domenica 12 aprile 2015

LA SPIEGAZIONE DI ULTIMA ISTANZA. UN METODO

http://www.cronistoria.it/imgs/contemporanea/massmedia-controllo-sociale.gif

Mi chiedo come mai la massa degli italiani si faccia ingannare regolarmente sempre dallo stesso meccanismo di "illusione finanziaria": non ci sarà una nuova manovra, non ci saranno nuove tasse e via dicendo.
E mi chiedo perchè gli italiani non si chiedano...perchè, queste affermazioni PRE-ELETTORALI, vengano poi regolarmente contraddette da decenni, nella parte dell'anno successiva alle elezioni di turno; diciamo almeno da quando siamo entrati nel meccanismo del trattato di Maastricht.
Un metodo.
E mi domando se gli italiani arriveranno mai a chiedersi come mai, allo stesso modo, vengano ogni anno contraddette dai fatti le previsioni di crescita del PIL. Sempre costantemente sbagliate per eccesso, con errori di cui non viene mai spiegato il meccanismo di causazione; pur essendo evidente che gli errori di stima commessi siano sempre gli stessi. 
Un metodo.
Ma non siete stanchi di sentirvi in colpa per aver vissuto sopra le vostre possibilità? Non siete stanchi di farvi terrorizzare dalle cifre sull'ammontare pro-capite del debito pubblico, da ripagare come se fosse un problema che implica un'equivalente espropriazione dei cittadini?
Ancora credete in queste cialtronerie, raccontatevi implacabilmente da decenni, con piccoli cambiamenti di stile e di contesto?
Un metodo.

No, probabilmente gli italiani non ci credono veramente e sono pure stufi. 
Ma soltanto un po'. 
Perchè al netto del nichilismo, di un "non credere" in nulla, sospeso tra il cinico e il disperato, non sanno in cosa credere più veramente.

E' per questo che gli italiani permettono ancora che i media si possano esprimere ripetendo le stesse cose e hanno appena un qualche sussulto quando si parla di corruzione: da decenni - sempre gli stessi decenni- la spiegazione passe-partout per tutti i nostri mali
La spiegazione di ultima istanza tirata fuori quando il nichilismo e lo scetticismo, appositamente indotti, rischierebbero di ritorcersi contro gli stessi controllori dei media.
Un metodo: infallibile.
Finora.

33 commenti:

  1. la risposta è quella che abbiamo già dato tante volte qui sopra.

    sempre quella.

    La paura del cambiamento, che è nella natura umana. La tentazione a rinviare i problemi finchè è possibile farlo piuttosto che tentare di risolverli...anche essa del tutto umana. E poi la disperazione che porta al credere alla narrazione dominante come unico appiglio di fronte a un mondo che altrimenti è da incubo per una mente inconsapevole MA in difficoltà materiale oggettiva nella propria vita....cioè il voler credere alle false speranze pur di rifuggire l'orribile verità....anch'essa tipica caratteristica umana.

    purtroppo su questi perni il sistema gioca, conoscendoli bene, per tenersi in equilibrio.

    Ed è storicamente evidente che, finchè la maggioranza avrà qualcosa da perdere.... non voterà MAI per il cambiamento.......ammesso che ci sia mai una formazione politica che lo incarni davvero. nè si mobiliterà davvero.
    queste sono cose che possono fare i consapevoli. cioè forzatamente una minoranza. la maggioranza, se priva di guida politica o sociale di riferimento, difficilmente apre gli occhi finchè non sbatte.

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  2. Assolutamente in sintonia, ma tant'è. D'altra parte con le coscienze addormentate di milioni di persone dopo trent' anni e più di lavaggio del cervello tutto ciò è supinamente accettato. Forse questa è la chiave dil ettura per la quale si spiega il fatto di come chi si reca al voto ( quando ci viene concesso ) dia il 40% al partito emblema della menzogna.

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    1. con affluenza al 50% però. ricordiamolo.

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    2. Le due cose sono inscindibilmente connesse (cioè partito unico liberista dello Stato sociale minimo e astensionismo). Qui grafico imperdibile:
      http://orizzonte48.blogspot.it/2015/03/la-soluzione-allastensionismo-ruolo-dei.html

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    3. Infatti Luca, non a caso ho scritto "chi si reca al voto", la qualcosa mi suggerisce un'altra piccola considerazione per la quale, tradizionalmente, è sempre stato l' elettorato "de sinistra" (citaz. A. Bagnai) a essere più presente nei seggi elettorali.

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  3. Aggiungerei una ulteriore spiegazione, di natura più sociologica. L’abilità dei propagandisti del pensiero unico euro-liberista è anche quella di far leva su alcuni temi cui gli italiani sono da sempre sensibili, e che amano sentirsi ripetere. Il livore anti-Stato, in particolare, è una tipica peculiarità italiana, che dopo essere rimasto per lungo tempo allo stato latente (ma non certo passivo), ha potuto finalmente dispiegarsi senza freni quando il circuito mediatico lo ha sapientemente collegato alle cause della crisi economica. A molti italiani, di tutte le fasce sociali e professioni, non pare vero di poter finalmente individuare nei burocrati-parassiti (“pagati da noi”) i principali responsabili dello sfacelo economico. Di qui, tra l’altro, la piena ed entusiastica adesione ai programmi di tagli della spesa pubblica, visti come la cura contro gli sprechi e la corruzione. Il fatto che poi questi tagli continui comportino il peggioramento delle condizioni di vita generali, nonché effetti nefasti sul Pil, non viene affatto percepito come negativo, ma piuttosto come giusto prezzo da pagare all’”eccesso di statalismo” degli anni passati. Intanto, non ci si scandalizza per i 30 milioni percepiti da Marchionne nel 2014 – grazie ai noti meccanismi delle stock-options – ma se mai per i 1500 euro del bidello o per le “pensioni d’oro” da 2000-2500 euro. La mia impressione, in sostanza, è che la diffusione del pensiero unico trovi nel nostro paese un terreno pronto e fertile, proprio in quanto opera su una radicata diffidenza verso tutto ciò che è pubblico, compresa ovviamente la politica. Non a caso, il successo di Renzi sta essenzialmente nell’avere imbracciato le armi dell’antipolitica più demagogica, nell’avere promesso di entrare negli uffici pubblici “con la ruspa”, nel proporre di continuo misure punitive per i dipendenti pubblici, e, nel contempo, nell’enfatizzare le presunte virtù del privato in tutte le sue forme (dalla scuola al lavoro). Sotto questo profilo, la distanza di Renzi e dell’attuale classe dirigente del PD dai principi e dai valori della nostra costituzione appare davvero incolmabile.

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    1. Riassunto della questione tutto sommato tragicamente realistico.
      Rammento, per un approfondimento della distorsione sistemica in cui sono immersi gli italiani:
      http://orizzonte48.blogspot.it/2014/07/basta-casta-il-falso-movimento-delle.html
      e il "classico"
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/12/litalia-ha-sufficienti-risorse.html

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  4. Ma come?
    A me sembra proprio che la "narrazione" mediatica sia coerente:

    Lo Stato

    e' come una famiglia

    Quindi

    deve essere gestito come una azienda

    Quindi

    Non puo' fare l' imprenditore.


    E se negate la coerenza di questi capisaldi di pura razionalita' siete arretrati culturalmente, familisti, amici degli amici e magna magna "sulle spalle degli altri", in quanto non avete fatto la riforma protestante (ultimamente va molto questa "spiegazione" per chi non si accontenta della coruzzzzzione/casta/cricca/se so magnati tutto)

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  5. Io credo ci sia anche un'altra forte spiegazione dell'apatia degli italiani riguardo "l'illusione finanziaria" con cui vengono cucinati; ed e' la crisi economica, la distrazione per i problemi personali che, stranamente, induce ad avere un atteggiamento remissivo: dopotutto l'eta' media degli italiani e' abbastanza elevata. C'e' inoltre un premier giovane, all'inizio del mandato, chiaramente appoggiato dai poteri forti e senza avversari, che se c'erano sono stati rimossi: un altro fattore di rassegnazione (almeno per ora). In effetti, vediamo come sia calata l'attenzione dell'opinione pubblica, per esempio anche sui problemi dell'inquinamento, le domeniche a piedi: tutto dimenticato; ora ci sono problemi piu' gravi. Per cui si, al momento prendono proprio in giro i cittadini. La vicenda degli esodati,i licenziati ad un passo dalla pensione,i senza lavoro anziani che aspettano almeno la flessibilita: viene promessa loro, ora, ma dopo le elezioni passera' in cavalleria, scommetto. Hanno affari piu' importanti , purtroppo: come svendere eni, enel, le banche popolari e cooperative; ci risveglieremo dall'incantesimo tutto d'un colpo, quando pero' il danno sara' stato fatto.

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  6. Credo che la televisione sia la prima responsabile della decerebrazione degli italiani. Siamo un popolo di vecchi, quindi il rincoglionimento che ci spetta data l'età ce lo pigliamo tutto e ci crogioliamo davanti al video certi che le diatribe e le accuse reciproche che si lanciano i partecipanti siano la reale soluzione dei mille problemi che ci stanno lentamente uccidendo, e non mere chiacchiere che servono solo a distrarre l'attenzione. Il meccanismo che scatta in queste situazioni è: "il ministro Tal dei Tali ha spiegato approfonditamente il fenomeno in discussione. Quindi si conosce il fenomeno, si conoscono le cause, c'è già una bozza di soluzione quindi posso dormire tranquillo!" A questo punto siamo irrimediabilmente fottuti! Purtroppo la % di persone che la pensa così è molto alta, rimpinguata da tanti altri che si professano ottimisti!

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  7. Stiamo assistendo in forme nuove (meritoriamente disvelate da Quarantotto e da altri) all'ennesima messa in pratica di ciò che i filosofi chiamano, da circa 2500 anni, "teoria della doppia verità". La "narrazione" più suggestiva di questa teoria ce l'ha data Platone nel famoso "mito della caverna".
    In sostanza, esistono 2 verità:
    1. Doxa (come l'azienda che si occupa di sondaggi, non a caso): l'opinione, la verità fenomenica del senso comune, opportunamente strumentalizzata ma anche costruita dal Potere.
    2. Alétheia: la verità noumenica, cioè la verità autentica, "non nascosta", "non dimenticata", A-Lete.
    Lo scarto, inevitabile, tra le 2 verità, nelle moderne democrazie costituzionali, dovrebbe tendere progressivamente a restringersi, grazie alla Scuola pubblica.
    Ed ecco che si spiegano gli enormi tagli di bilancio degli ultimi vent'anni alla (ormai ex) Pubblica Istruzione, propagandati, more solito, come irrinunciabili riforme (non a caso iniziate subito dopo Maastricht...).

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    1. Credo che la "doppia verità" di cui in questo spazio si discute, abbia più a che fare con la "scrittura reticente" di Leo Strauss e la sua ermeneutica.

      «[...]dell’interpretazione dei testi del passato è necessario tenere presente la reale possibilità che molti filosofi abbiano elaborato l’arte di scrivere tra le righe: naturalmente il caso della scrittura reticente si applica con una certa facilità a tutti quegli autori che si siano trovati in situazioni di persecuzione politica o religiosa, ma l’ambito di riferimento di questo criterio ermeneutico straussiano va ben al di là
      dell’analisi delle contingenze storiche, estendendosi in linea di principio a tutti gli autori del passato che abbiano accettato la distinzione tra pensiero esoterico e pensiero essoterico, lasciando impliciti vari punti del loro insegnamento.
      La filosofia è la ricerca della saggezza, è il tentativo di sostituire le opinioni su «tutte le cose» con la conoscenza di «tutte le cose»; ma dato che le opinioni sono gli elementi che caratterizzano la vita sociale, la filosofia, nel suo tentativo di sostituzione, è un pericolo per la città. La filosofia, per sua natura, non può che essere un privilegio di una piccola minoranza: per dovere di responsabilità sociale, i filosofi rispettano pubblicamente le opinioni della comunità, ma non le assumono come vere in linea di principio. Il carattere privato della filosofia nella Grecia classica, il fatto cioè che essa non abbia goduto di supervisioni politiche o religiose, le ha fornito la capacità di essere eretica nei confronti delle opinioni convenzionali, rendendola agli occhi della città una occupazione pericolosa.»


      Tradotto: puttanate politicamente corrette agli zotici e al piddinume piccolo borghese, e perle di machiavellana saggezza filosofico-sapienziale ai pochi - elitari - iniziati.

      Da Burke a Schmitt e Strauss, sto trovando più riflessioni interessanti che in tutto il piddinume liberal degli ultimi due secoli:

      «Popper is philosophically so uncultured, so fully a primitive ideological brawler, that he is not able even approximately to reproduce correctly the contents of one page of Plato. Reading is of no use to him; he is too lacking in knowledge to understand what the author says. Through this emerge terrible things, as when he translates Hegel’s “Germanic world” as “German world” and draws conclusions from this mistranslation regarding Hegel’s German nationalist propaganda.
      [...]
      Briefly and in sum: Popper’s book is a scandal without extenuating circumstances; in its intellectual attitude it is the typical product of a failed intellectual; spiritually one would have to use expressions like rascally, impertinent, loutish; in terms of technical competence, as a piece in the history of thought, it is dilettantish, and as a result is worthless.»


      Standing ovation.

      Ne deduco che il conservativismo non è semplice "sfiducia nel progresso", che, per quel che mi riguarda, rimane falsa coscienza di chi non ha fatto proprio l'universalismo di una struttura valoriale poggiata sulla assoluta incomprimibilità della dignità umana, con tutti i risvolti etici, filosofici e sociopolitici che comporta.

      Sarà, ma tra l'esoterismo dell'alétheia e l'essoterismo della doxa, non è facile non diventare noi stessi "il mostro"....

      (Sì, perché pare proprio essere il baffuto scrutatore di mostri il "principe della distopia moderna"...)

      Mi chiedo che cavolo è andato storto dalla prima metà dell'ottocento per arrivare a certi livelli di follia... c'entra Sorat?

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    2. Mò mi liquidi Popper con una citazione (e un paio di links)! :-)
      Come ti dico sotto, ti meriteresti di dover spiegare tutto a un mainstreamer (medio) con un post (ma anche più di uno, visto che di carne al fuoco ce n'è tanta)

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    3. @Bazaar:
      Non trovi "singolare" che nessuno (che io sappia) abbia mai messo in relazione le teorie di Leo Strauss con quelle di Von Hayek? Entrambi insegnavano a Chicago, negli stessi anni...

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    4. @LucaF

      Credo che il motivo sia proprio il fatto che la "doppia verità" meglio diffusa sia quella della scuola austriaca: ciò che non è stato raggiunto dall'elitismo neocons è stato raggiunto dall'elitismo neoliberal.

      A nessuno verrebbe mai in mente di associare dei liberali come gli Austriaci, a dei "nazistatalisti" come Strauss o Schmitt.

      Infatti, ai tempi della vecchia Chicago: «Strauss says “P.S. Von Hayek’s anarchists set upon and ravished me at Chicago! I am it seems, both a murderer and an inquisitioner.”

      Hayek sarebbe anarchico?

      Molti, specialmente negli USA ancora lo credono. (Almeno a livello di "vulgata"...)

      Non mi pare poi che Strauss avesse mai fatto apologie come quelle che avrebbe poi fatto Hayek per Pinochet...

      Il neoliberalismo austriaco - che ha genesi "medievista", ricordando Menger - come non si è mai stancato di ripetere Hayek, non ha nulla a che fare con quello americano.

      Comunque, richiamando l'elitismo moderno che nasce con Nietzshe, troviamo conferma di questa analisi con Corey Robin: «Nietzschean politics may have fought the battles, Nietzschean economics won the war. Is there any better reminder of that victory than the Detlev-Rohwedder-Haus in Berlin? Built to house the Luftwaffe during World War II, it is now the headquarters of the German Ministry of Finance.»

      Vedo di mettere insieme i pezzi in modo organico al più presto.

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    5. Nulla è più anarchico del potere. Il potere fa praticamente ciò che vuole, e ciò che il potere vuole è completamente arbitrario, o dettatogli da sue necessità di carattere economico che sfuggono alla logica comune. Io detesto soprattutto il potere di oggi. Ognuno odia il potere che subisce, quindi odio con particolare veemenza il potere di questi giorni. E' un potere che manipola i corpi in un modo orribile, che non ha niente da invidiare alla manipolazione fatta da Himmler o da Hitler. Li manipola trasformandone la coscienza, cioè nel modo peggiore, istituendo dei nuovi valori che sono dei valori alienanti e falsi, i valori del consumo, che compiono quello che Marx chiama un genocidio delle culture viventi, reali, precedenti.

      Pier Paolo Pasolini, Intervista rilasciata sul set di "Salò o le 120 giornate di Sodoma" (1975).
      http://ita.anarchopedia.org/Pier_Paolo_Pasolini

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  8. Credo che la lunga propaganda sia stata come una lunga pioggia che man mano ha inzuppato il terreno (con rischio di frane, ma è un'altra storia).
    Bagnai a suo tempo individuò il "luogocomunismo", ma occorre sottolineare che una parte di questi luoghi comuni sono oramai diventati senso comune.
    Che è tutta un'altra cosa: luogo comune è qualcosa che *puoi* mangiare, senso comune è qualcosa che *sei abituato* a mangiare, che finisci per trovare in qualche modo *naturale* (come mi dicono, horresco referens, vari adolescenti considerano gli hamburger di McDonald).
    In effetti il vero obiettivo dell'informazione organizzata è la conquista del senso comune.
    La retorica insegna a partire dal senso comune, fondando su di esso il discorso e organizzandolo bene; la creazione di nuovi punti fermi del senso comune è un processo molto lungo, ma con prospettive eccezionali.
    Abbiamo assistito alla creazione di un nuovo "sapere" che vorrei chiamare economistica, mistica economica, fondato su premesse di sapore etico e su paralogismi; gli esempi di Bargazzino sono assolutamente pertinenti. Una pseudo etica di un mondo ideale in cui ciascuno dovrebbe comprare ogni cosa in contanti, anche la casa, conservando ancora da parte un buon margine. Il fatto che tutto questo sia obsoleto come un pagamento in monete d'oro rende solo tutti peccatori... e va bene così.
    Ovviamente c'è un limite, ed è il reale. I fatti. Il postmodernismo - o la sua vulgata, che è quella che conta - ha fatto il suo possibile per affermare che ci sono "solo interpretazioni", ma questo funziona solo fino a quando i fatti fanno abbastanza male.
    Per questo dico che la realtà è dalla nostra parte. Ma lo dico con tristezza.

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    1. «ci sono "solo interpretazioni"»

      Per quel che mi riguarda la partita è tutta lì: sia il liberalismo che l'elitismo portano entrambe allo stesso punto, al nihilismo.

      Per questo si può parlare di complementarietà degli opposti in ottica anti-storicista.

      Alla tesi reazionaria manca un'antitesi progressista, che fino alla seconda grande guerra è stato il socialismo ortodosso che veniva più o meno rappresentato da partiti di massa e aveva come punti di riferimento dei giganti del pensiero, che diachiaratamente mettevano a disposizione le loro risorse culturali al servizio delle classi subalterene per motivi etici, come da tradizione giudaico cristiana.

      La cultura doveva essere la risorsa umana in grado di temperare le rugosità della storia.

      L'idealismo doveva essere la spinta progressiva: senza un'idea di futuro, un obiettivo, non ci può essere né motivazione sociale né sommovimento.

      L'altra falsa antitesi, ovvero la contrapposizione sovietica, ha infatti portato all'effimera progressività dello stato sociale: effimera, ovviamente, sempre in ottica storicistica.

      La sfida della modernità è stata e rimane la lotta di classe, affinché l'antitesi che porta in grembo il neoliberismo anglo-austriaco sia la rivoluzione dei rapporti sociali così come previsto dalle democrazie costituzionali. Non un nuovo ordine feudale 2.0. Ovvero va recuperata la "prospettiva del conflitto" da contrapporre a quel sempiterno funzionalismo socio-antropologico di cui è stato intriso strutturalmente il feudalesimo.

      La difficoltà per il cittadino in questa guerra, è distinguere i "buoni dai cattivi", gli amici dai nemici.

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    2. Gli amici non ci sono: a destra ci sta il complesso bellico e industriale, a sinistra ci sta il sistema finanziario. Con tutti i cortocircuiti del caso: ma un rullo compressore schiaccia stati nazione come la globalizzazione non può non essere vista come il risultato di un gigantesco cartello di interessi economici e politici di carattere strettamente elitario.

      Il vero problema per il riferimento culturale è dato proprio dalla parte progressiva che dovrebbe difendere lavoro e la connessa dignità dell'Uomo: il socialpiddinismo liberal è il vero cancro culturale. Occupano uno spazio politico e culturale che non gli spetta: dalle capitali della finanza e della guerra, alle periferia di debitori. Il piddino è il memnbro del Partito interno del Grande Fratello orwelliano,

      Questa incapacità di distinguere il vero dal falso, il bipensiero, sono ovviamente il risultato di ingegneria sociale, ma, anche, il portato della distorione della percezione e l'accettazione di dissonanze cognitive che potrebbero essere "curate" con il ripristino di un sistema di valori basati sull'Uomo.

      Il relativismo culturale, così tronfiamente portato dal liberalismo, è ciò che rende inana alla democrazia la filosofia politica dei Popper e dei liberali (apiranti) democratici in genere.

      Il passo successivo al relativismo gnoseologico, rimane sempre e solo il nihilismo. Che poi si manifesta come becero qualunquismo, luogocomunismo, che altro non sono che frutto del "permesimo", l'opinionismo alla Ballarò.

      Sia l'elitismo che il neoliberismo nascono in contrapposizione antisocialista.

      E, se il socialismo si sostanzia solamente fondandolo sulla dignità dell'Uomo (e a renderlo chiaro, reductio ad absurdum, sono i vari Burke - relativamente ai giacobinismo - e gli Strauss, relativamente al bolscevismo), l'elitismo liberale si può materializzare solo sul relativismo e sul nihilismo.

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    3. Splendida rassegna di meta-linguaggio per cultori della materia :-)
      Per espiare dovresti intentare un post dove si proceda concettualmente down=>up, spiegando tutti i concetti di secondo grado che hai utilizzato e tutti i ragionament ellittici fondati su definizioni sintetiche (complesse).

      Ma naturalmente, puoi anche lasciarlo così: chi deve capire capisce. Per gli altri, ormai, non c'è speranza. E magari neanche leggono questo blog "troppo complicato".

      Alla fine dipende da quanto credi culturalmente ai "motivi etici" della tradizione giudaico-cristiana :-)

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  9. No, no, non voglio "liquidare" Popper... è da quando sono nato che mia madre me lo cita ad ogni piè spinto... e l'approccio adogmatico della falsificabilità è uno strumento potentissimo anche a livello etico e, soprattutto, psicologico. È uno strumento "sano".

    Il punto è che mi è venuto il pallino di togliere il monopolio della libertà ai liberali... vorrei proprio liquidare il "liberalismo", sia come paradigma economico sia come filosofia politica.

    E la critica che credo vada portata si basi soprattutto, oltre al problema fondamentale del nihilismo conseguente al relativismo di cui è strutturalmente portatore, sul funzionalismo sociologico e sulla negazione più o meno sostanziale della Storia come prodotto del conflitto tra gruppi sociali.

    Soprattutto, se si fonda un intero paradigma filosofico sulla "libertà dell'individuo", non lo si può fondare sulla "dignità dell'Uomo": e Popper, nel suo "antistatalismo", è di un bel pezzo fuori tempo massimo.

    La critica sull' "ignoranza" di Popper portata da Strauss, l'ho trovata da "standing ovation" proprio perché mette in luce le "debolezze intellettuali", spesso frutto del terrore - indotto - dello spauracchio bolscevico, dei liberali.

    Che piaccia o meno, il fatto che tutto lo statualismo tedesco che trova solide radici in Hegel, sia poi stato strumentalizzato dai reazionari, significa che:

    1 - o il problema è lo statualismo tout court, come vorrebbero farci credere le élite;

    2 - o il problema è il liberalismo visto come forma di progressività sociale.

    Insomma, ho un po' come l'impressione che il liberalismo debba chiudere una fase storica, e che quasta fase storica possa esplodere sia nei sensi utopici della tradizione marxiana, sia, come pare più evidentemente nella traiettoria intrapresa dalla globalizzazione neoliberale, nel collasso del "capitalismo" in una forma post-moderna di feudalesimo.

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    1. Benissimo per il tuo progetto.
      En passant, trovo estremamente corretto il tuo approccio a Popper: quello che conta sono gli strumenti e le procedure (altri strumenti, in realtà) che entrano a far parte del patrimonio comune.
      D'altra parte le idee camminano sulle gambe del potere: ricordo un compagno delle superiori che era LIBERALE e se ne riempiva la bocca: lui era per la LIBERTA'! A quel tempo, inizio anni '60, il PLI era quello di Malagodi, venduto mani, piedi et alia a Confindustria (io sapevo la storia, quel poveretto no) e contava veramente poco.
      Quindi, come dice 48, contano i rapporti di forza. Ma vorrei anche dire che i rapporti sono fra DUE numeri, e se la controparte è tanto cortese da spararsi in un piede (per dirlo in americano) le probabilità migliorano.

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    2. Il fatto però che lo statualismo tedesco sia ideologicamente figlio di Hegel è molto dubbio. Certo, è un'accusa che i liberali hanno sempre rivolto al filosofo di Stoccarda (non credo ci sia bisogno di citazioni per un fatto così noto), ma storicamente è ben poco fondata.

      Sul piano pratico, il Machtstaat prussiano e poi tedesco fu ovviamente il prodotto di certi rapporti sociali, economici e politici, ma ideologicamente trovò legittimazione e teorizzazione in una dottrina giuspubblicistica che, da Gerber a Laband, era figlia della scuola storica, cioè di quel Savigny, fautore di un approccio "evoluzionista" allo studio del diritto, avversario di Hegel e portato in palma di mano...da Hayek! Lo spiega in modo chiarissimo Maurizio Fioravanti, uno dei più fini storici del diritto pubblico che abbiamo in Italia, nel suo Giuristi e costituzione politica nell'Ottocento tedesco pubblicano nel 1979 da Giuffrè: "L'organicismo sarà ancora dominante fino agli anni Settanta, ma risulterà sempre più chiaro che il problema reale non era quello dell'ordine etico-giuridico in funzione limitativa del potere statale, bensì quello, sollevato da Gneist, della concreta capacità dello Stato di attuare un siffatto ordine contro le pressanti pretese della società civile.
      In altre parole, da questo momento in poi si assiste ad una progressiva inversione dei termini: non è più lo Stato il soggetto portatore della "politica" e dell'arbitrarietà, contro la saldezza dei rapporti privati (Savigny), o contro l'oggettività dell'ordine storico-organico (secondo il liberalismo organicista nella sua battaglia contro lo Stato assoluto), ma è la società civile che esce fuori nel suo contenuto disgregante, ed è quindi lo Stato che diviene sempre più il regno della certezza del diritto". (pag. 231)

      Per questo in passato ho detto che il punto non mi pare nemmeno Stato sì/Stato no (Einaudi nel '19 poteva tranquillamente invocare lo "Stato forte" o de Tocqueville plaudere alla repressione di Cavaignac nel '48. Come dice, mi pare bene, Losurdo (Hegel e la libertà dei moderni, Napoli, La scuola di Pitagora, 2012, pp. 189-90: "[...] la tradizione teorica dello Stato minimo, proprio negando l'aspetto della comunità politica, della comunità dei citoyens, finisce con l'assolutizzare nello Stato il momento della repressione, della violenza organizzata per il mantenimento dei rapporti di proprietà esistenti [...] Resta fermo [...] che, per entrambi gli autori [Hegel e Marx], i teorici dello Stato minimo, i celebratori del "libero" dispiegamento della società civile al di fuori di ogni controllo e di ogni intervento del potere politico, sono coloro che esigono che lo Stato sia il semplice braccio armato dei ceti privilegiati." Naturalmente con un possibile effetto pretoriani) e che il metodo "evoluzionista" non porta da nessuna parte (è solo una razionalizzazione a posteriori di certi assetti e proposte politici).

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    3. L'obiettivo mi pare sempre lo stesso, cioè che certi interessi siano privi di peso politico, l'importanza del quale era stata così sintetizzata da Marx in una delle sue pagine più lucide (di cui non mi pare abbia però poi sempre tenuto conto e che ha invece dato più maturi frutti con Kalecki), ovvero: "Per quanto riguarda la limitazione della giornata di lavoro in Inghilterra e in tutti gli altri paesi, essa non è mai stata regolata altrimenti che per intervento legislativo. Senza la pressione costante degli operai dall'esterno, questo intervento non si sarebbe mai verificato. Ad ogni modo, il risultato non avrebbe potuto essere raggiunto per via di accordi privati fra gli operai e i capitalisti. E' proprio questa necessità di una azione politica generale che ci fornisce la prova che nella lotta puramente economica il capitale è il più forte."

      Poi per giustificare questa esclusione ovviamente va bene qualsiasi trovata, dal diritto naturale al modello di equilibrio generale di Arrow-Debreu.

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    4. Bravo, come sempre, Arturo.
      La contestazione liberista dello Stato e i problemi di rivendicazione di libertà "da", nascono quando lo Stato non riesce più soltanto a costituire il garante giuridiszionale delle codificazioni civili (rammentiamo anche in ciò la tardività della codificazione in Germania, che spiega la grande influenza del Savigny, come riferimento dell'evoluzione produttivistica-mercantile della società tedesca).

      E questo perchè il processo innescato da queste codificazioni contro i vari (e, nella prima parte del'800, ostinati, residui del feudalesimo legati alle monarchie restaurate...o persistenti), porta inevitabilmente alla destrutturazione degli status (emblematica è la vicenda della camera dei Lords nel Regno Unito).

      Una volta eliminata la residua compresenza degli status, la c.d. capacità giuridica legata alla eguaglianza sostanziale, assoggetta la stessa borghesia-proprietaria al "mezzo correzionale" della unità della legge (civile: il diritto pubblico "autonomo" nasce come sua evoluzione più tardi), e pone il problema delle condizioni della capacità di "agire", cioè della legittimazione a godere della libertà negoziale.

      Senza farla lunga: a quali condizioni si arresta l'allargamento della titolarità della piena libertà negoziale in situazione di eguaglianza formale?
      Evidentemente alle condizioni poste dalla legge (storicamente vigente).

      Ma - e qui si pone il problema dello Stato e della sua FORMA DI GOVERNO- il problema della eguaglianza sostanziale, che proprio il Savigny e la sua idea di "negozio" avevano (certo, in modo indiretto, ma di cui Tocqueville era ben cosciente) reso centrale, pone direttamente quello del CHI fosse legittimato a votare le leggi: cioè il problema dell'elettorato attivo e specialmente passivo.

      Inizia la grande funzione arbitrale dello Stato nell'evoluzione accelerata (dalla crescita produttiva del capitalismo) dei rapporti sociali: questa funzione arbitrale sottintende un concetto di comunità (un popolo composto indistintamente di "eguali") e non l'ipotesi arbitraria e immaginifica di individui self-seeking, perfettamente capaci di autoregolarsi e di creare un equilibrio negoziale costante, che è poi l'equilibrio economico (più tardi walrasiano).

      Insomma, se rammenti ho posto all'inizio di questo blog il riferimento a Viehweg, per cui il problema del diritto positivo, e quindi dello Stato (che ne diviene l'indispensabile creatore monopolista), diviene il problema della giustizia (che è poi un problema di correttezza-buona fede, dovuta a ogni possibile interlocutore negoziale senza distinzioni a priori).

      Concordo quindi con te che Hegel, cosciente della natura spirituale dell'organizzazione umana, non potesse essere fautore di una società fondata sull'autoritarismo bensì sulla giustizia, intesa come sintesi alta dell'agire del logos nell'ambito sociale.

      Uno Stato creatore di diritto che incarna la giustizia contrasta con la imperfezione "tattica", direi genetica, delle teorie del negozio giuridico e della capacità di agire nascente in mera antitesi all'ancient regime.

      E la giustizia come valore sostanziale della certezza del diritto (a che serve una norma inesorabilmente applicata e sanzionabile ma palesemente ingiusta?) impatta negativamente proprio sugli Stati liberali che, contraddicendo le proprie premesse fondative, negavano liceità all'autonomia negoziale collettiva, divenuto "logicamente" l'unico strumento di correzione degli squilibri della contrattazione ingiusta in cui le parti deboli erano altrimenti costrette.

      Insomma, a Hegel si può solo rimproverare la coerenza logica del...logos

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    5. @Arturo

      Hai fatto benissimo a portare l'appunto: infatti, da quello che posso capire, Hegel non è odiato di per sé in quanto "statalista", ma proprio - come ha sottolineato Frank qui sopra - come fondamentale portatore di "una potentissima cassetta degli attrezzi" con cui ha armato il socialismo più pericoloso.

      Nieztsche stesso, che di economia non parlerà mai esplicitamente, vive in modo angoscioso la modernità proprio in quanto portatitrice di quelle rivendicazioni sociali psicologicamente inaccettabili per le élite.

      Questo, se ne convieni, dimostra proprio come tutto l'irenismo internazionalistico (la Grande Società hayekiana) e il suo contrapposto nazionalismo (il governo unico mondiale degli Schmitt e degli Strauss), non siano altro che sovrastrutture ideologiche che mascherano quella che Marx definisce nel Manifesto la Storia come storia del mero "conflitto fra classi".

      Infatti, prenderla da destra o da sinistra, il risultato non cambia:

      Strauss oddly prefers worldwide race war to peace, freedom and individuality: «If man were to have a future, this rule would have to be exercised by a united Europe. And the enormous task of such an iron age could not possibly be discharged, he thought, by weak and unstable governments based on democratic public opinion. The new situation required the emergence of a new aristocracy...The invisible rulers of that possible future would be the philosophers of the future. It is certainly not an overstatement to say that no one has ever spoken so greatly and so nobly of what a philosopher is than Nietzsche»

      L'unica preoccupazione non è la pace dal punto di vista bellico: interessa solo la pace sociale e la conservazione dei privilegi di classe.

      Alla fine, "al di là del bene e del male", interessa solo ripristinare una solida aristocrazia: non importano, come giustamente fai notare, i mezzi con cui ottenerla. La Storia vedrà nell'adattabilità liberale la chiave vincente, per via economicistica.

      Poiché la "doppia verità" è patente, direi che negli elitisti "iniziati", non si può parlare neanche di falsa coscienza... ma semplici e manifesti nichilismo e sociopatia.

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    6. Sono sostanzialmente d'accordo con tutto quello che scrivete. Il pregio di Hegel, mi pare, sta appunto nell'aver saputo individuare, nell'ambito della nuova realtà dello sviluppo capitalistico che si andava delineando, gli strumenti giuridico-politici, anch'essi nuovi, o almeno usati in modo nuovo (cioè Hegel non è un filosofo antimoderno: altra accusa ingiusta che gli è stata rivolta), attraverso cui la "logica" della giustizia poteva essere realizzata. Cito ancora da Fioravanti (pp. 71-73) perché lo trovo davvero chiarificatore: "L'originalità della filosofia hegeliana sta [...] proprio nel suo rifuggire da un'estaltazione acritica dello Stato come momento etico collettivo in contrapposizione alla società civile, intesa come dato negativo da isolare, in quanto sede di conflitto e di lacerazione. Il suo sforzo più significativo è, al contrario, proprio quello di riassorbire il sociale e l'economico all'interno del sistema, di ritrovare anche a questi livelli gli elementi di coesione e di armonizzazione della collettività. Il tentativo di mediazione non è perseguito seguendo la via dell'utopia classica opposta al negativo dei rapporti economici moderni, ma all'interno di questi stessi rapporti, esaltando la funzione sociale del lavoro, non come pure e semplice mezzo di soddisfazione dei bisogni, ma come accrescimento e circolazione della ricchezza collettiva, come contributo dell'individuo allo sviluppo dell'intera società. Così categorie economiche come lavoro, possesso, denaro, si sganciano in Hegel dalla tematica della soddsfazione dei bisogni del singolo, per porsi in funzione universalizzante, a livello dell'intero popolo: "i valori etici affondano le loro radici nel regno del negativo" [questa è una citazione dal volume di G. Borso, Hegel politico dell'esperienza, Milano, 1976]".

      Quindi "con la sua concezione di Stato, egli si pone, inoltre, in contrasto con la cultura politica sottesa alle indagini di Savigny e dei giuristi della Scuola Storica, e rivendica il ruolo centrale del diritto pubblico. Il compito storico dello Stato e del diritto pubblico è quello di intervenire sui conflitti sociali, per trasformare gli elementi potenzialmente dirompenti in elementi di coesione sociale, per organizzare e regolare il lavoro, e farne così una fonte di ricchezza collettiva, e non solo un mezzo di soddisfazione individuale. Partendo dalla scissione di "politico" ed "economico", Hegel giunge, dunque, a proporre un reingresso dei dati sociali ed economici nell'ambito nel progetto politico complessivo. Una Staatslehre [dottrina dello Stato] all'altezza dei tempi non potrebbe non servirsi degli strumenti dell'economia politica, oltre che di quelli specificamente politico-giuridici".

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    7. Quindi "con Hegel, a differenza di tutto il pensiero precedente, ed anche di quello a lui contemporaneo, il sociale e l'economico non sono più il negativo da isolare, la sgradevole realtà da esorcizzare, cui opporre l'omogeneità etica e culturale del Volk [sì, sì, è proprio Hegel il padre del nazi-fascismo, come no :-)], ma una componente del sistema, in esso integrata".

      Certo, Hegel non era un pensatore democratico. Se però teniamo a mente che considerò sempre con simpatia la tradizione democratico-rivoluzionaria e che riteneva compito specifico dello Stato (cito dai Lineamenti di filosofia del diritto pubblicati da Laterza, 2001, a cura di Giuliano Marini, § 230) non solo la sicurezza indisturbata della persona, ma anche "la sicurezza della sussistenza e del benessere dei singoli", ossia "che il benessere particolare sia *realizzato* e *trattato come diritto*", arrivando a menzionare, nelle lezioni del 1819-20 (non destinate alla pubblicazione e quindi senza timore di censura), un vero e proprio diritto al lavoro ("se ci sono disoccupati, questi hanno diritto di esigere che gli venga procurato lavoro": in Losurdo, op. cit., pag. 383), credo che avrebbe senz'altro considerato la democrazia sostanziale uno sviluppo logico della giustizia all'interno della "storia del mondo".

      E con ciò tanta feroce ostilità del pensiero liberale nei confronti di Hegel credo trovi una spiegazione abbastanza esauriente.

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  10. L'unica resistenza a questo processo pare proprio essere la resistenza che possono opporre gli Stati nazione e la coscienza della "prospettiva del conflitto", che poi non è altro che coscienza di classe.

    Per avere coscienza di ciò ci deve essere una comunione di vedute in prospettiva, indipendentemente da valori e sovrastrutture ideologiche: questa "comunione di vedute in prospettiva", può aver senso sia a livello di "motivazione ideale", sia di ricerca pragmatica degli interessi materiali, immediati, delle classi subalterne.

    Un comunione di vedute, presuppone un sistema di valori "assoluto", non "relativo". L'unico modo per fondare un sistema di valori in modo assoluto, senza deragliare nel "totalitarismo", è fondarlo sulla "dignità umana" e, quindi, sul lavoro.

    Insomma, caro Quarantotto, queste riflessioni nascono dallo studio del modello costituzionale di cui TU ne hai fatto l'ermeneutica a fini divulgativi... :-)

    (Sulle radici "giudaico-cristiane" del socialismo credo ci si riferisca non tanto ai "motivi etici" tout court, ma nel senso proprio di geografia culturale: le grandi icone del pensiero progressista ottocentesco affondano le proprie radici nella tradizione ebraica.
    Comunque, credo che il "meta-linguaggio", come i simboli logico-matematici, servano in realtà a rendere semplice ciò che è complesso. Insomma, permettono di ordinare le idee.
    Comunque sia, approfondimenti su questi temi spero di riuscire al più presto a confezionarli, sono importante ginnastica mentale e antidoto alla propaganda... e, per quello che mi pare di capire, la "metafisica" è molto più concreta di ciò che il senso comune potrebbe suggerire.
    Per la divulgazione mainstream, con un po' di fatica, ma come sai, sto lavorando ad altro... pare mi sia sbloccato. Please, la pazienza è la virtù dei forti :-) )

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  11. @Bazaar: Prendo atto che la funzione "rispondi" è in default.
    Come sai siamo grosso modo d'accordo.
    Prudente accorgimento razionale dell'approccio normativo, quindi delle Costituzioni, è non affermare di "fondarsi" su valori assoluti: non a caso nascono, i diritti umani o "fondamentali", come clausole generali.
    Quello delle "clausole generali" è un tema importante: non a caso avversate dal liberalismo del dopoguerra che ha tentato il solito metodo, quello dell'attacco all'uso di clausole generali da parte del nazifascismo per poter criticare la natura di "fondamentale" di qualsiasi diritto che non fosse la proprietà (e la "vita" ma in termini limitati di libertà negativa "da", come se la vita fosse un bene che si relativizza solo nei confronti dello Stato).

    L'innegabile dialettica tra concetto, logos e dinamiche storiche, ci dovrebbe portare a un approccio costantemente "contestualizzato" nell'ambiente storico-politico del suo tempo: è in questa ottica che si spiega l'enorme fortuna avuta, tendenzialmente, da Popper.

    Una cosa la sappiamo: la modalità del tempo cambia, col trascorrere dei lustri, e con essa la percezione umana.
    Ma proprio perchè il tempo (cronologia dell'essere) e la percezione sono fatti umani, il tratto comune, fondativo, è la fenomenologia dell'Uomo. Va bene perciò fondare la sua "essenza" nella dignità sociale del lavoro: se non altro perchè la libertà, che è l'aspirazione ontologica dell'essere umano, non ha nulla a che fare con la ipostatizzazione delle gerarchie sociali e della superiorità evolutiva dei mercanti (di ogni tipo).
    E' piuttosto (la libertà) il disvelamento, provvisorio e incessante, di un mistero.

    La libertà, dunque, ha proprio a che fare con la comprensione del tempo e delle modalità della percezione.
    Più che metafisica si tratta di consapevolezza della propria (precaria) essenza energetica: tanto più acuta quanto più capace di staccarsi, grazie alla dignità nella dimensione sociale, dalle miserie dell'avidità umana che pretende di ergersi a unico indice etico, per legittimare a posteriori se stessa.

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  12. Chiedo innanzitutto scusa per intervenire così, senza adeguata preparazione e soprattutto, lo confesso, senza aver seguito da un po' di tempo il blog. Vorrei però spezzare una lancia a favore degli italiani auto razzisti e condizionati dai media. Premetto di essere dipendente pubblica e pure di lavorare con gente mediamente onesta, anzi, sicuramente non corrotta. Le cose vanno come dovrebbero? No, affatto e non è perché mancano le risorse ma perché vedo intorno a me gente sovraccarica di lavoro e gente che si ritaglia molto tempo per gli affari personali, persone che non vogliono e soprattutto persone che non sanno fare i compiti che teoricamente sarebbero loro assegnati perche, magari, venuti meno quelli che hanno svolto per un certo tempo, non hanno saputo imparare(o non si è stati capaci di insegnare) qualcosa di nuovo. Persone, ancora, che sono state scelte a monte male, perché non hanno superato neanche un concorso, come che sia, per l'assunzione o, comunque, sono dove sono per ragioni diverse da un ipotetico merito (con tutte le riserve sul merito che è giusto avere) e, semplicemente, non sono adatte. I capi? Mediamente piuttosto soli, responsabili ma privi di mezzi, soprattutto privi di truppe valide sufficienti, privi di effettivi poteri sui collaboratori e costretti a negoziare la qualsiasi o a fare consulenze psicologiche senza averne le competenze. Oppure irrimediabilmente stronzi, oppure comunque incapaci di fare i capi perché cresciuti in ambienti in cui paga scansare piuttosto che assumersi responsabilità, anche perché se si sbaglia si rimane soli e se c'è da combattere, comunque, si rimane soli. Chi di noi può dirsi complessivamente soddisfatto dei servizi pubblici? Al di là di eroismi individuali o di realtà per qualche motivo speciali? Chi di voi è p.es. soddisfatto della qualità degli insegnanti dei figli (sempre fatta qualche eccezione, dovuta alla personalità individuale di qualcuno e non al sistema organizzativo)? Chi di voi è soddisfatto dei servizi che offre la sanità quando davvero servirebbe ( sempre al di là dei singoli episodi)? Chi di voi è soddisfatto di come funziona la giustizia ( e non mi ripeto più sulle singolarità)? Chi di voi, magari proprio dall'interno della P.A., non ha avuto modo di sperimentarne le incredibili carenze e, soprattutto, l'enorme difficoltà di cambiare qualcosa? Quanta "improduttività" esiste veramente in giro, anche a prescindere dalle derive politico/clientelari/corruttive? Non sono sufficientemente competente per sapere perché il pubblico è così, perché lo è di più al sud che al nord, anzi sono certa che in questo blog sarà stato approfondito l'argomento e cercherò di recuperare l'arretrato, e non penso nemmeno che "privato" è bello ( anche se non posso fare a meno di notare che quando si ha a che fare con clienti, piuttosto che con utenti, e si è in regime di concorrenza, il privato fa effettivamente meglio) ma non ce la faccio a pensare che l'italiano abbia certe convinzioni solo perché (o prevalentemente perché) stordito dai media o aduso all'autorazzismo per "tradizione".

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    1. Prova a cominciare ad approfondire da qui (albori del blog)
      http://orizzonte48.blogspot.it/2012/12/la-produttivita-e-i-tagli-e-poi-ancora.html

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