giovedì 21 luglio 2016

I DUE EPICENTRI DEL CONFLITTO GLOBALE: SIRIA E...ITALIA

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1. Per completezza di informazioni su alcuni temi di attualità che abbiano recentemente trattato, vi propongo, dei brani selezionati dell'ultimo bollettino, datato 21 luglio, dell'Executive Intelligence Review- EIR, "Strategic Alert" (a cura dell'associazione, fondata da Lyndon Larouche, che periodicamente mi invia tale interessante mail).
Come già in altri casi in cui abbiamo citato tale fonte, premettiamo che si tratta di annotazioni valutative che esprimono un punto di vista, nell'ambito di una visione che, inevitabilmente, muove dagli USA, pur avendo con lo Schiller Institute, radicazione anche in altri paesi, in particolare europei, ove si diffonde il pensiero di Larouche e di sua moglie Helga.
Avevamo accennato, in più occasioni, al tema del paradigma liberoscambista mondializzatore: perseguite rigide politiche deflazioniste in tutto il mondo, tramite una serie di istituzioni "sovranazionali" capaci di imporre agli Stati delle forti condizionalità, sul piano delle politiche economiche, e l'insorgere di  conflitti sezionali, quanto alle politiche interne, questa strategia mondialista nutre ora la tentazione di risolvere la crisi economico-finanziaria globale, a cui inevitabilmente avrebbe condotto, innescando una escalation di conflitti guerreggiati. 
2. Da ultimo, in relazione alla connessione tra dilagare del terrorismo islamico e apparenti svolte politiche nei principali paesi occidentali, avevamo sunteggiato la finalità di tale scenario: "...per portare a livello di stabilità istituzionalizzata lo stato di eccezione che consegue a tale guerra civile permanente, in modo che, analogamente a quanto avvenne in Italia ai tempi della strategia della tensione, sia resa incontestabile la prosecuzione delle politiche economico-sociale attuali; l'idea della "israelizzazione" delle ex-democrazie sociali sottintende di raccogliere il consenso intorno a una "Autorità" salvifica e "protettiva", che possa rivendicare la sua legittimazione in termini polizieschi e di militarizzazione, anche esterna e in funzione di spesa "keynesiana", di ogni residua funzione dello Stato. O del super-Stato €uropeo". 
3. L'EIR denomina tale strategia geo-politica come "il partito della guerra":  
Il partito della guerra è sulla difensiva ma non sconfitto. Il quadro strategico è cambiato significativamente nel corso della settimana scorsa. La strage di Nizza, il golpe fallito in Turchia, gli incontri di Kerry a Mosca e il rilascio delle 28 pagine (v. infra), hanno ridefinito lo scacchiere della guerra globale sullo sfondo del crollo progressivo del sistema finanziario internazionale.

Il tema del collasso è al centro della proposta di Lyndon ed Helga LaRouche per un intervento urgente su Deutsche Bank, da usare come leva per una svolta in Germania e in Europa. Allo stesso tempo, l'alleanza anglo-saudita e il partito della guerra USA/NATO sono stati messi sulla difensiva da tre documenti incriminanti: le ventotto pagine sull'Arabia Saudita, il rapporto Chilcot sulla guerra in Iraq e il rapporto del Congresso sulla HSBC (vedi sotto e SAS 28/16). I colloqui sulla Siria e gli sviluppi in Turchia potrebbero condurre a una svolta nel Sud-Ovest asiatico [Ndr: la situazione in realtà non consente allo stato letture eccessivamente ottimistiche]. Tuttavia, il partito della guerra non è sconfitto, come mostra la strage di Nizza e gli episodi di terrorismo razzista negli Stati Uniti. Siamo in una guerra globale e non esiste alternativa alla vittoria.

Il fianco debole del nemico è il sistema finanziario, la cui bancarotta si concentra sulla crisi dell'euro, che si avvicina a un punto di soglia attorno alle decisioni sul sistema bancario italiano. La crisi delle banche italiane è in larga parte risultato dell'austerità imposta dall'UE e le sue dimensioni sono relativamente modeste, ma la legge europea - e il governo tedesco - ammette solo la soluzione del bail-in.

Messo alle strette, il governo italiano potrebbe decidere di scaricare l'euro piuttosto che commettere un suicidio politico. Anche la Germania è di fronte a una scelta per Deutsche Bank, il cui capitale si è talmente eroso da minacciare l'insolvenza. Altre banche, come Crédit Suisse, sono in una situazione simile. Mentre è necessaria una riorganizzazione bancaria globale, basata sui principii della Legge Glass-Steagall, un intervento urgente su Deutsche Bank, se eseguito nel modo che Helga Zepp-LaRouche descrive qui sotto, potrebbe ribaltare la situazione.
4. In correlazione a tale analisi, vien poi svolta una focalizzazione sulla situazione Deutsche Bank, che fornisce una prospettiva un po' diversa, del problema delle conseguenze demenziali delle regole, a larga e insindacabile discrezionalità, imposte con l'Unione Bancaria
La Deutsche Bank va salvata, ma a certe condizioni!

La seguente dichiarazione è stata rilasciata da Helga Zepp-LaRouche, presidente del Movimento per i Diritti Civili Solidarietà tedesco (BüSo), il 12 luglio 2016.

L'imminente rischio di bancarotta di Deutsche Bank certamente non è l'unica causa potenziale di una nuova crisi sistemica del sistema bancario transatlantico, che sarebbe di diversi ordini di grandezza più letale della crisi del 2008, ma offre una leva unica per impedire che il collasso si traduca in caos.

Dietro all'SOS lanciato dall'economista capo di Deutsche Bank, David Folkerts-Landau, per un programma europeo di 150 miliardi di Euro per ricapitalizzare le banche, si intravede il pericolo, apertamente discusso nei media finanziari internazionali, di insolvenza dell'intero sistema bancario europeo, poggiato su una montagna di almeno 2000 miliardi di Euro di prestiti inesigibili ("NPL"). Deutsche Bank, con un totale di 55.000 miliardi di Euro di valore nozionale di contratti derivati e un fattore di leva di 40:1, che supera quello di Lehman Brothers ai tempi del suo collasso, rappresenta il tallone d'Achille più pericoloso del sistema. La metà del bilancio di Deutsche Bank, il cui titolo è crollato del 48% negli ultimi 12 mesi ed è ora solo all'8% del suo valore di picco, è fatto di derivati cosiddetti Level 3, quasi 800 miliardi di Euro di titoli senza una valutazione di mercato.

Forse molti sono rimasti sorpresi dalla proposta fatta da Lyndon LaRouche il 12 luglio, che Deutsche Bank sia salvata attraverso un'iniezione di capitale una tantum, in ragione delle implicazioni sistemiche della sua minacciata insolvenza. Né il governo tedesco con il suo PIL di 4 bilioni di Euro, né l'Unione Europea con un PIL di 18 bilioni di Euro, sarebbero capaci di controllare l'effetto domino di una bancarotta disordinata.

L'iniezione di capitale una tantum, ha spiegato LaRouche, è una mera misura d'emergenza che deve essere contestuale a un immediato riorientamento della banca, nel senso della sua tradizione prevalente fino al 1989, sotto la guida di Alfred Herrhausen. Per sovraintendere a questa operazione, dovrà essere istituito un comitato di gestione che verifichi la legittimità e le implicazioni delle passività, e completi il suo lavoro entro un dato periodo di tempo. Tale comitato dovrà anche redigere un nuovo business plan, basato sulla filosofia bancaria di Herrhausen, ed esclusivamente orientato agli interessi dell'economia reale della Germania.
5. Altrettanto interessante, è il chiarimento sullo status della proposta di reintroduzione del Glass-Stegall Act, cioè della "separazione bancaria", nell'ambito dell'attuale campagna per le elezioni presidenziali negli USA: 

Presidenziali USA: il ripristino della legge Glass-Steagall incluso in entrambe le piattaforme. Dalla crisi finanziaria del 2008, gli interessi di Wall Street e della City di Londra a Washington hanno fatto ricorso a misure sempre più disperate per preservare il loro sistema in bancarotta, dal salvataggio delle banche Too Big to Fail, al Quantitative Easing, per poi arrivare al "bail-in", e ora ai tassi d'interesse negativi, con l'"helicopter money" pronto a entrare in azione.

L'alternativa a questa follia è quella che fu proposta prima del crac del 2008 da Lyndon LaRouche, che l'aveva previsto in una videoconferenza del luglio 2007. Per porre fine all'implosione del sistema, LaRouche chiese il ritorno alla politica della separazione bancaria di Franklin Roosevelt e della legge Glass-Steagall, seguita da una cancellazione del debito impagabile, e la creazione di un sistema creditizio per l'infusione di credito pubblico all'attività produttiva fisica, a partire da massicci investimenti nelle infrastrutture.

...Il tema è tornato alla ribalta durante la campagna presidenziale americana, soprattutto quando il Senatore Bernie Sanders ha sostenuto, anche se in ritardo, il disegno di legge per la Glass-Steagall del XXI secolo presentato dalla Sen. Elizabeth Warren. Ora la legge Glass-Steagall è entrata sia nella piattaforma democratica sia in quella repubblicana.

I democratici denunciano il "gioco d'azzardo" di Wall Street e "l'idea (tra gli speculatori) che i contribuenti continueranno a rifinanziarli". Tuttavia la probabile candidata, Hillary Clinton, ha dichiarato spesso di non sostenere il ritorno alle regole della Glass-Steagall, e la piattaforma parla anche di "difendere ed espandere la legge Dodd-Frank," benché tale legge sia stata scritta dai banchieri Too Big to Fail, e difenda lo stesso sistema speculativo che ha portato al crac del 2008.

Quanto ai repubblicani, nessuno sa per certo che cosa ne pensi Donald Trump. Resoconti dalla battaglia per la piattaforma indicano, come ci ha riferito un insider della Georgia, che i sostenitori di Trump insisterebbero sul ripristino della Glass-Steagall, anche se Trump stesso non si è pronunciato su questo.

Un'altra indicazione della rivolta popolare contro Wall Street, cui si è agganciato Sanders, e cui tenta di agganciarsi anche Trump, viene dall'Illinois, lo stato di Obama e la sua base politica. Il 30 giugno il Parlamento dello Stato ha approvato una mozione che chiede al Congresso federale di adottare un programma di "ripresa americana" ripristinando le disposizioni della legge Glass-Steagall, tornando a un sistema creditizio federale e alle banche nazionali, sul modello di Alexander Hamilton, per investire nell'economia reale e nelle infrastrutture.
6. Riprendendo il tema sempre più globale del terrorismo, sono anche valutate le rivelazioni sulla connessione tra Arabia Saudita e attentato dell'11 settembre , e la connessa implicazione di come fermare il terrorismo "alla fonte", almeno per quanto riguarda il suo attuale epicentro nella crisi siriana:
Il 15 luglio l'amministrazione Obama ha finalmente reso pubblico (anche se lievemente oscurato) il capitolo di 28 pagine del rapporto originale della Commissione d'inchiesta congiunta del Congresso sull'11 settembre, poche ore prima che Capitol Hill chiudesse per le vacanze estive. Leggendo attentamente il capitolo si comprende che il congressista Thomas Massie aveva assolutamente ragione quando dichiarò che queste informazioni avrebbero imposto un totale ripensamento su ciò che è accaduto negli ultimi 15 anni.
Contrariamente alla narrazione promossa dal Presidente Obama, dai servizi di intelligence e dai soliti media, il livello di prove sul coinvolgimento saudita negli attacchi dell'11 settembre contenute nelle ventotto pagine va ben oltre quello noto pubblicamente. Esse dimostrano infatti che funzionari sauditi e membri della famiglia reale erano coinvolti intimamente con Al Qaeda e molti di loro avevano legami diretti coi dirottatori. Benché l'FBI e la CIA avessero le prove dei finanziamenti sauditi ad Al Qaeda prima ancora del 2001, fu soppressa qualsiasi azione repressiva e gli investigatori furono licenziati o trasferiti per aver sollevato troppe domande.
Il Presidente Obama, James Clapper del DNI e il direttore della CIA John Brennan sostengono che le piste contenute nelle 28 pagine sono state successivamente smentite dall'inchiesta condotta dall'altra Commissione sull'11 settembre. Tuttavia, in realtà, il direttore di tale inchiesta, Philip Zelikow, ha espressamente bloccato qualsiasi inchiesta sui sauditi, e ha perfino licenziato il membro dello staff a cui era stato assegnato il compito di seguire la vicenda, come hanno ammesso altri membri della commissione.
Il rapporto di inchiesta congiunto sull'11 settembre fu completato e reso pubblico nel dicembre 2002, meno quelle 28 pagine che riguardavano il coinvolgimento saudita. Chiaramente, quel capitolo cruciale fu soppresso perché l'amministrazione Bush-Cheney si stava preparando per la guerra contro l'Iraq, per il cambiamento di regime contro Saddam Hussein, accusato di essere l'architetto dei mortali attacchi terroristici e di possedere un arsenale di armi di distruzione di massa. Tutte menzogne, come sappiamo ora.
È quindi urgente una nuova inchiesta dall'inizio alla fine, che indaghi su tutte le atrocità e le guerre che ne conseguirono, come la guerra in Iraq e in Libia, i tentativi di cambiamento di regime in Siria e molto di più.
La pubblicazione delle 28 pagine, che giunge pochi giorni dopo la pubblicazione del rapporto della Commissione Chilcot nel Regno Unito sulla guerra illegittima in Iraq (vedi SAS 28/16) è un colpo mortale al cuore dell'impero anglo-saudita. È prevedibile che ora aumenti al Congresso il sostegno per l'approvazione della legge JASTA, che consente di citare in giudizio i funzionari sauditi per aver sponsorizzato il terrorismo.
Il congressista Walter Jones, che ha condotto la battaglia al Congresso per desecretare le ventotto pagine, ha espresso il suo ringraziamento e le sue congratulazioni al movimento di LaRouche per il suo ruolo chiave nell'ottenerne la pubblicazione.

Dopo la strage di Nizza dove hanno perso la vita 84 persone e molte altre sono state ferite, il governo ha espresso il proprio cordoglio e rinnovato l'impegno nella lotta contro il terrorismo, senza tuttavia attaccare le vere cause di questa barbarie, denuncia Jacques Cheminade.
La causa principale è la complicità del governo "con le formazioni jihadiste usate per provocare la caduta del regime di Assad, elaborata dagli Stati Uniti, dal Regno Unito, dall'Arabia Saudita, dal Qatar e dalla Turchia", che ora si ritorce contro la Francia.
Infatti, è noto dal 2014 che Nizza è divenuta centro di reclutamento dei guerriglieri diretti in Siria. Un rapporto della Direzione Generale per la Sicurezza Interna (DGSI) notava che Nizza è divenuta una "città-laboratorio" per identificare e gestire la "radicalizzazione".
È da Nizza che Omar Osman, un franco-senegalese convertito all'islam, reclutò la sua brigata di 50-80 francesi, ora combattenti in Siria con il gruppo al-Nusra (ovvero al-Qaeda), dei quali il ministro degli Esteri Laurent Fabius affermò nel 2012, con un entusiasmo davvero improprio, che stavano "facendo un bel lavoro" contro Assad.
È a Nizza, inoltre, che sono stati identificati gli arrivi e le partenze di potenziali jihadisti, in viaggio come missione diplomatica saudita. Lo scorso 7 aprile il sindaco nizzardo Christian Estrosi, intervistato da Olivier Mazerolle per RTL, ha dichiarato che due persone nel dossier delle persone "radicalizzate" e in necessità di stretta sorveglianza, erano entrate in Francia con la copertura diplomatica saudita e che "esse hanno beneficiato di un'esenzione totale dai controlli" presso l'aeroporto internazionale di Nizza. "Sì", ha risposto il sindaco alla domanda se la polizia fosse stata costretta a proteggere i due, "e so che alcuni di loro erano sconvolti, ne parlarono e ne subirono le conseguenze".
"Il governo non può continuare a menare il can per l'aia su questo punto", dichiara Cheminade, "rischiando di trovarsi presto o tardi in un posizione simile a quella di Tony Blair", e cioè davanti a una commissione d'inchiesta o direttamente in tribunale.
"È venuto il momento di ristabilire i rapporti con Assad al fine di rifondare e ricostruire la Siria; di agire in armonia con la Russia per combattere assieme questa minaccia; di incitare con decisione gli Stati Uniti a fare altrettanto", incalza Cheminade. 

15 commenti:

  1. Certo che LaRouche mi piace un sacco.

    Come americano rigetta nominalmente Keynes (in quanto britannico?), e Marx (in quanto "marxista"? :-)): poi collega la tradizione di Hamilton, List e anti-liberista in genere a Roosevelt... che non era un economista (ma chi era il suo più illustre consigliere economico?).

    Un punto che per indole mi fa un sacco simpatia, è che ha un approccio multidisciplinare alle questioni sociali tipiche dell'ortodossia marxiana e di cui - consapevolmente o meno - adotta strumenti cognitivo-filosofici come, ad es., qualcosa di simile alla dialettica qualità/quantità.

    Inoltre - cosa piuttosto rara non solo per un americano ma per un anglosassone in genere - promuove la classicità e promuove la figura di Leibniz (che adoro).

    Al di là del suo centro studi che fornisce da decenni analisi spesso molto interessanti e "informate", promuove un approccio aperto e critico alle dinamiche sociali molto positivo.

    (Certo, è evidente che il punto debole del movimentismo intorno alla sua figura rimane - come per Marx... - la sua stessa figura...)

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    1. Di certo egli ha avuto un lungo e controverso rapporto col marxismo, formalmente fino agli anni '70 del secolo scorso
      https://it.wikipedia.org/wiki/Lyndon_LaRouche (ma conoscerai sicuramente questa fonte, non proprio benevola nei suoi confronti, e altre ancora).

      In questa occasione, peraltro, risultava interessante un "punto di vista" che, sicuramente non ortodosso, è pur sempre espressione di un milieu statunitense (e perciò a fortiori indicativo di certe possibili "altre" interpretazioni storico-economico...globali).

      Concordo che non solo è apprezzabile l'approccio multidisciplinare ma pure la varietà di fatti che vengono presi in considerazione, rispetto alle vulgate, analitiche e selettive, della grancassa mediatica globalizzata.

      Insomma, da questa fonte abbiamo, per contrappunto, un importante riscontro: quello della straordinaria omogeneità e "incredibile" simultaneità con cui il sistema mediatico internazionale reagisce "a", e narra, gli eventi "at large".

      Focalizzando sul tema più interessante, in termini di riflessione critica, della omogeneità&simultaneità del sistema globalizzato dei media, - non difficilmente spiegabile con la forte concentrazione in poche mani delle posizioni proprietarie-finanziarie di incumbent-, rimane l'oggettiva enorme difficoltà di bilanciare qualsiasi opnione di massa così ben orchestrata.

      Mentre, con facilità nei circuiti "alternativi" si creano così assurde divisioni para-razionali (frutto pavloviano della concentrazione in spazi estremamente ridotti), a ESSI è sufficiente rimanere nel solco che hanno tracciato e che approfondiscono sempre di più.
      Così stanno le cose...per ora.

      Come diceva Poggio, "that's all folks" (e il segreto di ESSI è che "folks" significa menti "rese" elementari in massa).

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  2. Finalmente qualcuno ipotizza le cifre della possibile carta straccia di una sola banca tedesca, anche se la piu' importante, d.bank: 800 miliardi. Chissa' quanto ne ha in totale il loro sistema, che come sappiamo e' composto da banche grosse messe male e le altre tipo sparkassen messe peggio, ma tutte tassativamente hanno in comune il fatto che non vengono adeguatamente vivisezionate dalla bce, che a noi ci intima, ci condiziona, ci obbliga, per 30 miliardi( forse)di capitale che mancherebbero alle nostre banche. Sic.

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  3. Le rendo merito per il coraggio mostrato nel condividere la lettura dell’Eir e del movimento di Larouche, mi permetto di inserirmi nel dibattito che si è sviluppato a partire dai commenti riguardo alla figura di FDR.

    Per quel che ho letto, in verità Roosevelt amava far confrontare i suoi illustri consiglieri economici; li lasciava parlare, ideare, proporre, cozzare tra loro, poi si metteva a sedere, ascoltava le proposte, infine decideva di testa sua.

    I suoi collaboratori provenivano dal mondo accademico statunitense ed erano appunto in contatto con gli ambienti culturali dell’epoca, tant’è che nel libro di memorie di Francis Perkins, ministra del lavoro nelle amministrazioni FDR , si riporta un gustoso aneddoto sull'incontro con Keynes:
    “Keynes visited Roosevelt in 1934 rather briefly, and talked lofty economic theory.
    Roosevelt told me afterward, “I saw your friend Keynes. He left a whole rigmarole of figures. He must be a mathematician rather than a political economist”.

    Ad ogni modo Jesse Jones era uno dei sui bracci economici, cui affidò la RFC.

    Per comprendere appieno la figura di FDR, dobbiamo conoscere la storia familiare: aveva forti legami familiari e intellettuali con la tradizione di Hamilton: http://en.wikipedia.org/wiki/Isaac_Roosevelt_(politician)

    A sostegno di questa lettura contorcorrente, l’attività rooseveltiana può invece essere pienamente compresa se la collochiamo nella corrente dell’autentico sistema americano di economia politica che si distingue in tutto e per tutto dalla dottrina economica del liberismo al servizio delle potenze imperiali.

    Potremmo sinteticamente sostenere che la teoria keynesiana spaccia una semplificazione della tradizione del sistema americano, alterata da una visione monetarista (ruolo indipendente della banca centrale dal potere politico) e dalla proposta della moneta mondiale, il bancor, che potremmo dire antesignana della moneta unica europea.

    Ciò non toglie che il pensiero economico di John Maynard Keynes abbia avuto le sue importantissime applicazioni, che ancor oggi ha i suoi estimatori, o più semplicemente conoscitori, tuttavia, anche la dottrina keynesiana evidenzia il vizio del semplicismo:
    – Keynes altera la concezione di un’economia che punta al progresso tecnologico-scientifico e la sostituisce con il keynesiano mero impiego di forza lavoro in opere pubbliche;
    – Keynes sostituisce il dirigismo nazionale con il semplice interventismo;
    – Keynes sostiene le ragioni della banca centrale indipendente, anzichè rifarsi alle concezioni del sistema americano sul credito nazionale.

    Per una lettura completa al riguardo, rimando allo studio condotto da Claudio Giudici, Il sistema hamiltoniano di economia politica come risanare l’economia reale senza fare ricorso ai tagli della spesa pubblica.

    Il valore dell'opera larouchiana è di aver contribuito attivamente a rinverdire la tradizione del sistema americano dal momento che il mondo accademico ha operato una cesura netta con essa.
    Leggendo dei maggiori economisti e pensatori statunitensi, è raro leggere di Hamilton o di Carey, preferendo invece uniformarsi alla semplificazione keynesiana.
    Il che è ben strano, a voler approfondire, perchè la vastità e la profondità della tradizione del sistema americano è lì a indicarci una originale sistematizzazione di un pensiero antiimperiale.
    saluti

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    1. Come può venire in mente che sulla crisi del '29, su Keynes (che definire monetarista è piuttosto...singolare), e sul ruolo dei consiglieri economici nel New Deal, su questo blog non si sia scritto e dibattuto abbondantemente?
      Riferisce, de relato, delle analisi altrui.
      Si ma perché? Non occorre detestare Keynes, per ragioni personali e a prescindere, per condividere la presunta tradizione a cui si riallaccerebbe Larousse (che ha un storia personale alquanto variegata).

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  4. l mio intervento nasceva dalla volontà di dialogo con quel lettore che commentando poneva quelle riflessioni su Roosevelt e Keynes.
    Secondo, la mia riflessione, forse non chiara, è che chi critica Keynes corre il rischio di venire escluso dai peers accademci e magari perde anche la cattedra.

    Ad ogni modo, analizziamo le posizioni a Bretton Woods:
    Keynes fu il rappresentante ufficiale del Governo di Sua Maestà, delegato a strappare la posizione migliore per l’impero di fronte allo strapotere emergente degli USA; un potere che in quel momento rappresentava la vittoria sul nazifascismo e la speranza di liberazione per molti popoli. La proposta iniziale era appunto di creare un’unità di conto per il commercio internazionale, il principio di una banca centrale globale (International Clearing Union).

    Nella visione di Keynes, si doveva mantenere l’equilibrio tra le esportazioni e le importazioni, con penali per chi non lo facesse.
    Cosa avrebbe significato per i paesi poveri questo piano? Chi importava tanto avrebbe dovuto pagare delle penali alla ICU. Mentre anche chi esportava tanto sarebbe stato disincentivato. Equilibrio per tutti!
    Ma in un mondo dove gli USA e altri paesi più sviluppati avrebbero potuto lanciare dei grandi piani di investimento e modernizzazione per i paesi più poveri, un approccio di questo tipo avrebbe di fatto limitato fortemente tali investimenti.
    Gli USA di FDR avrebbero potuto estendere il modello del New Deal a livello internazionale utilizzando la forza del dollaro, ma evidentemente la prospettiva di un periodo di grande sviluppo per le zone del terzo mondo non interessava molto ai vecchi padroni coloniali.

    Proprio la questione del Bancor, ci porta alla riflessione sull’attualità: essere keynesiani oggi è forse incompatibile con l’essere anti euro?

    Per capire che cosa c’entra l’euro basti considerare le fondamenta della politica dell’UE di oggi: un sistema sovranazionale che ha già rimosso la sovranità economica dei suoi stati membri. E’ iniziato con un’unità di conto, poi con delle regole monetarie comuni, e ora siamo tutti sotto gli ordini della BCE.

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    1. A parte l'opinabile visione politico-economica internazionale dello schema del bancor e del ruolo keynesiano (mai accolto) del FMI, vedo che ha le idee piuttosto confuse. Sul ruolo della moneta specialmente: compreso il senso della unità di conto dei rapporti commerciali internazionali in relazione a una moneta unica come l'euro.
      E molto anche su quanto conti accademicamente oggi Keynes, che non viene neanche più insegnato.
      Dovrebbe aggiornare e ricalibrare le proprie idee sul mainstream e sulla sostanza delle teorie economiche oggi rientranti in esso.
      Ma non può farlo esponendo tutte le sue conclusioni in questa sede: occorre studiare e non accontentarsi di articoli critici non organici, provenienti da fonti ideologicamente connotate.
      Poi faccia come ritiene meglio...Ognuno ha il suo percorso

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    2. Soprattutto Keynes esplicitamente, con la Teoria Generale, diventa consapevole di superare tanto il protezionismo "cameralista", quanto il socialismo marxista che, a livello economicistico, risultavano per il capitalismo moderno, assolutamente obsoleti e "poveri intellettualmente".

      Ossia, è consapevole di aver raddrizzato - rivoluzionandola - la scienza economica.

      (Scienza economia effettivamente nascosta dai britannici e dal capitale in generale sotto tonnellate di filosofia morale - elitista - prima, e da quintali di positivismo e di matematica volta a contrastare il socialismo "scientifico" e l'Internazionale socialista)

      Quando Roosevelt non ha dato retto a Keynes e ai keynesiani (1937, credo), ha fatto i disastri.

      Inoltre a livello di orientamento politico non è assolutamente in asse con la tradizione Hamiltoniana, e, se vuoi, lincolniana.

      Hamilton fu spiccatamente anti-democratico e Lincoln era un repubblicano.

      Gli schiavisti e i crociati del laissez-faire erano i liberali del sud.

      E questo crea i suoi grattacapi a livello di coscienza nel dibattito politico americano: Roosevelt era "liberale" ma perseguiva politiche socialdemocratiche.

      E lo faceva perché in primis incoraggiato da Keynes tanto che, come è noto, confidò negli anni '40 che «tutta l'economia che aveva studiato da giovane era "sbagliata"»

      Credo anch'io che Keynes sia stato lo Smith nella fase del "declino" dell'impero britannico, salvandolo in modo geniale per l'ennesima volta: serviva la Corona, era certamente un patriota di una nazione il cui governo - per primo - sapeva essere "criminale".

      Ma da Inglese trovo irreprensibile che abbia agito così: e da Lord trovo irreprensibile che non abbia scimmiottato una qualche "militanza socialista" nei laburisti.

      Keynes era un genio e non ha sistemato solamente «il garbuglio economico».

      Con tutto il bene che vogliamo a LaRouche, gli USA sono sempre stati espressione di un pensiero povero. Di seconda mano.

      La parte più bella della Carta americana è stata scritta da un giovane napoletano.

      E non sono mai stati neanche lontanamente orientati alla democrazia, a cui rinvierei alle analisi compiute in questi spazi in relazione al federalismo americano.

      Certo è che sono stati esempio di un vittorioso capitalismo sovranista contro le quinte colonne britanniche della finanza dell'est e degli schiavisti del sud: e se avessero anche resistito alla finanza britannica dopo Lincoln, con il "greenback" avrebbero potuto colmare anche il lack democratico con cui è stata concepita la federazione.


      Ma è irreprensibile anche che LaRouche - come Keynes - guardi le pagine migliori della storia americana e che, ancora oggi, possono fare da modello.

      D'altronde, siamo eurocentrici ed italianisti anche in questi spazi...

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    3. Pardon, tra i refusi segnalo "dare rettA"... con Keynes è meglio sottolinearlo.

      Lyndon è molto sensibile su certe tematiche "keynesiane"...

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  5. Caro Bazaar, il tuo intervento è ricco di spunti interessanti, ma se mi permetti, rileverei delle inesattezze. Sarò felice se puoi dimostrarmi che sbaglio.

    Quando Roosevelt non ha dato retto a Keynes e ai keynesiani (1937, credo), ha fatto i disastri.

    Perché sia vera questa affermazione occorre dimostrare che
    a) nel 1937 FDR fece i disastri; b) che ciò avvenne per aver abbandonato i consigli di Keynes. La prima affermazione è certamente vera: si operò una correzione di bilancio con conseguente crollo della produzione e impennata della disoccupazione. L'anno successivo si operò la correzione della correzione e si riprese a correre.

    Ma sopra si è detto giustamente che FDR Keynes non lo conosceva. Su questo c’è la forte testimonianza di Perkins sull’impressione che FDR ne ebbe nel primo incontro, a New Deal avviato. Questa testimonianza è di prima mano e ha un grande valore. Francis Perkins fu uno dei più importanti membri dell’amministrazione di FDR, autrice di tutte le riforme (progressiste) del lavoro. Non era ostile a Keynes, anzi: da come ne parla nelle sue memorie si nota una certa simpatia. Quindi una testimonianza attendibile, la sola che conosca di prima mano – ma forse tu ne hai altre.

    La Perkins non assistette all’incontro, ma era in anticamera e riporta le parole di FDR quando l’accolse dopo che era uscito Keynes. Parole non lusinghiere, che attestano che Keynes non lo aveva convinto. Quindi, se non si vuole dire che FDR fosse contrario a Keynes, perlomeno si può dire sicuramente che FDR agì in perfetta indipendenza e non seguendo Keynes.

    E’ vero che nel 1937 ci fu un calo del PIL e un’impennata della disoccupazione, ma questo semplicemente perché FDR diede retta a chi gli chiedeva di pareggiare il bilancio. Poi riprese la politica di investimenti.

    Inoltre a livello di orientamento politico non è assolutamente in asse con la tradizione Hamiltoniana, e, se vuoi, lincolniana.

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    1. Due riflessioni che credo importanti devono essere fatte:

      1 - prima che essere "leibniziani", anche solo per motivi di urgenza e rigore, qui siamo husserliani: l'aspetto filosofico non è disgiunto da quello scientifico; e viceversa.

      Quindi, come ha notato Quarantotto, siamo di fronte - quantomeno - ad un importante problema filologico: Keynes è il più importante esponente del pensiero della macroeconomia moderna.

      Non è stato l'unico ad essere arrivato alle sue conclusioni, ci sono stati altri grandi economisti - come Kalecki - che sono arrivati a sistematizzare "il garbuglio economico" nel medesimo modo.

      Ma JMK è stato il più influente, per ovvi motivi.

      Non c'è un altro paradigma economico: o sei keyensiano o sei un neoclassico. Tutto il resto o è scientificamente irrilevante, o obsoleto (e quindi che ne implica comunque - tendenzialmente - l'irrilevanza scientifica).

      Ovvero è economia patafisica.

      Quando sei ministro del tesoro e delle finanze è meglio iniziare dai libri studiati ai corsi universitari, e lasciar perdere l'economia patafisica.

      2 - Sicuramente Hamilton, Lincoln o Roosevelt possono essere raggruppati con un mcd diverso: ma quello che in primis li accomuna sono state politiche politicamente "invise" alla finanza internazionale e favorevoli ad un percorso democratico.

      (Senza sovranità "hamiltoniana" non è possibile neanche la sovranità democratica)

      Come "husserliani", poiché si analizzano l'attualità e la Storia tramite l'analisi economica istituzionalista, conoscere i pilastri del pensiero economico e della teoria economica è dirimente.

      Senza questi piedi ben piantati materialmente per terra, tutta la filosofia rimane patafisica.

      Alessandro Rossi, fosse nato nella seconda parte del '900, sarebbe stato sicuramente keynesiano.

      Ma anche Leibniz sarebbe stato keynesiano!

      Hamilton, effettivamente, non credo proprio.

      3 - il primo "liberale non liberista" della storia, è stato Keynes che, non a caso, dai liberali è stato odiato.

      I liberali sono stati protezionisti quando occorreva e persino fascisti quando serviva.

      Hamilton, come tutti gli elitisti con aspirazioni imperialiste, era contro il free trade ma rimaneva liberista!

      Si mette di traverso ai proseliti di Smith per difendere l'enfant capitalism ma, appunto, internamente è favorevole ad abbattere tutte le barriere del mercato interno tramite il federalismo: con buona pace delle democrazie nazionali e della possibilità dei lavoratori di intervenire nella vita politica nazionale: si veda il Federalist n°10, e la relativa lettera con cui Madison rende ancora più esplicito a Jefferson il motivo per cui venivano fatti sorgere gli USA come federazione.

      Garantire l'élite mercantile dalle rivendicazioni democratiche delle classi lavoratrici.

      4 - Il keynesismo "reazionario" è quello che si chiama "keynesismo di guerra", ma non ha nulla a che fare con la macroeconomia keynesiana, se non di sfruttarne alcuni principi.

      Il riferimento di LaRouche alla prefazione all'edizione tedesca della Teoria Generale è piuttosto curiosa perché, a far della patafisica, è più inquietante il fatto che Roosevelt avesse mandato degli osservatori in Italia per studiare il dirigismo fascista e l'interventismo mussoliniano ché - per chi ha studiato storia economica - sa bene che di "keynesiano" aveva ben poco.

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    2. CONCLUSIONI:

      LaRouche fa un sacco di considerazioni interessanti e ha un esemplare approccio critico. Ma:

      1 - non è un economista

      2 - la sua qualità migliore oltre l'eclettismo, è la coscienza critica: possono movimenti che si rifanno alla sua persona ereditare il suo approccio critico? O c'è il rischio di finire nel "leaderismo" come - appunto - col marxismo?

      Piuttosto: non sarebbe il caso che chi fa divulgazione con gli strumenti cognitivi messi a disposizione del nostro, si appoggi ai contributi di questo blog?

      I temi come l'euro o il keynesismo qui si danno per scontati: non sarebbe importante alzare il livello del dibattito facendo girare anche i libri esposti a margine di questa pagine tra gli attivisti?

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    3. p.s.

      L'influenza di Filangieri sugli aspetti più "illuminati" dell'ordine statunitense sono assolutamente pacifici.

      Poco ricordati dalla propaganda angloamericana troppo concentrata nel rimproverarci di non aver legalizzato in Costituzione il "familismo amorale"; ma pacifici.

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  6. ...seconda parte...

    Hamilton fu spiccatamente anti-democratico e Lincoln era un repubblicano.

    Cerchiamo di intenderci al di là delle etichette, altrimenti creiamo altri grattacapi, come tu dici. Hamilton era un sostenitore della democrazia rappresentativa e della Costituzione, di cui si può dire fu il principale artefice – se diamo la giusta considerazione alla battaglia che condusse per farla approvare, con i Federalist Papers.


    Era un fiero anti-giacobino, e con questi elementi potremmo affiancarlo a un personaggio come Cavour, o ad altri patrioti italiani “liberali” anti-liberisti e anti-giacobini (anche anti-mazziniani).

    Valori condivisi da Lincoln e Roosevelt. Vogliamo una categoria che li accomuni? Che ne dici di leibniziani, se non ti sembra troppo azzardata?

    Gli schiavisti e i crociati del laissez-faire erano i liberali del sud.


    Giusto, niente a che vedere con i liberali anti-liberisti del Nord.

    Con tutto il bene che vogliamo a LaRouche, gli USA sono sempre stati espressione di un pensiero povero. Di seconda mano.


    Certo, non hanno avuto il nostro Rinascimento, ma i Padri Fondatori, partendo da Cotton Mather fino a Franklin e Hamilton, erano culturalmente i figli di Shakespeare. Si orientavano a Machiavelli ecc. E in economia, il pensiero del “sistema americano” influì sulla svolta anti-liberista nell’Europa del XIX secolo – vedi Bismarck e, in Italia, l’Alessandro Rossi decisivo per la svolta protezionistica del governo Crispi e dell’industrializzazione successiva (purtroppo solo al Nord, ma questo è un altro discorso).

    La parte più bella della Carta americana è stata scritta da un giovane napoletano.

    Se ti riferisci a Filangieri, purtroppo è inesatto. Controlla le date…

    Rilancio con una provocazione: come la mettiamo con la prefazione di Keynes alla prima edizione del suo libro, uscito in Germania, nella quale indicava il regime nazionalsocialista come il più indicato per applicare le sue teorie? Esiste un keynesianismo reazionario e uno progressista?


    Io ho l'impressione che se non ci si ferma alle etichette e ai feticci, bisogna ammettere che il keynesismo viene adottato in buona fede da chi giustamente favorisce l intervento dello stato nell economia. Ma se si conoscono Hamilton, List e Carey, Keynes non solo è inutile bensì è un passo indietro.
    Un “matematico” e non un economista, come disse Roosevelt.

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    1. Non solo non conosce il ruolo del bancor e della proposta di Keynes, non accolta a Bretton Woods, non solo confonde un'unità di conto dei rapporti commerciali internazionali con la moneta unica europea, non solo atribuisce a Keynes di essere stato monetarista, ma non conosce i dati, e quindi gli effettivi eventi e le loro ragioni, relativi alla crisi del '29. Che, infatti, non consentì al PIL USA di "correre" fino all'anno fatidico 1941 (con il 1940 che risulta di preparazione, in termini di spesa pubblica militare).
      Solo in quell'anno fatidico il tasso di disoccupazione ritornò ai livelli anteriori al 1929; grazie all'incremento vertiginoso del federal spending.

      Basti pensare che fino a tutto il 1939, il GDP "reale" USA rimase, con piccoli e insignificanti incrementi, rimangiati durante il double-dip, grosso modo allo stesso livello del 1929 (ante crisi).
      Le consiglio di leggersi la Storia dell'economia di Galbraith e il suo "Grande Crollo" (scritto nel 1938).

      Per il resto, notazioni storico-ideologiche, e prima ancora ideologiche, non paiono essere esenti dallo stesso apriorismo inutilmente anti-keynesiano e antidemocratico-sostanziale: semplicemente perché non traspare la più pallida idea di cosa siano la teoria keynesiana e la democrazia sostanziale.

      Non quella "rappresentativa", formula che, avulsa dalla effettiva comprensione della struttura sociale e della cornice costituzionale, non indica praticamente nulla se non un metodo essenzialmente liberale, e cioè inevitabilmente liberista, di organizzare il potere ristretto a un'oligarchia.

      Siamo molto, molto lontani, da un'adeguata conoscenza delle scienze sociali rilevanti per parlare dei fenomeni in questione, e da una minima conoscenza del blog, per poter avere spazio illimitato in questa sede.

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