venerdì 19 maggio 2017

"L'ANTISOVRANO" HA PAURA DELLA SOVRANITA' POPOLARE PERCHE' NON VUOLE LA DEMOCRAZIA

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/0/06/CES_Anticristo_1924.jpg

UN PERCORSO CRITICO SULLA TEOLOGIA DEL LIBERISMO (tra "spesapubblicaimproduttiva" e meritocrazia autoproclamata)


1. Il titolo di questo post è agevolmente comprensibile, direi autoesplicativo, per chi segua questo blog.
Ma non si può ignorare il fatto che, specialmente a seguito della vittoria di Macron (quale che ne sia l'effettiva tenuta, alla luce degli eventi che egli stesso non potrà evitare di determinare), in quanto principalmente interpretata come una sconfitta di Marie Le Pen, nel dibattitto politico-mediatico, si registri la tendenza a considerare il "sovranismo" come un concetto programmatico in arretramento. E, dunque, proprio presumendosi la sua subentrata scarsa presa elettorale, in via di ridimensionamento nel linguaggio à la page, cioè elettoralmente remunerativo.
Inutile dire che questo ridimensionamento viene con immediatezza, e quindi molto frettolosamente e in base ad analisi delle effettive propensioni al voto piuttosto rozze ed emotive, legato alla questione dell'opposizione alla moneta unica.

2. Ma questa equazione implicita tra sovranismo e critica all'euro, se si fa attenzione al "non detto" (o al "detto male" e con poca consapevolezza) che essa contiene, dimostra proprio il vero punto debole lasciato scoperto dalle forze che, in Italia come in Francia, sono variamente definite sovraniste (spesso unilateralmente dalla parte politica opposta, cioè filo€urista, e con intenti denigratori avallati dai media mainstream, in un'autentica orgia di acritici luoghi comuni sull'internazionalismo della pace); tanto che, proprio per aver compiuto un percorso incompleto (o, peggio, contraddittorio) sul concetto di sovranità, oggi, c'è chi, all'interno di queste correnti politiche,  potrebbe essere sopraffatto dall'impulso di tentennare e ritornare sui propri passi.
Il fatto è che l'identificazione tra sovranità legata alla democrazia sostanziale del lavoro e opposizione alla moneta unica, e ai suoi effetti, è molto più chiara ai propugnatori di quest'ultima che ai c.d. "sovranisti" (attualmente al centro delle vicende politiche).
  
3. Abbiamo speso molte pagine di questo blog nell'evidenziare come l'euro sia, per i paesi dell'eurozona, una riedizione del gold standard, nel suo riversare ogni aggiustamento degli squilibri commerciali e della competitività relativa tra paesi UEM a carico del lavoro. 
E abbiamo anche illustrato che per "lavoro" non deve intendersi solo la classe operaia in senso novecentesco, quanto piuttosto tutta la parte preponderante della società, inclusi i c.d. "ceti indipendenti", che non è "agganciata" al capitale finanziarizzato e liberalizzato e che ricerchi (artt. 4,  35 comma 1, 45, comma 2, e, riassuntivamente, 47, della Costituzione), l'apprezzabile identità e dignità della propria persona con lo svolgere attività lavorative che, essenzialmente, si fondano sulla crescita della domanda interna (e non dell'esportazione, e quindi sull'aggressività anticooperativa inevitabilmente portata a detrimento delle società appartenenti ad altri Stati visti, nella logica principale dei trattati, esclusivamente come concorrenti da battere). 

4. Lelio Basso, il cui bagaglio concettuale era espresso in una situazione in cui dirsi "socialisti" e rivendicare l'interesse prioritario del proletariato non era ancora ridicolizzabile e etichettabile come un "quasi-reato", era però, anzitutto fedele al modello della Costituzione che egli aveva così tanto contribuito a costruire, facendo del principio di eguaglianza sostanziale, e del compito di redistribuzione ex ante (nel senso precisato da Rawls, qui p.10) assuntosi dallo Stato, il perno della democrazia sostanziale: Basso era perciò ben conscio dell'intero spettro di classi sociali che era chiamato a sopportare il totalitarismo cui tende inevitabilmente l'ordine internazionale del mercato neo-liberista (cfr, p.2):
"...oggi il settore monopolistico (usiamo questa espressione nel senso che essa ha oggi assunto nella polemica politica e non in senso rigorosamente tecnico-economico che suggerirebbe piuttosto l’espressione di ‘oligopolio concentrato) non soltanto si appropria del plusvalore prodotto dai suoi operai, ma, grazie al suo forte potere di mercato, che gli permette d’imporre i prezzi sia dei prodotti che vende che di quelli che compra, riesce ad appropriarsi almeno di una parte del plusvalore prodotto in tutti gli altri settori non monopolistici: sia in quello agricolo, sia in quello del piccolo produttore indipendente, sia anche in quello delle aziende capitalistiche non monopolistiche, dove il tasso di profitto è minore e spesso, di conseguenza, anche i salari degli operai sono più bassi proprio per il peso che il settore monopolistico esercita sul mercato. 
Ridurre quindi, nella presente situazione, la lotta di classe al rapporto interno di fabbrica, proprio mentre la caratteristica della fase attuale del capitalismo è la creazione di questi complessi meccanismi che permettono di esercitare lo sfruttamento in una sfera molto più vasta, anche senza il vincolo formale del rapporto di lavoro, è perlomeno curioso...
Una seconda tendenza destinata ad accentuarsi sempre più in avvenire è quella relativa all’interpenetrazione di potere economico e potere politico, cioè, praticamente, all’orientamento di tutta la politica statale ai fini voluti dal potere monopolistico..."

5. Ora il punto ulteriore che si collega alla evidenziata incompleta comprensione, proprio da parte delle forze sovraniste (reali, cioè concretamente manifestatesi nell'attuale agone politico), - ma non da parte delle forze oligarchie che gli si oppongono-, della stretta connessione tra sovranità popolare, e dunque "democratica", e opposizione all'assetto sociale cui vincola, senza alternative, la moneta unica, è che intanto è possibile che si verifichi un "ripensamento" della linea che valorizza la sovranità, in quanto non sia chiaro il concetto di sovranità e, in definitiva, del tipo di Stato nazionale a cui ci si richiama.
Questa mancanza di chiarezza è, in fondo, il segno di un percorso incompiuto: non si è chiarito a se stessi in cosa consista la sovranità popolare, proprio perché, in una qualche misura, non ci si è liberati completamente dell'armamentario tossico degli slogan diffusi dalla cultura antidemocratica del mercato che si è rivolta contro lo Stato democratico (pp.2-3), pretendendo di identificarlo in una forma di totalitarismo "comunista" o "collettivista" (contro ogni evidenza storica e contro ogni corretta identificazione del problema dell'autoritarismo). 

6. Il punto è, nel diritto costituzionale e nella teoria generale dello Stato, certamente complesso e non si può pretendere che il "comunicatore" politico lo padroneggi e sia in grado di riassumerlo con la padronanza che ne consente la semplificazione a giovamento del c.d. "elettore medio".
Ma, il concetto di sovranità, - una volta proiettato nell'attuale momento storico che configura una fase finale di restaurazione del capitalismo sfrenato e del suo pseudo-Stato di diritto, che si cura solo delle norme provenienti dalle organizzazioni internazionali che applicano le Leggi naturali del mercato, e giammai della legalità costituzionale (su cui si veda la chiara distinzione precisata qui da Luciani, pagg. 2-4)-, diviene, proprio ora, più agevolmente ricavabile a contrario da ciò che incarna "l'antisovrano", imposto dalle oligarchie dei mercati, e che trova nell'euro la sua perfetta espressione di perfezionamento (in quanto ripristinatore dell'assetto sociale "consono" al gold standard).
Il sovranismo non ha nulla a che fare con..."la monarchia" (o qualsiasi forma di autocrazia), a meno di voler insinuare confusione anche solo a scopo di (sterile) polemica politica: piuttosto è vero l'opposto, cioè che la de-sovranizzazione degli Stati corrisponde immancabilmente ad una immanente ostilità delle oligarchie capitaliste e cosmopolite (sempre Basso, cfr; p.2) verso il suffragio universale e la sua intrinseca proiezione territoriale, cioè la democrazia pluriclasse delle comunità nazionali

"L’idea moderna di sovranità è infatti intimamente legata…a due precondizioni – la concezione ascendente del potere e l’idea di nazione – che sono entrambi assenti nella nuova politica
Per sussumere in una sola etichetta i nuovi fenomeni potremmo invece parlare del tentativo di creazione di un antisovrano, e cioè un quid che in tutto e per tutto si contrappone al sovrano da noi conosciuto (ndr; enfasi in forma di elenco da me aggiunta per una indispensabile focalizzazione):  
- non è un soggetto (ma semmai una pluralità di soggetti, oltretutto dallo statuto sociale altamente differenziato, che ben difficilmente potrebbero candidarsi a detenere il monopolio del potere sovrano); 
- non dichiara la propria aspirazione all’assoluta discrezionalità nell’esercizio del proprio potere (cerca anzi di presentare le proprie decisioni come logiche deduzioni da leggi generali oggettive quali pretendono di essere quelle dell’economia e dello sviluppo); non reclama una legittimazione trascendente (che sia la volontà di Dio oppure l’idea dell’uguaglianza degli uomini), ma immanente (l’interesse dell’economia e dello sviluppo, appunto); 
- non pretende di ordinare un gruppo sociale dotato almeno di un minimum di omogeneità (il popolo di una nazione), ma una pluralità indistinta, anzi la totalità dei gruppi sociali (tutti i popoli del mondo, o almeno tutti i popoli della parte di mondo che ritiene meritevole di interesse);  
- non vuole essere l’espressione di una volontà di eguali formata dal basso (si tratta infatti di un insieme di strutture sostanzialmente e talora formalmente organizzate su base timocratica).

L’opposizione è dunque polare, tanto che potrebbe ricordare …quelle evocate dalle figure dell’antipapa e più ancora dell’anticristo
Come l’antipapa, per il codice di diritto canonico del 1917, rientra fra i soggetti che si oppongono all’autorità del pontefice legittimamente eletto, così l’antisovrano si arroga un potere senza averne legittimo titolo (senza investitura democratica). 
E come l’anticristo, è detentore di un potere che (aspira ad essere) universale, ed è l’agente che determina la crisi del mondo (del mondo democratico)
Un antisovrano, dunque, dal punto di vista concettuale, ma inevitabilmente un antisovrano anche dal punto di vista pratico, perché l’affermazione del suo potere presuppone proprio che l’antico sovrano sia annichilito” [M. LUCIANI, L’antisovrano e la crisi delle costituzioni, in rivista di diritto costituzionale, Torino, 1/1996, 164-166]".

8. Ora la definizione di sovranità che si ricava "a contrario" dall'aggressivo attacco delle oligarchie del mercato, €uroconnotate, agli ordinamenti costituzionali democratici è quella che, giocoforza, discende dalla unitaria opposizione, a livello inevitabilmente nazionale, del mondo del lavoro (non strettamente ausiliario al dominio oligarchico del capitalismo oligopolistico) alla sua stessa svalorizzazione, se non distruzione, come valore sociale, in precedenza posto al centro della società (democratica). 
Un valore del lavoro che si era affermato, ovunque in Europa e nello stesso ius cogens del diritto internazionale generale (non da "trattato", dunque), in nome della legalità costituzionale, e quindi in nome del diritto-dovere proprio di ogni cittadino di svolgere un'attività lavorativa.
La sovranità democratica era una salvaguardia giuridica che aveva un diretto, (quanto inviso alle elites) effetto economico "di sistema": il cittadino-lavoratore non era più tenuto, per conquistare la propria pari dignità  sociale e politica, in quanto essere umano, a perseguire o conservare rendite e privilegi derivanti dalla proprietà del capitale, acquisita per nascita o per meccanismi inevitabilmente sprezzanti della dannosità per il resto dei consociati...ovvero a soccombere. 
Ogni cittadino, in base alla propria Costituzione, poteva rivendicare la conquista normativa della propria dignità sociale.

9. Per un certo periodo, la cui fine coincide non casualmente con l'affermarsi della costruzione federalista €uropea, questa è stata la legalità suprema, appunto, sovrana in quanto "superiorem non recognoscens". 
E' solo tale concetto di sovranità che legittima e tutela la sua titolarità anche individuale (e non solo astrattamente ed ambiguamente collettiva), che è poi un modo di dire che ogni cittadino possa esprimere, in un sistema istituzionale, la propria libera volontà alla pari di chiunque altro: risultato realizzabile, come deve ormai apparire evidente, solo in un contesto nazionale (qui, pp. 6 e 7, ove non bastasse il famoso "trilemma" di Rodrik). 
Lo Stato nazionale, come unico ente rappresentativo storicamente possibile di questa sovranità popolare, intanto può assolvere al suo obbligo di tutelarla in quanto sia obbligato a garantire, in modo effettivo e non solo apparente e formale, questa parità di espressione della libera volontà di ogni cittadino.

10. Ma questa volontà dei cittadini, sia sommati in corpo elettorale, sia in quanto concretamente equiparati nell'aspirazione a divenire titolari delle cariche di governo elettorali, è esattamente la democrazia (sostanziale): la legittimità della sovranità popolare dei lavoratori che ne il presupposto, è evidentemente contrapposta allo schema arrembante dell'antisovrano, abilmente camuffato nelle vesti dell'internazionalismo mercatista e nella sua "naturalià" scientifica.
E, come abbiamo visto, poiché tale partecipazione paritaria al governo delle istituzioni è necessariamente legata all'attribuzione di una, altrettanto paritaria (in termini di legittimità), frazione del potere economico e quindi politico, a ciascun cittadino, ne discende una generalizzata sovranità popolare contraddistinta dalla paritaria dignità politica, prima ancora che sociale (che potrebbe essere un mero enunciato cosmetico del politically correct), dell'attività lavorativa svolta.
Ma la pari dignità politica di ogni possibile attività lavorativa, indipendentemente dal potere economico di fatto che la proprietà del capitale attribuisce, conduce ad un concetto di sovranità popolare coincidente con quella di sovranità democratica dei lavoratori (intesi nel senso allargato cui allude i passaggio di Basso sopra riportato): e proprio dei lavoratori che reclamano il fondamento costituzionale della protezione di "tutti" dall'arbitrio illimitato dei pochi, che intendono istituzionalizzare il potere economico di fatto che posseggono attraverso sia il controllo mediatico che dei processi decisionali dello Stato, realizzato in nome delle leggi naturali del mercato e del ricatto occupazionale che consegue all'applicazione delle stesse.

11. Ora questa accezione, che scaturisce dalla contrapposizione all'antisovrano, non ha neppure bisogno di essere espressamente postulata, come pure avviene nel nostro ordinamento nell'art.1 Cost.,  poiché ove non la si considerasse comunque implicita in ogni Costituzione moderna, verrebbe meno la stessa sostanza "minima" della democrazia, alla cui espressa realizzazione esse sono rivolte. 
Ciò sul presupposto, questo realmente senza alternative (almeno nel corso della reale evoluzione storica dell'economia c.d. capitalista), che non si possa garantire la pacifica coesistenza tra cittadini negando alla maggior parte di essi la dignità del proprio esistere, sia escludendoli dal potere politico per mezzo di trattati internazionali di natura economica, sia, ancor peggio, privandoli dell'occupazione a proprio piacimento, sulla base dell'idea, autoproclamata da un'oligarchia capitalista, della immanenza delle leggi "naturali" del mercato, fonti della razionalità e, come tali, non discutibili razionalmente (v. qui, p.11, per la sostanziale teorizzazione di Hayek). 

11.1. Questa interconnessione di elementi che contraddistinguono la democrazia, rende chiara un'ulteriore prospettiva: la sovranità popolare intesa come sovranità democratica dei lavoratori è una difficilissima realizzazione
Ma, per questo esistono le Costituzioni: affinché la tensione alla democrazia sostanziale non sia mai rinunziata, consapevoli del continuo agire delle potentissime forze reazionarie del mercato per riconquistare il proprio potere "naturale", facendo leva sulla (neo)teologia instaurata dal liberalismo, (per  sostituirla alla teologia che fondava il potere delle aristocrazie feudali dell'ancien regime).
Il concetto di sovranità popolare, ove sia (inevitabilmente) legato alla democrazia del lavoro, è dunque un concetto inscindibile dalla difesa delle Costituzioni che, appunto, intendono risolvere il conflitto tra le classi, coscienti delle finzioni del passato (quelle delle costituzioni "liberali" ottocentesche e costantemente travolte dalle forze conflittuali espresse dal mercato).
Sostenere oggi la sovranità popolare è dunque un esercizio obbligato di difesa della democrazia: al punto attuale di degenerazione, appropriativa del potere politico nazionale da parte delle elites cosmopolite, e delle loro istituzioni internazionali esclusivamente autorappresentative, si tratta in definitiva di vedere se si riuscirà, o meno, a preservare la stessa istituzione del processo elettorale e la possibile rappresentazione degli interessi generali nell'attività di governo.
Ma finché rimanga in vita il processo elettorale previsto dalle Costituzioni democratiche, coloro che si richiamano alla sovranità democratica del lavoro non possono che vincere: è solo questione di avere le idee chiare e di saperle chiaramente comunicare credendoci, senza ambiguità e compromessi (che hanno sempre travolto chi pensava, da "mosca cocchiera", di riuscire a volgerli a proprio vantaggio, ignorando l'inesorabile esito del conflitto di classe). 

6 commenti:

  1. Se esiste una "destra sociale" è perché esiste una "sinistra liberale".

    Che i nuovi e vecchi geni di queste para-categorie ideologiche si rendano conto di meritarsi l'un l'altro, è inverosimile. Sono categorie fatte apposta per dimenticarsi i fondamenti economici intorno alle democrazie sociali.

    La teologia nasce per togliere coscienza: per definizione. (cfr. E. Husserl)

    Per la coscienza esiste la filosofia.

    Per l'oggettivazione, ovverosia per garantire che il confronto, la discussione e la dialettica non siano poggiati sul nulla, esistono le scienze sociali.

    La teologia liberale universalizza il suo totalitarismo come il "cattolicesimo romano": cioè con la contrapposizione di categorie adialettiche (cfr. Schmitt, in merito alla "complexio oppositorum"). Esempio? "destra sociale" Vs "sinistra liberale".

    Entrambe sovrastrutture del capitalismo sfrenato.

    Hanno una cosa importante in comune: l'anticomunismo a prescindere. Chissà come mai.

    (Chissà da dove arriva la sterminata cultura e la coscienza morale che ha permesso di passare dallo Stato borghese allo Stato sociale. Mah. Chissà.)

    Comunque: dal Settecento si è consapevoli con chiarezza che il gruppo sociale che può facilmente detenere la sovranità (l'aufhebung nella dialettica sovrano/antisovrano dovrà per forza contenere il principio di sovranità: ossia di libertà o potere, che, semplicemente, se "vincesse" l'antisovrano mondializzatore, non essendo il "potere sovrano" schmittianamente localizzato, non potrà garantire in alcun modo uno Stato di diritto) dipende dalle dimensioni territoriali.

    Insomma, è cultura secolare - basta leggersi la discussione tra federalisti e antifederalisti durante la costituzione degli USA - che, in funzione delle dimensioni del territorio governato si gettano le basi per la democrazia sociale, la dittatura borghese o... la tirannia.

    Lo scrivono i protagonisti di allora: ovviamente i ceti che si scontravano "istituzionalmente" erano quelli da una parte dei grandi proprietari terrieri e, dall'altra, gli "hamiltoniani", ma la preoccupazione era proprio quale fosse il "divide et impera" legato alle dimensioni del territorio sovrano.

    Per gli antifederalisti era già troppo pericolosa la dimensione del Nord America.

    TUTTI davano per scontato che oltre sarebbe potuta essere stata solo una tirannia.

    TUTTI.

    Prima o poi bisognerà parlare anche di Kant e della sua pace perpetua de me nona.



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    1. Il "quid" è ben preciso e lo sintetizzi perfettamente:
      "dal Settecento si è consapevoli con chiarezza che il gruppo sociale che può facilmente detenere la sovranità (l'aufhebung nella dialettica sovrano/antisovrano dovrà per forza contenere il principio di sovranità: ossia di libertà o potere, che, semplicemente, se "vincesse" l'antisovrano mondializzatore, non essendo il "potere sovrano" schmittianamente localizzato, non potrà garantire in alcun modo uno Stato di diritto) dipende dalle dimensioni territoriali.

      Ma l'interrogativo angoscioso che pone il nostro tempo è (arrivando al dunque): CHI?
      Non tanto, dunque, "come" che è ricavabile "a contrario" pure da chi, specialmente nel nostro tempo, non ha le risorse culturali per riconoscere in positivo il proprio stesso interesse...
      CHI? Boh...

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    2. Tra l'altro.... "sovranismo". Simpatico neologismo.

      Quando esisteva la cultura - ossia quando esistevano i socialisti - si parlava di indipendenza nazionale.

      Quando ci si è poi resi conto che il liberoscambismo neocoloniale, ossia l'imperialismo dei pacifisti, aveva inciso anche irrimediabilmente sulla demografia di popoli che non avevano più un minimo di coscienza nazionale - magari divisi politicamente tramite linee etniche, si è iniziato a parlare di autodeterminazione dei popoli.

      Ora sono tutti cosmopoliti ed elitisti kalergici... combattuti da chi difende la "razza" bianca.

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    3. "... dal Settecento si è consapevoli con chiarezza che il gruppo sociale che può facilmente detenere la sovranità... dipende dalle dimensioni territoriali. ..... in funzione delle dimensioni del territorio governato si gettano le basi per la democrazia sociale, la dittatura borghese o la tirannia."

      Molto interessante questo punto di vista, perche' in altre sfere dell'attivita' umana piace invece pensare che le dimensioni non contano.

      A parte gli scherzi, immagino che per dimensioni si intenda (in questo contesto) il combinato disposto di estensione geografica in proporzione alla popolosita' ed alla disponibilita' di risorse naturali (agricole e/o energetico-minerarie).

      In un Paese con grandi estensioni agricole (o grande disponibilita' minerarie) e relativamente poco popoloso e' presumibile che si affermi la schiavitu' (vedi stati confederati ante guerra civile USA, la cui principale risorsa economica era il cotone, o la Russia fino ai primi del novecento, che non intendeva industrializzarsi nonostante la quasi certa disponibilita' di risorse minerarie - anche se non ancora scoperte - dovuta alla sua enorme estensione territoriale): stati del genere saranno molto aperti al commercio internazionale, non foss'altro perche', a parte la risorsa che detengono in monopolio naturale, devono invece importare tutto il resto.

      Al contrario in Paesi popolati e ricchi di risorse e' presumibile che si affermi l'industria locale (manifattura e servizi) e che si tenda ad una maggiore democrazia e ad una limitazione tendenziale dei commerci verso il resto del mondo (vedi stati nordisti ante guerra civile USA).

      Oggi il gruppo sociale (transnazionale) che ha preso il potere IN OCCIDENTE e' quello dello 0.01% che detiene il potere finanziario. Dal punto di vista logico la sua posizione di potere mi appare molto simile a quella della oligarchia terriera degli stati confederati (predica infatti anche il libero movimento di merci, capitali e persone e vuole trasformare una buona parte dei lavoratori in schiavi, perche' ha il monopolio del denaro).

      La posizione odierna della Federazione Russa risulta invece molto piu' simile a quella degli stati nordisti (rammento che Stalin rifiuto' pure di entrare nell'IMF).

      In questa schematizzazione mentale India e Cina fanno ancora parte dell'occidente, in quanto hanno accettato il potere finanziario occidentale e non hanno ancora deciso se perseguire o meno la via dell'aumento dei consumi interni.

      Tuttavia, qualunque sara' il modello che risultera' vincente (la vittoria delle odierne 'forze nordiste', e quindi della Russia, appare improbabile), non bisogna mai perdere di vista il fatto che nei Paesi in cui sono stati meglio tutelati democrazia e diritti sociali la popolazione non era mai superiore a poche decine di milioni.

      L'Italia ha quindi tutte le carte in regola per prosperare se solo ritornasse ad apprezzare la Costituzione Repubblicana...




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  2. BLOWIN' IN THE WIND ..

    Interrogativo intrigante che potrebbe essere la titolazione di un "noire" che sviluppa dal social-killer (il CHI ormai noti) la pianificazione seriale (il COME, anch'esso conosciuto con le chiare traiettorie economiche che impongono e "conformano" le società)per indagare sul PERCHE'.

    Ma qui, carissimi, occorre camminare tra Recoleta e Avenida Corrientes parlando il "lunfardo" (la parlata della malavita di Buenos Aires zeppo di dialetto italiano) di "guita" (il danaro),di "cadenero" (l'uomo che odia e sottomette le donne), di "chantapufi" (colui che contrae debiti che mai pagherà), di "despelotado" (l'idiota incapace d'ordine mentale), di "otario" (il tonto che si fa sempre "engrupir", ingannare) prima di stendersi sul lettino di uno psicanalista (uno bravo ..) prima d'essere richiusi in un manicomio criminale e obbligati ad ascoltare una una verde milonga .

    Ma, neppure allora, impareranno a vedere i colori e sentire i profumi dei fiori.

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  3. Concettualmente cristallino, e naturalmente anche empiricamente fondato, visto che esiste una nota correlazione fra disuguaglianza, partecipazione politica (vd. per esempio qui) e più in generale partecipazione sociale (vedi qui).

    Purtroppo pare si debba reimparare tutto da capo: “Ciò significa che, nella vigente Costituzione italiana, le cosidette libertà economiche si configurano, non come fine a sé stesse o comunque esaurentisi nell’ambito meramente economico, ma quali componenti essenziali della libertà umana, collegandosi perciò funzionalmente alle libertà civili e alle stesse libertà politiche vere e proprie.
    La Costituzione, infatti, staccandosi nettamente dallo schema ottocentesco, ha inteso fondare la democrazia politica sulla democrazia economica, assumendo i valori centrali della libertà e della dignità umana con riferimento all’uomo intero, persona privata e cittadino —- all’uomo concreto, insomma, e concretamente condizionato dalla sua situazione reale in seno alla società civile. In altri termini: laddove le vecchie Costituzioni a regime liberale borghese puro, anche se democraticamente avanzate e fondate sul principio della sovranità popolare, si disinteressavano poi — e proprio in linea di principio — dell’effettivo contenuto della « volontà popolare », ignorando deliberatamente le differenze di classe persistenti dietro l ’astratta eguaglianza « dinanzi alla legge », la vigente Costituzione, invece, parte dal riconoscimento dell’esistenza di tali differenze e delle conseguenze impeditive e limitative che ne derivano ai fini di una struttura concretamente democratica della comunità statale, proponendosi solennemente di rimuoverne le cause « di ordine economico e sociale».
    Alla stregua di tali considerazioni, sembra potersi affermare che l ’interesse primario immediatamente tutelato dalla norma costituzionale nelle libertà di associazione sindacale e di sciopero — interesse, come si è precisato, indubbiamente di classe o di categoria — finisce con l’atteggiarsi poi come momento costitutivo preliminare di un interesse, invece, propriamente politico, di ciascun lavoratore in quanto membro della comunità popolare ossia in quanto cittadino.
    L ’interesse, cioè, a determinare, attraverso il soddisfacimento immediato di certe esigenze economiche, condizioni tali da eliminare o quanto meno ridurre progressivamente il peso politico del privilegio, così da consentire ai cittadini-lavoratori una effettiva partecipazione, in condizioni di reale parità, alla formazione ed all’esercizio della sovranità popolare, come concreta volontà governante
    .” (V. Crisafulli, La sovranità popolare nella Costituzione italiana, Rass. Giuliana di dir. e giurispr., 1954 e in Studi in memoria di Vittorio Emanuele Orlando, Padova, 1955 ora in Stato popolo governo, Giuffrè, Milano, 1985, pagg. 130-1).

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