforamento italiano)
Chapeau, 48.
RispondiEliminaNon aggiungo altro, anche perché "in claris, non fit interpretatio"!
Come puoi vedere "in here above" non è per nulla "claris" :-) Ma sono sicuro che la maggior parte dei cittadini di buona volontà capirà
EliminaVedo, Vedo, condita con l'immancabile "attacco al Parlamento", da sempre il principale bersaglio di qualsiasi antipolitica, FIN DAI TEMPI DI MUSSOLINI,del resto (la celebre retorica delle "aule sorde e grigie"....).
EliminaCome disse un noto economiscta di provincia: l'importante è desistere.... :-)
http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2013/3/1/FINANZA-Cosi-Grecia-Spagna-e-Irlanda-aiutano-gli-speculatori/3/368638/
RispondiEliminaInformato articolo di Bottarelli, che stenta però ad unire i puntini. Urticante la lode ai sindacati irlandesi, vagamente meno ideologici di quelli italiani. Interessante il commento del capo della confederazione sindacale irlandese, David Begg. Assurdo l'ultimo periodo, con la solita velata accusa ai "cattivi" americani e inglesi (che in effetti spesso sono "cattivissimi" , ma in questa situazione c'entrano ben poco, anzi sono molto irritati per le politiche di austerità suicida dell'Ue).
Sai ci sono problemi con gli IDEalisti...non sanno distinguere tra amministrazione USA e oligarchie finanziarie anglo-sassoni che sono attualmente in sorda lotta di trincea...
EliminaFermo restando che Obama si deve decidere tra "stati uniti d'europa in intinere"= (presunta) stabilità in Europa" e lotta alle oligarchie finanziarie in nome del sostegno pubblico all'economia reale (e interesse alla ripresa della domanda mondiale).
L'unica giustificazione che si può dare a questo equivoco (l'euro in realtà accentua l'instabilità e con essa la recessione UEM) è il "predere tempo" mentre sa di dover gestire il "pasticciaccio" medio-oriente
http://orizzonte48.blogspot.it/2013/02/usa-germania-e-il-prezzo-della-presunta.html
Grande risposta, dettagliata e documentata, a una serie di luoghi comuni che rischiano di confondere e distrarre i cittadini, mentre il dibattito sull'Euro comincia ad animarsi:
Eliminahttp://www.columbiaspectator.com/2013/02/26/papandreou-stiglitz-consider-economic-state-europe
http://www.wallstreetitalia.com/article/1512947/debito/germania-deputato-cdu-italia-torni-alla-lira.aspx
http://blogs.telegraph.co.uk/news/danielhannan/100104769/eurosceptics-an-apology/
Ovviamente per risposta intedevo quella data da 48 a Fini.
EliminaScusate ma il digital divide è un dramma.
Sscusate l'OT
RispondiEliminaMauro Gosmin, non è che sapresti indicarmi un link ad un video o articolo dove si parla della citazione del diritto alla Resistenza e di Mortati a San Giovanni?
Ne avevi parlato qui:
http://orizzonte48.blogspot.com/2013/02/illusione-finanziaria-lignoranza-al.html?showComment=1361782593840#c3720309918996655932
Ciao Sandra, purtroppo non riesco a trovare il passaggio dove il moderatore leggendo i vari articoli della Costituzione cita Mortati e il diritto alla Resistenza. Ho guardato su Youtube, tutti i filmati riguardano l'intervento di Grillo.
RispondiEliminaGrazie lo stesso Mauro, però mi confermi di averlo sentito in diretta vero?
EliminaE che te deve di'? :-) Mi fido di Mauro...anzi, mi sono già fidato nell'incipit del post
Eliminaragazzi ma anch'io l'avevo sentito. E l'ho pure ritrovato.
EliminaLo so, sono precisina se non ho prove nel cassetto :))) ma sai che non è per me:) devo fare i compiti:) devo essere"scintifica" come CSI.
EliminaOoooh, lo vedi Sandra che puoi superare l'"anzia" della prestazione?
EliminaGrazie Francesco...
Grazie Francesco ricevuto:)
Elimina48, No more anZia;))) da precisione:)
è tutto colpa di Mercurio in Vergine: capisci a me;)...
Ciao Quarantotto ti segnalo da WallStreet Italia questo articolo:
RispondiElimina- Data la situazione di incertezza politica in Italia dopo il voto, il membro del parlamento tedesco Klaus-Peter Willsch, facente capo alla formazione politica della Cancelliera Angela Merkel, ha chiesto il ritiro del paese dall'unione monetaria.
"Se non riusciamo a convincere la maggioranza della popolazione di un paese a rispettare gli impegni relativi al funzionamento della moneta unica, quel paese dovrebbe tornare alla propria moneta", ha dichiarato Willsch al sito online della testata Handelsblatt
La zona euro deve essere aperta al cambiamento, secondo il deputato dell'Unione dei Democristiani (UDC). "Se vogliamo tornare a una convivenza pacifica e rispettosa in Europa e prendere sul serio l'autodeterminazione dei popoli, dobbiamo rinunciare all'ideologio Euro-europea", ha detto l'ex sindaco di Schlangenbad.
"Un'unione monetaria sopravviverà solo se avvantaggia tutti i suoi membri".
insider
Willsch è un "comico" ben noto: dimentica (e come non potrebbe) i "leggeri" inadempimenti tedeschi agli "impegni della moneta unica"...Quanto al Sindaco l'ha pure detta giusta. Ma non credo che la Merkel e i falchi di Weidmann (nonchè confindustria tedesca) decideranno sulla base di questi "autorevoli" ideali
EliminaPiga appoggerebbe un referendum sull'euro in caso di ulteriore recessione indotta da austerity. Si riserva di comunicare solo al concretizzarsi della circostanza il suo orientamento di voto.
RispondiEliminaDroghe nell'acquedotto?
http://www.gustavopiga.it/2013/tertium-datur-ancora-per-poco/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=tertium-datur-ancora-per-poco
Per i neoparlamentari m5s:
RispondiElimina"Si parla di sessanta ore di corso, che dovrebbero prendere il via lunedì 4 marzo: una specie di corso universitario intensivo, impostato da alcuni docenti dell'Università Luiss di Roma, che dovrà articolarsi su tre macrotemi: l'iter di approvazione delle leggi, il funzionamento del governo e alcuni principi sulla redazione di testi normativi"...ALLA LUISS...ALLA LUISS?
Come se i partigiani avessero avuto Borghese e quelli della X come addestratori.......
EliminaPiù PUD€ di così.......
c'è di piu' e di peggio, caro 48, l' articolo da te commentato pare sia opera non già di Massimo Fini ma di Beppe Piero GrUllo in persona. Almeno questo mi pare di aver capito.
RispondiEliminaE non è neanche una novità; anzi, diciamo che ha moderato i termini rispetto a 4 o 5 anni fa. Di seguito articolo di Grillo pubblicato anche su un settimanale tedesco all' epoca:
http://www.beppegrillo.it/2008/02/fratelli_tedesc.html
Spesso dava, almeno fino a qualche tempo fa, spazio all' """"economista"""" ""indipendente"" Benettazzo che in un articolo scriveva che bisognava licenziare 1 milione di dipendenti pubblici....
Unisci cio' alla inquitante "vicenda Gallegati" che deve erudire, anzi EUROdire , i neo-parlamentari "stellati" (il manipolo che deve bivaccare, secondo le sempre piu' malcelate intenzioni di Grillo) col suo lungo cv a coprire il luogocomnismo in salsa decrescitista e il gioco è fatto. i puntini sono tutti lì...basta unirli.
Ah, ma Claudio Messora che dice questo Sgallettai...pardon; Gallegati?
Marco ho visto che persino Brancaccio "endorsa" gallegati, pru richiamandolo alla "questione del lavoro" (e citando gli studi del medesimo sulla distribuzione della ricchezza seguendo politiche keynesiane anzichè neoclassiche).
EliminaIntanto l'animo profondo di Fini o Grillo, non potrà rimanere nascosto a lungo: per questo dico che è PUDISSIMO, perchè comunque se si segue (inconsapevolmente) l'idea del crowding out (Stato brutto-parrassita cattivo, magari perchè si sono subiti accertamenti fiscali...), poi non si può considerare l'euro exit come una cosa accettabile: si dovesse smettere di fare tagli alla spesa pubblica. E Gallegati, se avesse il "passo" keynesiano che si attribuisce quando scrive in inglese du' cose gliele poteva pure spiegare.
Nella mancanza di posizioni attendibili sul punto si può indovinare molto e purtroppo non promette nulla di buono, per la Costituzione (regolarmente "vecchia").
C'è il rischio che si finirà a dire: aridatece er puzzone.
In un'Italia frantumata in violente guerre tra poveri...
Ciao Sandra, confermo.
RispondiEliminaGrazie:)Mauro
EliminaFrancesco lo ha trovato.
Ma che gli è preso a tutti questi. Sarà mi'a "la rivalsa dell'Eva" Ovvero : finora se ne sono stati bravi bravi nelle loro tane e mo' si inebriano dell'aria aperta?
RispondiEliminaps continuo a combattere la depressione : non mi appartiene. Ho detto!
Autosuggestione logica ipercosciente contro la depressione? Rischi di finire in scissione bipolare: ancazzati pure e dai sfogo e poi, ricompostoti, riprendiamo a martellare :-)
EliminaL'UNICA SOLUZIONE PER IL PD
RispondiEliminaQualsiasi governo del passato con qualsiasi manovra ha sempre portato in piazza manifestazioni di protesta. Pensionati, studenti, tassisti, imprenditori, disoccupati. La soluzione è semplicissima. Gli 8 punti di Bersani non serviranno a nulla e non recupererà consensi perchè la gente è incazzata cronica e sono tutte cose che dovevano essere fatte per ieri. L'errore di ogni politico è sempre stato quello di fare cose che riguardano il futuro e intaccare il futuro dei giovani, ma la vera svolta se il PD avrà i coglioni di sinistra veri è intaccare il PASSATO. Solo intaccando il passato e i propri errori commessi si sgonfia Grillo. Bisogna eliminare le pensioni baby, le pensioni d'oro, i manager e dirigenti pubblici politici, i papponi dell'università ecc. Son curioso di vedere se questi privilegiati avranno il coraggio di andare a protestare in piazza. Solo così facendo il PD vincera le prossime imminenti elezioni in tutte le altre soluzioni perderà.
Non so come ma ho la netta sensazione che il suo commento sia stato fatto senza leggersi il post. Oppure comprendendo fischi per fiaschi. Oppure volendo polemizzare frontalmente senza alcuna disposizione a mettere minimamente in discussione una serie di convinzioni personali (diffuse e luogocomunistiche) che contrastano con la realtà dei fatti e dei dati.
EliminaDa questi si ricava che anche eliminando questi presunti privilegi (confusamente indicati senza però neanche saperne stimare la dimensione e la "genesi"), il "futuro dei giovani" rimarrebbe sempre e crescentemente intaccato. Perchè esso è stato svenduto a forze molto maggiori dei confusi e sbandierati privilegi...
Legga meglio e non si scomodi a rispondere