Le Istituzioni riflettono la società o esse "conformano" la società e ne inducono la struttura? In democrazia, la risposta dovrebbe essere la prima. Ma c’è sempre l'ombra della seconda...il "potere" tende a perpetuarsi, forzando le regole che, nello Stato "democratico di diritto" ne disciplinano la legittimazione. Ultimamente, poi, la seconda si profila piuttosto...ingombrante, nella sintesi "lo vuole l'Europa". Ma non solo. Per capire il fenomeno, useremo la analisi economica del diritto.
venerdì 28 febbraio 2014
VIDEO RASSEGNA (RIETI 15 FEBBRAIO E GENOVA 21 FEBBRAIO)
Per chi fosse interessato questi sono i links con i filmati dei miei interventi ai convegni di:
- Rieti del 15 febbraio (preceduto dall'intervento di Diego Fusaro che trovate sempre su youtube);
- Genova del 21 febbraio, con la partecipazione di Cesare Pozzi, (in gran spolvero nonostante l'influenza) e successiva interessantissima sessione di domande-risposte.
Non sono putroppo in grado di darvi alcuna testimonianza video dell'intervento tenuto all'Università di Genova nello stesso pomeriggio. Magari qualcuno ne ha traccia.
Buona visione (sempre meglio della tristezza televisiva in elogio perenne del regime ordoliberista in stato di frenesia finale)
giovedì 27 febbraio 2014
LIBERALISMO "RISTRETTO": DA HAYEK A PINOCHET, PASSANDO PER EINAUDI
In prosecuzione del discorso avviato col post di ieri, ho ritenuto che questo intervento di Arturo, per completezza e profondità, meritasse un'autonoma collocazione, per meglio fruire dei suoi importanti elementi cognitivi e di riflessione.
I difensori di Hayek naturalmente hanno attribuito quest'uscita (quella relativa alla preferenza verso la dittatura autolimitabile rispetto alla democrazia, che non lo sarebbe ndr.), a un
appannamento senile; la patetica scusa è stata articolatamente smontata
da Corey Robin, che alla von Hayek-Pinochet connection ha anche dedicato un corposo dossier (qui
anche alcune telegrafiche riflessioni sul rapporto fra Hayek e Schmitt,
di cui si parlava sopra).
Mi pare che all'argomento avessimo già
accennato; qui trovo utile riportare la principale prova utilizzata da
Robin a confutazione dell'estemporaneità dell'intervista, cioè un passo
del solito Legge, legislazione e libertà che vi trascrivo dalla
traduzione italiana (pag. 467):
"E' errata la credenza di autori come G.
Myrdal e J. K. Galbraith secondo cui i difetti dell'ordine esistente
sono soltanto transitori e possono venir corretti quando si completerà
il processo di organizzazione. Ciò che rende vitale la maggior parte
delle economie occidentali è che l'organizzazione degli interessi è
soltanto parziale e incompleta. Se fosse completa ci si troverebbe in
una situazione insostenibile di blocco reciproco tra i diversi interessi
organizzati, con una struttura economica totalmente rigida che nessun
accordo fra gli interessi maggiori, ma solo la forza di un *potere
dittatoriale* potrebbe spezzare".
Quella di Hayek mi pare in fondo la
risposta del liberalismo classico, che ha un coté profondamente
antidemocratico, alla "grande trasformazione":
"[...] it should not be
forgotten that not only did the classics of the liberal tradition refer
to democracy with coldness, hostility and sometimes frank contempt, but
regarded its advent as an unlawful, intolerable rupture of the social
contract and hence as a legitimate cause for the "appeal to Heaven" (in
Locke's words) or to arms" (D. Losurdo, Liberalis. A counter-history,
Verso, London, 2011, pag. 341).
Un analogo (anche nell'individuazione
dei nemici: sul piano economico, Keynes per entrambi; su quello
filosofico, Kelsen per Hayek, l'ultimo Croce per Einaudi) "liberalismo
ristretto", come lo definiscono Paggi e D'Angelillo, prospera ovviamente
anche in Italia, in particolare sotto le venerabili insegne del
sunnominato Luigi Einaudi, di armoniosa conserva con la teoria della
casta-cricca-corruzione, che è sì, come ci informa Chang, un format
internazionale, ma che ha anche conosciuto una sua compiuta, antica e
fortunata elaborazione autoctona nell'ambito del liberismo autoritario
paretiano.
Il libro di Paggi e D'Angelillo (I comunisti italiani e il
riformismo), che l'accumulo di letture mi aveva obbligato a posporre, è
davvero importante ("Il liberismo infatti non può non sentire come
ostacolo al funzionamento delle leggi economiche, e come corruzione del
"buongoverno", qualsiasi elemento di autodifesa che le società producono
nei confronti della logica del mercato": pag. 152) e ringrazio molto
Cesaratto per averlo così caldamente consigliato.
Credo sarà utile
tornarci.
mercoledì 26 febbraio 2014
UNA DITTATURA PUO' LIMITARE SE STESSA. LA DEMOCRAZIA NO (non è un fine in sè)
Da Sergio Govoni arriva il ritrovamento di questa autentica "chicca" dell'Hayek pensiero.
Il contenuto "esplicito" (mandate a letto i bambini) impone una precisazione concettuale e istituzionale fondamentale: qui Hayek outspeaks in pura vena neo-liberista, indipendente dalla formulazione ordoliberista.
L'ordoliberismo, nato "metodologicamente" in Germania - legato ad una forma aggiornata di "mercantilismo" (e quindi portatore di una irrisolta contraddizione)-, viene da lui accettato come "mezzo al fine" strategico, tramite l'esplicita affermazione fatta in altra sede e che ritrovate (anche) qui.
Tale "messa a punto" è alla base della strategia dei trattati europei, in specie il ben noto art.3, par.3, TUE con l'economia "sociale" di mercato:
"Non mi piace questo uso [dell'aggettivo "sociale" per qualificare ogni azione "pubblicamente consigliabile"; tra gli esempi: "economia sociale di mercato", a cui la nota si riferisce], anche se grazie ad esso alcuni miei amici tedeschi (e ultimamente anche inglesi) sembrano riusciti a rendere appetibile a circoli più ampi il tipo di ordine sociale che difendo".
Merita di essere sottolineato anche l'adattamento della "doppia verità" della strategia di potere neo-liberista nell'era "ordoliberista".
Trasposta in chiave ordoliberista, infatti, la doppia verità implica il più volte segnalato rigido controllo mediatico, che si proponga, però, come "libera informazione", necessariamente critica rispetto ad un supposto "Stato oppressivo", accuratamente costruito sui concetti-spia della sua corruzione intrinseca, e della connessa spesa pubblica "clientelare", utile a nascondere i "fallimenti del mercato" nella loro stessa realtà.
Questi concetti-spia conducono alla instaurazione dell'era delle banche centrali indipendenti "pure", che sono la concretizzazione del più efficace attacco alla democrazia nei suoi punti deboli fisiologici, iperbolicamente accentuati come fattori di preteso malessere dei cittadini comuni.
Ne insorge una strana contraddizione -su cui i cittadini non riescono più a riflettere- dato che l'ordoliberismo si impadronisce delle istituzioni di questo stesso Stato che, dunque, è esso stesso sia mandante che "oggetto" della sua (auto)distruzione.
In UEM ciò è fortemente agevolato dalla contrapposizione tra un super-organismo sovrastatuale, asseritamente portatore di liberazione, e Stato nazionale-burocrazia, proponendo il primo, e mai come in questi giorni, come estrema difesa da una oppressione amministrativa e fiscale che viene contrabbandata come originata da esso.
Mentre, invece, tale oppressione nasce proprio dalla loro priorità assoluta di compiacere i "mercati" e dalle istituzioni sovranazionali ordoliberiste funzionali a tale disegno: la Banca centrale indipendente "pura" e la normativa sovranazionale che si stratifica attraverso norme non solo complicatissime, onde meglio dissimulare gli interessi economici privati che sottendono, ma anche inevitabili. Cioè tutte, complessivamente, imposte sotto l'insegna del nuovo "stato di eccezione" perennemente emergenziale: "lo vuole l'Europa".
Rammentiamo l'esito ultimo di questa strategia che si presenta molto più "discreta" ed anche efficace del metodo Cile:
"In questa chiave "progressiva" si possono comprendere anche gli elevati livelli di tassazione: si tratta di una condizione transitoria e, naturalmente strumentale, che sconta la modifica del precedente ordine costituzionale dei welfare, mirando a farlo collassare, per rigetto del corpo sociale, mediante la imposizione del vincolo monetario (ad effetti equipollenti "in parte qua" al gold standard) e dei ben noti "vincoli" di deficit e di ammontare del debito, posti rispetto ai bilanci pubblici.
I quali, naturalmente, in una fase iniziale, pazientemente durevole, debbono "rientrare", consolidarsi, aumentando l'imposizione fiscale, prima di poter procedere, verificatesi le condizioni politiche, al taglio strutturale della spesa pubblica.
Alla fine, la gente, avvertendo come insopportabile il costo dei diritti sociali, cioè del welfare, invocherà il loro smantellamento, pur di vedersi sollevata da questa insopportabile tassazione."
Von Hayek, Cile, democrazia
Da un’intervista rilasciata da Friedrich von Hayek
al quotidiano cileno El Mercurio, 19 Aprile 1981:
Lucia Santa-Cruz: "C’è un riferimento nel suo lavoro all'apparente
paradosso di dittature che possono essere più liberali di una democrazia
totalitaria. Ma è vero anche che le
dittature hanno altre caratteristiche che contraddicono la libertà, anche se è
intesa negativamente come fa lei."
von Hayek: “È evidente che le dittature pongono gravi pericoli. Ma una
dittatura può limitare se stessa (se
puede autolimitar), e se autolimitata
può essere più liberale nelle sue politiche di un'assemblea democratica
che non conosce limiti. Devo ammettere che non è molto probabile che questo
avvenga, ma anche così, in un dato momento, potrebbe essere l'unica speranza.
Non una speranza sicura perché dipenderà sempre dalla buona volontà di una
persona e ci si può fidare di ben poche persone. Ma se è l'unica possibilità in
un dato momento, può essere la migliore soluzione nonostante tutto. Ma solo se
il governo dittatoriale conduce chiaramente ad una democrazia limitata.”
Nella stessa intervista, von Hayek affermava
anche:
“La democrazia ha un compito che io chiamo
‘igienico’ per il fatto che assicura che le procedure siano condotte in un modo, appunto, idraulico-sanitario. Non
è un fine in sé. Si tratta di una norma procedurale il cui scopo è quello di
promuovere la libertà. Ma non può assolutamente essere messo allo stesso
livello della libertà. La libertà necessita di democrazia, ma preferirei
temporaneamente sacrificare, ripeto temporaneamente, la democrazia, prima di
dover stare senza libertà, anche se temporaneamente .”
Questi brani (che si anche possono trovare su
Internet usando i termini hayek mercurio)
sono riportati da Philip Mirowski in chiusura (p. 446) del libro The Road from Mont Pèlerin: The Making of
the Neoliberal Thought Collective, Cambridge, Massachusetts, USA, Harvard
University Press, 2009 (la traduzione dei brani, precedenti e successivi,
è mia), che ha curato assieme a Dieter
Plehwe.
È il testo citato da Arturo in
suo commento e ricordato anche in un post più recente
su Orizzonte 48.
Mirowski mette in evidenza la contraddizione dei
neoliberisti che da un lato propagandavano il loro amore incondizionato per la
libertà, mentre dall’altro sostenevano una dittatura militare.
In effetti, la
partecipazione al colpo di stato cileno del 1973 da parte di numerosi membri e
affiliati alla Mount Pèlerin Society, di cui von Hayek fu uno dei fondatori, è
una delle manifestazioni più note della dottrina neoliberista della doppia
verità, secondo la quale ad una élite si insegna la necessità di reprimere la
democrazia (concetto proveniente da Carl Schmitt, da von Hayek stesso definito
“il giurista della Corona” di Hitler), mentre alle masse si racconta di
“smantellare lo stato-balia” ed essere “liberi di scegliere”. Come spiega Mirowski (p. 445):
Milton Friedman
impiega buona parte della propria autobiografia a tentare di giustificare e
spiegare le sue azioni; in seguito, anche Hayek fu pesantemente criticato per
il suo ruolo. “Fu soltanto una
sfortunata serie di eventi eccezionali”, dissero, “non era colpa nostra”. Ma Carl Schmitt ha sostenuto che la sovranità
è definita come la capacità di determinare le eccezioni alla legge: “Sovrano è
chi decide lo stato di emergenza”. Il
dispiegamento della dottrina della doppia verità in Cile ha mostrato che i
neoliberisti si erano arrogati la sovranità per loro stessi.
A conclusione di queste brevi note, un po’ per rispondere al paragone idraulico portato da von
Hayek nella sua intervista e un po’ per alleggerci, mi pare bello citare questo
brano da Le città invisibili di Italo
Calvino:
Se Armilla sia cosí
perché incompiuta o perché demolita, se ci sia dietro un incantesimo o solo un
capriccio, io lo ignoro. Fatto sta che non ha muri, né soffitti, né pavimenti:
non ha nulla che la faccia sembrare una città, eccetto le tubature dell'acqua,
che salgono verticali dove dovrebbero esserci le case e si diramano dove
dovrebbero esserci i piani: una foresta di tubi che finiscono in rubinetti,
docce, sifoni, troppopieni. Contro il cielo biancheggia qualche lavabo o vasca
da bagno o altra maiolica, come frutti tardivi rimasti appesi ai rami. Si
direbbe che gli idraulici abbiano compiuto il loro lavoro e se ne siano andati
prima dell'arrivo dei muratori; oppure che i loro impianti, indistruttibili, abbiano
resistito a una catastrofe, terremoto o corrosione di termiti.
Abbandonata prima o
dopo essere stata abitata, Armilla non
può dirsi deserta. A qualsiasi ora, alzando gli occhi tra le tubature, non è
raro scorgere una o molte giovani donne, snelle, non alte di statura, che si
crogiolano nelle vasche da bagno, che si inarcano sotto le docce sospese sul
vuoto, che fanno abluzioni, o che s'asciugano, o che si profumano, o che si
pettinano i lunghi capelli allo specchio. Nel sole brillano i fili d'acqua sventagliati
dalle docce, i getti dei rubinetti, gli zampilli, gli schizzi, la schiuma delle
spugne.
La spiegazione cui
sono arrivato è questa: dei corsi d'acqua incanalati nelle tubature d'Armilla
sono rimaste padrone ninfe e naiadi. Abituate a risalire le vene sotterranee, è
stato loro facile inoltrarsi nel nuovo regno acquatico, sgorgare da fonti
moltiplicate, trovare nuovi specchi, nuovi giochi, nuovi modi di godere
dell'acqua. Può darsi che la loro invasione abbia scacciato gli uomini, o può
darsi che Armilla sia stata costruita dagli uomini come un dono votivo per
ingraziarsi le ninfe offese per la manomissione delle acque. Comunque, adesso
sembrano contente, queste donnine: al mattino si sentono cantare.
martedì 25 febbraio 2014
REVERSING THE TIDE ON MAINSTREAM
Mi ero portato avanti col lavoro. Precisando le condizioni probabili di variazione 2014 dei fattori del PIL.
Oggi arrivano a grappolo le scontate conferme:
a) next but not..."last" correzione al ribasso Commissione UE sulle stime di crescita 2014 (e non abbiamo ancora gli effetti dell'accelerazione che verrà imposta a Cottarelli);
b) dato aggiornato Istat sul calo dei consumi su tutto il 2013, che smentisce la presunta ripresa dell'ultimo trimestre e conferma un trend che, tutte le voci di tassazione/copertura per "rimodulare" il sistema fiscale e fiscalizzare gli oneri sociali, non potranno che perpetuare (come attesta anche la fiducia dei consumatori rilevata da Confcommercio: loro sì che se la passano male e possono attendersi peggio da...Cottarelli).
Per comodità riproduciamo il quadro generale allora delineato:
Un paper Bankitalia del luglio 2013, ci fornisce dei dati che si rivelano, ora più che mai, alquanto "crudi": in effetti, tutte le previsioni effettuate erano sottoposte a "condizioni" e perciò espresse al condizionale in relazione ad tendenze che, a distanza di sette mesi, non si stanno realizzando.
Come
faremo a produrre un attivo delle partite correnti della bilancia dei
pagamenti pari all'1% del PIL, specialmente al di fuori dell'area euro,
se la stessa enfatizzata diminuzione dei prezzi petroliferi segnala che
la domanda mondiale è in realtà sempre più in raffreddamento?
La
realtà è che sarei pronto a scommettere che, nella prosecuzione delle
attuali condizioni di (non) competitività di prezzo, di cambio valutario
dell'euro in apprezzamento verso le aree esterne, e di inarrestabile emorragia delle imprese italiane che si trasferiscono a produrre altrove, anche nel 2014 gli investimenti risulteranno in contrazione.
E questo renderà persino più improbabile lo stesso ottenimento di una tale misura dell'attivo del CAB,
proprio per la prevalente contrazione della produzione, al di là delle
fiammate, "ad esaurimento", imputabili alla ricostituzione delle scorte,
dovute prevalentemente alla residua operatività di contratti ad
esecuzione continuata e periodica già stipulati, e semmai originati
dalla transitoria (ed ormai riassorbita) debolezza dell'euro tra fine
2011 e la metà del 2012.
Ora:
- se il consolidamento fiscale nella misura dello 0,6% del PIL (a moltiplicatore perlomeno 1,5), quale ben indicato nel DEF, è un dato sicuro,
- se la insistenza sul taglio della spesa pubblica porterà inevitabili frutti (avvelenati) in aggiunta a ciò;
- se un miglioramento (relativamente) consistente saldo attivo delle partite correnti appare via via irrealizzabile;
- se la disoccupazione risulterà inevitabilmente crescente, alla luce dello stesso "non avveramento" delle condizioni sperate indicate da Bankitalia,
non potremo che registrare una ulteriore recessione.
- se il consolidamento fiscale nella misura dello 0,6% del PIL (a moltiplicatore perlomeno 1,5), quale ben indicato nel DEF, è un dato sicuro,
- se la insistenza sul taglio della spesa pubblica porterà inevitabili frutti (avvelenati) in aggiunta a ciò;
- se un miglioramento (relativamente) consistente saldo attivo delle partite correnti appare via via irrealizzabile;
- se la disoccupazione risulterà inevitabilmente crescente, alla luce dello stesso "non avveramento" delle condizioni sperate indicate da Bankitalia,
non potremo che registrare una ulteriore recessione.
Una
recessione solo transitoriamente meno accentuata, rispetto al "biennio
d'oro" del grande "risanamento" 2012-2013, e meno accentuata solo nella
improbabile ipotesi in cui non si procederà a colpi di testa nella
spending review.
E comunque, al tempo stesso, autonomamente acuibile per fattori esogeni legati all'andamento della domanda mondiale ed endogeni dovuti all'ulteriore ondata di tasse patrimoniali (ormai distruttive come mostra l'andamento dei prezzi immobliari riportato dallo stesso studio bankitalia) che, ripristinando e anzi incrementando il gettito del 2012, si assommano alle aspettative di tosature ancora più incisive come "sorpresine" preparatorie della riduzione del debito e dello stesso deficit, in omaggio all'imminente applicazione del fiscal compact.
E comunque, al tempo stesso, autonomamente acuibile per fattori esogeni legati all'andamento della domanda mondiale ed endogeni dovuti all'ulteriore ondata di tasse patrimoniali (ormai distruttive come mostra l'andamento dei prezzi immobliari riportato dallo stesso studio bankitalia) che, ripristinando e anzi incrementando il gettito del 2012, si assommano alle aspettative di tosature ancora più incisive come "sorpresine" preparatorie della riduzione del debito e dello stesso deficit, in omaggio all'imminente applicazione del fiscal compact.
Che poi la politica, mischiando incoscienza e insipienza tecnica e negoziale, si senta in cuor suo di riuscire ad evitare queste forche caudine, non sposta di un millimetro la tendenza difensiva ormai dilagante nell'intero substrato sociale italiano: fuoriuscita di capitali (sia finanziari che disinvestiti dal settore produttivo) e contrazione cautelativa dei consumi.
Al
dunque, rinunciando a quantificare fino a che punto arriverà la follia
che pervade una intera classe politica, a cui la realtà pare
completamente sfuggire ogni volta che apre bocca per indicare le
soluzioni concrete a cui si affida, non una sola voce del PIL potrebbe essere in aumento, quantomeno nella misura già "venduta" nel DEF, durante il 2014: non I, non C, non G (per carità), e neppure X-M.
A questo punto mi è sovvenuta un'intuizione. Nel post di ieri avevamo detto che:
A questo punto mi è sovvenuta un'intuizione. Nel post di ieri avevamo detto che:
"Questa continua evocazione dell'ultima spiaggia, dell'ultima chance, è perfettamente conforme a tale ideologia: gli ordoliberisti, con l'estrema offensiva di tutta la loro forza mediatica, che li ha condotti fino a qui, in 30 anni di trionfale riduzionismo "pop" della odiata democrazia sostanziale, ci stanno semplicemente avvertendo.
...L'ultima chance è la vostra, non la "loro".
Stanno
semplicemente anticipando che o si fa come esigono "loro" e i loro
padrini della finanza multinazionale impadronitasi del potere
globalizzato, o la democrazia, anche solo ridotta a consultazione
elettorale a opzioni predeterminate dal controllo mediatico, ve la
potete anche scordare."
Però, osservando attentamente le facce dei giornalisti-commentatori-livoroso-espertologi e le reazioni degli editoriali si può percepire un aspetto esattamente opposto della questione: tutto questo esercito, abituato a dettar legge e a decidere i governi (in senso praticamente letterale), è esso stesso giunto a "fine corsa".
Ha creato un simulacro che incarna a perfezione le sue aspirazioni ultime enunciate in 30 anni di propaganda, ma si rende conto che, proprio perchè mai il proprio appoggio mediatico, senza precedenti, è stato così decisivo per innalzare un governo, oggi si ritrova praticamente a giocare in prima persona.
Siccome tutto quanto ha sempre sognato, cioè quelle soluzioni che inconscientemente e improvvidamente ha sempre propugnato, stanno per essere attuate in tempi (acceleratissimi, perbacco!) che ne dovrebbero consentire l'immediata verifica degli effetti, l'esercito mediatico di riserva mainstream ora teme.
Teme perchè, in definitiva, rischia che l'attuale premier "faccia" veramente, e presto, e che poi gli effetti siano quelli (scontati, anche se lo negherebbero contro ogni evidenza) di un fallimento che li coinvolgerebbe con la loro stessa faccia.
Come potrebbero prendere le distanze dalla loro stessa creatura, se l'hanno loro stessi proposta come ultima chance senza alternative e, nella sostanza del programma, "salvifica"?
Alla luce di questa, per "loro", inquietante possibilità, li prende "l'orore di se stessi", per la prospettiva che alla "ultima chance", di residua credibilità €urofolle e aggressivamente ordoliberista, ci giungano proprio "loro".
Oltre questa soglia e il suo prevedibilissimo disastro (salvo colpi di scena oggi insospettabili), avrebbero perso tutta la loro pomposa pseudo-credibilità. E poi come si ripresenterebbero indenni a pontificare a reti unificate 24h. su 24h.?
lunedì 24 febbraio 2014
L'ABROGAZIONE DELLO STATO DI DIRITTO IN UN PAESE SENZA SOVRANITA'
Tra twitter, messaggi da amici in apprensione, e l'eco della diretta televisiva, si percepisce lo sgomento relativo al fatto che tutto ciò stia accadendo veramente.
Il fatto è che la questione, come diceva Flaiano, è grave ma non seria. Ovviamente se la si vede nella sua dimensione italiana.
Un effetto è sicuro: nei "rimbalzi" dei talk in diretta, si percepisce la sorda eccitazione rabbiosa degli espertologi, rigorosamente giornalisti, che ora esigono severamente la "soluzione finale", impazienti di affermare il loro potere livoroso come principio supremo dell'ordinamento.
La "partita delle riforme" eccita la brama di un dominio che, nella sceneggiata "pop" della serietà, si è consolidato nei media "finance-owned".
Questi ultimi, infarciti di ordoliberisti del tutto svincolati da qualsiasi consenso democratico, tendono ad affermare senza più mediazioni, l'incontestabile e inarrestabile sicumera delle loro soluzioni su "laqualunque", invertendo sistematicamente i rapporti di causa/effetto della crisi economica spaventosa in cui sono ansiosi di ributtarci con le loro pensose sparate di luoghi comuni, contraddetti dai fatti ma sostenuti da fantomatiche classifiche OCSE et similia (basta alla bisogna qualsiasi fantomatico osservatorio o centro studi o ong "internazionale").
Il Rizzo (o Stella, mah...non fa alcuna differenza) di turno, suggerisce, come ultima frontiera per misurare la "credibilità" del neo-premier, il licenziamento "libero" (e palla al centro) come misura disciplinare principale e unica per il pubblico impiego, sicuro come non mai che sia l'assenteismo il problema della crisi italiana.
Il premier alla ricerca di fiducia considera assurdo che un atto di un'autorità amministrativa possa essere sindacato da un giudice: prendiamo atto.
Nessun giudice deve poter verificare la conformità al sistema legale dell'azione della pubblica amministrazione, specie, a quanto pare, se il titolare della potestà amministrativa risulti eletto. Cosa che dovrebbe porlo, a prescindere dai contenuti dei suoi atti (anche ove occupi di traffico o di piani urbanistici, cioè di materia tipicamente esecutiva delle leggi), al di sopra delle leggi.
Ebbene, questa è stata l'enunciazione, di fronte ad un'assemblea legislativa elettiva (e non in una semplice intervista), per quanto tale assemblea sia stata contestualmente destinataria di una sentenza di liquidazione finale: l'esplicita dichiarazione della FINE DELLO STATO DI DIRITTO, quale teorizzato in trecento anni e oltre di elaborazione politica e giuridica.
L'essenza dello Stato di diritto, infatti, è che anche la pubblica autorità (e non solo i sudditi, privati cittadini) sia assoggettata a norme giuridiche imputabili al potere delle assemblee liberamente elette (the "rule of law"), norme che, in quanto "giuridiche", diano luogo a tutela giurisdizionale dei cittadini sottoposti al potere di tale autorità.
Se non ci fosse "un giudice a Berlino" (citazione che contiene oggi in sè un beffardo paradosso), quelle stesse norme non sarebbero giuridiche e competenze, obiettivi, discrezionalità, delle pubbliche autorità sarebbero autoregolate nel mondo pregiuridico del puro rapporto di forza politico di cui parla Calamandrei.
E ben sappiamo, oggi, a chi appartenga questa "forza", avulsa dallo stesso consenso democratico e dalla stessa sua necessitata radice nella comunità nazionale.
Una conquista non da poco, precondizione minima della democrazia, che evita che, di volta in volta, il Sovrano, l'Esecutivo, l'apparato politico, - che mira a controllare l'assetto sociale orientando l'azione degli organi amministrativi da loro dipendenti (dipendenza rivendicata a gran voce di questi tempi appoggiandosi sulle armi di innumerevoli poteri di licenziamento, rimozione, rotazione)-, rafforzi esclusivamente gli interessi dominanti che lo hanno sostenuto nella preposizione al potere istituzionale.
Senza la tutela giurisdizionale dei cittadini su tali atti, le istituzioni divengono, in fatto e in diritto, "cosa" di proprietà degli interessi socio-economici di fatto prevalenti, segnandone l'inarrestabile ed arbitrario rafforzamento ulteriore.
Questo fenomeno di arretramento dello Stato di diritto è perfettamente conforme alla situazione di una comunità nazionale che ha perso la sua sovranità e, con essa, la sua democrazia quale configurata inequivocabilmente nella sua Costituzione.
La sovranità, intesa come tutela istituzionale dei diritti sociali democratici al vertice della scala costituzionale di valori, non esiste praticamente più.
E' morta e sepolta sotto il cumulo delle macerie create dall'ordoliberismo mediatico che rinviene dogmaticamente ogni suo punto di riferimento in potenze estere, poteri sovranazionali, internazionalismo propinato come terrorismo devastatore di ogni resistenza democratica.
E senza la sovranità neppure lo Stato di diritto ha alcun senso: non avrebbe senso porre dei limiti alle stesse autorità e poteri pubblici quando questi non rispondono a coloro nel cui nome sono istituiti, quanto a istituzioni sovranazionali sostanzialmente "privatizzate".
Se questo sta avvenendo, con la conseguente riduzione della democrazia a "procedura idraulico-sanitaria", nell'esatta configurazione evocata da von Hayek come condizione per renderla "tollerabile", non deve stupirci.
Questa continua evocazione dell'ultima spiaggia, dell'ultima chance, è perfettamente conforme a tale ideologia: gli ordoliberisti, con l'estrema offensiva di tutta la loro forza mediatica, che li ha condotti fino a qui, in 30 anni di trionfale riduzionismo "pop" della odiata democrazia sostanziale, ci stanno semplicemente avvertendo.
Vale a dire, l'Italia è stata già venduta nella colonizzazione più umiliante e questo processo corrisponde a un debito da "loro" (elite locale complice) contratto ma lasciato da assolvere esclusivamente a noi. Se ciò non verrà accettato, la democrazia può anche andare in soffitta. Ci penserà, a governarci in ogni esigenza ed aspirazione estranee al corpo sociale, il diritto internazionale privatizzato e autoapplicativo, assumendo direttamente il POTERE COMMISSARIALE.
L'ultima chance è la vostra, non la "loro".
Stanno semplicemente anticipando che o si fa come esigono "loro" e i loro padrini della finanza multinazionale impadronitasi del potere globalizzato, o la democrazia, anche solo ridottta a consultazione elettorale a opzioni predeterminate dal controllo mediatico, ve la potete anche scordare.
domenica 23 febbraio 2014
LA POLITICA ECONOMICA E IL "CAMBIO DI PASSO": A TUTTA FORZA, ROTTA SUL MAELSTROM
Ci sono dei giorni in cui senti quanto sia profonda l'incomprensione generale (eccettuati coloro che staranno leggendo questo post...per definizione), della gravità del problema di democrazia derivante dalla prolungata e profonda disapplicazione, pressocchè totale, della Costituzione (quella fondata espressamente e sistematicamente sul "diritto al lavoro", inteso come "piena occupazione", garantito come compito prioritario dalle istituzioni democratiche della Repubblica).
Una volta che il corpo sociale abbia passivamente accettato un sistema che rinviene le sue regole supreme, incidenti sulle vostre vite, in un trattato internazionale di natura economica, legittimando (nelle apparenze procedurali di "investitura", ormai però svincolate dai valori cardine che sono la sostanza costituzionale), l'autoapplicatività delle norme internazionali con prevalenza illimitata sui principi fondamentali della stessa Costituzione, una volta che ciò accada e si consolidi come prassi dell'azione di governo, il liberismo oligarchico può fare praticamente ciò che vuole.
E un simile meccanismo diverrà operante, d'ora in poi, per qualsiasi trattato economico che intenda (ri)modellare la struttura socio-economica italiana in funzione di interessi (privati) estranei a quelli considerati al vertice della scala di valori democratico-costituzionale: e questo perchè con l'adesione a Maastricht abbiamo varcato la soglia di "non ritorno" e ormai la Costituzione - nella sostanza, al di là delle procedure che appassionano i nostri media e la nostra politica- è divenuta, senza che il corpo sociale se ne sia reso conto, poco più che carta straccia.
Esattamente come se fossimo occupati militarmente dall'esercito di una potenza straniera che, certa del suo dominio, lasci in vita una struttura servente di autorità autoctone che rispondono strettamente ai suoi interessi.
Perciò, la sovranità (in questo caso) democratica è "sospesa" esattamente come nella parte finale della seconda guerra mondiale (anche se il mio amico Cesare Pozzi sostiene, con seri argomenti, che la nostra situazione assomiglia di più a quella del 1919-1922).
E questa notazione ci riporta all'ipotesi frattalica, la quale, come saprà chi ne segue gli aggiornamenti, è stata "shifted forward" di un anno rispetto alla formulazione iniziale.
Il fatto che sia stata spostata di un anno mi ha portato a verificare quale fosse l'argomento del blog esattamente un anno fa; così, per curiosità.
E, con grande soddisfazione predittivo-frattalica, ho realizzato che, esattamente il 23 febbraio di un anno fa, era un sabato, era iniziato il ciclo "Osservatorio PUD€- cronaca di un cetriolo annunciato". Ciclo che, guarda caso, riguardava il pensiero economico di Pier Carlo Padoan.
Da questa specifica serie di post - la cui lettura integrale consiglio per fare anche un opportuno inquadramento delle teorie economiche che ne risultano "classicamente" esposte-, riproduciamo degli estratti significativi della visione di Padoan, con relativi commenti:
sabato 22 febbraio 2014
IL FEMMINICIDIO- 2
A legge approvata, giunge da Sofia il secondo capitolo di questa triste vicenda di diritti cosmetici, irta di contraddizioni rivelatrici della consueta ipocrisia che li circonda.
Le
problematiche che attengono all’’emergere e l’affermarsi dei “diritti di quarta
generazione”, è stato già affrontato in diversi post e anche nel libro Euro e/o Democrazia Costituzionale ed è
stato evidenziato come, questi diritti, pur rivelando senza dubbio una lodevole
attenzione pubblica verso esigenze spesso importanti e “dolorose” della natura
umana, e in precedenza trascurate proprio perché non furono esplicitamente
considerate nei modelli costituzionali posteriori alla seconda guerra mondiale,
rischiano di spostare l’attenzione dall’equilibrio “principale”, cioè di tipo
socio-economico, che le costituzioni stesse si erano preoccupate di garantire.
Ed infatti, non a caso, in tempi recenti soffrono di una deliberata
sovraesposizione, mediatica e anche istituzionale, che si orienta più nella ricerca della visibilità del
“dibattito” che di soluzioni
effettive che richiederebbero adeguate politiche
pubbliche di spesa. La gestione
effettiva del problema dei diritti di quarta generazione, quindi, si presenta
oggi col dar luogo a un fenomeno di
“cosmesi”, cioè di apparente allargamento della sfera dei diritti che, in
realtà, dissimula la disattivazione o la
riduzione dei diritti fondamentali costituzionalmente più importanti, cioè
quelli del “terzo tipo”. Tra l’altro i diritti della “quarta generazione”,
nella sostanza, non sono altro che dirette proiezioni dei diritti “sociali”, e
la tutela e la valorizzazione di questi, inevitabilmente determinerebbe la
tutela e la salvaguardia anche dei primi.
Tra i vari casi pratici in questo
post era stato riportato l’esempio del femminicidio: il disegno di
legge, allora, era in fase di approvazione, ma era sottoposto ad una forte esposizione mediatica
ed acclamato come una grande successo del Parlamento che si mostrava sensibile
anche a questo genere di problematica.
Nel post si evidenziò chiaramente
questa forma di dissimulazione che però merita alcune puntualizzazioni e precisazioni
alla luce del testo definitivo di legge ormai entrato in vigore. Stiamo
parlando del D.L. 14
agosto 2013, n. 93
convertito in Legge
15 ottobre 2013, n. 119.
giovedì 20 febbraio 2014
DOMANI GENOVA...
Vi segnalo domani a Genova, nell'Aula Magna dell'università, facoltà di Giurisprudenza, via Balbi 5, alle ore 15.00, il convegno di presentazione di "Euro e(o?) democrazia costituzionale".
Sarà con me Cesare Pozzi e il discussant sarà l'illustre prof. Lorenzo Acquarone, decano degli amministrativisti genovesi (liguri e italiani).
Alle 19,00 seguirà un altro incontro col pubblico, con domande-risposte libere, che avrà luogo al "Librocaffè", Piazza Santacroce 21r.
G20 P.V.: THE BAD SAMARITANS STRAIGHT ON THE VERGE OF NERVOUS BREAKDOWN
Il prossimo G20 di Sydney avrebbe potuto e dovuto essere importante.
Ma, a quanto pare, non lo sarà: l'assetto della governance FMI, la creazione di una sorta di (comunque scarsamente utile) "BRICS-ESM", peraltro con lo status di development bank (a differenza del "vero" ESM, il cui effetto leva rimane vago e sostanzialmente privato in partenza di qualsiasi utilità), un qualche tipo di dialogo sul "tapering"; tutto ciò rimarrà sullo sfondo di un documento finale che già si preannuncia incapace di contenere autentici breakthroughs.
Nessuna ipotesi di rimettere in contestazione la liberalizzazione del mercato dei capitali, il modello di banca universale e quello delle Banche centrali indipendenti, che governano goffamente il "fatto compiuto" col piglio sicuro di chi...non ha idea di come uscirne, e, piuttosto, di reintrodurre in modo concordato una qualche forma di quella regolazione "prudenziale" o "repressione" finanziaria (leggete se non altro le interessanti "conclusioni"), che potrebbe veramente prevenire i problemi che il mondo globalizzato sul liberoscambismo sembra destinato ad affrontare.
Drammaticamente e molto presto.
Dunque non si realizzerà, se non in un futuro sempre più incerto, neppure la revisione della governance del FMI e scatterà inesorabile la consueta "condizionalità" (ad imposizione implicitamente sovranazionale) che si lega all'accumulo di posizioni debitorie, regolarmente incentivate senza alcuna remora (eh, gli investitori esteri!) e poi scoppiate in faccia ai governi che - chissà perchè- pensavano, in assoluta prevalenza, che l'afflusso di capitali non finisse mai e che la domanda interna fosse indirizzabile sugli investimenti e le supply side.
Questo quadro si riflette eccome anche sulla situazione italiana: il problema non è tanto che, i prossimi 22-23 febbraio, non è chiaro chi andrà come ministro economico ad accompagnare il governatore Visco, è proprio che chiunque andrà a rappresentare l'Italia, per irreversibile impostazione ideologica, non dirà una parola su questa prospettiva.
La cosa "divertente" è che il FMI internazionale esorta Draghi a tagliare i tassi in UEM, con la Lagarde che esplicitamente connette il grave rischio della deflazione all'evenienza di un incombente "shock" economico negativo (lei naturalmente dice "choc"). Cioè quel rischio che si profila da quanto detto nella prima parte.
Ma i tedeschi, - ormai tutti presi nella parte del villain-, della deflazione se ne fregano altamente, dicendo, da un lato, alla presidenza australiana che rifiuteranno ogni documento con l'espresso obiettivo di un incremento coordinato delle politiche per la crescita (id est; con aumento dell'occupazione), dall'altro, insistendo per la super-patrimoniale in Italia. Cioè per uno scenario di sicura deflazione distruttiva.
E il tutto mentre, invece, la prospettiva dello shock-choc avanza sui passi del mitico gigante ex dormiente.
Povera Europa che, anche di fronte alla deflazione interna ed una sempre più probabile forte flessione della domanda extra-UEM, continua a credere che l'Italia crescerà se "qualcuno" accelererà le indispensabili riforme strutturali (flessibilità assoluta in uscita del rapporto di lavoro) e attirerà "investitori esteri".
Mentre il Portogallo, invece pure, si beccherà la nuova (recessiva) ondata di austerità, in esito al trionfale risultato che il suo rating è peggiore di quello di Romania e Bulgaria e che "l'ondata" sarà espliticamente richiesta dalla oversight degli €uro-creditori di uno Stato ormai commissariato.
E nonostante che abbia posto fine alla stabilità del rapporto di lavoro a tempo intedeterminato (il che dovrebbe farci riflettere...ma non accadrà). "Strano" no?
E nonostante che abbia posto fine alla stabilità del rapporto di lavoro a tempo intedeterminato (il che dovrebbe farci riflettere...ma non accadrà). "Strano" no?
mercoledì 19 febbraio 2014
TRE UOMINI IN BARCA (Renzi, Mentana e....Barca)? O TRE UOMINI E UNA PECORA (PATRIMONIALE)?
L'ordoliberismo "pop", una volta mediaticamene (only) investito della sua massima legittimazione, ha una sua aritmetica implacabile che, essendo "pop", si nutre non di calcoli derivanti dalla misurazione di fatti, ma di iperconvinzioni a dimensione propagandistica.
Così ieri, sssccctanco ma sssccctanco (per motivi di moooolto lavoro, che "Essi" reputano inutile e/o dannoso) mi capita di vedere Mentana in TV che aveva invitato due esponenti dell'ordoliberismo "di ritorno": quello che "ci fa", ma non sa di esserlo in ragione della sua essenza "pop", sradicata dalle sue radici teoriche che devono rimanere un riferimento lontano, anche perchè troppo "complesso". Uno del M5S e l'altro del partito ordoliberista più radicale, più qualche ospite in studio nel ruolo di interveniente ad adjuvandum dello stesso conduttore.
Mentana in sostanza era il mattatore assoluto, sovrapponendosi in continuazione agli esponenti politici e agli opinionisti, in modo tale che il discorso fosse un sostanziale monologo di esaltazione delle prospettive da lui auspicate (essenzialmente qualunque taglio della spesa pubblica per finanziare qualche sgravio fiscale e per liberalizzare "laqualunque").
Manda quindi in onda un'intervista di Alan Friedman a Renzi, fatta per il Corriere.it, durante la quale, balena, buttata lì, l'idea che per finanziare "laqualunque" (potete scegliere l'obiettivo nell'armamentario ordoliberista ormai consolidato), in attesa del recupero dell'evasione fiscale e dei tagli strutturali che limitino il "perimetro dello Stato" - tout-court: trattasi di odiosa burocrazia che ostacola gli investitori esteri, cioè la salvezza teologica dell'ordoliberismo-, si debba ricorrere all'innesco consentito da "entrate straordinarie".
Non elaboriamo oltre: con grande risonanza e spaventevole millenarismo questa idea di "entrate straordinarie", si consolida nella consueta logica preparatoria della "illusione finanziaria" (tenetela sempre presente), nell'affermazione "barchistica" della necessità di una patrimoniale di 400 miliardi.
Mettendo in gioco l'illusione finanziaria, vorrà dire che le "entrate straordinarie" ce le becchiamo comunque, ma in una forma che verrà fatta apparire come una cosa positiva.
Vale a dire: la patrimoniale (una tantum, cioè straordinaria) dovrebbe essere di 400 miliardi, perchè questo è il livello della colpa che avete accumulato vivendo al di sopra delle vostre possibilità e, naturalmente, provocando la disoccupazione giovanile (che è naturalmente colpa di chi, responsabile di un'assurda distribuzione della ricchezza e del reddito, si è comprato casa o ha maturato una pensione o ha comunque risparmiato, provocando il problema, centralissimo, del debito pubblico): ma siccome loro sono buoni, internazionalisti e "di sinistra", e ci tengono all'occupazione giovanile ma anche alla "ricrescita" (il punto non è mai chiarito nei suoi meccanismi causali, ma si tratta di aritmetica ordoliberista, cioè pop di facciata ed "esoterica" nelle sue radici), la faranno per un pò meno oppure in comode rate pagabili in 3-5 anni.
A questo punto, inutile fare elucubrazioni su moltiplicatore fiscale, saldo positivo delle partite correnti "sperato" (cioè dato per scontato nella progressione deflattiva), problemi di domanda mondiale determinati dalla flessione della crescita BRICS e dalle prospettive di instabilità finanziaria legate al rientro di capitali da tali paesi, ai crediti sofferenti in una Cina, affetta da investimenti "eccessivi" e da una domanda interna che non è cresciuta in misura proporzionale, alla guerra valutaria in varie tappe che ne consegue: tanto nessuno punta sulla domanda interna e quindi su un modello di crescita non finanziario e non di breve periodo. Non sanno neanche più cosa ci sia in alternativa.
Andiamo allora a vedere gli effetti della patrimoniale straordinaria.
lunedì 17 febbraio 2014
UN PERCORSO CRITICO SULLA TEOLOGIA DEL LIBERISMO (tra "spesapubblicaimproduttiva" e meritocrazia autoproclamata)
Mi capita spesso (direi quasi sempre) di trovarmi di fronte alla intelligente capacità di selezione critica delle fonti mostrata dai commentatori di questo blog e di dover perciò estrinsecare nelle risposte la parte più significativa del tema oggetto di un post. Che dire? Una bella fortuna e...grazie di avere dei lettori come voi.
Partendo da questo fenomeno "interattivo" vi propongo un accostamento di temi - sempre nato dagli spunti proposti dai commenti- che sviluppa il post di ieri.
Il primo riguarda il valore teologico assunto dal liberismo quale mostratoci, ormai, in termini che non danno luogo ad equivoci, dagli attuali sviluppi della situazione politica italiana.
La prova l'abbiamo trovata in questo documento "programmatico, pretesamente idoneo a ridisegnare l'Italia (ma in realtà a compiere una "mira" di lunga data, mai abbastanza radicalizzata per codesti personaggi) il cui link è stato postato da Bazaar.
Si potrebbe persino avviare una confutazione nel merito di questo "scritto programmatico", ma più che inutile, dato l'atteggiamento (inconsciamente) fideistico-teologico dei suoi autori, risulterebbe "legittimante", cioè gli attribuirebbe fin troppa importanza teorica.
Per chi fosse interessato ad una confutazione "in merito", in ogni modo, basta rileggersi ciò che è stato scritto qui,- ancora qui,- ancor più in dettaglio qui-, e comunque anche qui (per le propaggini M5S nella sostanza convergenti con l'attuale luogocomunismo di potere).
E ovviamente anche qui.
In questo percorso, snodatosi sul blog (per mesi), trovate una piccola guida per "resistere", avendo ovviamente a disposizione residuati di razionalità e passione democratica.
Ma sulla teologia del liberismo, a confutazione generale della stessa traiettoria culturale (teologico-liberista) in cui si inscrive il documento, rigorosamente e brutalmente "pop" (tecno-pop), riportiamo la risposta ad uno stimolante commento collocata in questo post:
domenica 16 febbraio 2014
IL VASO DI COCCIO COSTITUZIONE (DEMOCRATICA DEL 1948). Frattali: la "partita in progressione"...
In attesa di una più chiara evoluzione della situazione, ci pare interessante segnalarvi questo articolo di Raffone, sul "Sussidiario.net", che pragmaticamente, e senza troppe analisi "giurisprudenziali", parte dal presupposto che già ora la Corte tedesca, avendo esplicitamente affermato sul proprio versante l'applicabilità della Lissabon Urteil doctrine all'OMT, ha già tirato fuori la Germania dal vincolo europeo, anche quand'anche la CGUE lo dichiarasse conforme all'art.123 (e a gli artt.124 e 125 TFUE). Quindi: qualora essa - OMT- si manifestasse in una qualsiasi "azione", la Germania vi parteciperebbe solo previa approvazione del Bundestag (in base al prevalere della norma costituzionale interna sulla "determinazione" dell'istituzione UE).
La conseguenza, come leggerete tra le righe, è quella di una "non svalutazione" dell'euro rispetto al dollaro. Cioè un compromesso, tra le righe, che la Germania è disposta a fare per proseguire utilmente il drang nach ost.
Quello che è interessantissimo, in chiave frattalica è l'assunto che l'Italia cerchi ora, in tutta fretta, un assetto di vertice istituzionale che faccia in qualche modo contenti sia i tedeschi (Prodi) che gli USA (Renzi), almeno per quanto è dato di intuire fra le righe del pezzo.
Letta avrebbe contrariato i secondi (tra l'altro, but not only, col non possumus sulla bad bank italiana), mentre Renzi, specie con il Job Act, e lo svuotamento delle tutele pensionistiche del sistema pubblico, garantirebbe l'assetto conforme all'avanzamento dei negoziati Ttip (l'accordo di libero scambio USA-UE).
Sono tutti temi su cui avremo modo di tornare.
La prospettiva che ci fornisce l'articolo è quella di un "compromesso" di assetto politico- istituzionale che dia l'impressione che l'Italia assecondi entrambi i contendenti, affrancandosi, (rigorosamente) a metà, da una linea "esclusivamente" filogermanica (rischiando di contrariarli entrambi: ma la speranza, evidentemente, è quella che, nel frattempo, uno soltanto ne esca vincitore e si possa, poi, compattamente dichiarare di essere stati dalla sua parte...altra reminiscenza dejavu).
Un vecchio atteggiamento che portò al 25 luglio (con la necessaria rimozione del "vertice" che si connotasse per il fronte perdente) e poi all'8 settembre.
Intanto possiamo dire (ma anche su questo si tornerà) che la Germania non ha realisticamente alcun interesse a "uscire" dall'euro (la sua "dote" nel commercio mondiale drang nach ost), quanto, piuttosto può puntare a tirare tatticamete la corda per costringere "altri" a farlo.
venerdì 14 febbraio 2014
LA DISOCCUPAZIONE "TECNOLOGICA" E LA NEGAZIONE DELLA DOMANDA NEL MONDO DELLA "INTELLIGENZA ARTIFICIALE" (le nuove frontiere supply side della politica italiana)
Della presunta spinta "hi-tech" verso la disoccupazione ne avevamo già parlato nel finale di questo post.
Questa versione ci viene ora riproposta in maggior dettaglio dallo stesso commentatore.
Le sue argomentazioni possono, grosso modo, così riassumersi:
1- l'innovazione tecnologica è così veloce e tumultuosa da mettere in pericolo ormai il 47% dei posti lavoro;
2- ciò si era già verificato alla fine dell'800, ma allora era risultato più agevole la sostituzione dell'occupazione perduta con nuovi "mestieri", aspetto che, in questo frangente non sarebbe riproponibile;
3- le "nuove tecnologie" incidono specialmente su certi settori dei servizi, acuendo le distanze tra i "più esperti" e i "colletti bianchi, i più esposti all'ascesa della intelligenza artificiale" (robot e Internet diffuso);
3- il problema delle definitiva espulsione di lavoratori dal mercato, con la rinunzia al cercare un nuovo posto, se lo pongono sia la Fed, in specie con l'attuale riflessione della Yellen, sia la Bank of England, che sarebbero propense all'utilizzo energico di politiche monetarie, finchè la ripresa non si trasmetta ai lavoratori non più in cerca di occupazione ma anche all'utilizzo di capacità produttive (inattive) e ai salari;
4- poichè la tecnologia non trasmette il suo aumento di produttività ai lavoratori, occorrono politiche che "sappiano indirizzare verso obiettivi condivisi", quali l'ambiente e l'economia del tempo libero, che diverrebbe "centrale nello sviluppo".
2- ciò si era già verificato alla fine dell'800, ma allora era risultato più agevole la sostituzione dell'occupazione perduta con nuovi "mestieri", aspetto che, in questo frangente non sarebbe riproponibile;
3- le "nuove tecnologie" incidono specialmente su certi settori dei servizi, acuendo le distanze tra i "più esperti" e i "colletti bianchi, i più esposti all'ascesa della intelligenza artificiale" (robot e Internet diffuso);
3- il problema delle definitiva espulsione di lavoratori dal mercato, con la rinunzia al cercare un nuovo posto, se lo pongono sia la Fed, in specie con l'attuale riflessione della Yellen, sia la Bank of England, che sarebbero propense all'utilizzo energico di politiche monetarie, finchè la ripresa non si trasmetta ai lavoratori non più in cerca di occupazione ma anche all'utilizzo di capacità produttive (inattive) e ai salari;
4- poichè la tecnologia non trasmette il suo aumento di produttività ai lavoratori, occorrono politiche che "sappiano indirizzare verso obiettivi condivisi", quali l'ambiente e l'economia del tempo libero, che diverrebbe "centrale nello sviluppo".
Questo insieme di assunti in realtà appare alquanto contraddittorio.
In realtà, il fenomeno della perdita di posti di lavoro non più ricreabili, nel nuovo presunto trend di ripresa economica, investirebbe, per la verità da decenni, anzitutto il settore manifatturiero, (prima ancora dei "servizi"), laddove cioè la robotica ha spiegato i suoi primari effetti.
Ma le ragioni di questa perdita di posti di lavoro, se correttamente connesse a delocalizzazione e deflazione salariale, come evidenziano Stiglitz e Krugman, e come in realtà sottointende la Yellen, (quindi, in definitiva alla liberalizzazione del mercato dei capitali), sono rinvenibili in fattori che incidono essenzialmente e gravemente sulla domanda, cioè a quell'output-gap che discende dall'idea che la diffusione della disoccupazione sia un "sano" elemento che rende elastico verso il basso, e quindi "virtuoso", il mercato del lavoro e che a ciò debba essere strettamente funzionale la limitazione dell'intervento-deficit pubblico.
Su questa idea rigidamente neo-classica, in ultima analisi, la versione dei fatti qui criticata, insiste come implicita necessità: dallo small business diffuso in dissoluzione, alla stessa scarsa (se non sprezzante) considerazione delle utilità (merit goods) che solo il settore pubblico può fornire, tutta la ideologia economica neo-classica congiura per una visione del mercato del lavoro e della domanda aggregata esclusivamente asservita al criterio della competitività realizzabile solo dai privati, accompagnata alla negazione di ogni valore dei beni e dell'interesse collettivi: che importa se gli USA, pieni di intelligenza artificiale, vanno in tilt ad ogni forte nevicata, per non parlare dei vari tornados?
Vogliono forse gli "zotici", per di più inadeguati professionalmente alle nuove frontiere della tecnologia, essere tenuti sempre al riparo dalla "durezza del vivere", anche nelle sue più, asseritamente naturali manifestazioni?
Stiglitz e la Yellen, più che guardare all'economia del tempo libero e agli standards normativi impositivi di forme di protezione ambientale (da riversare poi mediante traslazione sui prezzi), sanno perfettamente quale sia il valore da attribuire al ritardo di adeguamento delle infrastrutture pubbliche ed all'indebolimento delle "funzioni pubbliche" di presidio minimo del territorio, cose che nei capitalismi avanzati - invariabilmente neo-liberisti, se non tea-party- o sono intese come occasione di vantaggio del business privato, con costi crescenti per i cittadini-utenti, o semplicemente non sono più prese in considerazione come oggetto di politiche di spesa pubblica.
L'idea sottostante a questa visione (disoccupazione dovuta a nuova tecnologia), poi, è quella della inarrestabile predominanza del settore dei servizi (privati) sul manifatturiero (privato), come evoluzione inevitabile dei capitalismi maturi, che è in realtà non solo priva di razionale corrispondenza alla configurazione di un modello di economia sostenibile nel tempo, ma vale essenzialmente per paesi come quelli anglosassoni e, anzi, è rivista in termini di esplicita correzione da parte dei loro stessi governanti.
L'idea stessa si fonda sulla definitività della divisione mondiale del lavoro, di stampo prettamente liberoscambista, con la perpetuazione della illimitata mobilità del capitale finanziario e la concentrazione del manifatturiero laddove il costo del lavoro sia considerato più vantaggioso.
Inoltre, la (difficile e ritardata) creazione di nuovi mestieri in questo settore è un falso problema: in realtà, essendo intelligenza artificiale e funzioni commerciali Internet, collocate, più che mai nell'attuale evoluzione, nel settore dei servizi, la loro espansione presuppone la conservazione di una serie consistente e crescente di "vecchi mestieri", correlati a filiere produttive senza le quali questi stessi servizi sarebbero - e sono- soggetti ad un'enorme volatilità dei profitti realizzabili.
Molti dei "vecchi mestieri", semmai, possono essere adeguati agevolmente inglobando l'utilizzazione di nuovi strumenti tecnologici di non particolare difficoltà di apprendimento: cosa che richiede sia la funzione pubblica della formazione che quella privata di investimento sul personale, non esclusivamente legata al bench mark finanziario "globalizzato". Ma per provvedere a ciò, occorre una visione che si può riassumere in "intervento dello Stato a sostegno della domanda", credendosi nelle enunciazioni delle Costituzioni su tale priorità legale-istituzionale dell'intera comunità "sovran".
Per una più precisa delineazione del problema, ci affidiamo alle parole di Cesare Pozzi: