1.
Dire che la situazione "è grave ma non seria" appare un
paradosso persino un po' logoro, alla luce della reazione del sistema
mediatico, e del suo sovrastante concerto di forze dominanti.
Stiamo
assistendo a tentativi di neutralizzazione dell'esito del referendum Brexit
che, personalmente, come ho spiegato,
ritengo assuma un valore più simbolico che relativo a contenuti significativi
di un mutamento di paradigma politico-economico.
Si
vuole, addirittura, che il referendum sia prontamente ripetuto e, per
implicita logica, almeno fino a quando non si raggiunga la vittoria del
"remain". Una petizione intenderebbe legittimare tale
ripetizione del voto, salvo che non si comprende bene chi siano i
"sottoscrittori":
Of the 2.3 million signatures only 365k
came from the UK lol pic.twitter.com/Oi6kAdeANY
—
Daniel #leave (@Daniel__Brookes) 25 giugno
2016
2. In alternativa si propone che il referendum concernente scelte "importanti" debba avere almeno un quorum del 75% di votanti e del 60% di "favorevoli": notare che si adduce a sostegno il parere favorevole della Venice Commission UE, quella che ritiene che non il modello parlamentare-elettivo ma (v.p.2) un sistema di governance tecnocratico-finanziaria, modellato su quello della World Bank, debba governare l'€uropa.
Quindi neppure un 59% di voti pro-Brexit sarebbe considerato idoneo a scalfire il fogno e a far riflettere su come, in termini pratici e di obblighi di diritto internazionale già vigenti, l'effetto pratico della stessa Brexit non potrebbe mai essere traumatico come lo si dipinge, nella stucchevole campagna terroristica che, in Italia, raggiunge i suoi massimi vertici.
Più
in generale, si
mette in discussione la stessa idoneità della volontà popolare a esprimersi
sull'assetto socio-economico da imprimere al proprio ordinamento, ritirandosi
fuori una sorta di stizzosa repulsione per il "populace", come già
additato da Wolf, ingrato e incompetente rispetto alle scelte
inoppugnabili già fissate, una volta per tutte, dalla elite e diffuse alle
genti dai suoi corifei intellettuali e espertoni "lottatori".
3. Come sottospecie di questi alti lai di denuncia della volgarità inaccettabile del voto, si propone la deprivazione del voto di chi non sia "gggiovane" e erasmus-europeista.
Chi
riassume bene questo insieme di posizioni è Beppe Severgnini, che se
la prende, naturalmente con
vecchi, ignoranti e campagnoli, che, dunque, hanno rovinato
l'illuminata e istruita consapevolezza degli erasmus-europeisti, che
risulterebbero dunque gli unici legittimati al voto, dall'adesione alle
decisioni irrevocabili delle elites, - che
mantengono infatti la disoccupazione giovanile in €uropa a livelli senza
precedenti dalla crisi del 1929.
E
questo nonostante che i fatti smentiscano clamorosamente questa illusione:Chiediamo
scusa ai giovani: né leave né remain. Sono solo andati pilu. pic.twitter.com/5YSHSbJEgN
—
Monscolombo (@Monscolombo) 26 giugno 2016
Il dato, infatti, è che l'astensionismo più alto al referendum lo hanno
espresso proprio i giovani.
4. E l'astensionismo, come noi abbiamo visto e proprio in base a studi compiuti da scienziati sociali inglesi in tempi "non sospetti", non indica certissimamente un entusiasmo verso l'UE, quanto piuttosto una sfiducia ancora più drastica in ogni livello di istituzioni che, a parole, come l'UE, si adopera così tanto per l'occupazione giovanile senza, stranamente, riuscire ad ottenere alcun risultato dalle sue fantasmagoriche iniziative, piani e programmi specialissimi.
E
quelle viste finora, sono solo una parte tutto sommato limitata delle
"voci" di contestazione iper-europeista dell'esito della
consultazione popolare britannica, in un curioso misto composto da
rivendicazione dell'insindacabilità (democratica) delle scelte delle oligarchie
e da giovanilismo sostenuto a spada tratta da...anziani o anzianissimi
tecnocrati (propugnatori coerenti del libero mercato deflazionista ad alta
disoccupazione strutturale e giovanile).
5. Questa situazione così palesemente contraddittoria ha però una radice: ne abbiamo già trattato e, per la verità la questione ha avuto anche altri approfondimenti.
Ma
per semplificare la corretta interpretazione dell'ideologia che sottosta a
questi atteggiamenti, mi è parso utile riproporre un sunto dei passaggi
salienti del post: LIBERISMO
E LIBERALISMO: LA LIBERTA' NON E' UN BENE IN SE' MA LA INSINDACABILE RAZIONALITA'
DEL MERCATO.
Il
post ci spiega in cosa consista la autodefinizione dell'atteggiamento politico
"liberale" e il suo concetto della democrazia e dei processi
elettorali considerati "ammissibili".
"La "comoda" autodefinizione come "liberale", permette
di non doversi assumere l'onere di comprendere il senso
scientifico-economico e l'inscindibilità del "liberismo" (dal
liberalismo), evitando così la prospettiva del fronteggiare la
responsabilità, morale e culturale, di tutte le
varie forme di autoritarismo, anche
gravi e recenti, nonchè di
fallimento sociale e politico, legate al liberismo-liberalismo.
La
comoda autodefinizione in questione, dunque, è una forma di
autolegittimazione di ordine psicologico, spesso alimentata da un confuso
(quanto appagante) idealismo circa il concetto
prioritario di libertà, concetto sbandierato come sinonimo dell'agire
del "mercato", senza
però conoscere il senso di questo "accoppiamento" piuttosto
automatico."
6.
Su questo punto ci illumina subito Bazaar
con questa sintesi sarcastica ma tragicamente esatta delle "conseguenze"
sociopolitiche di Hayek:
"Hayek
semplicemente constata che la democrazia (intesa come "ordo")
è un particolare ordinamento per cui, chi non passa la legge darwiniana
(non è abbastanza blatta o ratto), non viene pinochettanamente lanciato giù da
un aereo, ma viene "educato" dagli strumenti di propaganda di chi
- al riparo del processo democratico - confeziona l'opinione
pubblica.
Quando l'élite blatera di libertà (o meglio di
liberalismo), anche se solo per bocca dei suoi "intellettuali" di
riferimento come il mostro di Friburgo, parla di libertà dal "processo
democratico", libertà dagli interessi collettivi.
Freedom from... freedom.
Tradotto: Power of the market free from... power of the people".
Freedom from... freedom.
Tradotto: Power of the market free from... power of the people".
E
ci siamo: perveniamo alla democrazia
idraulica, espressamente teorizzata da Hayek e assunta oggi, con
un indiscusso riflesso pavloviano, come concetto dominante di democrazia
"conforme" alla attuale civiltà della comunicazione dell'immagine.
E
dunque contano i mezzi di comunicazione e formazione della pubblica
opinione e, più ancora, ovviamente, il
loro controllo e orientamento.
Per
quanto più volte citato, non è mai sufficiente ripetere questo concetto
hayekiano:
«Il
controllo economico non è il semplice controllo di un settore della vita umana
che possa essere separato dal resto; è il controllo dei mezzi per
tutti i nostri fini. E chiunque abbia il controllo dei mezzi deve anche
determinare quali fini debbano essere alimentati, quali valori vadano stimati
[…] in breve, ciò che gli uomini debbano credere e ciò per cui debbano
affannarsi».
(F.
von Hayek da "Verso la
schiavitù", 1944).
7. ADDE: Dell'aforisma hayekiano, che segue, sottolineiamo la parola "beforehand" (in anticipo): la libertà, cioè l'ordine naturale e "scientifico" del libero mercato "senza frontiere", deve essere svincolata da ogni rapporto con qualunque genere di "benefici attesi". La libertà-legge del mercato è oggetto di una fede incrollabile e incurante dei costi per l'individuo "comune": ovviamente, solo "alcuni" individui hanno diritto di avvantaggiarsi di tale "libertà" e, perciò, di reclamare lo "status quo" come incontestabile: e tanto basti.
Fine
del discorso e chiunque metta in discussione ciò sarà "eticamente"
delegittimato come "vecchio, campagnolo, ignorante", comunque
inidoneo a esprimere una volontà da prendere in considerazione: ossia,
appunto, al livello di "blatta o ratto".
Capirete
bene come, in questa visione, sia da respingere con disgusto il voto, in
quanto spinto dalle sopra viste volgari e "irrazionali" aspettative
di promuovere un qualche beneficio per la massa dei votanti o, come nel caso
del Brexit, di protestare contro qualche forma di disagio o squilibrio
socio-economico, allo scopo di porvi fine.
8. Così lo stesso Bazaar, ci approfondisce il quadro del fenomeno:
"La
democrazia per Hayek è essenziale dunque come metodo, non come
fine.
Rifacendosi
a Tocqueville, egli sottolinea infatti che la democrazia è l'unico strumento
efficace per educare la maggioranza, in quanto la democrazia è soprattutto
un processo di formazione dell'opinione pubblica. Il suo maggior vantaggio
sta quindi non nella sua immediata capacità di scelta dei governanti, ma nel
far partecipare attivamente alla formazione dell'opinione pubblica la maggior
parte della popolazione, e quindi nel permettere la scelta fra una vasta
gamma di individui.
Ma,
una volta accolta la democrazia all'interno del liberalismo, Hayek non si
stanca di ripetere che il modo in cui il liberale concepisce il
funzionamento della democrazia è del tutto peculiare. [ndr, ora vai di
supercazzola!]
L'idea, infatti, che il governo debba essere guidato
dall'opinione della maggioranza ha senso solo se quell'opinione è realmente indipendente
dal governo stesso, poiché l'ideale liberale di democrazia è basato sul
convincimento che l'indirizzo politico che sarà seguito dal governo debba
emergere da un processo spontaneo e non manipolato.
L'ideale liberale di democrazia presuppone, quindi, l'esistenza
di vaste sfere indipendenti dal controllo della maggioranza, entro le quali si
formano le opinioni individuali.
Questa
è la ragione, dice Hayek, per cui la causa della democrazia e la causa della
libertà di parola e di stampa sono inseparabili. Da ciò discende che l'idea
ultrademocratica che gli sforzi di tutti debbano essere guidati
incondizionatamente dall'opinione della maggioranza o che la società sia
tanto migliore quanto più si conforma ai principi comunemente accettati dalla
maggioranza, è un vero e proprio capovolgimento del principio attraverso
il quale si è sviluppata la civiltà (Enciclopedia del Novecento, 3°
vol., 1978, p. 990)".
9.
Si può dire che "...questa è la versione per cui processo elettorale e opinione pubblica sono due cose distinte, o meglio, il controllo esercitato sulla seconda costituisce la
pre-condizione di ammissibilità del primo.
Coloro
che soprassiedono saldamente alla conformazione dell'opinione pubblica,
però, devono inderogabilmente essere espressione di quella Tradizione,
(per la verità molto recente...), che estrinseca e autentica ciò che può
legittimamente costituire la Legge (naturale e non prodotta dai parlamenti), ma
avendo la sua origine nel mondo pre-istituzionale e superiore al processo
elettorale.
Questa
predeterminazione a priori della Legge, da parte di una oligarchia insita
nell'ordine naturale delle cose, fa in modo che la "legislazione"
(cioè il prodotto istituzionale dei governi-parlamenti designati
elettoralmente) sia sempre perfettamente conforme alla Legge a gli interessi
della stessa oligarchia "naturale".
Questo
processo di affermazione ininterrotto della Legge, implica un circuito che
definiremmo costituzionale-materiale: i produttori-proprietari, cioè gli
operatori economici, titolari degli interessi (unici) che incarnano la Legge, e
gli operatori culturali (accademia, giornalisti, esponenti della letteratura e
dell'arte) che la esplicitano, e la rendono adeguata agli svolgimenti
storico-politici, nel formare l'opinione pubblica, si esprimono e il
voto vale solo a condizione di riflettere questo processo di
istituzionalizzazione a priori del mercato".
10.
Il sottinteso (cioè, tale da non dover essere manifestato espressamente ai
soggetti che lo subiscono) presupposto elitario di esercizio del potere
politico-istituzionale, come appare evidente, rende il processo elettorale
(solo) un metodo di rafforzamento del potere di condizionamento
dell'opinione pubblica. Cioè l'esito del processo elettorale deve essere
costantemente una sua mera conseguenza.
Al
punto che permette di elaborare un ulteriore camuffamento della vera
titolarità del potere supremo di decisione politica: il concetto di mercato,
impersonale e svincolato dall'individuazione di una qualsiasi categoria sociale
di essere umani.
L'oligarchia-elite,
detentrice del potere di fissare la Legge al di sopra di ogni istituzione
sociale (elettiva o meno che sia), trasforma in una meta-necessità
incontestabile (come le trasformazioni climatiche o gli eventi
meteorologici o terremoti e cicloni), il "governo dei mercati".
ADDE:
Il voto, attesa la incomprensibilità (v. aforisma qui sotto), da parte
dell'individuo comune-elettore, della realtà normativa naturale, è solo un
processo subordinato di ratifica delle decisioni "impersonali" del
mercato.
11.
Questo legame tra "libertà", Legge e "ordine del
mercato", nell'ambito del liberismo, (che poi è il liberalismo: come
abbiamo visto, inutile distinguerli ai fini fenomenologici), ci viene ben
illustrato da Arturo:
"L'autonomia
(dell'opinione pubblica dal governo, in quanto espressione della
"tirannica" maggioranza, ndr.) che intende difendere Hayek non va
intesa come un spazio "processuale" democratico nell'ambito del
quale possono essere elaborate le più diverse soluzioni e proposte politiche.
Tale
autonomia risulta meritevole di difesa solo in quanto il nostro
ritiene che certi gruppi, che naturalmente si premura di individuare
lui, siano depositari di una propensione al mantenimento dell'ordine
spontaneo fondato su regole di pura condotta: una sorta di Volksgeist
liberista, che dev'essere preservato dall'influenza culturale
"costruttivista" (cioè dai processi normativi e di intervento
pubblico, oggi, basati sulle Costituzioni democratiche, ndr.).
Ripeto però che questo comporta una nettissima clausola limitativa, in quanto l'ordine del mercato non può essere né progettato né discusso razionalmente, perché è esso stesso a produrre la ragione, salvo che questa decida "abusivamente" di allontanarsene.
Ripeto però che questo comporta una nettissima clausola limitativa, in quanto l'ordine del mercato non può essere né progettato né discusso razionalmente, perché è esso stesso a produrre la ragione, salvo che questa decida "abusivamente" di allontanarsene.
12. Ovvero l'autonomia di cui parla Hayek rappresenta semplicemente l'insieme delle strategie sociali e politiche (la famosa "demarchia") con cui intende portare avanti la sua agenda politica.
Di cui la denazionalizzazione della moneta è un elemento fondamentale, a cui una federazione europea interstatale può, nella sua stessa interpretazione (The Economic Conditions of Interstate Federalism), assolvere egregiamente.
D'altra
parte gli stessi libertari italiani erano, fino
a non tanto tempo fa, disponibilissimi nei confronti dell'euro proprio per
i suoi effetti di smantellamento dello stato sociale (vedi più estesamente De Soto, con ricche
citazioni di Hayek e Mises); ora, con altrettanto pragmatismo (tira una certa
arietta...), lo (ri)mandano "...al diavolo".
"Una
delle (tante) obiezioni che è stata rivolta ad Hayek è l'implausibilità
sul piano storico-sociologico della qualifica di "spontaneo"
all'ordine del mercato.
Perché
mai sarebbero spontanei l'imposizione delle norme del code civil in materia di
rapporti di lavoro o il regime di proprietà realizzato dalle enclosures, ma
non forme di controllo pubblico del credito?
Ovvero
come si fa a separare storicamente "costruttivismo" e
"spontaneità", pubblico e privato, se non sapendo già fin dall'inizio
che cosa si intende trovare?
E' interessante notare che questa obiezione è stata formulata sia da difensori della democrazia interventista sia da suoi acerrimi nemici, come Rothbard, che riteneva appunto storicamente implausibile, e quindi politicamente debole, il criterio proposto da Hayek."
E' interessante notare che questa obiezione è stata formulata sia da difensori della democrazia interventista sia da suoi acerrimi nemici, come Rothbard, che riteneva appunto storicamente implausibile, e quindi politicamente debole, il criterio proposto da Hayek."
14.
Sempre da Arturo, cercando di selezionare tra le cose, sempre
significative, che ci propone, possiamo infine meglio comprendere, ormai,
alcune conclusioni riassuntive dell'intero quadro finora tratteggiato:
"...Hayek..fu
molto efficace sul piano politico-ideologico ed è per questo che qui ce ne
occupiamo, mentre i veri e propri anarco capitalisti - con tutto il rispetto -
almeno in Italia si possono tranquillamente ignorare (se non per le munizioni
che possono fornire contro gli stessi Hayek e co.).
In
ogni caso, su quelli che erano i suoi obiettivi ultimi, credo sia molto
istruttiva la lettura di
questo articolo di Corey Robin:
"La
distinzione che Hayek istituisce tra massa e elite non ha ricevuto una grande
attenzione dai suoi critici e dai suoi (stessi) sostenitori, sconcertati o
sedotti dal suo continuo invocare la libertà.
Tuttavia un'attenta lettura del ragionamento di Hayek rivela
che per lui la libertà non è nè il bene supremo nè un bene in sè. E'
un bene contingente e strumentale (una conseguenza della nostra ignoranza e
la condizione del nostro progresso), il cui fine ultimo è rendere possibile
l'emergere di un legislatore eroico del "valore". Cioè l'ordine
del mercato, fondamento della stessa razionalità che, apparentemente
impersonale, è invece, molto personalisticamente, quella della convenienza
della elite...
Spiace constatare - ma è quanto mai significativo - che Roberto Saviano ha commentato il voto britannico con le stesse parole di Von Hayek.
RispondiEliminaNiente di nuovo sotto il sole: la pubblicistica conservatrice e liberale ha sempre stigmatizzato il suffragio universale, che consentiva alla "moltitudine sempre bambina" (Sieyès) o ai lavoratori salariati, in condizione di "eterna dipendenza" (Constant), addirittura relegati da Burke a instrumenta vocalia, come si definivano gli schiavi nell'antichità, di esprimersi politicamente (nel libro di Losurdo Democrazie e bonpartismo c'è una bella selezione di autori).
RispondiEliminaPuò essere utile allargare questa citazione di Gramsci (stesse pagine): in quel passo Gramsci discuteva le posizioni della critica fascista al suffragio universale nel regime liberale: secondo Mario da Silva il difetto era che "il numero sia in esso legge suprema", cosicché la "opinione di un qualasiasi imbecille che sappia scrivere (e anche di un analfabeta, in certi paesi) valga, agli effetti di determinare il corso politico dello Stato, esattamente quanto quella di chi allo Stato e alla Nazione dedichi le sue migliori forze" (come l'"eroico" Saviano, per esempio).
Al che Gramsci replicava: "Non è certo vero che il numero sia legge suprema, né che il peso dell'opinione di ogni elettore sia "esattamente" uguale. I numeri, anche in questo caso, sono un semplice valore strumentale, che danno una misura e un rapporto e niente di più. E che cosa si misura? Si misura proprio l'efficacia e la capacità di espansione e di persuasione delle opinioni di pochi, delle minoranze attive, delle élites, delle avanguardie ecc. ecc., cioè la loro razionalità o storicità o funzionalità concreta. Ciò vuol dire anche che non è vero che il peso delle opinioni dei singoli sia esattamente uguale". Segue il pezzo già riportato. Poi: "La numerazione dei "voti" è la manifestazione terminale di un lungo processo in cui l'influsso massimo appartiene proprio a quelli che "dedicano allo Stato e alla Nazione le loro migliori forze" (quando lo sono). Se questi presunti ottimati, nonostante le forze materiali sterminate che possiedono, non hanno il consenso della maggioranze, saranno da giudicare inetti e non rappresentanti gli'interessi "nazionali", che non possono non essere pravalenti nell'indurre la volontà in un senso piuttosto che nell'altro. "Disgraziatamente" ognuno è portato a confondere il proprio particolare con l'intersse nazionale e quindi a trovare orribile ecc. che sia la "legge del numero" a decidere. Non si tratta quindi di chi "ha molto" che si sente ridotto al livello di uno qualsiasi, ma proprio di chi "ha molto" che vuole togliere a ogni qualsiasi anche quella frazione infinitesima di potere che questo possiede di decidere sul corso della vita dello Stato.".
E (come nel caso del referendum UK, data la peculiare "costituzione" già qui evidenziata) si trattava di una controcritica al suffragio universale in regime di democrazia LIBERALE. Pensiamo a quanto possa essere tollerata, nella stessa linea di pensiero politico (oggi condiviso dalla totalità del sistema mediatico italiano), l'espressione popolare del voto, eguale e libero, in una democrazia pluriclasse contraddistinta dalla eguaglianza sostanziale.
EliminaPer questo ci vuole l'€uropa...e ce ne vuole sempre di più
Del primo aforisma hayekiano citato nel post sottolineerei la parola "granted", cioè "concessa", "accordata": esprime a pieno la concezione etica e la conseguente manifestazione pratica di chi ha per utopia la visione di una società castale, in cui, per l'appunto, la libertà del servo è concepibile se e solo se concessa dal signore, il quale per diritto di nascita si trova nella posizione di dominio. E a quale dei suoi servi un signore accorda la libertà? Semplice, a quello che lo ha servito meglio, ossia a quello che ha introiettato fino alla completa sostituzione l'etica e l'estetica del padrone e dunque continuerà a servirlo sempre, anche dopo la sua morte: il classico frustrato che prova gusto a frustrare chi è poco più sotto di lui nella scala sociale: Stephen di Django Unchained, il servus callidus delle commedie plautine in salsa imperialista, la grottesca ipostasi propria di chi vive di potere riflesso.
RispondiEliminaÈ qualche giorno che mi si presenta una curiosa associazione.
RispondiEliminaDa un lato, la spaventosa quantità di odio razzista, auto-razzista, integenerazionale, ideologico, classista e antidemocratico che è stata fatta uscire dai mass media in occasione della Brexit.
Dall'altro, i neo-introdotti reati, all'interno della legge sul negazionismo, di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, di istigazione a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, nonché di costituzione di organizzazione, associazione, movimento o gruppo che abbia tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
Sorvolando sul fatto che, benché non vengano presentati come tali, trattasi di reati di opinione contro i quali i sedicenti liberali dovrebbero fare le barricate (la famosa frase di Voltaire citata spesso nei dibattiti, di dare la propria vita perché il proprio avversario possa esprimere la propria discordante opinione...), mi sembra evidente che i vari giornalisti, politici, professori universitari, leoni da tastiera etc di cui il post di 48 fornisce un ahimè piccolo campione dovrebbero tutti essere condannati in base alle nuove norme ... ovviamente, nessuno di loro lo sarà e, anzi, partiranno campagne di "sensibilizzazione" contro i "veri" razzisti, cioè gli scarafaggi che vorrebbero avere gli stessi diritti delle elite.
Citando Marcello Foa, nel nuovo mondo liberale orwelliano i fatti si qualificano in base al "frame": l'odio delle elite verso i popoli si chiama senso di responsabilità o sdegno morale, mentre l'esercizio dei diritti politici, o anche solo di opinione, nella direzione non voluta dalle elite rappresenta un abuso della democrazia.
Inquietanti, in tal senso, le parole di Saviano, che invoca espressamente l'opera di Altiero Spinelli per paragonare a nazisti e fascisti i cittadini favorevoli alla Brexit (non escluderei neppure che Saviano abbia letto questo blog e poi sia andato a dare un'opinione opposta per - come si diceva in certi ambienti - "lucidare il c*lo").
Al di là di tutte le pur pertinentissime e illuminanti considerazioni teoriche, a Saviano se ne avessi la possibilità vorrei tanto chiedere alcune cose piuttosto banali.
EliminaVorrei chiedergli che cosa c'è di irrazionale e fascista nella scelta di un popolo, quello dalla più lunga e comprovata tradizione democratica, di optare in maggioranza (quella della sua parte più prostrata economicamente e moralmente), e quindi democraticamente, per lo svincolamento, se non dal giogo delle forze regressive interne, quanto meno da quello, sempre più palese, di un blocco di potere esterno che è evidentemente, a detta dei suoi stessi difensori, tutt'altro che democratico. Blocco che per di più, anche ammettendo 'pragmaticamente' che tale non democraticità non costituisca di per sé un motivo sufficiente per volersene affrancare, non si capisce che cosa di sostanzialmente buono abbia mai portato proprio a coloro (e sono tanti e in costante aumento) che si trovavano e si trovano nella condizione di maggior debolezza e bisogno (haec Grecia maxime docet).
Vorrei chiedergli che c'entra questa libera scelta democratica con le acclamazioni di piazze soggiogate da venti anni di deprivazione dell'esercizio della democrazia (ammesso, con ampio beneficio di inventario, che il regime liberale pre-fascista fosse in qualche misura assimilabile quanto meno a una democrazia in progress).
E, se è vero che la democrazia ha le sue contraddizioni, vorrei chiedergli di provare a riflettere su tali contraddizioni a 360 gradi, approfondendo quindi anche il movente concreto di certe scelte 'irrazionali', nonché le responsabilità (anche in termini di negazione di democrazia) e, a voler essere indulgenti, la falsa coscienza di coloro che hanno creato la 'lievemente imperfetta' situazione che ha indotto, a torto o a ragione, a quelle scelte. Gli stessi che ora quello status quo rabbiosamente e apoditticamente difendono, nella sua lieve imperfezione, come il migliore dei mondi possibili, non essendo neanche lontanamente capaci di immedesimarsi nel concreto dramma sociale e umano di chi in quello status quo non ha più nulla da perdere.
[...]
[...]
EliminaVorrei poi invitarlo a riflettere sul fatto che forse non è così strano che, come qualcuno va ripetendo inascoltato (dalle orecchie di chi non vuol sentire) da cinque anni, le politiche sociali ed economiche di destra, nel lungo termine, avvantaggino la destra (come la lungimiranza dei vari Einaudi&C. in relazione all'avvento del fascismo e Brüning&C. in relazione all'avvento del nazismo dimostrano). E su come i danni inflitti alla democrazia e al popolo dal 'corrotto' Giolitti siano stati lievemente inferiori di quelli dell'intellighentia liberale che vedeva in Mussolini un restauratore dell'ordine 'naturale' (il migliore dei mondi possibili) minacciato dalla scriteriate pretese di giustizia sociale dei poveracci resi ancora più poveracci dall'aver combattuto e perso la vita in una guerra non loro.
Ma a che servirebbe? Come potrebbe un ragazzotto totalmente dedito alla nobilissima (e proprio per questo così tirannica e accecante) ragione sociale della sua salvifica notorietà, e totalmente frastornato dalle lusinghe di coloro che ne hanno colto la perfetta idoneità a svolgere la funzione di foglia di fico per malefatte ben più asetticamente e ingegneristicamente perpetrate (e quindi pervasivamente distruttive) di quelle così palesemente trucide e ripugnanti (certo causalmente scorrelate dalle prime!) alla lotta contro le quali il ragazzotto ha lodevolmente immolato la sua esistenza... come potrebbe, dicevo, un così ben congegnato ed efficace simbolo vivente della lotta al male nella sua manifestazione più pura e inconfutabile, anche solo sospettare che esista una realtà ulteriore e degna di primaria considerazione, ai fini dei suoi nobilissimi scopi redentivi, oltre a quella sulla quale è totalmente modellata e puntellata la sua ieratica identità?
La domanda, come le precedenti, è, lo riconosco, un filino retorica, e se mai potessi porla a Saviano, avrebbe ragione a dire che denota una certa dose di pregiudizio sul suo conto. Per questo, se lo incontrassi, consapevole della mia poca serenità di giudizio, mi limiterei a salutarlo cordialmente, rigraziandolo del fatto che per merito suo ho capito fino in fondo perché non bisogna mai fidarsi troppo di chi è professionisticamente al di sopra di ogni sospetto.
“… In tutte le società regolarmente costituite, nelle quali vi ha ciò che si dice un governo, noi oltre al vedere che l’autorità di questo si esercita in nome dell’universo popolo, oppure di un’aristocrazia dominante, o di un unico sovrano, punto questo che più tardi esamineremo con miglior cura e del quale valuteremo l’importanza, troviamo costantissimo un altro fatto: CHE I GOVERNANTI, OSSIA QUELLI CHE HANNO NELLE MANI E ESERCITANO I POTERI PUBBLICI SONO SEMPRE UNA MINORANZA, E CHE, AL DI SOTTO DI QUESTI, VI È UNA CLASSE NUMEROSA DI PERSONE, LE QUALI NON PARTECIPANDO MAI REALMENTE IN ALCUN MODO AL GOVERNO, NON FANNO CHE SUBIRLO; ESSE SI POSSONO CHIAMARE I GOVERNATI…” [G. SOLA in Introduzione a G. Mosca, Scritti politici. Vol.I, Teorica dei governi e governo parlamentare, Utet, Torino 1982, 203].
RispondiEliminaGaetano Mosca era un “elitista”, un un positivista metodologico (e realista politico), come sostiene G. Sola in Teorica dei governi e governo parlamentare, cit., 13. Ma sulla stessa scia: “… Lasciando da parte LA FINZIONE DELLA «RAPPRESENTANZA POPOLARE» E BADANDO ALLA SOSTANZA, tolte poche eccezioni di breve durata, da per tutto si ha una classe governante poco numerosa, che si mantiene al potere, IN PARTE CON LA FORZA, IN PARTE CON IL CONSENSO DELLA CLASSE GOVERNATA, MOLTO PIÙ NUMEROSA…” [V. PARETO, Fatti e teorie, Vallecchi, Firenze, 1920, 444]. Anche Pareto, teorico marginalista, era guarda caso un “elitista”.
Orbene, da Mosca (ma anche da Pareto) Einaudi apprende due principi: “… Primo: il governo del paese non è e non può mai essere retto dalla maggioranza del popolo e neppure da una genuina rappresentanza della maggior parte dei cittadini. QUESTA È UNA UTOPIA PERICOLOSA E DISTRUGGITRICE DELLA CONVIVENZA SOCIALE. IL GOVERNO POLITICO DEVE ESSERE IN MANO DI UNA MINORANZA ORGANIZZATA…Dalla buona scelta della classe politica dipende la fortuna di un paese. […] Secondo: IL PREDOMINIO, necessario e utile, della classe politica, HA BISOGNO, per conservarsi, DI UNA IDEOLOGIA, a cui il Mosca dà il nome di ‘formula politica’: E QUESTA PUÒ ESSERE LA FORZA, LA EREDITÀ, IL DIRITTO DIVINO, LA SOVRANITÀ POPOLARE. PRESSO A POCO, TUTTE QUESTE FORMULE SI EQUIVALGONO, essendo esse puramente la manifestazione esteriore verbale delle vere ragioni per le quali la classe politica afferma la sua capacità a governare le moltitudini” [L. EINAUDI, Parlamenti e classe politica, Corriere della Sera, 2 giugno 1923, ora in Cronache economiche e politiche di un trentennio, vol. VII, 264-265). E ciò perché per Einaudi “Lo stato rappresentativo è…fondato sull’esistenza di forze indipendenti e distinte dallo stato medesimo: RESTI DI ARISTOCRAZIA TERRIERA, CLASSI MEDIE CHE TRAGGONO LA LORO PROPRIA VITA DALL’ESERCIZIO DI INDUSTRIE, DI COMMERCI E DI PROFESSIONI LIBERALI, RAPPRESENTANTI DI OPERAI ORGANIZZATI DI INDUSTRIE NON VIVENTI DI MENDICITÀ STATALE. Se queste condizioni sono soddisfatte, noi abbiamo un governo veramente libero; in cui i funzionari non sono l’unica classe politica esistente, ma una delle tante forze, dal cui contrasto e dalla cui cooperazione sorge la possibilità di un’azione veramente utile al tutto” (Parlamenti cit.).
Bene, questo è il manifesto della classica democrazia liberal-€urista e mondialista che non tollera obiezione. (segue)
Per non dimenticare in un momento così delirante, c’è poi un concetto di democrazia un tantino più evoluto concepito dai Padri Costituenti. Ma lasciamo la parola carica di attualità ad uno dei più importanti ed il quale espresse il proprio pensiero come “contributo alla chiarificazione della coscienza elettorale”: “…Per chi ragiona in termini puramente formali e giuridici, la democrazia è un complesso di istituzioni consacrate in determinati articoli di legge, CHE RICONOSCONO IL SUFFRAGIO UNIVERSALE e determinati diritti di libertà e di uguaglianza. Per costoro la democrazia è realizzata quando si è conseguito un ordinamento che contempli queste norme, e la vita democratica consiste nel rispetto formale di tale ordinamento, non importa dove e quando applicato. ESSI NON SI ACCORGONO CHE LA DEMOCRAZIA FORMALE È SOLTANTO UN’ILLUSIONE, perché non si può considerare che siano nella stessa posizione di effettiva eguaglianza DA UN LATO le masse politicamente ineducate di un popolo …, e presso il quale quelle regole si prestano ad essere sfruttate da demagoghi e politicanti senza che la grande maggioranza riesca veramente ad influire sui propri destini, oppure i milioni di lavoratori che vivono oppressi dalla miseria senza sicurezza del domani e per i quali tutto viene sacrificato alle necessità immediate della vita, oppure le popolazioni ignoranti che ricevono solo una rudimentale istruzione addomesticata ed indirizzata a creare uno stato d’animo di supina accettazione; E DALL’ALTRO le grandi potenze finanziarie CHE HANNO A PROPRIA DISPOSIZIONE TUTTI I MEZZI, DALLA CULTURA E CAPACITÀ TECNICA FINO ALLE ARMI DELLA PROPAGANDA CONDOTTA MEDIANTE LA STAMPA O IL CINEMATOGRAFO O ADDIRITTURA ALLA CORRUZIONE, PER FORMARE O INFLUENZARE L’OPINIONE PUBBLICA, E, QUANDO QUESTO NON BASTI, hanno la possibilità di porre in essere dei mezzi di pressione straordinaria sullo stato (crisi economiche, fughe di capitali, crolli di borsa, ecc.) per imporre la propria volontà. LA DEMOCRAZIA COMINCIA A DIVENTARE UNA COSA SERIA soltanto quando ciascuno è messo in grado di esercitare la stessa porzione di influenza reale sulla vita pubblica, cioè quando il popolo, accanto alla libertà giuridica, realizza anche la libertà dal bisogno, dalla paura e dall’ignoranza. Senza queste ultime, la prima conta assai poco e rischia sovente di non contare addirittura nulla, ed è per questo che noi possiamo considerare che la liberazione dal bisogno attraverso adeguate riforme della struttura sociale che diano sicurezza di vita ai lavoratori, o la liberazione dall’ignoranza attraverso un’opera profonda di educazione e di elevazione, costituiscono un passo verso la democrazia, più seria e sostanziale che non la concessione di una costituzione democratica ad un popolo immaturo per servirsene, e per il quale una esperienza parlamentare può facilmente degenerare in una dittatura larvata… si dovrebbe concludere che il paese più democratico non è quello che ha ordinamenti formalmente più democratici, ma è quello che, per l’una o per l’altra via, realizza progressi più rapidi e più sostanziali VERSO L’AUTENTICA DEMOCRAZIA, CHE COINCIDE IN DEFINITIVA COL SOCIALISMO. (segue)
RispondiEliminaConsiderazioni analoghe è possibile leggere anche sulla rivista cattolica francese “Esprit”, ad opera di Jean Lacroix (marzo 1946): “Stiamo assistendo al passaggio delle masse dall’infanzia alla maggiorità. E questo ha più di un significato. Anzitutto significa che stiamo passando da una democrazia liberale ed aristocratica ad una democrazia di massa e popolare. Questo è il valore del socialismo; nonostante tutti gli errori dei partiti socialdemocratici, non si può negare il merito di averlo capito. Dire che stiamo assistendo al passaggio delle masse dall’infanzia alla maggiorità VUOL DIRE RICONOSCERE CHE LA DEMOCRAZIA SBOCCA GIÀ NEL SOCIALISMO E CHE CHI NON ABBRACCIA IL SOCIALISMO NON ABBRACCIA LA DEMOCRAZIA. IL LIBERALISMO DEMOCRATICO È STATO LA FORMA PURAMENTE POLITICA ED INDIVIDUALISTICA DELLA DEMOCRAZIA; IL SOCIALISMO NE È LA FORMA ECONOMICA E SOCIALE. E SICCOME IL CONCETTO DELLA DEMOCRAZIA È ESSENZIALMENTE E PROFONDAMENTE SOCIALE, QUANDO ESSO LASCIA LA VESTE LIBERALE, NON FA CHE ABBANDONARE UNA VESTE ESTERIORE E TRANSITORIA PER RIVELARE LA SUA PROPRIA ESSENZA... Comunque sia, la democrazia indiretta, per interposta persona, non basta più: votare ogni 4 anni, e lasciare che gli eletti facciano quel che vogliono, è un farsi prendere in giro. Da un secolo in qua l’idea democratica si è sviluppata nel senso di una partecipazione più attiva ad una democrazia più diretta, più impegnata nella vita quotidiana ed in tutti gli atti dell’uomo... Già nel passare dal piano politico al piano economico, dal partito al sindacato, la democrazia comportava una partecipazione più attiva degli uomini alla vita democratica, una inserzione più diretta della vita operaia nella gestione economica del Paese. Non si diventa democratici se non agendo con gli altri in opere comuni, associandosi sempre in comuni responsabilità. Se la democrazia è, sostanzialmente, un trionfo delle masse, una capacità politica ed economica riconosciuta alle classi popolari, vuol dire che essa porta ad una sempre maggior partecipazione; essere democratico vuol dire inventare di mano in mano, col cambiare delle circostanze, tutti i mezzi che permetteranno sempre più alle masse di partecipare alla vita nazionale”… Senza di ciò, la democrazia puramente parlamentare è un inganno: QUANDO I GRANDI ORGANISMI ECONOMICI SONO NELLE MANI DI UNA RISTRETTA OLIGARCHIA, LA QUALE, SENZA ALCUN CONTROLLO PUBBLICO, PUÒ PRECIPITARE IL PAESE IN UNA QUALSIASI AVVENTURA ECONOMICA FINO AD ASSERVIRLO AD INTERESSI STRANIERI: QUANDO QUESTA STESSA OLIGARCHIA, GRAZIE ALLA SUA POTENZA FINANZIARIA, HA DI FATTO IL QUASI TOTALE MONOPOLIO DELLA STAMPA, SOPRATTUTTO DELLA GRANDE STAMPA D’INFORMAZIONE E PUÒ AVVELENARE QUOTIDIANAMENTE L’OPINIONE PUBBLICA, DANDOLE IL TONO CH’ESSA DESIDERA (segue)
RispondiEliminaquando la scuola, la caserma, E SPESSO, MI SIA CONSENTITO DIRLO, LA STESSA PREDICAZIONE RELIGIOSA, DIVENTANO VEICOLI PER LA PROPAGAZIONE DELLE IDEE CARE ALLA CLASSE DOMINANTE (ubbidienza, accettazione della propria condizione sociale, difesa della proprietà, esaltazione dei valori tradizionali, tendenza al conformismo, ecc.) e quindi un ostacolo al formarsi di una coscienza e di una dignità nelle classi oppresse; quando la burocrazia, per la sua stessa tradizionale forza d’inerzia, diventa una remora alla realizzazione di qualsiasi volontà innovatrice ed un mezzo per rendere difficile alla gente minuta anche l’esercizio del proprio diritto …, sarebbe assurdo affermare che basti l’emanazione di una costituzione formalmente democratica per dare effettivamente ad ogni cittadino la possibilità di esercitare lo stesso grado di influenza sulla vita pubblica… SOLO PER QUESTA VIA SI PUÒ EVITARE QUELLO CHE È IL DIFETTO PIÙ GRAVE DEGLI ISTITUTI RAPPRESENTATIVI, IL DISTACCO FRA GLI ELETTI E GLI ELETTORI, CHE È UN ASPETTO DELLA FRATTURA SEMPRE ESISTITA IN ITALIA FRA CLASSE DOMINANTE E CLASSE OPPRESSA. Solo per questa via si può passare in Italia, senza brusche scosse ed anzi col rispetto delle forme parlamentari, da una democrazia puramente formale a una democrazia più sostanziale, fondata veramente, come dice la Costituzione, sulla “partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica economica e sociale del Paese” [L. BASSO, La partecipazione del popolo al governo, in Cronache sociali, 15 marzo 1948, n. 5, 1-3].
RispondiEliminaQuesto è il concetto corretto di democrazia perché costituzionale (a quanto pare oggi perdente) ed i suoi pericoli pienamente inverati.
La democrazia, dunque, non può che coincidere con il socialismo come diritto delle masse a resistere all’oppressione capitalistica, come movimento dialettico e rivoluzionario che si concreta nella risposta continua a quella “polemica” di cui parlava Calamandrei nel suo famoso discorso sulla Costituzione. Perciò sempre Basso poteva affermare già nel ’35 “…Le libertà borghesi, oggi con tanta cieca ostinazione rivendicate dai partiti socialisti, sono state insomma essenzialmente un premio d’assicurazione del capitalismo, il parlamentarismo una valvola di sicurezza, il “sano e pacifico progresso”, in cui tutti i nostri padri han creduto, il più sicuro antidoto contro i fermenti rivoluzionari“ [L. BASSO, Chiarimenti (dall’Italia), in Politica socialista, 1 marzo 1935, n. 3, 271-276]; insomma “LE DEMOCRAZIE OCCIDENTALI (n.d.r., liberali) NON RAPPRESENTANO QUINDI CHE UNA FASE DEL CAPITALISMO, la fase più ricca e magari più “generosa”, ma una fase storicamente determinata e circostanziata, nella quale, attraverso gli interventi crescenti dello Stato, si preparano i successivi sviluppi. Perché quello Stato, che la critica di Marx aveva così energicamente colpito e in cui la socialdemocrazia parlamentare poteva più tardi giurare, quello Stato CHE SI ATTEGGIAVA A PADRE IMPARZIALE DI TUTTI I CITTADINI, A TUTORE DELLE LIBERTÀ e del benessere generale, e che ATTRAVERSO IL SUFFRAGIO UNIVERSALE SEMPRE PIÙ SI “POPOLARIZZAVA”, aumentando il divorzio fra l’economia e la politica e affogando nel “cittadino” il proletario, era già in embrione lo Stato fascista” [L. BASSO, Chiarimenti (dall’Italia), cit.].
Con tanti saluti a Severgnini, a Saviano ed a Monti.
Caro Francesco, hai fatto un ottimo lavoro di ricerca, pertinente e divulgativa. Perfettamente in linea con il discorso che qui viene approfondito nonché riflesso nei libri.
EliminaNon posso che invitarti a non disperdere questo lavoro e a provare a farne un post: un'operazione che ti potrà consentire anche più spazio per riflessioni esplicative di raccordo per "tutti" i lettori, e per intuizioni ulteriori di sviluppo del discorso stesso (anche richiamando i post dove in passato se n'è già trattato). Tanto più che un post vero e proprio, stimola a sua volta l'approfondimento nei commenti e un maggior numero di lettori.
Se ti interessa questo impegno partecipativo (di servizio per una comunità di utenti che si sta allargando), scrivi alla mail che c'è in fondo al blog: il mio auspicio è sempre di ottimizzare e di non disperdere nei soli commenti ricerche ragionate di questo tipo.
Liberalismo e Fascismo.
EliminaAmore a prima vista. Amore a seconda vista. Amore a... insomma: amore a pagamento:
«It cannot be denied that Fascism and similar movements aiming at the establishment of dictatorships are full of the best intentions and that their intervention has, for the moment, saved European civilization. The merit that Fascism has thereby won for itself will live on eternally in history. But though its policy has brought salvation for the moment, it is not of the kind which could promise continued success. Fascism was an emergency makeshift. To view it as something more would be a fatal error.» von Mises, 1927!, dall'Austria con furore
Pinochet scorre nel sangue dei liberali da sempre.
Nel 1976 Basso scriveva: « Trent’anni fa, in un cielo ancora carico di nubi, spuntava l’alba della repubblica. A quell’evento io avevo contribuito, essendo stato il primo dirigente della sinistra ad essermi battuto per la tesi del referendum istituzionale, perché nella prudenza dei compagni, socialisti e comunisti, che volevano affidare la scelta alla assemblea costituente, scorgevo il pericolo di una defatigante trattativa di vertici che si sarebbe magari conclusa con un cattivo compromesso fra il ricatto clericale da una parte e, dall’altra, la volontà di non rompere l’unità antifascista.
RispondiEliminaAffidata direttamente al popolo, quella decisione di trent’anni fa acquistava una maggior forza dirompente e avrebbe forse potuto, se fosse stata guidata con maggior decisione, disperdere anche le nubi che si addensavano sull’orizzonte. Affidata direttamente al popolo che è, qualunque cosa ne possano pensare i giuristi, l’autentico depositario della sovranità, quella decisione assumeva un preciso significato di rottura col passato e sanzionava, anche sul piano formale, la volontà popolare di rottura espressa con le armi durante la Resistenza.
Purtroppo le cose andarono diversamente e la costituzione che, dopo la resistenza e il referendum repubblicano, avrebbe dovuto completare il trittico che esprimesse il volto di un’Italia interamente rinnovata, fu invece segnata dal compromesso grazie alla resistenza delle forze conservatrici che avevano avuto tutto l’agio di riprendersi e riorganizzarsi, principalmente al riparo dello scudo crociato. Un po’ semplicisticamente si può dire che il compromesso significò una costituzione molto coraggiosa nelle promesse (i principi fondamentali) e prudente nelle realizzazioni (l’organizzazione dello Stato).
I miei ricordi si riferiscono soprattutto al lavoro della prima Sottocommissione (della Commissione dei 75), incaricata di redigere appunto la parte relativa ai principi generali e ai diritti di libertà civile e politica. Personalmente fui relatore, e quindi coautore, con La Pira sui diritti di libertà civile ma partecipai attivamente a tutto il lavoro della Sottocommissione e, oltre agli articoli di mia particolare spettanza, ne proposi anche altri in sede di rapporti politici. Di quel periodo conservo alcuni ricordi particolarmente vivi. In primo luogo l’atmosfera in cui si lavorava, che fu, press’a poco fino alla fine dei lavori della Sottocommissione, un’atmosfera di leale collaborazione fra i principali gruppi politici: gli ultimi echi di quella ch’era stata l’atmosfera della Resistenza e che doveva spegnersi di lì a poco, grazie soprattutto alle iniziative di Saragat e di De Gasperi e alle sollecitazioni di Washington. [ora viene la parte succulenta]
Ma vorrei qui anche ricordare i due articoli, proposti esclusivamente da me senza la collaborazione di La Pira, che mi riuscì di far passare nella Costituzione, che sonò gli attuali articoli 3 capoverso e 49. Sono articoli che hanno fatto consumare in questi trent’anni molto inchiostro ai giuristi, anche perché entrambi si collocano in una visuale assai diversa, per non dire contraria, da quella in cui si colloca il profilo generale della nostra costituzione.
RispondiEliminaL’art. 49 è quello che ha riconosciuto il ruolo costituzionale dei partiti, fin allora considerati semplici associazioni private, costituzionalmente non rilevanti. Era, credo, la prima menzione dei partiti in una costituzione occidentale, e fu poi seguito dall’art. 21 della Legge fondamentale germanica. Ma maggiormente innovativo fu il capoverso dell’art. 3, considerato da molti giuristi come la norma fondamentale (“Grundnorm”) della costituzione e da altri come una semplice affermazione senza valore. Ricordo, per i lettori non giuristi, che il primo comma di quello stesso articolo ripete una norma standard di tutte le costituzioni sull’eguaglianza dei cittadini: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Siamo qui, è chiaro, in presenza di una eguaglianza puramente formale: la legge rimane eguale per tutti, ma la sua applicazione è diversa, perché la società è composta di persone disuguali. C’è forse la stessa libertà di stampa per il multimiliardario che può fare il “suo” giornale e la comune dei mortali? L’esperienza ci mostra che anche in carcere c’è una profonda differenza di trattamento fra l’imputato comune, ancor oggi soggetto a maltrattamenti, e il generale che va diretto in infermeria e viene rapidamente scarcerato. Nonostante la conclamata uguaglianza di diritto, i cittadini sono ben lungi dal fruire di diritti uguali. [segue]
Ed ecco allora il senso del secondo comma dello stesso art. 3 da me introdotto: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”. Messo immediatamente di seguito al primo, questo comma ha un netto significato polemico: la Costituzione stessa riconosce che un principio fondamentale, come quello dell’eguaglianza, non è e non sarà rispettato in Italia finché non muteranno radicalmente le condizioni economiche e sociali. Ma la stessa polemica si rivolge, può dirsi, contro tutta la Costituzione: nessuna libertà è effettiva finché sussistono le attuali condizioni; il voto dei cittadini non è uguale finché perdurano ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini; la stessa sovranità popolare, base della democrazia, è un’illusione se non tutti i lavoratori possono partecipare effettivamente all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
RispondiEliminaDa ciò discende un’altra conseguenza importante. L’ordine giuridico è stato sempre edificato a difesa dell’ordine sociale, per impedire o punire i tentativi di modificarlo; ora, per la prima volta, abbiamo nell’ordinamento giuridico una norma che condanna l’ordine sociale esistente e impone allo Stato di correggerlo. In altre parole se nella concezione tradizionale la pretesa di modificare l’ordine sociale costituiva un’offesa all’ordinamento giuridico, oggi è vero il contrario: è la volontà di conservazione dell’ordine sociale che costituisce un’offesa allo stesso ordinamento giuridico. Non dirò naturalmente, che la prassi di questi trent’anni si sia conformata a quest’ordine costituzionale. Ma l’affermazione rimane e sta a noi esigerne l’applicazione, anche con il voto del 20 giugno. La Costituzione - diceva Lassalle agli operai tedeschi - siete anche voi perché siete una forza e la Costituzione è, in ultima istanza, un rapporto di forze. » [fine?]
Anche questo discorso di Basso meriterebbe, per la sua attualità, in una situazione in cui questi nodi stanno venendo al pettine in modo clamoroso, un post apposito nei termini e per le finalità utili che ho esposto a Francesco...
EliminaA quanto pare il governo starebbe pensando ad una inizione di circa 44mld per rivitalizzare il sistema bancario italiano, il più colpito dopo il voto inglese.
RispondiEliminaArriva l'ERF , fondo di redenzione , fine della sovranità
EliminaNon c'e' ne'liberta' ne'democrazia dove non esiste accesso allo studio , e assistenza nel bisogno.
RispondiEliminaDifendiamo la scuola e la sanita'.
Se tolgo le catene ad uno schiavo non gli do'la liberta' ,devo dargli la possibilita' di essere autonomo e cosciente , solo allora sara'libero.
Martin Luther King disse , bene ora sono riuscito a dare ai miei fratelli il diritto di mangiare , ora per liberarli devo dargli la possibilita' di comprarsi il cibo.
UN ALTRO GIRO DI GIOSTRA
RispondiElimina(otc .. narodničestvo, populism, populismo)
Nella grande confusione, il ricondurre al significato delle parole serve per una corretta pratica di comunicazione nel bailame orwelliano nel quale tutti sono “sommersi” e pochi i “salvati”.
Parrebbe, e pare, che il significato originario sia il principio di emanciapzione democratica, sociale ed economica dei “servi della gleba” russi (“rescritto Nazimov”) e di operai e agricoltori del Midwest americano sul finire dell’ottocento (qualche appunto storiografico dello zar Alessandro II e dei decabisti, il “n/mostro” Baazar potrebbe concederla, considerati gli accessi privilegiati agli archivi ..)
Poi fuso, confuso e abusato, con “demagogia”, ossia il “trascinamento del popolo” attraverso false promesse politiche alimentate da paura e odio verso gli avversari e/o minoranze identificati come “nemici pubblici”.
E ancora nelle varianti di “destra” del conservatorismo (“right-wing populism”) liberista del “laissez-faire” del “libero” mercato, della negazione dell’egualitarismo sociale, dell’anti-politica democratica.
Riflessioni, declinazioni da ricondurre ai significati originari, originali e univoci della parola usata, abusata, fusa e confusa nel "tutto e niente".
Ma cosa e come la sovranità di un popolo di PhD, di trombettieri, di gazzettieri (per dirla alla mi/Bagnai) con la 5° elementare.
Passa la voglia ..
but this shit must go out !!