1. La situazione attuale può rammentare diversi frangenti storici in cui si avverte l'insostenibilità dello status quo, ma non si riesce più a cogliere con chiarezza non solo la "rotta effettiva" che si sta, volenti o nolenti, solcando con l'imbarcazione sulla quale ci si trova, ma neppure la "correzione di rotta" che sarebbe necessaria per porre rimedio al percorso disastroso (ma non imprevedibile, se si fossero usati correttamente i normali strumenti e tecniche di navigazione) che sta portando un'intera comunità nazionale verso lidi inospitali e indesiderati dalla schiacciante maggioranza dei "passeggeri".
Il problema di una correzione di rotta è, a rigor di logica, proponibile in due principali versioni:
a) quella tracciata (in conseguenza di scelte politiche) aveva come destinazione un "punto" di arrivo che, rivelandosi nel suo progredire, si manifesta come sconveniente e non condivisibile per il benessere, o addirittura la sopravvivenza, dell'equipaggio e dei passeggeri coinvolti, persino per gli sventati ufficiali di navigazione; e ciò a causa delle scelte non ben precisate, e sottaciute in base a una riserva mentale, da un "capitano" autoritario, e sprezzante delle vite che gli sono affidate, che ha dichiarato un certo scopo del viaggio ma che, invece, ne aveva in testa uno diverso e rispondente alla propria esclusiva convenienza:
e però, scopre che la meta effettivamente in vista all'orizzonte non è neppure quella che si attendeva nella sua"riserva mentale";
b) la rotta tracciata era prefissata da regole di "navigazione" che corrispondevano alle "tratte" predeterminate per cui quell'armatore aveva un'autorizzazione/concessione da parte delle legittime autorità, - e quindi corrispondeva a uno scopo che poteva legittimamente indurre equipaggio e passeggeri ad imbarcarsi, conoscenso in anticipo il "normale" punto di destinazione-, ma l'incompetenza e la negligenza del capitano e degli ufficiali addetti alla navigazione, ha condotto la nave irrimediabilmente fuori della tratta di navigazione legale (secondo le norme che l'armatore e il capitano erano tenuti a rispettare).
2. Ebbene, la mancanza di chiarezza attuale, è, a mio modesto avviso, riconducibile alla concomitanza, disorientante, di entrambe le ipotesi.
Si è trattato finora, infatti, di un viaggio che appariva regolarmente previsto come "tratta" normativamente autorizzata, - quella verso il benessere e la pace e la giustiza tra la Nazioni (art.11 Cost.), che sarebbero state garantite tramite l'adesione all'UE e alla moneta unica-, ma che, in modo occulto, se ne discosta, in quanto coperto dalla totale noncuranza verso la compatibilità delle nuove regole (di direzione e scopo della navigazione ritenuti di interesse generale), con quelle precedenti; regole mai abrogate (finora) e, anzi, tali da consentire "nuove" tratte solo a condizione che quelle comunque "ulteriori" fossero anch'esse finalizzate al perseguimento di quello stesso interesse generale, al benessere e alla sopravvivenza di equipaggio e passeggeri, fissato dalle più importanti norme di navigazione precedenti.
Alla fine, dunque, il viaggio sta svolgendosi su una rotta che simulava, anche per incautela di chi l'aveva formalmente autorizzato, il rispetto della legalità "superiore" (che pure giustificava la legittimazione e lo sforzo collettivo per infrastrutturare cantieri navali, porti e sistemi di capitaneria, dogana, reclutamento del personale, vendita di biglietti ai passeggeri), ma che, in concreto, è divenuta un dissimulato viaggio libero da fini di interesse generale, e per di più a destinazione ignota, persino al "capitano" e all'armatore che, intenzionalmente, hanno ingannato marinai e passeggeri; e che non sono neppure giunti ad ottenere quel vantaggio, occultato, che si erano ripromessi per se stessi (p.4)
3. Se la situazione di confusione è stata esposta in modo sufficientemente chiaro, con la metafora dell'intreccio dissimulato e ingannevole delle due ipotesi, ora ci troviamo di fronte a due problemi:
4. Ora, se pure la mia inclinazione a spiegare la "complessità" possa risultare in spiegazioni....complesse (ma sto constatando che c'è sempre più gente "comune" che le trova, ormai, comprensibili), mi pare evidente che il "valore" più importante, cioè quello di vitale importanza per la comunità sociale italiana, sia quello di ripristinare la legalità costituzionale.
Ma per poterlo fare con una minima speranza che ciò, finalmente, dopo decenni di diversi livelli e modalità di sabotaggio perpetrati con alterni successi, possa condurre ad un risultato soddisfacente in termini di benessere e democrazia, occorre anche che, chi è stato compartecipe dell'inganno, sia sostituito non solo da persone che non si prestino più a ripeterne di nuovi e analoghi, ma anche dotate di competenza e diligenza nel saper curare l'interesse democratico e sovrano della nazione, seguendo il quadro dei principi fondamentali della Costituzione.
5. Un quadro che, sul piano delle scelte, può essere riassunto in questa citazione di Mortati propostaci dal prezioso Arturo:
“Del tutto infondato appare,
anche al più superficiale esame, attribuire carattere compromissorio a
tali proclamazioni [di principio dalle quali è da attingere il criterio
di graduazione dei molteplici interessi voluti tutelare], poiché esse
risultano, se considerate nel loro nucleo essenziale, espressione
univoca e coerente, in ogni loro parte, della volontà della grande
maggioranza dell’Assemblea (8)”
Nota 8: “Jemolo, op. cit., p.
15 si è domandato quale classe politica rifletta, e quali aspirazioni
di questa classe politica assecondi la Costituzione (con riferimento
all’ opinione secondo cui questa si informerebbe al pensiero
cristiano-sociale). Esatto quanto ritiene l’ A. che questo pensiero non
abbia linee che valgano a dargli una vera fisionomia propria. Ma è vero
che sussista tale ispirazione? Se alla concezione cristiana si voglia
ricondurre il profondo motivo espresso dalla Costituzione essa deve
essere intesa in un largo senso, non collegandola all’origine storica ed
all’elaborazione dogmatica, in un senso analogo cioè a quello messo in
rilievo da un noto saggio del Croce. Calata nella realtà di oggi
quella concezione trova la sua più autentica espressione negli ideali
del socialismo. Ed è a questa realtà che la nostra Costituzione ha
voluto adeguarsi.” (C. Mortati, Considerazioni sui mancati
adempimenti costituzionali Aa. Vv., Studi per il ventesimo anniversario
dell’Assemblea Costituente, Vol. IV, Vallecchi, Firenze, 1969, pp. 468).
6. Sul piano dei contenuti che devono connotare le scelte di ripristino di questa legalità, di questo Spirito di unità nazionale e di autentico patriottismo, che vide così concorde ("univoche e coerenti") in una nobile "intenzionalità", il nostro Potere Costituente (che deliberò sempre con schiaccianti maggioranze, compartecipi di tutti i partiti di "massa" dell'epoca), questi contenuti sono ricavabili "a contrario" da queste parole di Carli (G. Carli, Cinquant’anni di vita italiana, Laterza, Roma-Bari, 1996 [1993], pagg. 14-17), che ci offrono, (sempre grazie ad Arturo), lo schema paradigmatico delle riserve mentali e delle (interessate) ri-narrazioni a posteriori, che hanno alterato e contraffato la vera essenza del momento "costituente" indicataci da Mortati (come uno dei più autorevoli e competenti interpreti "autentici" delle vicende Costituenti), e che, dunque, hanno poi giustificato (fino al "vincolo esterno") le "ipotesi di rotta dissimulata" che hanno, costantemente, tentato il sabotaggio della legalità costituzionale:
“La Costituzione è il punto di intersezione fra la concezione
cattolica e la concezione marxista dei rapporti tra società ed economie,
tra società e Stato. Le accomuna il disconoscimento del mercato in
quanto istituzione capace di orientare l’attività produttiva verso il
conseguimento degli interessi generali e la individuazione nello Stato
dello strumento più idoneo per orientare la produzione all’interesse
generale.
La presenza della «terza cultura», quella di Luigi Einaudi, ha lasciato tracce meno profonde nell’impianto costituzionale.
Tra esse riveste primaria importanza l’articolo 81, nel quale Einaudi,
confortato dal consenso di Ezio Vanoni, Pella ed altri democristiani,
vedeva garantito il principio del bilancio in tendenziale pareggio.
In
realtà, l’automatismo che si riteneva di aver istituito poggiava su un
errore concettuale. A quei tempi infatti si pensava che eventuali spese
aggiuntive per la pubblica amministrazione potessero derivare soltanto
dall’ istaurazione di nuove leggi. Per questo, l’obbligo di indicare la
fonte della copertura per una spesa venne estesa soltanto alle leggi di
nuova istituzione. Non si immaginava che la tumultuosa e improvvisa
crescita della legislazione sociale degli anni Settanta avrebbe fatto sì
che le maggiori spese derivassero piuttosto dal bilancio stesso, dalla
forza inerziale della spesa autorizzata da leggi a carattere
pluriennale, e quindi dall’impianto della legislazione vigente che si
trova al di fuori del vincolo di copertura.
L’errore concettuale deriva dal fatto che Einaudi e Vanoni avevano a quei tempi esperienza di uno Stato rigorosamente «minimo».
Anche il rinnovo dei contratti per i pubblici dipendenti era un atto
unilaterale dell'amministrazione, e non il frutto di un negoziato con i
sindacati.
...
Einaudi, l’inflazione e i comunisti. Perché la parte
economica della Costituzione è sbilanciata a favore delle due culture
dominanti, cattolica e marxista?
Forse per prudenza, forse per caso, De
Gasperi ed Einaudi avevano costruito in pochi mesi una sorta di
«Costituzione economica» che avevano posto però al sicuro, al di fuori
della discussione in sede di Assemblea Costituente. Saggiamente, ad
esempio, Einaudi aveva evitato che si facesse menzione della Banca d’
Italia nel testo costituzionale. E fu una fortuna, se si pensa che
alla Costituente si valutò l’ipotesi di affidare la vigilanza sul
sistema del credito all’Iri piuttosto che all’istituto di emissione.
La
«Costituzione economica» fu il coronamento della cosiddetta
«stabilizzazione della lira» e in qualche modo ne rovesciava i
contenuti. Ebbi modo di discutere con Donato Menichella ciò che accadde
nei mesi tra l’autunno del 1946 e la fine del 1947. La convinzione che
Menichella aveva maturato è che Einaudi prima dell’agosto 1947, avesse
lasciato deliberatamente correre il credito bancario, che andava a
finanziare accaparramenti di merci, importazioni di beni e di consumo
e, ovviamente, aumenti dei prezzi. Contemporaneamente, Einaudi consentì che il Tesoro utilizzasse a piene mani lo strumento della monetizzazione del disavanzo,
giustificata pubblicamente nelle Considerazioni finali del maggio 1947,
nelle quali fece il gioco delle domande retoriche, «avrebbe potuto il
governatore...?»."
"Einaudi favorì la galoppata dell’inflazione, perché era impossibile
attuare una politica di spesa pubblica (non vi erano i fondi in
Tesoreria) e perché egli non condivideva politiche keynesiane. Un’ondata
di liquidità sospinse una ripresa economica, inflazionistica, e forse
contribuì ad evitare la rivoluzione armata comunista.
Einaudi sapeva
di giocare con il fuoco. Attuò quella politica per pochi mesi, in una
situazione di vuoto giuridico e istituzionale primordiale, hobbesiana.
L’inflazione fu lo strumento per far accendere gli spiriti vitali
dell’economia e riattivare impianti industriali i quali, secondo
Einaudi, non avevano affatto subito distruzioni irreparabili dalla
guerra. Questa situazione di caos primigenio consentì di polverizzare l’indebitamento che lo Stato italiano si portava dietro.
Poi, all’improvviso, Einaudi promosse un’azione di segno esattamente
opposto con strumenti distribuiti a tutti i livelli normativi.
1)
Fece nascere il Comitato per il credito e il risparmio che sottrasse al
sistema liquidità con l’istituzione delle riserve obbligatorie. La
Fiammata inflazionistica si spense in pochi mesi, manifestando così la
sua origine strettamente monetaria. Einaudi aveva fatto sfogare
l’inflazione repressa, per poi stroncarla con uno strumento di controllo
quantitativo della moneta che avrebbe dovuto tenerla a bada per sempre.
2)
Dopo aver finanziato lo Stato con l’emissione di moneta, promosse il
decreto 7 maggio 1948, n. 544, con il quale si proibiva la pratica delle
anticipazioni straordinarie, e si istituiva un semplice strumento che
consentiva elasticità di cassa, ma che poneva un freno ad una politica
sistematica di monetizzazione del debito.
3) Promosse l ’approvazione
dell’articolo 81 della Costituzione per garantire che, in futuro,
l’amministrazione pubblica non si trovasse mai più nella situazione di dover monetizzare il disavanzo.
Il bilancio tendeva al pareggio e garantiva contro future fiammate
inflazionistiche causate da improvvise occorrenze monetarie dello Stato.
4)
Punto di approdo di tutta la strategia, la decisione di aderire alle
istituzioni monetarie internazionali con una lira non più destinata a
una spirale di svalutazioni continue.
5) Einaudi volle infine che una
buona legge come la legge bancaria del 1936 fosse mantenuta al centro
dell’ordinamento finanziario, con alcune interpretazioni innovative.
Infatti, l’impianto concettuale del lavoro di Beneduce e Menichella
rispondeva a preoccupazioni di carattere patrimoniale, e di tutela dei
depositanti. Essa venne, invece, piegata ad una nuova interpretazione, anche macroeconomica.
Il legislatore aveva attribuito alla Banca d’Italia il potere di
introdurre limiti quantitativi all’espansione del credito bancario, ma
era estranea allo spirito della legge la concezione secondo la quale il
credito bancario produce l’espansione della moneta, e dunque dei
depositi."
"Si trattava di una strategia magistrale in difesa dello «Stato minimo» borghese, con un’alternanza di manovre che oggi diremmo di «stop and go», che attuò una sorta di primo divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia. Tuttavia, era una strategia extra costituzionale, nata e gestita tra la Banca d’Italia e il governo, e dunque legata a una dialettica istituzionale propria di uno Stato borghese, che non avrebbe retto ai mutamenti dei decenni successivi.
Le
forze propulsive che hanno spinto l ’evoluzione della società italiana
nel corso dei decenni successivi si sono costantemente ispirate al solidarismo cattolico e al collettivismo marxista. Dal loro intreccio ha ricevuto impulso la politica della gratuità delle prestazioni pubbliche. La
nostra adesione alle istituzioni internazionali, alla Cee in
particolare, ha costituito un freno, abbastanza forte da condizionare ma
non tanto forte da impedire l’allargamento della presenza pubblica
nell’ industria, l’adozione di comportamenti inflazionistici.”. (G. Carli, Cinquant’anni di vita italiana, Laterza, Roma-Bari, 1996 [1993], pagg. 14-17).
Dove si vede come anche Carli non
avesse capito quanto avesse contato, in termini pratici, il ripudio del
liberismo e del neo-liberismo (inclusivo della teoria quantitativa della moneta nelle proposizioni di Einaudi e gli ordoliberisti),
avvenuto in Costituzione.
Ripudio che non aveva nulla a che fare
con l'avversione alla libera iniziativa economica privata, come dà
invece ad intendere l'Amato di cui sopra, confondendo, come sempre,
l'equilibrio keynesiano di domanda e offerta aggregate, con quello
marginalista -marshalliano, fondato sulla generalizzazione
dell'equilibrio prezzi-costi marginali della singola impresa.
E
tutto questo, dato che alle "fantasie" storico-economiche degli
ordoliberisti sfugge che la "lievitazione" del settore industriale
privato italiano fu dovuta all'immediato e robusto sostegno
all'occupazione e alla domanda dato dalla grande, e amplificata,
industria pubblica.
8.1. Le politiche deflattive di Einaudi non
c'entrarono molto: semmai, - nella consueta ossessione per la
competitività e per le riserve di valuta pregiata, trascinatasi dai
tempi in cui acclamava il fascismo-, acuirono il conflitto sociale,
consentendo un rafforzamento del partito comunista rispetto alla
situazione di prevalenza dei socialisti in Costituente.
Lo stesso Carli cadeva in questo equivoco: scambiare Rosa Luxemburg per Stalin (nonostante gli avvertimenti di Caffè e Lelio Basso).
Tutt'oggi
questa è la vulgata prevalente che infiora le "ricostruzioni"
espertoniche ordoliberiste di destra (dov'è un mantra fisiologico, oltre
che esercizio di ignoranza dei dati normativi e macroeconomici), ma più
che altro di sinistra. Naturalmente sognatrice e €uropeista.
E pensare che basta una lettura dei documenti dell'epoca per chiarire l'"equivoco".
Per esempio sulla relazione della Presidenza della Commissione per lo studio dei problemi del lavoro del Ministero per la Costituente, un documento ripetutamente citato nei lavori dell'Assemblea, leggiamo:
“Fu
esattamente detto che ad ogni forma di economia corrisponde un regime. E
tutte le Sottocommissioni sono state unanimi, perciò, nell’auspicare
che la nuova Carta costituzionale contenga almeno quei primi principii
che, riconosciuto il lavoro come elemento della organizzazione sociale
del popolo italiano, traccino le direttive della legislazione futura in
materia di lavoro, in guisa tale che la dignità della sua funzione, la
sua più ampia tutela ed ogni possibilità futura di sviluppo della sua
posizione nell’ordinamento sociale siano assicurate.
Si è già
rilevato che la Commissione ha considerato il lavoro come uno degli
elementi ma non come il solo elemento rilevante della organizzazione
economica e sociale. Da ciò bisogna dedurre il riconoscimento della
proprietà privata dei mezzi di produzione, e quindi una tuttora
persistente funzione del capitale privato nel processo produttivo.
La
Commissione, nel suo complesso, tenuto anche conto delle risposte al
questionario e degli interrogatorii, si è orientata verso un sistema
eclettico che comprende così il principio della «sicurezza sociale» come
quello del «pieno impiego», recentemente affermatisi in America ed in
Inghilterra, con decisiva tendenza verso ogni forma di benintesa
cooperazione.
La possibilità di occupazione nella attuale
situazione non può essere creata che da una politica di spesa pubblica e
da una politica di lavori pubblici. L’orientamento teorico della
Commissione, come risulta anche dalla relazione della Sottocommissione
economica, è volto verso le teorie della piena occupazione, in quanto
essa risulti attuabile nel nostro sistema di produzione, teorie che
stanno alla base dei piani Beveridge e consimili. La relazione
rappresenta perciò una indicazione di politica economica che corrisponda
alla realizzazione del principio giuridico del diritto al lavoro.”
L'autore peraltro era un comunista. A conferma di quella convergenza attorno al lavoro di cui parlava Mortati.