1. E dire che nel 2008 la cosa era già abbastanza chiara.
Ma come tutte le grandi "soluzioni" €uro-federali, fu perseguita con grande entusiasmo fino ad arrivare alla prospettiva di "policy-induced crisis" attuale (che è poi, in soldoni, un ital-tacchino da spennare prima di infornarlo).
Con queste reazioni tardive, a tacchino già sotto la mannaia:
BANCHE, ROMA E PARIGI CONTRO IL NUOVO "CUSCINETTO" PATRIMONIALE: "Ancora una volta c'è il rischio concreto di nuovi paletti per i bilanci delle banche sistemiche europee...la richiesta è di non appesantire con nuovi fardelli patrimoniali la legislazione già stringente sulle banche....Dunque sono due i richiami firmati anche dall'Italia: 1) calibrare l'intervento evitando di generare instabilità (policy induced crisis); 2) mantenere parità di condizioni con gli operatori internazionali, evitando svantaggi competitivi alle banche UE, per esempio nell'emissione di bond...Da parte sua Bruxelles prova a smorzare le polemiche, ma i toni non sono promettenti..."
Con queste reazioni tardive, a tacchino già sotto la mannaia:
A) Padoan: euro è finito se Germania non condivide rischi https://t.co/GnsQa6bUGh via @wallstreetita— Paolo (@b_baolo) 6 giugno 2016
BANCHE, ROMA E PARIGI CONTRO IL NUOVO "CUSCINETTO" PATRIMONIALE: "Ancora una volta c'è il rischio concreto di nuovi paletti per i bilanci delle banche sistemiche europee...la richiesta è di non appesantire con nuovi fardelli patrimoniali la legislazione già stringente sulle banche....Dunque sono due i richiami firmati anche dall'Italia: 1) calibrare l'intervento evitando di generare instabilità (policy induced crisis); 2) mantenere parità di condizioni con gli operatori internazionali, evitando svantaggi competitivi alle banche UE, per esempio nell'emissione di bond...Da parte sua Bruxelles prova a smorzare le polemiche, ma i toni non sono promettenti..."
2. Stiamo parlando di un libro di Stiglitz (et alt.) del 2008, "Stabilità non solo crescita", che, forse perché recensito e promosso prima dell'ubriacatura mediatica che ha reso l'euro, e il suo contorno di soluzioni "irrinunciabili", un totem del quale si ha, a livello mediatico-espertologico, persino paura di "pensare" una critica, poteva segliere una promozione (on web) di questo tenore:
"Il volume è la sintesi più limpida e perentoria delle posizioni che oppongono i rappresentanti di Initiative for Policy Dialogue - economisti come Stiglitz, ma anche politologi, scienziati sociali e rappresentanti della società civile di tutto il mondo - alla visione che essi definiscono semplifìcatoria e integralista del Washington Consensus, ben rappresentato dal Fondo monetario internazionale, dalla Banca mondiale e dal Tesoro Usa. Le politiche decisamente neo-liberiste che mirano a raggiungere un regime di bassa inflazione attraverso rigore fiscale, privatizzazioni e liberalizzazioni ispirate dal Washington Consensus - hanno in alcuni casi permesso e stimolato la crescita, ma mostrano ogni giorno di più i loro limiti, portando interi paesi e persino continenti ad affrontare periodi di stagnazione, crisi e recessioni. Joseph Stiglitz e gli altri scienziati contestano radicalmente la tesi che i mercati per natura si autocorreggano, allocando efficientemente le risorse e servendo bene l'interesse pubblico. Lavorare con saggezza e lungimiranza ponendosi come primo obiettivo la stabilità (non solo dei prezzi), funzionale a una crescita più equa ed equilibrata è la ricetta forse poco brillante ma estremamente seria per combattere efficacemente disoccupazione, povertà e disuguaglianza, mali che le leadership di fine ventesimo secolo davano per superati se non completamente debellati".
3. Nel 2008, insomma, si poteva ancora dire che il Washington Consensus portava interi paesi e interi continenti alla stagnazione, alla crisi e alla recessione: forse, lo si poteva dire perché non si era ancora fatto, nell'opinione pubblica, quel collegamento di tale paradigma economico con l'euro che, invece, risaliva al "federalismo" einaudiano (v. pure l'addendum). Il sogno e la grande "protezione" dell'euro, al tempo, erano dunque ancora salvi e circondati dal "patto del silenzio" che ancora affligge la nostra offerta politica...
Ma veniamo alla parte interessante.
Il libro, alle pagine 80-82, "sembra" svolgere una rassegna di varie teorie ma, in realtà, mediante la semplice e imparziale attendibilità scientifica, finisce per formulare un'involontaria quanto accurata profezia: Stiglitz, cioè, fornisce, con 7-8 anni di anticipo, una precisa descrizione "fenomenologica" dell'evoluzione della crisi dell'eurozona, culminata nella fase della geniale Unione bancaria che, in effetti, era stata acclamata trionfalmente dai nostri massimi esponenti di governo:
4. Vi riporterò, dunque, più sotto, il testo delle pagine in questione, partendo dalle premesse relative alla teoria di Barro sulla politica fiscale e, in particolare, sull'effetto del deficit pubblico, teoria che tanto piace ancora oggi in Italia: la famosa, e già vista (sub: "nuova macroeconomia classica" di cui Barro è protagonista insieme a Lucas e Sargent), equivalenza ricardiana, basata sulle "aspettative razionali". La bio di Barro, interessante come radiografia del percorso di un fisico che non si sentiva di arrivare al "top" nel suo campo, ci lascia intravedere un recente e, in apparenza, sorprendente mutamento di interessi: "nell'ultima decade, Barro ha iniziato a investigare l'influenza della religione e della cultura popolare sulla politica economica lavorando insieme alla propria moglie, Rachel McCleary", nota filosofa-sociologa.
Come vedete, il tecnicismo matematizzante vira al "pop" per sua naturale, direi inevitabile, vocazione.
Da notare che, purchè non fosse istituito alcun collegamento con l'euro e il sogno europeo, e quindi con le politiche imposte dalle istituzioni €uropee, come Commissione e BCE, nel 2008, si poteva tranquillamente affermare che la storia del moltiplicatore fiscale non funzionasse proprio come ancora oggi "compattamente" si sostiene (sempre nell'avanzatissima e "colta" Italia).
Noterete, ancora, che, proprio a seguito della moneta unica e delle connesse politiche economiche, ormai di lungo termine, instauratesi in UEM, riprende vigore, nelle evidenze empiriche, un moltiplicatore proprio dei paesi in via di sviluppo. Come pure che il Washington Consensus, imposto via FMI e WB, esclude il ricorso alla spesa pubblica in quei paesi e li vincola, in definitiva, alla emigrazione (qui, p.2.4).
Esiste perciò una perfetta complementarità equalizzatrice tra il trattamento riservato ai popoli €uropei e quello programmato, già nella loro terra di origine, per i "migranti" dai paesi più disagiati.
5. Eccoci dunque al testo:
"Come già si è notato, i critici della politica fiscale indicano spesso nelle "azioni compensative" la causa principale dell'inefficacia delle politiche fiscali. Secondo il loro punto di vista, il settore privato reagisce alla politica fiscale in modo da annullarne l'effetto. Supponiamo ad esempio che il governo riduca le imposte per stimolare il consumo: secondo i conservatori, se il taglio delle imposte determina un disavanzo fiscale, le famiglie se ne renderanno conto, capiranno che un giorno dovranno rimborsare questo debito e aumenteranno il risparmio anziché il consumo. In questo caso, il taglio delle imposte non stimola l'economia".Aggiungiamo: non la stimola specialmente se tale ragionamento è indotto dalla istituzionalizzazione, con norma costituzionale di derivazione europea, del pareggio di bilancio. E ciò dato che, in condizioni "ordinarie", una previsione che induca a "azioni compensative", dipende dalle aspettative non tanto di calcolo economico "razionale", ma relative al futuro indirizzo politico (ove questo sia libero e non "vincolato" in eterno) che, a sua volta, è indotto da fattori mediatico-culturali e accademici: cioè in definitiva, a livello di successivo orientamento elettorale probabile, peraltro idraulicamente inducibile dalla cornice tecno-pop offerta dal frame-spin mediatico.
Ma proseguiamo:
"Questo ragionamento, noto come ipotesi di Barro-Ricardo, implica (nella forma forte) che i disavanzi non hanno alcuna importanza e alcun effetto sui tassi di interesse, poichè l'incremento del debito pubblico genera in contropartita un incremento del risparmio privato che è esattamente uguale a quello del debito e lo controbilancia......Le assunzioni da adottare perché valga l'ipotesi di Barro-Ricardo sono formalmente restrittive. Per esempio, l'analisi di Barro-Ricardo presuppone che le imprese o le famiglie siano soggette a vincoli di credito o di cassa. Inoltre, il peso dell'evidenza empirica depone contro l'ipotesi2.
6. E veniamo allora alle alternative "attendibili":
"La prospettiva keynesiana: perché la politica fiscale è efficace.
La teoria keynesiana convenzionale afferma che la spesa pubblica (o le riduzioni di imposta), portano a un incremento del PIL che è un multiplo della spesa pubblica originaria. Quasi tutto il denaro speso dalla pubblica amministrazione viene a sua volta speso, e quanto più ne viene speso tanto maggiore è il moltiplicatore. Se i tassi di risparmio sono molto bassi, come sono spesso nei paesi molto poveri, i consumi assorbiranno una quota molto elevata del denaro speso dalla pubblica amministrazione, e il valore del moltiplicatore sarà particolarmente alto; la spesa pubblica sarà particolarmente efficace. Al contrario, nell'Asia orientale (ndr; parliamo dell'esempio giapponese), dove i tassi di risparmio erano molto alti, il valore del moltiplicatore sono stati alquanto più bassi che altrove...Si noti il contrasto tra l'ipotesi di Barro-Ricardo - la quale afferma che tutto il reddito addizionale verrà risparmiato- e il modello keynesiano tradizionale. Secondo l'ipotesi la spesa pubblica non genera alcuno stimolo (il valore del moltiplicatore è zero).7. "La prospettiva eterodossa: perché la politica fiscale può essere particolarmente efficace, specie nei paesi in via di sviluppo.
L'esperienza dimostra che in realtà i tagli fiscali stimolano il consumo, a condizione che a beneficiarne siano coloro che non hanno accesso al credito".
E qui inizia il "bello", riferibile alla situazione italiana dove imprese, e lavoratori sempre più precarizzati, per l'appunto, non hanno accesso al credito mentre dilaga il credit crunch, per le ragioni che stiamo per vedere. Con tutta una serie di fenomeni e di effetti della spesa pubblica che ci avvicinano ormai ai paesi in via di sviluppo, specialmente allorchè l'offerta nazionale sia composta in modo consistente da PMI (per cui: SVEGLIA!):
"E' inoltre provato che molte famiglie e imprese sono soggette a restrizioni creditizie e di cassa, specie nei paesi in via di sviluppo. Queste famiglie e imprese spenderebbero di più, se potessero farlo: se pertanto il governo riducesse le imposte gravanti su questi soggetti, tutto l'incremento di reddito verrebbe speso. In altre parole, la propensione marginale al consumo di queste famiglie e imprese è uguale a 1...Naturalmente, una parte del denaro speso andrà a individui (proprietari di case, negozianti, ecc.) che non la spenderanno a loro volta interamente. Ma il punto importante è che nei paesi in via di sviluppo il moltiplicatore può essere particolarmente elevato.Quando la disponibilità di liquidità o di credito delle imprese è soggetta a restrizioni, può agire anche un acceleratore finanziario. L'aumento della spesa pubblica accresce i profitti delle imprese. E quando le imprese sono soggette a restrizioni di liquidità o di credito tendono a spendere in investimenti tutto, o quasi tutto, il reddito addizionale.
Per di più, il valore del capitale proprio aumenta in previsione di un rafforzamento dell'economia, agevolando l'accesso delle imprese al credito. [ndr: ovviamente, il meccanismo funziona anche in senso inverso: taglio della spesa pubblica, id est. riduzione vincolata del deficit-debito pubblico, => diminuzione dei profitti=> devalorizzazione del capitale aziendale=> minor accesso al credito=> caduta degli investimenti=> chiusura dell'impresa]A PROPOSITO: L'AUMENTO DELLA DOMANDA, INDOTTO DALL'AZIONE FISCALE CHE INCREMENTA LA SPESA PUBBLICA, PRECEDE E NON SEGUE GLI INVESTIMENTI DELLE IMPRESE. Com'è logico che sia, nel buon senso degli operatori "ragionevoli".
L'incremento dell'investimento così stimolato, può essere un multiplo dell'originario incremento del cash flow dell'impresa - e l'incremento dell'investimento può a sua volta dare origine a un incremento moltiplicativo del Pil".
8. Fantastico no? Appare una ricetta relativa a tutte le cose CHE NON SI POSSONO/DEBBONO FARE RIMANENDO NELL'EURO, e che propone una soluzione, ragionevole ed empiricamente dotata di evidenza, a tutte le sempre più drammatiche lamentele del nostro sistema di PMI. Cioè della parte più importante tout-court, - sia per varietà di filiere-competenze che promuove e preserva, sia dal punto di vista occupazionale potenziale-, del nostro sistema industriale nazionale:
"Rispetto ai paesi sviluppati, è probabile che nei paesi in via di sviluppo le imprese siano più soggette a restrizioni di cassa o creditizie."
9. Ma attenzione, nella prosecuzione dell'esposizione del libro, tra parentesi (e lo enfatizzo in caratteri molto grandi), arriva la sintesi profetica che rende perfettamente l'idea del perché gli interessi delle PMI e quelli della grande industria, finanziarizzata (cioè moooolto meno soggetta alla restrizione creditizia) divergano radicalmente nell'attuale situazione: cioè dentro l'euro. Con conseguenze "politiche" finora inesplorate:
"Una quota elevata del prodotto dei paesi in via di sviluppo è opera di imprese di piccole e medie dimensioni (PMI), particolarmente soggette a restrizioni creditizie (le PMI risultano per altro soggette a tali restrizioni anche nelle economie industrializzate avanzate). Nei paesi in via di sviluppo raramente i mercati azionari funzionano a dovere, cosicché per le imprese è difficile procurarsi nuovo capitale. (Durante una recessione è difficile ottenere nuovo credito anche nei paesi industriali avanzati).
In certi paesi, come nell'asia orientale, dove funzionano efficienti mercati dei capitali di prestito, l'indebitamento è sistematicamente limitato a un quota del capitale proprio, - una scelta prudenziale del debitore quanto del prestatore. Ne consegue che un aumento del capitale proprio (risultante da un aumento delle vendite effettive e attese), consente alle imprese di aumentare la propria quota di indebitamento". [Ndr: IN DIPENDENZA DI UN AUMENTO DELLA SPESA PUBBLICA perché tale è il caso affrontato dal libro di Stiglitz con riguardo al c.d. acceleratore finanziario]
10. E non basta: il parallelismo tra una situazione come quella italiana nell'euro e la politica di crescita auspicabile nei paesi in via di sviluppo, non si ferma qui.
Entriamo in un campo di evidenza ancora maggiore, che fotografa, con tragica esattezza, come il "vincolo" dell'Unione bancaria e del bail-in sia quanto di più lontano dalle politiche e dalle misure che si attagliano all'economia italiana, considerando che la discesa dei profitti delle imprese e l'erosione del capitale delle banche, sono due facce della stessa medaglia: l'austerità a monte della recessione deliberatamente indotta per correggere il deficit con l'estero e di competitività, italiani, al solo fine di rimanere dentro l'euro, contro ogni logica:
Entriamo in un campo di evidenza ancora maggiore, che fotografa, con tragica esattezza, come il "vincolo" dell'Unione bancaria e del bail-in sia quanto di più lontano dalle politiche e dalle misure che si attagliano all'economia italiana, considerando che la discesa dei profitti delle imprese e l'erosione del capitale delle banche, sono due facce della stessa medaglia: l'austerità a monte della recessione deliberatamente indotta per correggere il deficit con l'estero e di competitività, italiani, al solo fine di rimanere dentro l'euro, contro ogni logica:
"Vi è ancora un altro acceleratore che può risultare importante nei paesi in via di sviluppo. Se i profitti delle imprese aumentano per effetto della accresciuta domanda [ndr: da spesa pubblica, cioè anche spesa per consumi e assunzioni di odiatissimi pubblici dipendenti], aumenta la loro capacità di rimborsare i prestiti bancari in essere. Il miglioramento della posizione finanziaria delle banche consente loro di espandere il volume dei prestiti: e l'accresciuta disponibilità di capitale determina a sua volta l'espansione della produzione".
11. Prosegue quindi l'estratto dal libro:
"Più recentemente, è divenuto avvertibile un altro grande vantaggio della politica fiscale, che può aiutare a superare un ampio acceleratore negativo, innescato, paradossalmente, dalle politiche cautelative delle banche.
Durante una recessione, i profitti delle imprese possono scendere fino al punto da renderle inadempienti nei confronti delle banche prestatrici, con la conseguenza che l'adeguatezza del capitale di queste ultime può scendere al di sotto del livello richiesto dalle regolamentazioni prudenziali.
A questo punto le banche devono raccogliere una maggior quantità di capitale oppure ridurre i prestiti. Ma raccogliere capitale in tali frangenti è molto difficile (o molto costoso), cosicché le banche sono costrette a tagliare il volume dei prestiti".
12. E qui arriva la visione profetica in tutta la sua nitidezza (cioè esattamente quello che oggi "non vogliono capire" e, se non lo vogliono capire, vuol dire che non possono/vogliono risolvere):
"Tuttavia le autorità bancarie possono assumere un atteggiamento tollerante, ossia lasciare che le banche continuino a operare benché sottocapitalizzate. Se si consente alle banche di continuare a operare in tali circostanze, le autorità responsabili devono controllarle per impedire che concedano prestiti troppo rischiosi o addirittura predatori nei confronti delle banche, il che pone i problemi classici dell'azzardo morale.
In assenza di tolleranza da parte delle autorità bancarie, la caduta del prestito riduce sia la domanda che l'offerta aggregata, provocando un calo del Pil".
13. E la descrizione che precede, che ci dovrebbe essere assai famigliare, rende evidente quanto possa essere demenziale, per un paese che al momento dell'adesione all'Unione bancaria era in piena recessione, il sottoporsi ad un sistema che priva le autorità bancarie di un'effettiva discrezionalità, prevedendo degli indici di capitalizzazione rigidi (ed elevati) con sanzioni praticamente automatiche; tra l'altro, a carico di correntisti e debitori anche non già insolventi, (cioè sempre imprese e famiglie), cui vengono imposti, rispettivamente, la partecipazione alle perdite determinate dall'insolvenza e il "rientro" immediato. E tutto ciò, se non si vuole incorrere in procedure di infrazione per "aiuto di Stato", laddove appunto si volesse invece intervenire (sempre con spesa pubblica, ma "tardiva", a tacchino spennato) nella ricapitalizzazione o nell'acquisto delle sofferenze...provocate dalle politiche fiscali conservative dell'euro.
14. Insomma, siamo passati dalla recessione indotta per via fiscale, che ha prodotto diminuzione di consumi, investimenti e occupazione, all'inevitabile conseguenza dell'insolvenza debitoria diffusa; quindi, come effetto della regolazione bancaria (sempre conservativa dell'euro), all'amplificazione della diffusa insolvenza di imprese e famiglie, unita ad un inasprimento ulteriore della stretta creditizia, da cui stagnazione e output gap; e il tutto determinato dalla regolazione stessa.
E siamo sempre immersi in politiche di bilancio in pareggio, che impongono il taglio della spesa pubblica e l'aumento delle imposte. Un consolidamento fiscale, in vista del pareggio di bilancio, che, prima o poi (l'impegno non è né rinunciabile, nè smentito), dovrebbe inevitabilmente ritornare a livelli tali da riportare il Paese in recessione.
A proposito: qualsiasi tipologia di spesa pubblica induce la crescita di reddito e spese e quindi consente alle imprese di aumentare il valore del capitale e di effettuare gli investimenti: "privati" e in funzione della "accresciuta domanda", (che significa "un aumento delle vendite effettive e attese", cioè della spesa delle famiglie).
Tutto il contrario di quello che si invoca...pur di poter dire che "il problema non è l'euro". Mentre la devalorizzazione del capitale, determinata da caduta dei profitti (cioè dei consumi) e restrizione senza fine del credito (che prolunga la caduta degli investimenti), portano alla €uro-svendita dell'Italia:
Scusssi come è quella che bisogna rimare nell'euro perché ci protegge dalla Ciiiiina? 😉 pic.twitter.com/cIxBKFDhzw— Andrea Mazzalai (@icebergfinanza) 3 giugno 2016
Credo che la prospettiva conflittualista rimane sempre e comunque l'unico metodo analitico che descrive al meglio l'apparente irrazionalità di questo sui-genocidio.
RispondiEliminaVa bene essere stupidi. Va bene essere superficiali. Va bene essere corrotti. Ma la borghesia non può essersi ridotta totalmente ad un branco di lemming livorosi.
Essendo molto coinvolto dal dibattito, mi viene naturale fare osservazioni che dovrebbero provocare reazioni sulle dinamiche sociali in corso.
Bene, rarissimamente accade che ciò finisca in una discussione e - ancora più di rado - che mi venga chiesto un qualche consiglio di lettura, di approfondimento sull'attualità. Anche solo un chiarimento. One way. Ascolto, e prendo appunti...
Le persone che, di media, mostrano più apertura, sono le persone meno istruite.
Prima, magari, mi espongono le "loro teorie" che sono perlopiù una combinazione casuale di slogan che rimangono loro appiccicati tra la TV e il bar.
I complottisti che scorazzano in Internet sono generalmente i migliori: chi è disposto a credere ai "rettiliani" è disposto anche a "studiare" e a ribaltare le proprie visioni, fino a provar addirittura a prendere in considerazione che l'economia possa essere una scienza. Questo è un obiettivo raggiungibile, però, solo se i loro riferimenti complottardi non sono già avvelenati dalle "libertà" della scuola austriaca, molto più tossica dell'incomprensibile liberismo neoclassico.
In pratica, però, mi devo sciroppare interminabili minuti di scemenze.
Con la borghesia semicolta, invece, non c'è speranza.
Sanno che finirà male ma non hanno ben chiaro il perché.
Il perché, invece, è ovvio: finiranno male proprio perché non hanno chiaro il perché.
Nel frattempo stanno troppo economicamente bene e sono troppo presi dal loro io, dai logoranti rancori con le ex-mogli, dallo sbarazzarsi a suon di biglietti da 500 dei figli disturbati, semi-delinquenti, o, viceversa, indaffarati per far finire gli studi alla loro prole e a sorvegliarli poliziescamente, in modo che abbiano una vita relazionale normale, magari con una sessualità "etero".
Quando la crisi arriverà anche per costoro, il pianeta non si chiamerà più "Terra".
(Ma ci sarà, miei cari anglosassoni leviatani, un motivo per cui non è stata chiamata da subito "Mare"... vabbè, lasciamo stare considerazioni di carattere esoterico)
E le micro e piccole imprese?
Semplice: non leggono. Lavorano venti ore al giorno e non c'è differenza tra l'azienda e la famiglia.
L'oppressione di una classa sulle altre è sempre razionale. Quindi non può non essere reale.
Ciò che è razionale adesso, può essere controproducente domani.
Ma quel "domani", se sei abbastanza ricco, sarai già morto.
Alle PMI la dignità, l'umiltà, lo spirito di sopravvivenza per comprendere che il "complotto" c'è, ed è più propriamente un piano di guerra. La guerra non convenzionale di una classe sulle altre.
E in guerra tutto è permesso e la si vince definitivamente quando almeno un terzo della popolazione maschile viene sterminata. A quel punto la nazione, e i gruppi sociali soccombenti, vengono divelti dalla Storia.
Il mito dell’equivalenza ricardiana - ovvero che il ricorso al deficit verrebbe compensata dall’aumento del risparmio privato (per pagare imposte future), sterilizzando la politica fiscale – fa il paio con l’altra bufala della “austerità con effetti espansivi” la quale - valorizzando ancora una volta la funzione del “risparmio” - si basa parimenti sulle “ASPETTATIVE RAZIONALI” dei singoli individui: se viene ridotta la spesa pubblica, i cittadini si aspetteranno una futura riduzione delle imposte e quindi aumenteranno i consumi e gli investimenti [nonostante che proprio il FMI non la pensi così “L’idea che l’austerità fiscale possa stimolare la crescita nel breve periodo trova poca conferma nei dati. I consolidamenti fiscali, tipicamente, hanno effetti recessivi nel breve termine sull’attività economica, portando a minore output e maggiore disoccupazione” (FMI, World Economic Outlook: Recovery, Risk, and Rebalancing, Ottobre 2010, 113].
EliminaIl test storico ci dice che tali teoremi non hanno mai funzionato, a differenza delle politiche keynesiane. Questa dovrebbe essere già una verità. Non sarebbe nemmeno da discutere tra persone con qualche grammo di cervello.
I neoclassici hanno però una visione “micro” dell’economia. A loro manca fondamentalmente la visione “macro”: “…altri economisti…erano ansiosi e perplessi di fronte alla gravità raggiunta dal fenomeno della disoccupazione a seguito della fase depressiva iniziatasi nel 1929. Il riesame del 1929 stesso, compiuto da alcuni di essi, portò tuttavia a ribadire le tesi tradizionali sulle sue cause e sui possibili rimedi. In sostanza – veniva affermato - la disoccupazione potrebbe essere eliminata con un ribasso adeguato dei salari; e, in quanto esista in un momento qualsiasi, è dovuta interamente al “continuo verificarsi di variazioni nelle condizioni della domanda di lavoro e all’esistenza di attriti che impediscono una realizzazione istantanea degli opportuni adattamenti salariali”. Ricollegandosi direttamente a queste tesi, Keynes le confuta… In primo luogo, quel che è valido per singole unità economiche, o per settori economici ristretti, non è necessariamente valido per l’economia considerata nel suo complesso…la riduzione dei salari può ben riuscire vantaggiosa per un singolo imprenditore o per una data industria, accrescendo sezionalmente la convenienza ad assumere nuovi operai. Quando però si consideri estesa all’intera massa dei salariati, possono derivarne conseguenze nei prezzi e nei redditi tale da rendere inoperante il supposto rimedio e da aggravare anzi ulteriormente la depressione” (F. CAFFE’, L’economia moderna e l’interventismo pubblico, Ed. RAI, 1956, 16-17]. (Segue)
Da dove nasce questa fiducia dei neoclassici tecno-€uropeisti nelle “aspettative razionali” dei singoli atomi e l’ottusità di una visione micro-economica? Ma certo, dal loro criterio di analisi, da quell’individualismo metodologico corrosivo assunto a dogma.
EliminaIl comportamento dell’homo oeconomicus paretiano è razionale, ma guidato dalla ragione strumentale, ossia: ogni scelta mira a raggiungere il massimo risultato attraverso l’impiego del minimo dispendio di risorse. L’homo oeconomicus valuta le conseguenze delle sue scelte senza considerare gli effetti nei confronti dei terzi, quindi non si pone il problema se quelle scelte fanno bene o fanno male alla collettività. Combina al meglio le risorse scarse disponibili e si preoccupa solo degli effetti che tali scelte provocano su di lui. Per dire, l’imprenditore deve ridurre il salario, precarizzare, licenziare liberamente? Va bene così, massimizza il benessere personale. L’homo oeconomicus è utilitarista.
E se la Legge economica scaturisce dal comportamento “naturale” di ogni singolo atomo, la stessa vale anche per il sistema economico complessivo. Che quindi non può che fallire.
Se non sapessi che sono in mala fede, direi che questi €uroliberisti sono da camicia di forza.
Ecco come un pensiero malato diventa prima teoria economica e poi radicata psicologia collettiva. Altrimenti non si capirebbe cosa in effetti abbiano da spartire con questo sistema soprattutto le PMI che, proprio per ciò, continueranno a dormire.
Ogni guerra è una guerra di classe all'interno di un territorio comune: anche la sua "esportazione" ne è una prosecuzione con altri mezzi. O, se vogliamo "derivare", parafrasando, nel capitalismo la politica è guerra (poi chiamiamola "conflitto sociale", quando non prosegue all'esterno "con altri mezzi": ma la questione è oggi affidata a etichettature formali, in tempmi di guerra non convenzionale, per l'appunto).
EliminaMa allora:
- o finisce, in senso materiale, la classe guerreggiante (non "guerriera", quelli servivano a proteggere la comunità di appartenenza, non a abbrutirla, per quanto poi degenerassero parecchio, a partire dall'età del Ferro);
- o finisce il capitalismo id est: l'oligarchia, specialmente ora che non coincide con la classe che intraprende l'impresa: come si deduce dalla stessa spiegazione di Stiglitz (e già Schumpeter ci aveva elaborato su).
Il punto è sempre lo stesso: poichè entrambe le ipotesi sono puramente logico-teoriche, cioè non realizzate nella Storia, dobbiamo affidarci all'ulteriore ipotesi, obbligata, che, in partenza, sia istituzionalizzato e reso socialmente evidente (si dice "sanzionato"), il fenomeno per cui non si possa accedere, all'interno delle mega-organizzazioni economiche, alla classe che determina il destino degli altri.
Cioè che sia escluso che "uno qualsiasi" ("credici: potresti essere anche tu!") possa avere un giorno la sua rivincita e fare agli altri quello che è stato fatto a lui, unendosi alla schiere di coloro che l'hanno oppresso e giustificando così, in termini remunerativi, l'oppressione subita.
Anti-cristiano, isn't it? Ma è il mercato nel suo splendido e reale funzionamento, bellezza. Il mercato esiste come concetto astratto solo per giustificare le posizioni di rendita e il loro consolidamento.
Solo che il sistema istituzionale non deve mai scriverlo, se ritiene di simulare una democrazia, o anche solo una non "brutale dittatura" (se non è brutale, il discorso diventa sfumato e incerto): in tal modo la Chiesa, ad esempio, può continuare a dire che il mercato, invece, funziona benissimo, fondandosi sulla fratellanza e sulla carità (alludendo sempre a una precondizione implicita: fino a che non ci siano cambi di proprietà a "nostro" danno).
Un modo dei più efficaci, tra l'altro, di distruggere ogni reale fratellanza e disattivare persino la carità, relegandola a fenomeno residuale e irrilevante.
Ora la condizione di guerra è quella normale dell'Essere umano: ci piaccia o no. Il brutto di questa fase è che è solo una guerra fratricida (proprio perché postula l'irrilevanza operativa e sostanziale della fratellanza), e per di più viene dissimulato il principio pseudo-biologico (in realtà sociopatico) in base a cui viene automaticamente intrapresa e proseguita, nonchè i suoi scopi finali.
E siccome siamo arrivati alla uniformazione mondialista del format di questa versione epocale della guerra, non si può porvi fine con l'emerita ca...ta che si crei una reazione mondialista degli oppressi: proprio perché, al di là di altre considerazioni, non si può che perdere accettando come premessa ciò che è lo scopo finale, cioè la vittoria, del nemico.
L'unica possibilità è che chi pensava di poter appartenere alla oligarchia, seguendo la regola (propagandistica) simulata dal sistema, si renda (in massa) conto che in realtà la istituzionalizzazione normativa del "sei relegato immutabilmente nella parte perdente", l'hanno già scritta da un pezzo.
Ma per "leggere" tale scritta, devi perdere tutto ciò che ti faceva illudere di non essere un perdente.
Negli USA, infatti, negli USA, forse, ci stanno arrivando...
Guerra, imperialismo e conflitto tra classi: Lenin e Rosa Luxemburg sull'Unione Europea.
EliminaRipassare non fa mai male: Lenin, 1915
«Gli Stati Uniti del mondo (e non d'Europa) rappresentano la forma statale di unione e di libertà delle nazioni, che per noi è legata al socialismo [cioè, NON al liberoscambismo di Spinelli! ] fino a che la completa vittoria del comunismo non porterà alla sparizione definitiva di qualsiasi Stato, compresi quelli democratici. La parola d'ordine degli Stati Uniti del mondo, come parola d'ordine indipendente, non sarebbe forse giusta, innanzitutto perché essa coincide con il socialismo; in secondo luogo, perché potrebbe ingenerare l'opinione errata dell'impossibilità della vittoria del socialismo in un solo paese e la concezione errata dei rapporti di tale paese con gli altri.»
«Rinunciare alle colonie, alle "sfere di influenza", all'esportazione di capitali? Pensare questo [come eurocomunisti, piddini, sellini, radicali, ndr], significherebbe mettersi al livello del pretonzolo che ogni domenica predica ai ricchi la grandezza del cristianesimo e consiglia di fare dono ai poveri...se non di qualche miliardo, almeno di qualche centinaio di rubli all'anno.
[Genio!, ndr]
In regime capitalistico, gli Stati Uniti d'Europa equivalgono ad un accordo per la spartizione delle colonie. Ma in regime capitalistico non è possibile altra base, altro principio di spartizione che la forza. Il miliardario non può dividere con altri il "reddito nazionale" di un paese capitalista se non secondo una determinata proporzione: "secondo il capitale" (e con un supplemento [l'aumento di produttività a favore dei profitti!, ndr], affinché il grande capitale riceva più di quel che gli spetta). Il capitalismo è la proprietà privata dei mezzi di produzione e l'anarchia della produzione [ovvero privatizzazioni e anarco-liberismo, ndr]. Predicare una "giusta" divisione del reddito su tale base [parla di quota solari? quella compressa da sme ed euro?, ndr] è proudhonismo, ignoranza piccolo-borghese, filisteismo. Non si può dividere se non "secondo la forza". È la forza che cambia nel corso dello sviluppo economico.
[...]
Per mettere a prova la forza reale di uno Stato capitalista, non c'è e non può esservi altro mezzo che la guerra. [...] In regime capitalistico non sono possibili altri mezzi per ristabilire di tanto in tanto l'equilibrio spezzato, al di fuori della crisi nell'industria e della guerra nella politica
Certo, fra i capitalisti e fra le potenze sono possibili degli accordi temporanei. In tal senso sono anche possibili gli Stati Uniti d'Europa, come accordo fra i capitalisti europei... Ma a qual fine? Soltanto al fine di schiacciare tutti insieme il socialismo in Europa e per conservare tutti insieme le colonie accaparrate.
Ecco in forza di quali considerazioni, che sono il risultato di ripetuti esami della questione nella conferenza delle sezioni all'estero del POSDR e dopo la conferenza, la redazione dell'Organo centrale e giunta alla conclusione che la parola d'ordine degli Stati Uniti d'Europa è sbagliata.»
Rosa Luxemburg, "Fogni pacifisti", 1911 [!!!]
Elimina«[...] i compiti dei socialdemocratici [...] non possono che essere quelli di definire l’idea di una parziale limitazione degli armamenti come una impraticabile mezza misura, e di spiegare alla popolazione che il militarismo è strettamente intrecciato alle politiche coloniali, alle politiche doganali, alle politiche internazionali, e che quindi le nazioni presenti, se davvero volessero onestamente e sinceramente dire basta alla concorrenza sugli armamenti, dovrebbero iniziare dal disarmo della politica commerciale, abbandonando in tutte le parti del mondo le predatorie campagne coloniali e le politiche internazionali delle sfere d’influenza - in una parola dovrebbero fare, nella loro politica estera come in quella domestica, l’esatto contrario di tutte quelle politiche che la natura di un moderno stato capitalista esige.
Solo coloro che credono nell’attenuazione e mitigazione degli antagonismi di classe, e nella possibilità di esercitare un controllo sull’anarchia economica del capitalismo, possono credere all’eventualità che questi conflitti internazionali possano essere rallentati, mitigati e spazzati via. [...]
Perché gli antagonismi internazionali degli stati capitalisti non sono che il complemento degli antagonismi di classe, e l’anarchia del mondo politico non è che l’altra faccia dell’anarchico sistema di produzione del capitalismo. Entrambi possono crescere solo insieme e solo insieme possono essere superati. “Un po’ di ordine e di pace” sono per questo impossibili, al pari delle utopie piccolo-borghesi sulla limitazione delle crisi nell’ambito del mercato capitalistico mondiale, e sulla limitazione degli armamenti nell’ambito della politica mondiale. [...]
La guerra con la Spagna ha rappresentato per gli Stati Uniti il punto di partenza per una riorganizzazione della marina militare che ha reso gli Stati Uniti una potenza coloniale in grado di estendere i propri interessi imperialistici all’Asia, gettando in tal modo le basi per un conflitto di interessi nel Pacifico fra Stati Uniti e Giappone. La campagna cinese è stata accompagnata in Germania da una profonda riorganizzazione militare, la grande Legge Navale del 1900, che ha segnato l’inizio della competizione marittima della Germania con l’Inghilterra e l’inasprimento degli antagonismi fra queste due nazioni.
Gli antagonismi [...] hanno raggiunto un’intensità mai vista prima, e il processo si è aggravato sempre di più, poiché se da un lato il fermento a oriente cresce di giorno in giorno, dall’altro tutti gli accordi fra le potenze militari diventano inevitabilmente fonte di nuovi conflitti. La Triplice Intesa fra Russia, Gran Bretagna e Franci [...] ha condotto all’inasprimento della crisi nei Balcani, ha accelerato lo scoppio della rivoluzione turca, ha incoraggiato la Russia ad un’azione militare in Persia e ha portato ad una riconciliazione fra Turchia e Germania che, a sua volta, ha reso gli antagonismi anglo-tedeschi ancora più acuti. [...] Pertanto rifiutare di riconoscere che tali avvenimenti possono portare a tutto fuorché a una mitigazione dei conflitti internazionali o a un qualsiasi passo avanti in direzione della pace nel mondo, significa chiudere gli occhi di fronte alla realtà.»
«Il carattere utopico della posizione che prospetta un’era di pace e ridimensionamento del militarismo nell’attuale ordine sociale, è chiaramente rivelato dalla sua necessità di ricorrere all’elaborazione di un progetto. Poiché è tipico delle aspirazioni utopiche delineare ricette “pratiche” nel modo più dettagliato possibile, al fine di dimostrare la loro realizzabilità. A questa tipologia appartiene anche il progetto degli “Stati Uniti d’Europa” come mezzo per la riduzione del militarismo internazionale. [...]
EliminaL’idea degli Stati Uniti d’Europa come condizione per la pace potrebbe a prima vista sembrare ad alcuni plausibile, ma a un esame più attento non ha nulla in comune con il metodo di analisi e con la concezione della socialdemocrazia. [...]
In quanto seguaci della concezione materialistica della storia, noi abbiamo sempre sostenuto l’idea che i moderni stati, al pari delle altre strutture politiche, non siano prodotti artificiali di una fantasia creativa [...] ma prodotti storici dello sviluppo economico. Ma qual è il fondamento economico alla base dell’idea di una federazione di stati europei? L’Europa, questo è vero, è una geografica e, entro certi limiti, storica concezione culturale. Ma l’idea dell’Europa come unione economica, contraddice lo sviluppo capitalista per due ragioni. Innanzitutto perché esistono lotte concorrenziali e antagonismi estremamente violenti all’interno dell’Europa, fra gli stati capitalistici, e così sarà fino a quando questi ultimi continueranno ad esistere; in secondo luogo perché gli stati europei non potrebbero svilupparsi economicamente senza i paesi non europei. Come fornitori di derrate alimentari, materie prime e prodotti finiti, oltre che come consumatori degli stessi, le altre parti del mondo sono legate in migliaia di modi all’Europa. Nell’attuale scenario dello sviluppo del mercato mondiale e dell’economia mondiale, la concezione di un’Europa come un’unità economica isolata è uno sterile prodotto della mente umana..»
«E se l’unificazione europea è un’idea ormai ["ormai" nel 1911!!!, ndr] superata da un punto di vista economico, lo è in egual misura anche da quello politico.
EliminaSolo distogliendo lo sguardo da tutti questi sviluppi, e immaginando di essere ancora ai tempi del concerto delle potenze europee, si può affermare, per esempio, di aver vissuto quarant’anni consecutivi di pace. Questa concezione, che considera solo gli avvenimenti sul suolo del continente europeo, non vede che la principale ragione per cui da decenni non abbiamo guerre in Europa sta nel fatto che gli antagonismi internazionali si sono infinitamente accresciuti, oltrepassando gli angusti confini del continente europeo, e che le questioni e gli interessi europei si riversano ora all’esterno, nelle periferie dell’Europa e sui mari di tutto il mondo.
Dunque quella degli “Stati Uniti d’Europa” è un’idea che si scontra direttamente con il corso dello sviluppo sia economico che politico [...].
Che un' idea così poco in sintonia con le tendenze di sviluppo non possa fondamentalmente offrire alcuna efficace soluzione, a dispetto di tutte le messinscene, è confermato anche dal destino dello slogan degli “Stati Uniti d’Europa”. Tutte le volte che i politicanti borghesi hanno sostenuto l’idea dell’europeismo, dell’unione degli stati europei, l’anno fatto rivolgendola, esplicitamente o implicitamente, contro il “pericolo giallo”, il “continente nero”, le “razze inferiori”; in poche parole l’europeismo è un aborto dell’imperialismo.
E se ora noi, in quanto socialdemocratici, volessimo provare a riempire questo vecchio barile con fresco ed apparentemente rivoluzionario vino, allora dovremmo tenere presente che i vantaggi non andrebbero dalla nostra parte, ma da quella della borghesia. Le cose hanno una loro propria logica oggettiva. E oggettivamente lo slogan dell’unificazione europea, nell’ambito dell’ordine sociale capitalistico, può significare soltanto una guerra doganale con l’America, dal punto di vista economico, e una guerra coloniale, da quello politico. »
Splendido ritrovamento :-)
EliminaLa domanda "com'è possibile che non fosse divenuto chiaro una volta per tutte e si potesse ricadere, peggiorandola, nell'utopia demenziale?" ha una risposta tragica:
- perché, il solo fatto che scorra il tempo della Storia, consente di riscrivere il passato in modo da poter riproporre, per mera avidità delle oligarchie e dei politici che aspirano ad unirvisi, le stesse soluzioni già stroncate dalla Storia stessa.
Ci pensi a leggere Rosa Luxembourg oggi in un liceo?
I poveri studenti, ormai escissi della capacità critica e della motivazione a conoscere i fatti storici, ne sarebbero letteralmente traumatizzati.
Ora capiamo i veri motivi per cui Luxembourg, Gramsci furono "epurati" dai regimi del tempo...
EliminaOT: "Il licenziamento del personale del pubblico impiego non è disciplinato dalla 'legge Fornero', bensì dall'art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Lo afferma la Corte di Cassazione, "all'esito di una approfondita e condivisa riflessione", con la sentenza n. 11868 della Sezione Lavoro depositata oggi." su Ansa odierna.
Mi chiedo? Ma l'art. 18 non è stato di fatto cancellato? E allora, perchè viene menzionato?
Giusta domanda: la cosa migliore è vedere se la sentenza di riferisca alla espressa sfera di applicazione del nuovo testo (che interviene a sua volta sulla prima modifica apportata dalla Fornero, appunto). Cioè è, forse, cristallizzata un'ultrattività del vecchio art.18 per i settori non contemplati come destinatari della vecchia riforma, e quindi non coinvolti ab origine nell'abrogazione "in parte qua" (sia ex Fornero che ex jobs act).
EliminaMa, ripeto, occorre vedere il testo
"Oggi c'è la Cina"... il «pericolo giallo»
Elimina«l’europeismo è un aborto dell’imperialismo»
Non diciamolo ai balilla della gioventù federalista...
Capisco perché Basso avesse un debole per Rosa: e capisco perché le rivendicazioni del '68 fossero tra l'inadeguato e il ridicolo. Movimenti facilmente infiltrabili, fuori da una reale critica dell'intellighenzia dei partiti socialisti.
Ci sarà stato un motivo per cui metà del mondo dopo il '45 era socialista: con queste teste, con questa cultura, e questi valori, anche il denaro incontra i suoi problemi.
(Rigetto lo Spengleriano «lo spirito pensa, ma è il danaro a dirigere»: almeno fintanto che ci sarò rimasta un barlume di coscienza...)
Si facevano tutti la galera.
Basso e la Luxemburg erano "anti-bolscevichi": imporre il collettivismo dall'alto implicava uno Stato autoritario e di polizia tale e quale allo zarismo. Con l'aggravante che, con Stalin, non ci si poteva più neanche rifugiare all'estero.
Bakunin lo aveva sempre denunciato, Lenin non vedeva altra soluzione: la Luxemburg ci litigava.
Ma, anche lei, profondamente libertaria oltre che democratica, finì col riconoscere che Lenin non aveva avuto altra scelta.
Al di là di come sono andate le cose, hanno regalato a noi occidentali decenni di keynesismo e libertà.
Solo la radicalità nei principi ideali, morali, può opporsi alla forza del potere costituito.
I federalisti europei vedevano nel massimalismo di Basso un'ottusa visione del mondo: ovviamente corretta.
Ma questo "massimalismo", che è il principio primo dell'ortodossia socialista non utopica, è da correlarsi ad una radicalità morale che non può che non essere espressione di profondo studio e comprensione dei fenomeni sociali.
(«Non si potrebbero capovolgere tutti i valori? e il bene non è forse il male? E Dio solo un'invenzione e un'astuzia del diavolo? Forse è tutto falso radicalmente? E, se siamo ingannati, non siamo proprio per questo anche ingannatori? non siamo noi necessariamente anche ingannatori?» Nietzsche, "Umano, troppo umano", prefazione del 1886)
Dai che il povero Nietzsche è stato ampiamente "oversold".
EliminaQuanto al '68, il rigetto per il principio di gerarchia (tra maschi), in un regime capitalista che sapeva come alimentare i suoi rivoli sotterranei e pronti ad emergere (come ci testimoniano Caffè e anche Basso), poteva pure starci: in fondo era una prova generale dell'antistatalismo "etico". Perché lasciare che le gerarchie sociali fossero ancora incentrate sulle cariche burocratiche (private ma, specialmente, pubbliche) rivestite dai "padri", quando di lì a poco si sarebbe visto che non contavano veramente più un tubo?
Tanto più che sti padri "sorvegliavano" ossessivamente le virtù sessuali delle figlie e la moralità, percepita come ossequio alle gerachie (ormai superate) dei figli.
Il principio dell'infiltrazione raggiunse anzi il suo massimo di efficienza: cosa ci poteva esser di meglio per preparare, in pochi anni, la grande caciara della restaurazione neo-liberista, paludata dalle prime versioni dei meravigliosi diritti? cosmetici?
Sicuramente, ma, stando con Corey Robin: «Friedrich Nietzsche figures critically in this story, less as an influence than a diagnostician.
Elimina[...]
Yet no one understood better than Nietzsche the social and cultural forces that would shape the Austrians: the demise of an ancient ruling class; the raising of the labor question by trade unions and socialist parties; the inability of an ascendant bourgeoisie to crush or contain democracy in the streets; the need for a new ruling class in an age of mass politics. The relationship between Nietzsche and the free-market right—which has been seeking to put labor back in its box since the nineteenth century, and now, with the help of the neoliberal left, has succeeded—is thus one of elective affinity rather than direct influence, at the level of idiom rather than policy.
“One day,” Nietzsche wrote in Ecce Homo, “my name will be associated with the memory of something tremendous, a crisis without equal on earth, the most profound collision of conscience.”»
Ma ci sto lavorando su... :-)
So che non è il post giusto e mi scuso. Avrei un quesito: La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo la parte di un decreto di Monti del 2012 che imponeva 2,2 miliardi di riduzioni agli enti locali. Con la riforma Boschi in vigore, la Corte sarebbe potuta giungere allo stesso verdetto?
RispondiEliminaProbabilmente sì,dato che si tratta di una sentenza a effetti circoscritti
Elimina"...spiace dirlo ma non è stato affermato questo: solo violazione "procedimentale" e limite -indeterminato- alla comprimibilità dei servizi"
https://t.co/d0qCfO8ddK
Com'era la filastrocca della previdenza integrativa?
RispondiEliminaTranquillo, ci pensa l'€uropa a dare un senso profondo a tutto questo. Per fondi previdenziali pubblici e privati
Eliminahttps://thewalkingdebt.org/2016/06/09/il-risparmio-previdenziale-europeo-servira-a-farci-somigliare-agli-usa/
Si certo, ci attende una bella previdenza in salsa USA.
EliminaOcchio però che, in tempi di crisi, rischi di vederti tagliare o addirittura non vedere le pensione, a differenza del pubblico. 2008 docet, quando si bruciarono 3300 miliardi di dollari, cioè soldi dei lavoratori (altro articolo qui)... E' dal 2001 che sono in crisi, ed a oggi gli ammanchi rendono praticamente scarse le possibilità di poter avere una forma di sostentamento pensionistico! Cioè un furto vero e proprio.
Alludevo ironicamente proprio a questo...
EliminaLo so lo so ;) è il mio solito esercizio di linkaggio al fine di aumentare la portata del commento...
EliminaChi parla di previdenza integrativa lo fa dall'alto di un lauto stipendio, in quanto fra bollette, mangiare, costi fissi per auto per andare a lavoro e quant'altro, a conti fatti alla fine con uno stipendio solo, al mese, tanto entra e tanto esce...
Altro che soldi per la previdenza integrativa, qui non ci sono i soldi nemmeno pe' magnà...
Un po' come Confindustria: le parti sociali devono fare la loro parte, aumenti salariali solo in caso di aumento di domanda.
Ma la domanda come riparte? Risposta: se la gente c'ha soldi da spendere... Soluzione? Tagliamo le tasse alle imprese! Ma i lavoratori? Risposta: ma che ce fregaaa... ma che c'(i)mporta... :)
Lauto stipendio ma onere contributivo non proporzionalmente elevato in genere. L'ideale per propugnare bassa macelleria sociale
EliminaIntanto, per non farci mancare niente, la NATO mostra i muscoli a Putin con una bella esercitazione militare in Polonia.(http://www.lettera43.it/attualit/nato-il-sibilo-dell39anaconda-per-tenere-sotto-scatto-la-russia---la-notizia_43675249000.htm)
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